Stella del Sud - Atto II
Parte
Prima - Atto Secondo
“Ella
si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.”
Dante Alighieri, Vita Nova, Cap.
XXVI, vv. 5-8
A
sera inoltrata, quando finì il suo turno, Aida ebbe
finalmente
modo di parlare con Samir, il quale era rientrato puntualmente alle
cinque e, dopo aver fatto diligentemente i compiti, si era sdraiato su
uno dei divanetti appoggiati alla parete, impegnato a giocare una
partita sul suo videogame, in attesa che i fratelli maggiori
terminassero di lavorare.
«Passato un bel pomeriggio?» gli chiese la sorella,
quando gli fu vicina.
«Puoi dirlo forte! Giancarlo mi ha insegnato un sacco di cose
e
mi ha raccontato che ha conosciuto di persona i Blade Breakers, i Neo
Borg e tanti altri campioni super famosi!» esclamò
il
bambino, euforico, dimenticando per un attimo la console.
«Sarebbero i tizi dei poster appesi in camera tua?»
Samir annuì con un enorme sorriso stampato sul volto ed Aida
corrugò la fronte, poiché aveva un’idea
molto vaga
degli strani personaggi ritrattati nelle foto che tappezzavano le
pareti della camera del fratello. Al contrario, il bambino era una specie di
enciclopedia vivente sull’argomento e conosceva vita, morte e
miracoli di ognuno di loro.
«Sì! Ne ho anche uno dei Majestics. Lo sai che
cinque anni
fa, durante un campionato, furono sabotati dal Barthez Team?
Però, l’anno successivo li hanno
sconfitti!»
«E tu come fai a saperlo? Avevi solo tre anni!»
fece la ragazza, un po’ sorpresa.
«Dada, su internet ci sono tutte le vecchie registrazioni
degli
incontri e mi piace troppo vederli! Quelli di oggi sono
noiosi...» affermò il bambino, con tono esperto,
«anche quelli degli Excalibur1».
Alla sorella, a quel punto, sfuggì un sorriso divertito:
Samir
adorava il beyblade a tal punto da conoscere alla perfezione anche i
campioni del passato, esattamente come i cultori dei vecchi gruppi
musicali che sanno a menadito tutti i testi delle loro canzoni.
«Mi fa piacere sapere che ti sei divertito» disse
lei.
«Da matti! E Giancarlo ha promesso che giocherà di
nuovo con me, prima di andare via!»
«Davvero?»
«Sì, sì!»
Aida corrugò appena la fronte, guardando il fratellino che
le
sorrideva radioso: non si era ancora fatta un’idea precisa
sul
giovane italiano, tuttavia non pensava che fosse malvagio, sicuramente
un po’ eccentrico, ma non cattivo.
«D’accordo, però tu cerca di non essere
insistente,
non puoi importunare gli ospiti con i tuoi capricci!» gli
ricordò.
«Ma era contento anche lui! Mi ha detto che non si divertiva
così da tanto tempo» replicò
l’altro, con
naturalezza.
A quella risposta, la fanciulla strinse le spalle, arrendendosi di
fronte all’evidenza dei fatti.
«Se va bene a lui, allora credo non ci siano problemi. Ora,
però, metti via il gioco e va’ a lavarti le mani,
perché appena arriverà Rami, andremo a cenare,
d’accordo?»
«Evviva, si mangia!» esclamò il bambino,
scattando
su e correndo in direzione delle scale che portavano alle stanze del
personale.
Nel seguirlo con lo sguardo, la ragazza scosse la testa, sorridendo,
per poi dedicarsi a togliere i petali secchi caduti dai vasi di fiori
ai lati del bancone del bar, tuttavia, non passò molto tempo
che
sopraggiunse il fratello maggiore, distrutto dalla stressante giornata.
«Ricordami di mettere in guardia gli ospiti contro i
cammellieri:
hanno davvero toccato il fondo! Se dovessi incrociare quel vecchio
fennec2 di
Alì, di sicuro gliene dirò
quattro!»
sospirò il giovane, lasciandosi cadere su una poltrona
vicino
alla sorella.
«Oh, non dirmi che è successo di nuovo!»
esclamò lei, tra l’incredulo e lo sconcertato,
lasciando
cadere in terra tutti i petali che aveva raccolto.
«E invece sì!» replicò Rami,
indicando la
mensola dove erano poggiati tutti i liquori. Aida, che sapeva che, con
quel gesto, le stava chiedendo due dita di sherry, si
affrettò a
raccogliere tutti i petali e, dopo averli buttati, prese la bottiglia.
«Indovina quanto hanno sborsato, oggi, i mariti di due
turiste spagnole?»
La giovane versò il liquore ambrato in un bicchiere basso e
spesso e glielo porse, per poi tornare indietro, con aria pensierosa,
per richiudere la bottiglia con il tappo.
«Non ne ho idea, anche se, l’altra volta, mi pare
abbiano
chiesto cento dollari. Hanno forse preteso la stessa cifra?»
azzardò.
«Sì, ma solo per salire sul dromedario, ai quali
devi aggiungere altri centocinquanta per scendere».
«Duecentocinquanta dollari?!» esclamò la
ragazza, sbattendo le palpebre, scioccata.
«Per ciascuna turista, cinquecento in totale»
precisò Rami, sorseggiando il suo sherry e scuotendo la
testa.
Aida fece una smorfia di assoluto disappunto: «Oh,
be’,
avranno davvero un bel ricordo del nostro paese!»
commentò, ironica.
A quel punto, però, entrò correndo Samir,
chiamando a
gran voce il fratello maggiore e buttandosi tra le sue braccia.
«Rami, Rami!»
«Ciao, campione!» lo salutò quello con
un ampio
sorriso, arruffandogli affettuosamente i capelli. «Cosa hai
fatto
oggi di bello?»
«Oh, non ci crederai mai: Aida mi ha fatto conoscere un
autentico fuoriclasse del beyblade!»
«Ah, sì?» domandò il giovane,
guardando la
sorella che, contrariata, stava ancora rimuginando sulle truffe
macchinate dai cammellieri.
«Sì!» esclamò il bambino.
«Abbiamo
giocato tutto il pomeriggio e mi ha insegnato un sacco di tecniche
fantastiche. Adesso sono certo che batterò tutti i miei
amici!»
«Ah, ah, ah!» rise Rami. «Vedremo.
Comunque, chi
sarebbe questo ragazzo? È un nostro ospite, per
caso?»
«Certo! È Giancarlo Tornatore, il grande blader
italiano» rispose Samir, con entusiasta semplicità.
Nel sentire quel nome, il sorriso sulle labbra di Rami scomparve
lentamente, man mano che gli riaffiorava alla mente il ricordo degli
ospiti arrivati il giorno prima e della conversazione che aveva
accidentalmente ascoltato, realizzando presto che il ragazzo di cui
parlava Samir era lo stesso che aveva alluso alla volontà di
divertirsi con le sue lavoranti. Adirato, il concierge prese subito il
bimbo e lo posò delicatamente in piedi sul pavimento, quindi
si
alzò a sua volta, mentre Aida, allarmata da quel repentino
cambiamento di umore, lo scrutava confusa.
«Samir, scendi in cucina e chiedi a Nadira di servirti la
cena!» ordinò poi il ragazzo, asciutto, puntando
sulla
sorella uno sguardo truce. Quella, però, continuando a non
capire cosa si nascondesse dietro ad un simile atteggiamento,
cominciò a sentirsi inquieta, ma non osò comunque
chiedere spiegazioni, giacché sapeva che Rami non avrebbe
parlato, finché Samir non si fosse allontanato.
«Ma io vorrei mangiare con voi!»
protestò il bimbo, incrociando le braccia con fare ostinato.
«Non insistere e fai come ti dico!» lo
rimproverò,
invece, energicamente l’altro, senza smettere di fissare la
ragazza in modo ostile. «Io devo scambiare qualche parola con
Aida».
«Non è giusto!» sbuffò il
ragazzino,
allontanandosi di malavoglia, e, non appena i due fratelli maggiori
rimasero soli, scoppiò un putiferio.
«Si può sapere cosa ti è
preso?!» domandò la giovane, scrutando Rami
perplessa.
«Ah, hai anche il coraggio di chiederlo?»
sbraitò
lui. «Sapevo che hai sempre la testa tra le nuvole, ma non
credevo fossi così irresponsabile da lasciare Samir nelle
mani
del primo idiota che passa!»
«Rami!» lo richiamò Aida. «Non
urlare,
potrebbero sentirci gli ospiti! E poi, si può sapere cosa
avrei
fatto di tanto tremendo?» aggiunse, indignata per le offese
che
aveva ricevuto.
«Ti sei fatta raggirare da un coglione, ecco cosa
hai
fatto!» continuò imperterrito lui, ignorando il
suo
rimprovero. «Non voglio più vedere te o Samir dare
confidenza a quel pervertito!»
La ragazza aprì la bocca per replicare, ma dovette
richiuderla,
colpita dai pesanti insulti che erano stati pronunciati dal fratello.
«Perché ti stai rivolgendo a Giancarlo in questo
modo? È stato molto gentile e…»
«Ah, lo chiami pure per nome!» incalzò
Rami, ormai davvero infuriato.
Aida, a quel punto, socchiuse gli occhi, profondamente urtata dal suo
atteggiamento irrispettoso, sia verso di lei, sia verso il ragazzo
italiano.
«Certo, visto che ci siamo presentati! Io non sono una
sciocca
come credi: oggi pomeriggio li ho controllati spesso
attraverso la vetrata, mentre erano in giardino e posso dirti che
Giancarlo ha davvero
giocato con Samir, permettendomi di lavorare,
aiutandomi perfino
con il mio prospetto architettonico. Non
è
successo altro!»
Rami, però, scoppiò in una risata arcigna.
«Tesoro, come sei ingenua... Non mi interessa quello che ha
finto
di fare, mi basta quello che ho visto e ho sentito personalmente!
Possibile che tu riesca a capire che non gli interessa un accidente,
né di te, né tanto meno di Samir? Quello
lì ha un
solo scopo: farti diventare la sua concubina africana!»
Dopo tali parole, la ragazza capì che qualsiasi
argomentazione
avesse usato, sarebbe stata inutile, poiché non aveva nulla
da
aggiungere a quanto già espresso; così, si
lasciò
cadere sul divanetto dietro di lei, mentre la sua mente si affollava di
domande.
«Io non voglio venire meno alla promessa che ho fatto a
nostro
padre, pertanto tu e Samir starete lontano da quel playboy da
strapazzo. Fine della storia».
Il giovane pronunciò quest’ultima frase con un
tono
estremamente basso e lento, ma che, nel complesso, risultò
più inquietante e minacciosa che se l’avesse
urlata a gran
voce.
Aida, allora, sospirò, anche se non rispose, limitandosi a
distogliere
lo sguardo dal fratello, che, nel frattempo, la stava scrutando severo,
poiché non trovava giusto essere stata rimproverata in quel
modo. In realtà, sapeva che lui voleva soltanto il suo bene
e
che non le avrebbe mai mentito senza una ragione più che
comprovata, tuttavia, restava il fatto che a lei quel ragazzo, anche se
conosciuto da poco, aveva fatto un’impressione diversa da
quella
che gli aveva proposto Rami: c’era stato qualcosa che
l’aveva spinta a fidarsi,
pertanto continuava ad essere
più che convinta che Giancarlo fosse stato sincero.
Ciononostante, ammise a se stessa che, per fugare ogni dubbio,
l’unica cosa da fare fosse parlarne con il diretto
interessato.
***
«Cosa hai combinato ieri, mentre noi eravamo
fuori?» chiese
Olivier all’amico, mentre scendevano le scale per arrivare
nella
hall prima che Ralf cominciasse l’appello e Claudia si
facesse
venire una crisi di nervi, sia per la mancata presenza del fidanzato
che per la sospettosa assenza del cugino.
«Niente di particolare, ho solo giocato un po’ con
un
bambino, trovando, intanto, l’occasione per rispolverare il
mio
vecchio beyblade» rispose evasivo Gianni. «Mi ha
fatto
piacere, perché era da parecchio tempo che lo portavo in
giro
solo a cambiare aria, poiché, da quando gli Excalibur hanno
preso il nostro posto, non c’è stata
più occasione
per un serio allenamento».
«E quell’aria trasognata deriva solo da un incontro
di bey
con un bambino?» chiese, allora, l’altro,
accigliato,
scrutandolo a fondo.
«Trasognata?» replicò Gianni, piuttosto
vago.
«Oui, mon ami, è da ieri pomeriggio che sembri
essere su un altro pianeta».
«Deve essere solo una tua impressione»
tagliò corto
il biondo, leggermente infastidito da tutte quelle insistenze,
giacché, contrariamente a quello che pensavano in molti, non
amava divulgare le faccende che lo riguardavano troppo da vicino.
Tuttavia, il caso volle che il parigino non dovesse comunque attendere
molto per avere una risposta che soddisfacesse pienamente la sua
curiosità, poiché stavano procedendo entrambi
abbastanza
spediti, quando il ragazzo si arrestò di colpo, senza
preavviso.
«Ed ora, perché ti sei fermato?» chiese
il compagno, sorpreso.
Si trovavano davanti alla doppia porta che separava i due saloni e, non
ottenendo risposta, Olivier si accigliò, per poi voltarsi
verso
l’amico e notare che teneva lo sguardo fisso su qualcosa o,
meglio, su qualcuno. Seguì quindi la traiettoria e scorse
una
ragazza piuttosto minuta ed esile con la pelle color nocciola e una
treccia nera, intenta a servire ad alcuni clienti cappuccini e
croissant, distribuendo cortesi sorrisi e muovendosi con grazia e
precisione; ogni tanto, però, distoglieva la sua attenzione
e
gettava un’occhiata affettuosa ad un bambino seduto accanto
all’altra barista, intento a consumare la colazione latte e
cerali, tenendo il cucchiaio con una mano e la sua console con
l’altra.
«Ecco svelato il mistero!» commentò
Olivier, con un
sorrisetto. «Dovevo immaginare che, oltre ad un petit enfant,
ci
fosse anche una ragazza! Di’ la verità: hai
cercato di
accattivarti la simpatia del bambino per entrare nelle grazie di sua
sorella!» concluse, convinto di aver capito tutto e, di
conseguenza, di aver smascherato l’amico.
Il biondo, allora, lo guardò, manifestandogli il suo
disappunto
con un’espressione talmente disgustata, che quello
sgranò
gli occhi per lo stupore.
Gianni non si era certo aspettato che i suoi amici, che lo avevano
ormai etichettato come un indolente farfallone, comprendessero quanto
si fosse sentito bene con se stesso, addirittura utile a qualcuno,
mentre giocava con Samir; aveva perfino avuto la sensazione di
trovarsi, come mai prima, nel posto giusto.
«In realtà, Samir ci sa davvero fare con il bey,
ha un
buon potenziale e poi Aida doveva lavorare, così mi sono
offerto
di darle una mano» precisò, seriamente irritato da
quelle
insinuazioni.
«Aida? Nome interessante, ma ciò non toglie che tu
abbia
fatto da baby-sitter» notò Olivier, incredulo.
«E,
conoscendoti, non credo tu l’abbia fatto senza un
tornaconto».
«Se la pensi così, non credo tu mi conosca
granché
bene, sai?» si difese il biondo, stizzito per tanta malafede.
Sapeva benissimo di non essere mai stato uno stinco di santo, ma
ciò non voleva significare che ogni suo gesto avesse un
doppio
fine, soprattutto in quel caso.
«Excuse-moi, non volevo
offenderti!»
ribatté
l’amico, cercando di mitigare il tono che aveva usato prima.
«Però, se sai il suo nome, qualcosa vi sarete pur
detti, o
sbaglio?»
«A dire il vero, abbiamo parlato abbastanza a
lungo» ammise
l’altro, tornando a posare istintivamente lo sguardo su Aida.
«E, mentre parlavate, immagino tu abbia trovato parecchie
cose di
cui vantarti, per cercare di impressionarla»
commentò,
allora, Olivier, con una punta di malizia.
Gianni scosse appena la testa, dicendo semplicemente:
«Sarebbe
stato inutile, non credo che quella graziosa fanciulla si lasci
impressionare tanto facilmente».
Durante il loro colloquio, infatti, aveva capito che, per fare una
bella figura con lei, avrebbe dovuto evitare di menzionare proprio tutto
ciò di cui si era sempre vantato per fare colpo su una
ragazza;
anzi, per la prima volta, si era sentito a disagio proprio
perché desiderava fare una buona impressione, ma non aveva i
mezzi per farlo.
Aida non era superficiale e lui era certo che sarebbe rimasta del tutto
indifferente, se non addirittura contrariata, di fronte al suo
millantare le sue ricchezze e la sua bella villa antica che, per altro,
non possedeva per proprio merito, poiché le prime derivavano
dal
lavoro di suo padre e l’altra
dall’eredità del
bisnonno Antonio.
Per quel che riguardava, invece, le sue abilità di seduttore
consumato, quelle rappresentavano decisamente l’ultima cosa
che
avrebbe voluto raccontarle di sé.
«Graziosa?»
«Cosa?» fece il biondo, trasecolato, ridestandosi
dai suoi pensieri.
«Hai detto “quella graziosa
fanciulla”» osservò Olivier, corrugando
leggermente la fronte.
«Ma no, devi esserti sbagliato» fece Gianni,
rendendosi
conto di essersi lasciato scappare senza volerlo
quell’aggettivo
compromettente.
«Oh, no, no, ho sentito benissimo, invece! Ti concedo il
dubbio
che io non ti conosca perfettamente, ma so bene quali apprezzamenti
rivolgi alle belle ragazze e, di certo, non sono così
delicati» insistette il giovane. Poi, dopo qualche secondo di
pausa, batté le mani, come se avesse avuto
un’importante
intuizione ed aggiunse, ridacchiando: «Mon Dieu, ora
sì
che ho capito cosa è successo! Mon ami, tu sei
cotto, anzi,
sei
proprio lesso come une
courgette!»
Nel sentire queste parole, le guance di Giancarlo assunsero il caldo
colore di un bel pomodoro maturo.
«Ah, ah!» fece l’altro, continuando a
ridere, nel
vedere la sua reazione. «Cosa avresti intenzione di fare,
ora?
Dovresti recitarle la tua consueta sceneggiata, magari ne
rimarrà colpita».
«Cosa?!» esclamò il ragazzo, inorridito
alla sola
idea. «Gran bel suggerimento: così perderei per
sempre
l’opportunità di parlarle!»
Olivier stava per aggiungere qualcosa, ma, prima che potesse anche solo
aprir bocca, fu interrotto da una vocina sottile e allegra che irruppe
all’improvviso: «Giancarlo!»
chiamò.
Subito dopo, Samir corse incontro al giovane, il quale, vedendolo,
dimenticò all’istante la discussione con
l’amico e
si abbassò affinché il bimbo potesse saltargli in
braccio.
«Buongiorno, campione! Pronto per la nostra nuova
sfida?»
«Certo, non vedo l’ora!» rispose il
ragazzino,
sorridendo. Poi notando la presenza dell’altro ragazzo, si
voltò verso di lui e, dopo qualche secondo di stupore,
esclamò, ammirato: «Non posso crederci, tu sei
Olivier
Boulanger!»
Di fronte a tanta partecipazione, il giovane non poté non
sorridergli e rivolgergli qualche parola gentile: «Oui, mon
petit
ami. E tu, invece, come ti chiami?»
«Samir. Posso chiederti una cosa? Mi faresti
l’autografo?
Io ho visto tutti i vostri incontri passati, siete stati dei
grandi!»
«Mais
certainement!» gli rispose Olivier.
«Per un fan
tanto affezionato, credo che potremmo procurarci anche
l’autografo di Jurgens e di McGregor, cosa ne dici?»
A tale proposta, le pupille del bimbo si dilatarono per
l’emozione: «L’autografo dei Majestics al
completo?
Sarebbe fantastico!»
«Allora vedremo di fartelo avere prima di partire»
decise
il francese. Poi aggiunse: «Molto bene, Gianni, io vado dagli
altri, credo che abbiano aspettato abbastanza, ma tu raggiungici pure
quando preferisci. Au
revoir, Samir» concluse, allontanandosi
mentre ed esibendo l’ennesimo sorrisetto divertito della
mattinata.
Nel vederlo andar via, il ragazzo sospirò, rassegnato: era
certo
che l’amico avrebbe riferito tutto al resto della comitiva e,
ormai, nulla al mondo avrebbe avuto il potere di sottrarlo alle salaci
battute di McGregor.
«Jamila, hai visto dov’è finito
Samir?»
La ragazza che era con Aida gettò una fugace occhiata alla
solitaria scodellina contenente ancora latte e cerali, notando solo in
quel momento che il commensale e la sua console erano spariti,
così, stava appunto per rispondere negativamente alla
domanda
che le era stata fatta dall’amica, quando vide spuntare il
bambino e si accorse, soprattutto, che non era solo.
«Ah, però, sembra proprio messo bene!»
commentò.
La giovane guardò Jamila con aria interrogativa.
«Cosa?»
«Vorrai dire, chi! Comunque, mi riferivo al ragazzo
incredibilmente carino che ti sta riportando tuo fratello»
spiegò la ragazza. «Stanno chiacchierando
vivacemente,
sembrano in confidenza e, dalle occhiate che ti lancia, pare che
conosca anche te. Sei sicura che non ti sei dimenticata di dirmi
qualcosa?» chiese poi, sorridendole maliziosamente.
Aida, però, la ignorò, poiché, se non
fosse stata
più che certa di essere ancora viva, avrebbe potuto
facilmente
credere di essere andata in arresto cardiaco; infatti, si
voltò
al rallentatore sperando che, per una volta, due più due non
facesse quattro... ma, come è noto, le leggi della
matematica
sono uguali per tutti.
«Buongiorno, Aida» la salutò dolcemente
Gianni, quando fu abbastanza vicino.
«Ehm, sì, ciao» gli ripose
distrattamente lei,
guardandosi intorno e temendo che Rami potesse sbucare
all’improvviso davanti a loro e vedere ciò che non
avrebbe
mai dovuto, mentre il giovane, percependo quell’apparente
freddezza, convertì molto presto il sorriso in
un’espressione delusa.
«Dada, lo sai che ho conosciuto Olivier Boulanger, il blader
francese? Mi ha promesso l’autografo di tutti i Majestics. Ci
pensi? Avrò l’autografo di un’intera
squadra di
campioni!» fece subito dopo il bambino, tenendo le braccia
intorno al collo del biondo, per nulla infastidito da
quell’infantile euforia.
La sorella, allora, smise di cercare con lo sguardo anche il
più
piccolo segno di Rami e guardò severa il fratello minore.
«Samir, ne abbiamo già parlato, non puoi
importunare gli ospiti!» lo rimproverò.
«Glielo abbiamo proposto noi, non ti preoccupare»
replicò, però, pacatamente Giancarlo, con tono
rassicurante, sebbene fosse rimasto davvero male per
l’atteggiamento di lei.
Aida rimase a fissarlo per qualche secondo, incerta su cosa dirgli,
poiché non voleva dare l’impressione di volerlo
cacciare
via, ma, al tempo stesso, sapeva che era necessario che lui si
allontanasse da lì il prima possibile, preferibilmente senza
farsi vedere da suo fratello. Per scusarsi con il giovane e dargli le
dovute spiegazioni, avrebbe certamente trovato un modo in seguito,
tuttavia, la priorità, in quel momento, era evitare che
succedesse qualcosa di tremendamente spiacevole.
Così, la fanciulla aprì appena la bocca per
parlare, per
poi accorgersi che la voce che tuonava in tutta la sala non era affatto
la sua.
«Samir, scendi subito a terra!»
Maledicendo mentalmente quel dannoso tempismo, la giovane chiuse gli
occhi, contò fino a tre e si voltò indietro,
mostrando
uno dei suoi migliori sorrisi.
«Buongiorno, Rami! Dormito bene?»
Il fratello, però, ignorò quella domanda e le si
avvicinò con fare intimidatorio, sbraitandole contro:
«Cosa stai combinando?! Mi ero raccomandato
di…»
«… servire adeguatamente i clienti? Non vedi
quanti ce ne
sono?» fece Aida, con tono eloquente, indicando la sala piena
di
persone e, allo stesso tempo, cercando di evitare che qualcuno si
rendesse conto di cosa stava accadendo.
Rami fece per rispondere, ma, invitato a guardarsi intorno dal gesto di
lei, si bloccò, scrutando attentamente la stanza gremita.
Poi,
però, tornò a rivolgersi alla sorella e, infine,
dardeggiò Gianni con uno sguardo truce.
«Metti giù mio fratello!» gli
ordinò, sibilando come un cobra sul punto di azzannare il
suo nemico.
Il biondo socchiuse gli occhi, incredulo, faticando a credere di avere
avanti lo stesso concierge che li aveva cordialmente accolti il giorno
prima, ma fece quanto gli era stato ordinato.
«Samir, lo scuolabus sta per passare, ti conviene sbrigarti
se
non vuoi perderlo!» continuò l’altro,
sempre
sussurrando, con la sua calma inquietante.
«Uffa, mi interrompi sempre sul più
bello!»
sbuffò il bambino, contrariato, raccattando con malagrazia
lo
zaino e uscendo dalla porta, non senza aver prima baciato la sorella e
salutato con la manina il suo nuovo amico, ovviamente.
Quando il ragazzino ebbe varcato la soglia, anche l’ultimo
residuo di calore sparì e l’atmosfera, che fino a
quel
momento era stata serena, diventò così tesa da
poter
essere tagliata con una lama.
«Tu!» intimò il ragazzo a Gianni,
puntandogli contro
un dito, minaccioso. «Devi venire con me, ed anche
tu»
aggiunse, rivolto alla sorella, «fatti sostituire da Jamila,
perché dobbiamo fare una lunga chiacchierata».
Aida scosse la testa, furibonda all’idea di dover ascoltare
la
lavata di capo che le avrebbe fatto il fratello, perché
sentiva
di non aver fatto niente di male, ma, alla fine, chiamò
comunque
l’amica e le disse qualcosa, per poi tornare al cospetto di
Rami.
A quel punto, lui l’agguantò per un polso senza
troppi
convenevoli e, con un cenno del capo, indicò a Gianni di
seguirlo e il ragazzo non si sottrasse a quello che si preannunciava
come un brutto quarto d’ora.
«Rami, lasciami, mi stai facendo male!»
protestò
Aida, cercando di sottrarre il proprio polso dalla presa
d’acciaio che lo teneva, per poi massaggiarsi lentamente la
parte
martoriata, riservando al fratello uno sguardo ostile.
Lui, però, la scrutò inespressivo, chiudendo la
porta
della saletta in cui aveva condotti, lontano da occhi e orecchie
indiscreti e, quando ebbe fatto, riversò su Gianni
un’occhiata carica di disprezzo.
«Aida, mi hai disubbidito: ti avevo detto di stare lontana da
quest’essere e, soprattutto, di badare che Samir facesse
altrettanto!» si infiammò Rami, diretto contro la
giovane.
«E tu, sciupa femmine da quattro soldi, non devi azzardarti
nemmeno a guardare mia sorella! Se vuoi divertirti, Alessandria
può offrirti alcove e postriboli adatti ad uno come
te»
disse, rivolto al biondo, con tono disgustato.
Gianni serrò la mascella: almeno quella volta, tali parole
così offensive non erano meritate.
«Davvero credi che io consideri tua sorella come un
potenziale
divertimento?» chiese poi, inclinando la testa da una parte e
socchiudendo appena gli occhi.
Rami sorrise beffardo e gli rispose:
«C’è forse da chiederlo? Direi che
è chiaro come il sole».
«Ah, sì? Sentiamo allora, da che cosa lo avresti
dedotto?» domandò il giovane, spavaldo e deciso a
non
dargliela vinta, soprattutto davanti ad Aida.
L’altro, allora, rafforzò ancor di più
il sorriso, ormai divenuto un vero e proprio ghigno mefistofelico.
«Dai disgustosi discorsi che hai fatto appena arrivato
qui»
fece, sicuro delle prove in suo possesso. «Ti ho visto e
sentito
mentre pensavi a quale fosse il metodo migliore per abbordare le nostre
lavoranti!»
Fu allora che il ricordo delle prime ore passate in Egitto si fece
prepotentemente spazio nella mente di Gianni, facendogli capire che, al
contrario di ciò che aveva pensato, al momento
dell’esposizione del suo piano, rivelatosi successivamente
quanto
mai fallimentare, nella hall non c’erano solo lui, sua cugina
ed
il suo amico.
“Dannazione!” si ritrovò a pensare,
mentre le punte
delle orecchie prendevano fuoco. “Sono stato uno
maledettissimo e
superficialissimo cretino”.
«Rami, finiscila!» esclamò
all’improvviso
Aida. «Ti stai rendendo ridicolo, piantala con questa
scenata!» lo rimproverò, mostrandosi molto decisa.
«Aspetta, sorellina cara... Il meglio deve ancora venire, non
ho
finito, sai? Tornatore, perché non racconti ad Aida delle
piacevoli conoscenze che hai fatto in sala massaggi? Devo mandarle a
chiamare, o te le ricordi da solo? Però, credo di doverti
rendere merito, casanova da strapazzo, che oltre alle parole, passi
anche ai fatti. O avresti anche il coraggio di negarlo?»
In quel momento, Gianni avrebbe davvero voluto discolparsi e dire alla
ragazza che quella era tutta un’orribile menzogna messa in
scena
a suo danno, ma sapeva che sarebbe stata una bugia e mentire non
rientrava affatto nei suoi progetti per provare a cambiare in meglio.
Perciò, non gli restava che un’unica scelta: dire
la
verità,
anche se questo avrebbe pregiudicato per sempre la
considerazione che Aida aveva di lui.
Così, dopo quelli che gli sembrarono interminabili secondi
di
dolorosa agonia, scandì, con voce chiara: «No, non
lo
nego».
A quel punto, ottenuta la confessione che desiderava, Rami
ghignò di cinica soddisfazione.
«Ah-ha!» esultò, trionfante,
riafferrando la sorella
e mettendogliela davanti. «Ne ero certo. Ammettilo che non
vedi
l’ora di metterle le mani addosso! Non è forse
vero che
stai sbavando al solo pensiero di poter assaggiare le ragazze
d’Africa, depravato che non sei altro?»
Quello che, però, desiderò ardentemente Gianni,
in quel
preciso istante, fu sprofondare nelle viscere della Terra e rimanervi
per un bel po’, ma il pavimento dimostrò scarsa
collaborazione e rimase bello integro e liscio. Così, il
ragazzo
abbassò lo sguardo, non osando guardare la fanciulla negli
occhi, giacché temeva che lei gli avrebbe rivolto solo
un’occhiata disgustata.
In quel momento si rese conto di aver fatto la conoscenza della signora
Vergogna e della signora Umiliazione, trovandole brutte e ripugnanti.
Non come la bella signora Solitudine di cui cantava Morandi!
Invece Aida, dal canto suo, aveva cominciato a fissare il soffitto e,
dipinta sul volto, aveva una smorfia che tradiva un’enorme
irritazione.
«Rami, basta. Hai capito? Basta!»
sbottò, infine,
mostrando dignità ed intelligenza, per nulla intenzionata a
prendere parte ai teatrini inscenati dal fratello. «Giancarlo
ha
fatto compagnia a Samir e lo ha trattato come il bambino di otto anni
che è. Per quanto mi riguarda, ha solamente dato un
giudizio
sul
mio prospetto, aiutandomi a correggerlo. Se poi vuole divertirsi,
è libero di farlo, non devi essere tu a decidere, e se
quelle
due che hai assunto ci stanno, problemi loro. Punto. Ora, scusatemi, ma
ho molto lavoro da sbrigare».
Poi, si liberò dalla sua morsa con uno strattone ed
uscì
rapidamente dalla sala, senza rivolgere a Gianni nemmeno
l’ombra
di un’occhiata e ciò fece parecchio male al
ragazzo, che
non sapeva davvero quale fosse il male minore tra il disgusto e l’indifferenza di lei.
Tale comportamento, però, indispettì
all’inverosimile Rami che, ormai, fumava dalla rabbia,
ritenendo
che sua sorella avrebbe dovuto essere più incisiva. A quel
punto, si voltò verso il biondo e gli sibilò a
denti
stretti: «Ringrazia che domani te ne andrai, altrimenti non
te
l’avrei fatta passare liscia!»
Dopo quell’ennesimo insulto, Gianni fissò a lungo
il
concierge, passando velocemente in rassegna i modi più
crudeli
con cui fargliela pagare: tanto per cominciare, avrebbe potuto
minacciare di sguinzagliargli contro metà degli avvocati
più esperti di Roma, querelandolo per calunnia e poi
trascinandolo in tribunale. Tuttavia, dopo un’analisi
più
attenta della sua situazione, decise di non farlo, poiché
quella
sarebbe stata la tipica mossa di uno stupido ragazzino viziato che
vuole averla vinta a tutti i costi, pur sapendo di non essere
esattamente dalla parte della ragione, come lui non voleva
più
essere. Pertanto, alla fine, decise di resistere alla tentazione di
fare fuoco e fiamme, nonostante il suo orgoglio fosse stato seriamente
ferito e, per natura, avesse un carattere piuttosto vendicativo.
«Buona giornata, signor al-Nassar» si
congedò subito
dopo, dandogli le spalle e uscendo dalla stanza, lasciandolo a
schiumare di rabbia in solitudine.
La nuova vita di Giancarlo Tornatore era iniziata e presto avrebbe
dimostrato quanto la sua volontà potesse essere forte.
L’unica cosa di sui si rammaricava era l’aver
procurato,
anche se indirettamente, una sofferenza inutile ad Aida. Nel corso
della lite, infatti, sia lui che Rami avevano parlato di lei in terza
persona nonostante fosse lì presente, come se stessero
discutendo di un oggetto.
La ragazza se ne era accorta e la sua
espressione che aveva sul volto quando era uscita aveva lasciato
inendere che, certamente, non le aveva fatto piacere.
Allora, il giovane sentì l’impellente bisogno di
tirarsi
uno schiaffo sul volto, cosicché il dolore fisico potesse
distrarlo da quello morale, molto più profondo e nauseante:
la
pelle chiara si chiazzò immediatamente di rosso, ma non fu
certo
quella a provocargli il violento bruciore che sentiva
all’altezza
del petto.
Di sicuro, se suo padre fosse stato al corrente di tutto, lo avrebbe
guardato con aria di sufficienza, per nulla sorpreso, poiché
era
avvezzo ai fallimenti del figlio, tanto che ormai non si sprecava
nemmeno ad essere originale nei rimproveri e Gianni sentì
quasi
la voce profonda e beffarda di Marcello cantilenargli il solito e
odiato proverbio.
“Chi
è causa del suo male, pianga se
stesso”.
Il ragazzo fece una smorfia, pensando come, in certe occasioni, la
saggezza popolare potesse rasentare il puro sadismo.
***
Sei paia d’occhi, disposti intorno ad un tavolo, lo
guardarono
divertiti, mentre lui, piuttosto imbarazzato, evitava quelli sguardi
insistenti con fare scocciato.
«Cosa avete da guardare?» chiese, irritato.
«Niente di particolare, è che stentiamo ancora a
prendere
per vero quello che ci ha raccontato Olivier» rispose per
tutti
Claudia, mettendo a posto la carta dei vini, giacché aveva
appena finito di prendere accordi con il maître e
il
sommelier
circa le bottiglie da abbinare alle portate che avevano ordinato. Poi,
sollevò lo sguardo sul cugino e gli riservò
un’occhiata talmente sinistra che avrebbe fatto rabbrividire
chiunque. Tuttavia, Gianni la conosceva bene ed era così
furibondo per l’indelicatezza che gli aveva riservato il suo
amico, che non si scompose minimamente: Radio Vive la France
aveva
adempiuto al suo dovere ed ora lui doveva pagarne le conseguenze.
«Grazie tante, mon
ami» fece, lanciando
un’occhiata piuttosto velenosa ad Olivier.
Quello, però, strinse le spalle e scosse la testa, come a
voler
sminuire la gravità della cosa, nonostante Gianni non fosse
dello stesso parere, poiché non trovava affatto corretto che
l’intera comitiva fosse stata messa a conoscenza
degli intrecci
che correvano tra lui, Aida e il severo fratello di lei. Inoltre, era
consapevole anche che ciò che non avevano potuto sapere per vie dirette, lo
avevano aggiunto lavorando di fantasia, come si fa di solito quando si
creano i migliori pettegolezzi e l’aver atteso che fossero
tutti
riuniti nel famoso e prestigioso Pointe
Bleu aveva garantito ad ognuno
l’opportunità di dire la sua in merito, standosene
comodamente seduto davanti a leccornie di ogni tipo e approfittando
della lussuosa ospitalità di cui stavano godendo in quel
momento. Infatti, lo chef che gestiva il ristorante, tale Jacques
Dupont, era un amico di vecchia data del blader francese ed era stato
sufficiente sussurrare il nome Boulanger, che la lista
d’attesa,
fitta di prenotazioni fino all’autunno successivo, si era
miracolosamente ridotta.
Fra tutti, Andrew, alla luce delle nuove rivelazioni, aveva assunto una
perenne aria di scherno che non accennava a voler abbandonare.
«Ah, ah, that’s
so incredible, avrei pagato per
poter
assistere a quello spettacolo in prima persona!»
sghignazzò, rumorosamente.
«Io, invece, trovo che sia eine gute Sache»
affermò
Ralf, con la sua solita calma, prendendo in mano il suo calice.
«Sarà un buona occasione per temprare la tua
indole
così… passionale».
Nel sentire le sue parole, Christine e Mary Anne ridacchiarono, ma,
almeno, ebbero il buon cuore di farlo con discrezione.
«Da quando in qua fai dello spirito,
Herr-se-cade-il-mondo-io-mi-sposto-Jurgens?» si
risentì il giovane, scrutando il suo amico con severità.
«A dire il vero, non stavo facendo dello spirito»
rispose pronto quello.
«Be’, era ora che qualcuno mettesse un freno a
questo tuo
continuo importunare giovani e affascinanti fanciulle!» sin
intromise nuovamente Andrew, sempre ridendo di gusto.
«Se non vado errato, non sono io quello che stava per essere
denunciato per stalking, o sbaglio, Andrew?» notò,
allora,
Gianni, piccato.
A quella risposta, lo scozzese si ricompose, giacché non
aveva
dimenticato le prime conseguenze della sua corte spietata a Mary Anne,
aggiustandosi il colletto e bofonchiando: «Io, almeno, ho
riportato qualche risultato».
«Suvvia! Io propongo di non dare giudizi e di stare a vedere
come
si evolveranno le cose, piuttosto. D’altra parte, Aegyptus
captus
ferum vicitorem cepit3»
si intromise Olivier,
provocando la comparsa di una ruga sottile sulla fronte di Claudia che, nonostante non avesse
aperto
bocca per tutto il tempo, con la sua espressione oltraggiata aveva
lasciato trapelare perfettamente quanto fosse urtata da quella
conversazione.
A quel punto, Gianni li guardò uno per uno con
un’espressione indecifrabile.
«Avanti, forza! Qualcun altro vuole aggiungere qualcosa? Sono
in
vena di sentire altri consigli, stasera» chiese, infine, con
marcato sarcasmo.
«Spero che questo tuo diversivo duri il meno
possibile»
parlò finalmente Claudia, con estrema freddezza.
«Altrimenti, qualcuno potrebbe cominciare a pensare che ci
sia
sotto qualcosa di serio, non trovi?»
I due cugini si scambiarono un’occhiata gelida e, dopo
qualche
istante, il giovane afferrò il tovagliolo, poggiato accanto
al
suo braccio, e lo scagliò verso il centro del tavolo.
«Adesso basta, mi avete seccato! Trovatevi un altro diversivo
per
passare la serata!» esclamò, per poi alzarsi e
dirigersi
verso l’ingresso, evitando con destrezza tutto lo sciame del
personale di sala impegnato nel servizio, sparendo
all’interno
della fila di persone che sostavano all’ingresso in attesa
che si
liberasse un tavolo.
“Questa è una faccenda che riguarda solo
me!” si
ritrovò a pensare Gianni, furibondo per come era stato
trattato
dai suoi compagni, mentre usciva sul trafficatissimo lungomare
sfavillante di luci nella fresca notte alessandrina.
Poi, all’improvviso, si fermò, con la testa china
e le
mani piantate sui fianchi, incerto sul da farsi, cercando di
riappropriarsi del proprio autocontrollo: la partenza da Alessandria
era stata fissata per il giorno dopo e aveva già perso
abbastanza tempo, pertanto, se voleva davvero parlare con Aida, doveva
agire in fretta e scrollarsi di dosso la sua indolenza.
Pian piano, la rabbia sbollì ed il giovane
ritrovò un
certo grado di lucidità, tanto che ebbe la giusta
ispirazione e
capì, finalmente, che avrebbe fatto tutto il possibile per
parlare con lei, con o senza l’approvazione di suo fratello.
L’abbondanza di taxi che passavanolungo la strada in entrambi
i
sensi di marcia, invece, gli suggerì come avrebbe fatto a
tornare indietro, quindi, senza stare troppo a pensarci, si
avvicinò al bordo del marciapiede e, poggiando appena due
dita
sulle labbra, fischiò per richiamarne uno.
In meno di un’ora, fu di ritorno in albergo e, una volta
entrato
nella hall, stranamente deserta, scorse il solito grande specchio,
pronto per fargli nuovamente compagnia e offrirgli
l’occasione
per un nuovo confronto con il giudice che temeva più di
tutti:
se stesso.
Subito si avvicinò all’enorme lastra di vetro e
scoccò un’occhiata commiserevole alla sua
immagine,
poiché, costretto in quei vestiti, sentiva di assomigliare
ad un
pezzo di gesso e faticava persino a respirare.
Qualche secondo dopo, però, quasi incoscientemente si
portò una mano al collo e cominciò ad allentare
il nodo
della cravatta, prima piano, poi con sempre più forza,
finché non se la sfilò del tutto; a quel punto,
si
aprì i primi due bottoni della camicia bianca e quelli dei
polsini, rendendosi conto che, così, andava decisamente
meglio,
inspirando a fondo e godendosi l’aria fresca che gli entrava
nei
polmoni.
Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non lo soddisfaceva,
quindi
si passò più volte una mano tra i capelli,
facendo
assumere loro all’istante la solita piega ribelle. Allora,
arrotolò la cravatta e se la mise in tasca, riprendo poi a
guardarsi e accorgendosi che il suo riflesso lo stava invitando ad un
nuovo confronto.
“Chi
non muore, si rivede. Non vuoi più mettermi a
tacere, adesso?”
«Se proprio vuoi saperlo, sono stato uno stupido a farlo e me
ne pento».
“Be’,
meglio tardi che mai! Comunque, cosa aspetti
ad andarla a cercare?”
«E se non volesse ascoltarmi?»
“Ne
avrebbe tutte le ragioni, ma devi tentare, non puoi
arrenderti alle prime difficoltà!”
«Più che difficile, lo trovo doloroso. Non potrei
sopportare il suo disprezzo».
“Ah,
be’, se vuoi startene lì a leccarti
le ferite
senza fare alcun che e aspettando la compassione di qualcuno,
accomodati pure. D’altronde, ultimamente non hai fatto altro
che
rinunciare. Per inciso, con ultimamente intendo gli ultimi diciassette
anni”.
«Rinunciare a lei? Mai, è troppo…
importante, mi sta facendo capire tante cose».
“Allora
cosa stai aspettando? Non hai tutta la notte a
disposizione!”
«Sì, ma gli altri… suo
fratello...»
“Gli
altri non c’entrano, sono tutte scuse. Non
trovi che sia arrivata l’ora di decidere in
autonomia?”
«Già, penso proprio di sì. In fondo,
sono io che devo decidere cosa fare della mia vita».
“Ottima
risposta! Tuo nonno ne sarebbe fiero”.
Giancarlo, a quel punto, vide il suo riflesso che gli sorrideva
compiaciuto. Più rinfrancato nello spirito rispetto a quando
era
arrivato, avvertì crescere in lui una sicurezza del tutto
diversa dalla consueta spavalderia, poiché, questa volta,
sapeva
davvero cosa voleva: trovare Aida e chiarirsi con lei.
Già, ma dov’era la ragazza?
Proprio in quel momento, come se il fato volesse premiare i suoi sforzi
e dargli una mano, di punto in bianco udì un indistinto
chiacchiericcio proveniente dalle sale situate oltre l’atrio
in
cui si trovava in quel momento. Così, tese
l’orecchio e si
mise in ascolto con maggiore attenzione, distinguendo due voci diverse,
delle quali una era quella che gli interessava: la sua.
Oltre l’ampia vetrata che chiudeva la sala da un lato, si
vedevano chiaramente ad intervalli irregolari alcune deboli lucine che
si perdevano nel blu della notte, segno che le lampare dei pescatori
erano uscite in mare aperto, come accadeva ogni giorno al calar della
sera.
La saletta, con vista sul golfo di Alessandria, era stata quasi
interamente riordinata: mancavano solo i cuscini dei divanetti e poi,
finalmente, Aida e Jamila avrebbero potuto concludere la loro giornata
lavorativa, mentre, poco distante, Samir già sonnecchiava
placidamente su uno dei divani neri dell’angolo bar.
«Ah, che stanchezza, certi giorni c’è
davvero troppo
da fare!» commentò Jamila, sbadigliando, mentre si
stiracchiava.
«Eh» sospirò Aida, assente,
sprimacciando, con un
gesto automatico, lo stesso cuscino da almeno mezz’ora.
«Dovremmo proprio uscire ed andare a divertirci!»
continuò l’altra.
«Sì».
«Mi hanno detto che hanno aperto un nuovo locale, poco
lontano da
qui» le propose l’amica, con energia.
«Per una volta
che non c’è Rami a sindacare sull’orario
del
coprifuoco, potremmo rientrare con più calma».
Era più alta di Aida di parecchi centimetri, aveva i capelli
più corti, le forme decisamente più abbondanti e,
certamente, anche qualche annetto in più.
«Potremmo...» mormorò, in risposta.
Jamila, allora, fissò la sua futura cognata e
alzò un
sopracciglio, buttando sul divano l’ultimo cuscino e
incrociando
le braccia sul petto.
«Aida?»
«Sì?»
«Tu non mi stai ascoltando».
«Come no?» protestò la ragazza, senza la
benché minima enfasi. «Ho sentito tutto quello che
hai
detto».
Tuttavia, Jamila la guardò, ironica:
«Sì, certo.
Perché non ammetti, piuttosto, che non hai ascoltato una
parola,
perché stai pensando ancora a quel ragazzo?»
A tale affermazione, la fanciulla trasalì.
«Cosa? No, è che…»
«Guarda che non c’è niente di male! Per
essere
carino, è carino e, per quanto riguarda la storia delle
vipere
del Sahara, credo tu sappia come la penso: strusciarsi e avvinghiarsi
ai bei ragazzi è la loro specialità. Anzi, mi
meraviglio
che Rami non abbia ancora preso provvedimenti. Altro che massaggio
shiatzu e
fesserie varie, se mai mi capiteranno sotto mano, saranno
loro ad avere bisogno di un bel trattamento, riabilitativo,
però!»
«Non so davvero che cosa pensare, Jamila»
replicò
stancamente Aida, sedendosi su un pouf color tamarindo, accanto ad uno
dei tavolinetti bassi. «Quando abbiamo parlato, è
stato
così gentile, non mi è sembrato che
volesse...»
iniziò, ma senza concludere la frase.
«Cercare una scusa per portarti a letto?»
completò l’altra, con estrema disinvoltura.
Allora, la fanciulla, leggermente imbarazzata, prese a lisciarsi,
assorta, la lunga treccia nera, ma, alla fine, si limitò a
sospirare: «Già. Però non riesco
proprio a credere
che stesse fingendo».
«A quanto pare, Samir lo adora e sai che il tuo fratellino
è fin troppo intelligente per farsi raggirare»
notò
l’amica, prendendo posto sull’altro pouf, disposto
davanti
a lei.
«Questo è vero. Eppure, Rami mi è parso
così furioso…»
«Io ho visto come ti guardava quel biondino stamattina, Dada.
Come se fossi chissà quale miracolo» concluse
Jamila,
sognante.
Tale osservazione ebbe il potere di strappare un sorriso ad Aida, che
replicò: «Sai, dovresti smetterla di leggerti
tutti quei
romanzi, la vita non è così semplice».
«Be’, non esistono solo i saggi barbosi di
architettura e
archeologia che leggi tu. Saranno pure storie inventate, ma le cose
accadono comunque, prima o poi» sostenne, invece,
l’altra,
convinta. «Sai bene che, quando ho deciso di stare con Rami,
non
è stato tutto rose e fiori, ma, nonostante tutto, sono
ancora
qui».
Aida spostò lo sguardo verso la veduta sul golfo: suo
fratello e
la sua ragazza ne avevano passate davvero tante prima di poter stare
insieme. Molte non si erano nemmeno risolte come speravano e gli
stralci della complicata situazione sortivano ancora numerosi effetti
sulla vita di Jamila: da quanto tempo non vedeva i suoi? Due anni? O,
forse, erano tre? Non lo ricordava di preciso.
«E cosa dovrei fare, secondo te?» le chiese,
allora, sinceramente interessata al suo parere.
«Dargli una piccola possibilità, parlare con lui
ed
esigere che ti dica la verità. Solo così potrai
decidere
che cosa fare» sentenziò quella con decisione.
Aida scosse appena la testa, poiché dubitava seriamente che
quella possibilità potesse avverarsi realmente, soprattutto
dopo
il grottesco teatrino a cui aveva dato vita suo fratello quella stessa
mattina.
«Le offese di Rami sono state pesanti, non penso che lui
voglia
perdere ancora tempo con me» osservò, ben decisa a
rimanere coi piedi per terra e a non lasciarsi contagiare
dall’entusiasmo dell’amica.
«Ne sei proprio sicura? Io penso, invece, che lui a te tenga
davvero tanto».
«Come puoi dirlo?»
«Guarda tu stessa!» rispose Jamila, indicando con
un cenno del capo qualcuno davanti a sé.
Aida la scrutò aggrottando la fronte, poi,
all’improvviso,
capì, voltandosi lentamente verso la direzione che le era
stata
indicata e, finalmente, lo vide anche lei: il ragazzo era
lì, in
piedi all’ingresso della sala, con le mani in tasca. La stava
osservando con la testa leggermente inclinata da un lato e
un’espressione dolcemente malinconica sul volto, ma non
sembrava
troppo abbattuto, né tanto meno arrabbiato, e ciò
le fece
sperare che, nonostante il putiferio che aveva scatenato Rami, non
provasse risentimento verso di lei.
«Giancarlo!» esclamò, alzandosi di
scatto, incapace di trattenere la sorpresa.
Lui incurvò appena le labbra e la salutò con un
elegante inchino del capo: «Ciao, Aida».
Jamila, allora, decise di sfruttare la situazione per studiarlo meglio,
rimanendo soddisfatta di quello che vide; quindi, si girò
verso
l’amica per dirle qualcosa, ma non ci riuscì,
trovandola
molto presa dal nuovo visitatore. Subito, spostò lo sguardo
su
di lui, vedendo la stessa espressione, e capì istintivamente
che
quei due si trovavano in un momento di reciproca, mistica
contemplazione.
«Allora, Dada, non mi presenti?» si intromise,
lanciando all’altra uno sguardo eloquente.
«Ah, sì certo» farfugliò
Aida, sbattendo le
palpebre e ritornando bruscamente alla realtà.
«Giancarlo,
ti presento Jamila, una mia cara amica. Jamila, questo è
Giancarlo Tornatore, membro italiano della squadra europea e campione
di beyblade».
«Più che altro, ex-praticante» la
corresse il
giovane. «Ormai è solo una vecchia passione, i
veri
campioni sono altri».
«A sentire Samir non sembrerebbe... comunque,
piacere!»
fece Jamila, sorridente, stringendogli la mano. «Tu devi
essere
la vittima contro cui Rami ha continuato a borbottare fino al
pomeriggio, ma non preoccuparti... abbaia, ma non morde».
«Su questo avrei i miei dubbi» si lasciò
scappare
lui, soprappensiero, dopo aver appreso quanto fosse forte
l’astio
che il concierge covasse nei suoi confronti.
«Ah, ah, come sei simpatico! Lo so, il mio fidanzato non ha
un
carattere semplice, ma, in fondo, è buono»
commentò
allegra la ragazza. «Be’, lieta di averti
conosciuto,
comunque! Sarà il caso che recuperi la mia borsa e vada,
adesso,
stavo proprio dicendo ad Aida che sono stanca morta».
La fanciulla guardò l’amica stranita, dato che, in
realtà, aveva appena finito di dire l’esatto
contrario,
esprimendo il desiderio di andare per locali e dopo aver preso la sua
pochette, Jamila si avvicinò a lei quel tanto che bastava
per
essere sicura che fosse l’unica a sentire quello che le
avrebbe
sussurrato.
«Visto da vicino, è ancora più carino e
stasera,
tra la giacca nera e la camicia bianca, è assolutamente da
capogiro. Su, bella, datti da fare!»
A tali parole, la fanciulla, che ancora non si era del tutto ripresa da
quella visita inattesa, spalancò gli occhi e
boccheggiò a
vuoto, imbarazzata: «C-Cosa dici, Jamila!»
balbettò.
«Perché, scusa? Preferisci forse quella mummia
stantia di Mohammed?»
«Certo che no, cosa vai a pensare!»
«Allora rifatti un po’ gli occhietti e comportati
da persona intelligente. Almeno senti cosa ha da dirti».
Aida fece per replicare, ma non lo fece, soffermandosi a pensare su
quanto aveva appena udito, poiché sapeva che Jamila aveva
ragione: l’espressione grave di Giancarlo, infatti, lasciava
intendere che doveva dirle qualcosa di molto serio e, dal canto suo,
era piuttosto curiosa di sapere di cosa si trattasse.
«E non preoccuparti di Rami: con lui me la vedo io»
terminò, intanto, l’altra, strizzandole
l’occhio.
Poi, improvvisamente, alzò il tono di voce. «A
Samir ci
pensi tu, vero? Bene, bene, buona serata, cari!»
Quindi, fece un ultimo cenno di saluto all’amica e al giovane
e
si allontanò, affinché i due avessero,
finalmente,
l’occasione di restare soli.
A quel punto, Giancarlo, tenendo ancora una mano in tasca e lisciandosi
il mento con l’altra, aveva assunto un’aria
meditabonda,
nel tentativo di trovare le parole più adatte per iniziare
il
suo discorso.
«Delusa?» chiese, osservandola attentamente.
Aida, sorridendo leggermente, negò, poi si diresse verso
Samir e
si sedette vicino a lui, cominciando ad accarezzarlo dolcemente sulla
testa.
«Non proprio, direi più sorpresa,
perché non
pensavo che fossi il tipo che cade vittima dei giochetti di quelle
approfittatrici».
Gianni si prese due secondi per riflettere su quanto lei gli aveva
appena rivelato, poi domandò: «Mi stai forse
dicendo che
era tutto programmato?»
«Più o meno, sì» rispose lei,
sollevando lo
sguardo verso di lui. «Lavoro a stretto contatto con quelle
due
da circa un anno e mezzo, perciò ormai so come si comportano
ed
è sempre la medesima storia».
A quel punto, il giovane increspò le labbra, trattenendosi a
stento dallo schiaffeggiarsi da solo per la seconda volta
nell’arco della giornata.
«Allora, concorderai con me su quanto sono stato
idiota».
«Non più di tanti altri, in
realtà»
considerò lei, alzando le spalle e sorridendogli divertita.
«Dai, non stare lì, vieni, accomodati
pure» lo
esortò poi, invitandolo a sedersi accanto a lei. Lui,
però, prima di accettare, si gettò una rapida
occhiata
alle spalle, guardingo.
«Non preoccuparti, Rami non c’è.
È andato a
sbrigare alcuni affari a Il Cairo e non sarà qui prima di
domani
mattina» lo informò lei.
«In questo caso, non credo di correre rischi»
commentò il biondo, prendendo posto ad un’adeguata
distanza dalla giovane.
«Prima di andarsene, però, ha ordinato a Jamila di
accertarsi che ti stessimo lontano...»
A queste parole, Gianni si irrigidì, temendo per un attimo
che
la fanciulla aggiungesse che condivideva quel punto di vista; tuttavia,
le parole che seguirono furono abbastanza rassicuranti.
«... ma, come hai visto, lei si fida di te, quindi non ci
sono
problemi» finì, infatti, la ragazza e, poco dopo,
sui due
calò un silenzio piuttosto imbarazzante.
«Io…» cominciarono entrambi dopo qualche
secondo,
bloccandosi subito dopo, ma i sorrisi che comparvero sui loro volti li
aiutarono a far diminuire la tensione.
«Vuoi iniziare prima tu?» chiese educatamente la
fanciulla.
«Non so, io avrei molte cose da dirti e potrei impiegare
diverso
tempo, perché non sono mai stato bravo nella
sintesi»
replicò lui, piuttosto imbarazzato, torturandosi
nervosamente le
ciocche di capelli che gli ricadevano sulla nuca.
«Va bene, allora. Comincerò io» fece la
ragazza,
accennando un sorriso. «Ecco, quello che volevo dirti
è
soltanto che mi dispiace per oggi. D’altra parte,
però, mi
piacerebbe che anche tu provassi a capire Rami: da quando nostro padre
è in carcere, sente su di sé tutte le
responsabilità della famiglia».
Per stare più comodo, Gianni si sistemò meglio
sul
divano, ascoltando attentamente Aida, incantato dal suo modo di parlare
e raccontare.
«Nostra madre se ne è andata di casa due mesi dopo
la
nascita di Samir e, nel giro di qualche settimana, a causa di un
malinteso, nostro padre è stato arrestato. Rami,
all’epoca, aveva solo diciotto anni ed era poco
più di un
ragazzino, così, Maria e Franco, i due vicini di cui ti ho
parlato, ci hanno accolto tutti e tre in casa loro, crescendoci come se
fossimo stati loro nipoti» continuò a raccontare
la
ragazza, riprendendo ad accarezzare il fratellino.
«Crescere senza genitori non deve essere stato facile, per
nessuno di voi» osservò il biondo, sorpreso da una
tale
rivelazione.
«No, per niente. Sai, i miei sono due giornalisti»
spiegò lei. «Papà si è
incaponito a portare
avanti inchieste scomode, voleva il grande servizio della sua vita, ma
si è messo nei guai e, adesso, è nel carcere di
Addis
Abbeba».
«Ma... non è la capitale etiope?»
domandò il suo interlocutore, perplesso, aggrottando la
fronte.
«Sì, mio padre è egiziano, ma mia madre
era…
è etiope. Ti ho già detto che da piccoli abbiamo
vissuto
ad Harar».
«Ah, già, è vero. E
dov’è,
adesso?» chiese, allora, Gianni, che cominciava ad avere un
quadro molto più chiaro dell’intera faccenda, e
iniziava a
capire meglio perché il modo di fare di Aida fosse
così
europeizzato
e perché la pelle della giovane fosse di
qualche
nota più scura, rispetto alla tonalità propria
del popolo
egiziano.
A quel punto, la ragazza smise di accarezzare Samir e, lasciando
trapelare un grande risentimento, alzò lo sguardo e lo
puntò negli occhi blu di lui.
«Mia madre? In California con il suo nuovo marito, un ricco
industriale statunitense. Ce l’ha fatta, sai? È
diventata
una giornalista affermata, riuscendo a realizzare la sua massima
aspirazione, perché prima, per lei, noi figli eravamo
soltanto
un peso, un ostacolo alla sua carriera. Si è ricordata di
noi
solo due anni fa, chiedendoci se, per
caso, avevamo voglia di
trasferirci da lei. E noi, per
caso, le abbiamo risposto che stiamo
bene qui».
Man mano che parlava, Aida aveva assunto un’espressione dura
e arrabbiata, ma anche sofferente.
Il ragazzo, a quel punto, rimase in silenzio, ritenendo che non ci
fosse nulla da aggiungere, visto che, in una situazione del genere,
qualunque cosa sarebbe suonata inopportuna. Tuttavia, alla luce di
quanto udito, il mosaico, finalmente, era quasi terminato e anche la
reazione di Rami stava acquistando un significato più
comprensibile.
«Quindi» riprese Aida, «è per
questo che ti
chiedo di scusare mio fratello. È molto protettivo nei
nostri
confronti, anche se non avrebbe dovuto comunque autorizzarlo a dirti
tutte quelle cose».
«No, non ti scusare, Rami fa bene ad andarci cauto»
mormorò il giovane, pensieroso. «Ha reagito in
maniera
legittima».
«Avrebbe potuto farlo in maniera meno aggressiva,
però» ribatté con convinzione la
fanciulla.
«Ti ha trattato come se fossi l’essere
più
spregevole della Terra!»
«Non si è poi sbagliato di molto»
considerò
il biondo, chinando il capo, mentre Aida assumeva
un’espressione
accigliata.
“Devo essere sincero, almeno con lei” disse, tra
sé e sé.
Poi, alzò piano la testa e vide la giovane che lo fissava,
ma,
contrariamente a quanto si aspettava, senza tradire alcun genere di
ribrezzo, anzi, era più che altro incuriosita.
«Credo sia arrivato il mio turno di raccontare e parlare un
po’ di me, adesso. Non ho avuto il coraggio di dirti tutto
quando
ci siamo conosciuti, perché...»
Gianni fece una pausa, mentre le sue guance assumevano
un’ombra
scarlatta, anche se non smise comunque di guardare Aida negli occhi,
«... non c’è niente di incredibile o
meraviglioso da
dire. Io non sono un’icona di rettitudine come Rami. Sei
sicura
di voler conoscere chi sono davvero?»
«Sì» sussurrò la ragazza,
annuendo; poi, si
accoccolò contro lo schienale imbottito del divano e
raccolse le
gambe da una parte, appoggiando la guancia su una mano aperta, pronta
per l’ascolto.
«Non sarà una bella favola» aggiunse il
giovane, amareggiato.
«A volte, bisogna essere disposti a farsi raccontare anche
storie
reali» replicò Aida, con tono incoraggiante.
A quel punto, Gianni fece un respiro profondo: le parlò di
ogni
cosa che avesse caratterizzato la sua esistenza in passato, a
cominciare dal suo amore per la bella vita e per le belle donne, fino
al fallimento in università e al senso di
inferiorità che
avvertiva nei confronti dei suoi compagni di squadra, accennando
perfino alle occhiate angustiate che gli rivolgeva suo padre e ai
sospiri di sua madre.
Le sue gote si imporporarono ogni volta che citò un episodio
del
quale si vergognava maggiormente, come, ad esempio, quando aveva
iniziato una tresca con la personal trainer solo per vincere una
scommessa che aveva fatto con Massimo Colonna.
La ragazza, però, rimase tutto il tempo ad ascoltarlo in
silenzio, rispettando le sue pause ed evitando inutili commenti o
giudizi sommari, poiché sapeva che, per lui, non doveva
essere
semplice affrontare argomenti così scottanti; inoltre, aveva
compreso che aveva riposto in lei una grande fiducia, rendendola
partecipe delle sue sconfitte e confessandole i suoi errori.
Gianni le riferì anche di come fossero andate effettivamente
le
cose con le due massaggiatrici, spiegandole che non era andato oltre il
fare il cascamorto con loro, e di come, al contrario, fosse rimasto,
invece, profondamente colpito da lei e dal suo atteggiamento,
così affettuoso, nei confronti dei due fratelli.
Nell’udire l’ultima parte, l’espressione
di Aida si
ingentilì parecchio, ma il ragazzo non ebbe modo di
accorgersene, impegnato com’era a vergognarsi di quanto stava
ammettendo, giacché si era spogliato delle sue maschere,
consentendo finalmente a qualcuno di vederlo per ciò che era
in
realtà: ammettere a voce alta tutto quello che non andava
nella
sua vita gli era costato molto, eppure, dopo averlo fatto, ebbe
l’impressione di sentirsi meglio. Prima di allora, non aveva
mai
creduto possibile che la confessione delle sue colpe e
l’ammenda
delle sue scelleratezze potessero apportargli una nuova
dignità
e una ritrovata serenità d’animo, sentendosi bene
come non
accedeva da tanto, forse troppo tempo…
«Ecco, ora sai tutto anche tu» concluse, nervoso,
temendo
la reazione di lei. Cosa avrebbe pensato di lui, dopo tutto quello che
aveva ascoltato?
Dal canto suo, Aida era ancora appoggiata al cuscino, in posizione
rilassata e per nulla turbata, intenta a scrutare il ragazzo con
attenzione, mentre Gianni, a sua volta fermo di fronte a lei, non mosse
nemmeno un muscolo, in attesa di una risposta che, per fortuna, non
tardò ad arrivare.
«Mi dispiace, ma in te io non ho visto niente di tutto
questo» considerò la fanciulla, accennando un
sorriso,
mentre il giovane inarcava le sopracciglia, sorpreso.
«Quello che ho detto a Rami questa mattina, lo penso davvero.
Non
posso colpevolizzarti per cose che non ho visto
direttamente!»
continuò lei. «Per natura, sono una persona che
deve
sperimentare ciò che le viene riferito. Non mi piace basarmi
sul
si dice…»
«… e
si fa» concluse Giancarlo, colpito.
«Esatto!» annuì Aida, sorridendo, poi,
però,
si staccò dal cuscino e si mise seduta, sussurrandogli:
«Dammi la mano».
Vedendo che il ragazzo la guardava accigliato, rimanendo immobile, si
sporse e gli prese la mano destra, tenendola tra le sue.
«Guardami e rispondimi sinceramente: quando mi hai rivolto
per la
prima volta la parola, era un elegante tentativo di provarci
con…»
«No!» esclamò lui, senza nemmeno
lasciarle terminare la frase.
«No?» ripeté lei, scoccandogli una
profonda occhiata indagatrice.
«No, assolutamente no, volevo solamente sapere qualcosa in
più su di te. Sei libera di non credermi, ma... solo dopo
averti
visto quella sera, ho capito quanto stessi sbagliando»
cominciò a spiegare lui, con fermezza. «E poi,
sarò
stato anche un libertino ed uno scapestrato, ma non ho mai cercato di
fare il furbo con la donna di un altro: anch’io ho dei
limiti,
per quanto nessuno voglia riconoscermeli».
La fanciulla parve soddisfatta della sua risposta, perché,
qualche secondo dopo, scoppiò in una risata argentina.
«Ah, ah, già, è vero! Pensavi che Rami
ed io fossimo sposati e che Samir fosse nostro figlio!»
Allora, Giancarlo, che già al contatto fisico aveva
avvertito le
punte delle orecchie avvampare tremendamente, a
quell’affermazione sentì che anche le sue guance
non
volevano essere da meno e presero la stessa tonalità
dell’astice che gli era stato servito qualche ora prima, ma,
nonostante tutto, non gli sfuggì la bellissima sensazione,
mai
provata prima, che gli procurava quella situazione: era diviso tra
l’imbarazzo e il piacere che gli offrivano quel tocco e la
semplice presenza della ragazza.
D’altra parte, non era abituato ad arrossire così
spesso,
perché di solito erano le ragazze a farlo, quando rivolgeva
loro
i più svariati apprezzamenti, veri o presunti,
però
dovette ammettere che provarlo sulla propria pelle non era
così
brutto come immaginava, anzi, forse gli piaceva anche di più.
«Aida?» la chiamò, dolce.
«Sì?» fece la fanciulla, smettendo di
ridere e tornando a guardare il ragazzo negli occhi.
«Posso chiederti un favore?»
«Quale?»
«Mi daresti il permesso, diciamo, di conoscerti... un
po’
meglio? Vorrei imparare a poco a poco quello che ti piace e quello che,
invece, odi, quello che ti fa stare bene e quello che non puoi
sopportare. Ti prometto che non sarò invadente od
oppressivo,
ma, ti prego, non negarmi questa possibilità»
spiegò Gianni, concitato, sperando di ricevere una risposta
positiva, ma temendo il contrario.
La ragazza rimase sbalordita da una richiesta del genere e
lasciò immediatamente la presa, soffermandosi a guardarlo
con
aria mesta.
«Non fare promesse che sai di non poter mantenere,
perché
mi daresti un motivo per avercela seriamente con te» disse,
quasi
sottovoce.
«Non è così, posso mantenerle
eccome!» si
risentì lui. «Perché, proprio ora, hai
deciso di
non fidarti?»
«Giancarlo, sai bene che domani partirai ed io
diventerò
presto soltanto un ricordo. Spero bello, ma comunque un ricordo che
svanirà poco a poco» gli spiegò Aida,
sussurrando.
«E se ti dimostrassi che, al contrario di ciò che
credi,
non dimenticherò tutto quello che mi hai dimostrato in
questi
giorni?» ribatté il biondo, deciso.
La ragazza, allora, lo guardò, serrando le labbra,
poiché
era certa che le sue intenzioni fossero buone e una parte di lei era
davvero lusingata che quel giovane mostrasse tutto
quell’interesse nei suoi confronti; tuttavia,
un’altra era
offuscata dai dubbi, giacché, in fondo, era pur sempre una
cameriera ed una studentessa, mentre Giancarlo apparteneva ad una
facoltosa famiglia italiana. E, come se non bastasse, avrebbe dovuto
considerare anche la presenza di suo fratello: cosa avrebbe pensato
Rami, così attaccato ai pregiudizi, di tutta quella
situazione?
Lui, però, parve intuire i pensieri di lei e, infatti,
aggiunse:
«Anche Rami dovrà accettarlo, perché mi
piacerebbe
anche continuare a sentire Samir, per sapere i suoi progressi con il
bey, come procede con la scuola e così via... glielo devo,
visto
che, per ovvie ragioni, oggi non ho potuto giocare nuovamente con lui.
Inoltre, ho notato che è molto intelligente e scommetto che
è molto bravo in tutte le materie».
«Sì, è così, non ci
dà alcun problema
con lo studio» confermò Aida, soprappensiero.
«Davvero un bravo bambino...»
«Giancarlo?»
«Cosa c’è?»
«Se mi stai prendendo in giro, sappi che non ti
perdonerò.
Non sopporto le delusioni» gli disse la fanciulla,
guardandolo
con serietà mista tristezza.
In quell’istante, gli vennero in mente le parole che la
ragazza
aveva usato nei confronti della propria madre e si intrattenne a
contemplarla, sorridendo dolcemente.
«Bene, ho già appreso un’informazione
importante,
ma» considerò, «resta il fatto che,
nonostante
tutto, credo di avere ancora una parola d’onore. Accordo
fatto,
dunque?» le propose, tendendole la mano.
Aida la scrutò un attimo, poi la strinse.
«Accordo fatto» confermò. «Ma
come farai…?»
Il ragazzo, allora, le sfiorò delicatamente le labbra con
l’indice, senza, però, che si stabilisse un vero e
proprio
contatto.
«Lascia fare a me, tranquilla. Ti ho promesso che non
sarò
oppressivo, ma comunque presente. Solitamente, seguo
l’ispirazione ed amo le sorprese, perciò non penso
che
avrai mai modo di annoiarti».
In risposta, la giovane si lasciò sfuggire un sorriso
sereno,
dopo di che fece per avvicinarsi al fratellino, così da
prenderlo in braccio e portarlo al suo letto.
«Me ne occupo io» si offrì subito il
giovane,
oltrepassandola: quindi, sollevò il bimbo con cautela e lo
prese
tra le braccia, distribuendo equamente il peso tra di esse.
«Non c’è bisogno che ti
disturbi!» esclamò lei, sorpresa dal gesto.
«Nessun disturbo, tranquilla. Mi spiace solo non poterlo
salutare
come si deve, dato che sarà a scuola quando
partiremo»
bisbigliò Giancarlo, indicando Samir con un cenno del capo.
Aida fu sul punto di protestare per la troppa gentilezza, poi, decise
di accettarla e lo ringraziò ancora, precedendolo per
guidarlo
verso le stanze del personale.
Pochi minuti dopo, il ragazzo adagiò il bambino sul letto,
lasciando che la sorella lo coprisse accuratamente.
«Dovresti vedere la sua stanza a casa nostra, le pareti sono
coperte interamente da poster dei campioni di beyblade!»
commentò la ragazza, rimboccandogli le coperte.
«Sì, me lo ha detto» disse lui,
accarezzando la
testa di Samir. «A proposito, anche quei due asociali di
Jurgens
e McGregor hanno dato il loro contributo, quindi domani, quando
verrò a salutarti, Rami permettendo, ti darò
anche
l’autografo di tutti noi».
«Non credo che Rami possa fare molto, sai? Ci saranno anche i
tuoi amici» considerò Aida. «Comunque,
grazie, mio
fratello ne sarà contento».
«Figurati, è stato un piacere» fece lui,
in risposta, alzando le spalle.
A quel punto, rimasero entrambi a guardarsi per qualche istante,
finché il giovane non trovò il coraggio di
staccarsi,
poiché sapeva perfettamente che, se avesse continuato ad
ammirarla, non se ne sarebbe più andato.
«Allora, buonanotte» la salutò,
voltandosi indietro.
«Buonan… No, aspetta!»
A quel richiamo, il biondo si fermò di colpo e Aida gli fu
vicino in un paio di istanti, mettendosi davanti a lui.
«Aspetta solo un attimo...» mormorò,
mentre,
concentrata, gli appoggiava i polsi sulle spalle, facendo scorrere le
dita sotto il colletto della camicia e sistemandoglielo meglio sul
bavero della giacca.
«Samir deve essersi aggrappato a te nel sonno e ti ha
sgualcito
il colletto. Succede sempre anche quando lo porta Rami»
spiegò la fanciulla, semplicemente. Si intuiva che aveva a
che
fare tutti i giorni con degli uomini, anche se erano i suoi fratelli,
perché il suo approccio era sicuro ed affettuso, ma non
sfacciato.
Mentre la ragazza gli riservava quelle premure, Gianni posò
lo
sguardo su di lei, avvertendo sensibilmente il suo tocco delicato
trasmettersi dagli abiti alla pelle; in quel momento, si trovavano ad
una distanza pericolosamente inesistente, tanto che lui poteva
distinguere nettamente ogni, singola ciglia.
Non era un mistero, infatti, che il giovane avesse sempre incarnato la
quintessenza delle pulsioni vitali, l’ideale
dell’amante
passionale e, se si fosse trovato in un altro momento e con una diversa
disposizione d’animo, avrebbe certamente colto al volo
l’occasione per sedurre la sua preda di turno.
L’aveva
fatto tante volte: illudere una ragazza con le sue lusinghe, solo per
soddisfare un effimero istinto ferino, esaudendo un desiderio
materiale, senza coinvolgere alcun genere di sentimento.
Tuttavia, era stato prima di conoscerla e, in quel momento, fu certo
che per nulla al mondo avrebbe toccato Aida senza che anche lei lo
volesse o che ci fosse un valido motivo per farlo, perché
lei
meritava rispetto,
così come era per l’impegno e
la
dedizione con i quali affrontava la vita.
Ridestandosi da quei pensieri, si allontanò delicatamente
dalla
fanciulla e, lasciandosi sfuggire un sorriso malinconico, le
sussurrò: «Ti ringrazio, non me ne ero reso
conto».
«Oh no, sono io ad essere un po’ pignola su queste
cose» ammise la ragazza, arricciando il naso e ricambiando il
sorriso.
«Allora... buonanotte, Aida».
«Buonanotte a te».
Giancarlo, allora, aprì la porta e fece per uscire ma, colto
da
un’improvvisa illuminazione, si voltò verso di lei
e
disse: «Grazie per avermi ascoltato, sono felice di averti
incontrata. Non a tutti viene concessa una seconda occasione ed io
cercherò di meritare questa fortuna».
Lì per lì, Aida fu talmente sorpresa da quella
dichiarazione, che si riscosse solo al tonfo della porta che si
chiudeva, realizzando che lui se ne era davvero andato.
Con estrema lentezza, cominciò a spogliarsi e a sistemarsi
per
mettersi sotto le coperte, poi, quando ebbe fatto, si
avvicinò
al suo letto, lasciandosi cadere e soffermandosi a guardare il soffitto
bianco, considerando quanto le diverse emozioni provate durante la
serata l’avessero scombussolata, mentre Samir, inconsapevole
di
tutto, continuava a dormire sereno.
Ancora con la mente impegnata a pensare al giovane, si girò
su
un fianco, poggiando il viso all’altezza del suo
polso,
e, in quella posizione, avvertì il suo profumo,
rendendosi
conto
che era bastato un breve contatto per lasciare su di lei una traccia
intensa di quel piacevole aroma, composto da una base delicata con
qualche nota più marcata. Era proprio come era chi lo
indossava:
sorprendente.
Chissà come sarebbe andata a finire... Cosa avrebbe detto
Rami? Si sarebbe convinto delle serie intenzioni di Giancarlo?
Conosceva l’indole sospettosa di suo fratello e scardinare le
sue
convinzioni, da lui considerate come veri e propri dogmi, non sarebbe
semplice, anche se non impossibile.
Tuttavia, Aida sapeva di avere le sue insicurezze, per lo
più
legate alla distanza e al tempo: quel ragazzo era diverso da tutti
quelli che aveva conosciuto fino a quel momento e si trovava bene con
lui. Forse provava più di una semplice simpatia nei suoi
confronti, anche se ancora non lo sapeva con certezza, e ora lui le
aveva promesso che si sarebbero conosciuti meglio, ma... avrebbe
mantenuto il suo impegno? Era difficile mentire guardando negli occhi
una persona e, mentre le aveva esposto le proprie intenzioni, lui
l’aveva scrutata a lungo con quelle sue iridi blu. Oh, quanto
le
piaceva il colore dei suoi occhi, lo stesso del mare più
profondo. Tuttavia, doveva anche ammettere che, di bello, Giancarlo non
aveva solo gli occhi e, in quel momento, le tornarono in mente gli apprezzamenti che aveva
fatto Jamila verso di lui, stuzzicandola e costringendola a nascondere
il viso nell’incavo del gomito piegato, lasciando che la
traccia
rimasta del suo profumo la stordisse piacevolmente, fino a farla
scivolare nel mondo dei sogni.
***
Il mattino seguente, Gianni si svegliò di buon umore come
non
accadeva ormai da diverso tempo, senza fare nemmeno caso al fatto che,
accanto o addossate a lui, non erano presenti ragazze delle quali non
ricordava nemmeno il nome.
Subito, scosse la testa per scrollarsi di dosso quel poco di sonnolenza
che gli era rimasta e, senza ulteriori indugi, si diresse in bagno,
avvertendo che c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Dopo essersi fatto una doccia veloce, si mise davanti allo specchio e,
mentre si frizionava i capelli per asciugarli sommariamente, si
osservò attentamente: qualche goccia residua, proveniente
dalle
ciocche bionde ancora umide, gli scese lungo il viso, per poi
avventurarsi lungo il collo e proseguire per il declivio delle spalle,
quindi scendere giù per la schiena e per il torace. Sentirle
percorrergli la pelle gli procurò un piacevole senso di
benessere, ma mai quanto ne avvertì nel rendersi conto che
la
lastra di vetro e metallo gli stava nuovamente rinviando la sua
immagine, sorridente e compiaciuta.
Negli ultimi giorni, infatti, aveva avuto modo di confrontarsi con gli
specchi più di quanto avesse mai fatto in vita sua,
perché, pur compiacendosi del proprio aspetto, non aveva mai
amato troppo vedere e meditare sul proprio riflesso in nessun momento
della giornata e meno che mai al mattino, momento in cui si riprende il
contatto con la vita dopo la pausa notturna, ritrovandosi sempre
diversi da come ci si ricordava.
Tuttavia, quella mattina fece eccezione, poiché, per la
prima
volta, Giancarlo riuscì a contemplarsi senza provare
vergogna ed
il suo volto, così composto e sereno, non gli diede
ribrezzo:
aveva accettato il suo riflesso, aveva accettato se stesso, proprio
perché non aveva nulla da dimenticare, nessuna notte brava
da
archiviare nei meandri della sua memoria, nessun rimpianto per il fatto
che l’ebbrezza da alcool fosse svanita, anzi, voleva
ricordare,
proseguire nel suo intento e, quindi, raggiungere il suo obiettivo.
“La mia seconda occasione non dovrà essere
sprecata” si disse.
La leggera e rada peluria bionda presente sul suo viso lo
sollevò anche dall’incomodo di farsi la barba che,
nonostante i suoi ventitré anni, non aveva, pertanto
finì
rapidamente di prepararsi con modesta cura, per poi rimettere via gli
abiti della sera precedente. Quando, però, prese in mano la
giacca, percepì intorno al bavero un delicatissimo aroma,
buono
ma completamente diverso dal suo, in quanto era fresco, estivo e
leggermente speziato.
«No, questo non è mio, sembra una fragranza
decisamente
esotica, come una rosa del deserto» sussurrò,
chiudendo
gli occhi e cominciando a meditare su quella che sarebbe stata la sua
mossa successiva.
Avrebbe dovuto farsi venire in fretta un’idea per continuare
a
sentire Aida senza risultare insistente, ma, nello stesso tempo, senza
dare l’impressione di essere superficiale o di star
prendendosi
gioco di lei; infatti, avrebbe dovuto cercare di fare qualcosa per
aiutare lei e Samir, senza però che la fanciulla lo
percepisse
come un gesto di carità e considerare il suo atteggiamento
come
un’offesa, vista la sua grande dignità e il suo
indubbio
orgoglio.
Inoltre, il giovane avrebbe dovuto trovare un appiglio anche per
ingraziarsi Rami e non sembrava facile trovare un punto in comune a
tutti quegli aspetti; ciononostante, nel silenzio di quel mattino di
tardo settembre, arrivò quasi subito ad una grande
intuizione.
Rianimato dalla folgorante idea, si ridestò dai propri
dilemmi e
ripiegò sommariamente la giacca, per poi avviarsi a passo di
marcia verso la stanza di Andrew: se il suo piano fosse andato a buon
fine, sarebbe stato davvero un ottimo inizio.
Rami fischiettava, soddisfatto, mentre finiva di registrare a computer
il materiale che aveva raccolto durante la sua trasferta a Il Cairo, la
quale aveva avuto esito positivo; infatti, aveva sbrigato le sue
commissioni prima del dovuto, traendone anche anche un profitto
maggiore a quanto aveva stimato e nulla avrebbe potuto fargli andare di
traverso la giornata, soprattutto perché il motivo di tanto
gaudio non era ascrivibile unicamente ai suoi successi lavorativi.
Accanto a lui, impegnata in un’interessante lettura sulla
sezione
aurea, era seduta sua sorella Aida, ben consapevole di quale fosse la
vera ragione che rendeva così allegro Rami:
l’imminente
dipartita dei turisti europei.
«Potresti smettere di fischiare? Mi stai
deconcentrando» lo
apostrofò all’improvviso, manifestando tutto il
suo
disappunto verso il comportamento del fratello, che le aveva
appositamente scambiato la sua abituale mansione al bar con un turno in
cucina, così che fosse relegata lì e non avesse
modo di
salutare personalmente Giancarlo.
«Sei acidula, stamattina, o sbaglio? Non dovresti, guarda che
bel
clima autunnale abbiamo quest’oggi!»
esclamò,
però, il giovane, gaio, non lasciandosi turbare dal
rimprovero.
Di fronte a tanta sfacciataggine, Aida sbuffò, tornando a
concentrarsi sul suo libro e a sottolineare i concetti più
importanti, finché non batterono le dieci. Non appena i
rintocchi terminarono, Rami si allontanò un momento per
andare a
prendere i fogli necessari a rifornire la stampante, mentre la ragazza
chiuse il trattato con un gesto di stizza, per nulla intenzionata a
pulire e tagliare verdure in isolamento per tutto il resto della
mattinata.
Se solo per un qualsiasi motivo suo fratello avesse tardato a tornare
alla reception, lei sarebbe riuscita ad incrociare Giancarlo prima di
essere sepolta viva da patate e pomodori.
«Dove stai andando?» la richiamò
improvvisamente una
voce femminile. «Voglio sapere per filo e per segno come
è
andata ieri sera!»
«Oh, buongiorno Jamila» rispose Aida, mettendo via
il
libro. «Purtroppo ora non ho tempo per parlare,
perché mi
aspettano in cucina. Rami mi ha scambiato il turno».
«Cosa? E perché mai?» chiese la ragazza,
stralunata.
Poi, però, ci rifletté su un attimo e
arrivò da
sé alla soluzione. «Questa volta ha superato ogni
limite!
Non può decidere per te e manipolare la tua vita a suo
piacimento!» esclamò.
«Lascia stare, è inutile rimuginarci su»
replicò, però, l’altra, amareggiata.
«Dada, ti arrendi troppo facilmente! Facciamo
così:
prenderò io il tuo posto in cucina» propose
Jamila.
«Io adesso ho un buco fino all’ora di pranzo,
quindi sarai
assolutamente libera».
«Davvero lo faresti?» domandò stupita la
fanciulla, incapace di credere a quella fortuna.
«Certo, sei mia amica! Però, non credere che
sarà
gratis, eh. Infatti, mi renderai il favore appena potrai, raccontandomi
anche cosa hai deciso di fare riguardo ad un certo biondino molto
affascinante».
La giovane sorrise e stava anche per rispondere, quando fecero la loro
apparizione le due massaggiatrici.
«La vecchia fata madrina che aiuta la sua protetta ancora in
fasce, che scena commovente!» commentò una di
loro,
scoppiando a ridere subito dopo, prontamente imitata
dall’altra.
Jamila, però, fece finta di non aver sentito e non rispose
alla
provocazione, almeno finché le due non sparirono dalla loro
vista.
«L’undicesima e la dodicesima piaga
d’Egitto. In
confronto, l’invasione delle locuste è quasi una
sciocchezza!» considerò, indispettita.
Aida rise, scuotendo la testa: «Non penso tu possa aspettarti
niente di diverso da quelle due».
«A te sembra normale che mi diano della vecchia solo
perché ho due anni in più di loro?» le
domandò l’amica. «Anche se sospetto che
il loro
accanimento contro di me derivi dal fatto che stia col capo».
«Non lo escluderei» concordò
l’altra, alzando le spalle.
«Aida, sei ancora qui?!» tuonò Rami
proprio in quel
momento, rientrando con un’enorme risma di fogli tra le mani,
scorgendo la sorella nella hall.
La fidanzata, però, si parò subito davanti a lui,
nascondendogli la ragazza alla vista.
«Oh, ma guarda chi c’è! Ti spiace se
prendo il posto di Dada, per oggi?»
Il giovane la guardò irritato, aggrottando la fronte e
storcendo lievemente le labbra.
«Jamila, non ti intromettere» fece, imperativo,
«lo
sai che Aida deve fare tutto quello che le dico io!»
«Dai, Rami! Non essere cattivo!» lo
supplicò lei.
«Ho detto di no!» replicò il ragazzo,
cercando di aggirarla per agguantare la sorella.
Tuttavia, mentre i due erano impegnati a battibeccare, furono raggiunti
dai turisti spagnoli che erano stati truffati dai cammellieri, i quali
avevano bisogno di Rami per poter saldare il soggiorno, tradendo una
certa fretta di lasciare l’Egitto.
Allora, approfittando del fatto che il concierge fosse preso dai
clienti, Jamila sfuggì al suo controllo, ammiccando ad Aida,
per
poi dirigendosi verso le cucine e il giovane non poté far
altro
che guardarla andar via con la coda dell’occhio.
Era passato più di un quarto d’ora da quando la
comitiva
europea aveva chiesto il conto del soggiorno e, finalmente, Rami era
riuscito a stampare e firmare tutte le ricevute, senza,
però,
smettere nemmeno per un istante di guardare Giancarlo in tralice,
ampiamente ricambiato dal giovane.
Nel frattempo, anche Claudia, intenta a farsi aria con il suo
immancabile ventaglio, non aveva staccato un momento gli occhi da Aida,
sul volto un’espressione di orrore misto a disgusto,
perché, se aveva pensato che il cugino stesse recitando la
solita farsa, divertendosi come era solito fare, in quel momento fu
costretta a ricredersi. Infatti, l’essersi prodigato per
lasciare
un regalo a Samir e le occhiate ammirate che lanciava furtivamente alla
ragazza non lasciavano spazio ad altre interpretazioni, se non quella
che fosse fin troppo
coinvolto.
La giovane era così irritata che, ad un certo punto, si
voltò per non essere costretta a guardare quello scempio, ma
il
fidanzato si limitò ad alzare le spalle e muovere le labbra
come
a dire: «Te l’avevo detto!»
Intanto, mentre Ralf dava direttive per la partenza, Andrew scrutava la
scena a braccia conserte, sempre più meravigliato, convinto
ormai che le avesse viste tutte, dopo che quel cialtrone di Gianni
aveva dimostrato di essere molto accorto se era in gioco qualcosa che
gli interessava veramente, come aveva dimostrato quando era andato a
bussare alla loro porta, facendo fatto leva sui valori nei quali
credeva la giovane avvocata per ottenere quello che gli sarebbe tornato
utile.
Osservando la scena che si stava svolgendo davanti a sé, lo
scozzese inarcò un sopracciglio, giacché sapeva,
anche se
non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto minaccia di morte, che la
mossa che aveva progettato il biondo era alquanto interessante,
così come lo sarebbe stato vedere se e quali risultati
avrebbe
ottenuto.
Aida, invece, era rimasta per tutto il tempo in disparte in un angolo
della stanza, fissando rassegnata Rami e Giancarlo, impegnati in un
muta e reciproca offensiva, sicura che non si sarebbe estinta tanto
presto, fino a coinvolgere chissà quanti altri personaggi e
teatri.
«Na
schön» annunciò infine
Ralf. «Abbiamo
sbrigato tutte le formalità ed ora possiamo
andare!»
Tese quindi la mano a Christine, preoccupatissima per la traversata che
la attendeva, aiutandola ad alzarsi da uno dei divanetti, per poi
prenderla sottobraccio e condurla fuori.
La coppia venne dapprima imitata da Andrew e da Mary Anne e poi da
Olivier e da Claudia, la quale distolse rapidamente lo sguardo schifato
che aveva rivolto ad Aida. Quella, però, se ne accorse e
dedusse
di non andarle particolarmente a genio, tanto è vero che si
sentì immediatamente sollevata quando vide la sparire oltre
la
porta.
In realtà, sapeva perfettamente che era la cugina di
Giancarlo,
poiché avevano in comune la carnagione chiara e gli stessi
capelli dorati li facevano somigliare molto, tuttavia, per fortuna, gli
occhi erano diversi, in quanto quelli della ragazza erano scuri,
altezzosi ed in grado di farla sentire inferiore, nonché
insignificante con un solo sguardo.
Claudia, però, era molto bella e, indubbiamente, doveva aver
ricevuto un’educazione molto raffinata, come si vedeva dal
modo
in cui camminava, si vestiva, parlava e perfino da come sventagliava,
muovendo appena il polso e lasciando il resto del braccio immobile e
Aida era cosciente che non sarebbe stata mai così.
Infine, arrivò il momento dei saluti definitivi e nella hall
rimase solo Giancarlo, perso nella contemplazione di quella fanciulla
che aveva cambiato tanto il suo modo di vedere le cose.
«Non è il momento di andare?» lo
esortò Rami,
impaziente di vederlo fuori dalla circolazione una volta per tutte, ma,
in risposta, il biondo gli scoccò un’occhiata
beffarda.
«Oh, non credere che ti libererai di me così
presto,
perché ho fatto a tua sorella una promessa che intendo
mantenere!»
Il giovane si rivolse quindi alla ragazza, cambiando completamente
tono: «Mia dolce Aida, sappi che il mio pensiero
sarà
costantemente rivolto a te» annunciò, con
istrionica e
ampollosa ispirazione. Poi, ammiccò nella sua direzione e
lanciò un’ultima occhiata di sfida al concierge,
per poi
uscire di scena, come un attore alla fine di un atto.
Tuttavia, tale esibizione ebbe il potere di far ridere di cuore Aida,
che ritrovò subito la serenità che la boriosa e
insopportabile Claudia, con il suo atteggiamento pieno di superbia, le
aveva tolto.
«Promessa? Di quale promessa sta parlando?» si
intromise Rami, sospettoso.
«Niente, una cosa tra di noi» rispose rapidamente
lei, rimanendo sul vago.
L’altro, allora, sembrò essere seriamente sul
punto di perdere la pazienza.
«Si può sapere cosa ci trovi in lui?!»
abbaiò. «Non riesco ancora a credere che tu abbia
rifiutato la proposta del mio amico Mohammed. Mi pare che sia molto
apprezzato dalle donne, inoltre gestisce il traffico di petrolio verso
mezza Europa: cos’altro avresti voluto di più? Se
avessi
accettato di sposarlo, a quest’ora saresti stata ricca quanto
una
regina!»
«Non lo metto in dubbio, ma sarei stata una regina triste,
poiché non lo amo e non è affatto il mio
tipo»
rispose con giudizio lei. «Invece, Giancarlo è
gentile, sa
la differenza tra Bernini e Borromini, mi fa sorridere e...»
Poi si fermò un attimo, abbassò lo sguardo e,
incurvando
dolcemente le labbra, aggiunse: «Ha davvero un buon
profumo».
«Ancora ti ostini a giudicare le persone in base al profumo
che
indossano?!» la riprese il fratello, tra lo sconcertato e il
furente.
«Alcuni sono proprio disgustosi e mi fanno venire il
voltastomaco, mentre il suo è veramente piacevole e
rispecchia
pienamente il suo carattere» replicò serenamente
Aida e,
dopo aver recuperato il regalo per Samir, si allontanò,
canticchiando.
Rami, allora, le riservò uno sguardo spiritato, additandola
come se fosse uscita di senno.
«Sei impazzita, per caso? Che razza di risposta
è?!»
***
Il terminal del traghetto per Patrasso era pressoché vuoto:
era
una pigra mattinata di fine settembre e nessuno, sia tra i passeggeri
che tra il personale, sembrava disposto a correre o ad affaticarsi.
L’unica che, invece, sembrava fremere era Claudia, la quale
fissava insistentemente suo cugino sventagliandosi nervosamente, con
tanta foga che, se non avesse smesso, nel giro di poco avrebbe ridotto
a brandelli tutto il prezioso pizzo sangallo.
«E così quella era il tuo nuovo
giocattolo?»
gridò, inviperita, ignorando volutamente tutti quelli che si
girarono a guardala, sorpresi.
In risposta, Gianni si limitò a lanciarle
un’occhiata
obliqua, per nulla intenzionato ad assistere all’ennesima
scenata
di gelosia.
«Claudia, per favore, non qui!» le
sibilò, infastidito.
«Nel fare il galletto, però, non mi pare tu abbia
mai
fatto caso a dove ti trovassi!» ribatté lei, con
voce
stridula.
Il ragazzo, allora, assottigliò appena lo sguardo,
reprimendo
faticosamente l’istinto di strozzarla, e poi
valutò
attentamente cosa fare, poiché non voleva che nessuno,
compresi
i loro compagni, sentisse, poiché non erano affari loro
ciò che si sarebbero detti.
Così, si avvicinò cautamente a Claudia e le
propose di
uscire un attimo fuori per discuterne in maniera adulta e
fortunatamente la cugina, con una smorfia altezzosa,
accettò.
Ovviamente, li seguì anche Olivier, il quale aveva il
privilegio
di poter assistere, essendo il fidanzato di lei.
«Cosa ti sei messo in testa?!» esordì la
ragazza,
minacciando il cugino con il ventaglio chiuso. «Quella
sciacquetta
non fa assolutamente per te! Non ha un briciolo di fascino,
è troppo infantile, troppo vuota4!»
Il giovane, che solo a sentire l’orribile epiteto, aveva
inarcato
inverosimilmente le sopracciglia, fissò a lungo
l’altra ad
occhi socchiusi, cercando di capire dove volesse arrivare.
«Puoi avercela con me quanto ti pare per la storia di Maria
Chiara» le rispose, sicuro, «ma non
cambierò idea,
perché non sono disposto a fare da zerbino ad una fredda
calcolatrice come lei».
«Una fredda calcolatrice? Maria Chiara muore per te, anche se
davvero non so come faccia! Ha uno stuolo di pretendenti che le vanno
dietro, eppure ha avuto il coraggio di rifiutarli perché ti
adora! E poi, è bellissima, colta, ricca ed educata secondo
le
maniere più fini!» strillò
sguaiatamente Claudia,
gettando definitivamente alle ortiche il suo charme.
Giancarlo, a quel punto, la fissò talmente tanto disgustato
che
lei, anche se per un misero istante, tentennò, smarrita.
«Non hai alcun diritto di dirmi cosa devo o non devo
fare»
le sibilò, infarcendo di disprezzo ogni parola.
«Conosco
Maria Chiara Odescalchi e so che l’unica cosa che le
interessa di
me sono i soldi e le proprietà, che vuole per accrescere le
sue
finanze».
«Perché, quelle due baldracche non sono attratte
dal tuo
patrimonio?» replicò la ragazza, inferocita.
«Di’ la verità, quante chiamate ti hanno
fatto, da
quando siamo partiti?»
«Ti riferisci a Rosetta e Bianca5?»
domandò lui,
infastidito dall’esser stato costretto a citarle. Avrebbe
dato
qualunque cosa, pur di poter cancellare l’ambigua relazione
che,
in passato, era intercorsa tra lui e quelle due. «Forse hai
dimenticato che, recentemente, ho cambiato sia il cellulare che la sim
e che non hanno il mio nuovo numero».
«E per fortuna!» esclamò
l’altra.
«Altrimenti quelle due pezzenti poco di buono ci avrebbero
rovinato la vacanza!»
Il ragazzo stava per replicare, ma lei glielo impedì,
riprendendo il discorso e rincarando la dose, fino ad arrivare a dire
quello che, probabilmente, voleva sin dall’inizio:
«Puoi
dire quello che vuoi, ma la verità è che Maria
Chiara
dovresti sposarla e questo non ti va bene, o sbaglio? Tu preferisci
essere libero! E adesso hai la tua nuova sgualdrina, della quale ti
dimenticherai ancor prima di mettere piede in Grecia!»
Seguì una pausa, durante la quale Olivier, che era stato in
disparte per tutta la lite, decise di avvicinarsi alla sua ragazza,
prevedendo guai seri, poiché non gli era sfuggito
l’impeto
iracondo che era passato sul volto di Giancarlo nel sentire quelle
parole. Quello, infatti, dovette contare fino a dieci per farsi passare
la tentazione di metterle le mani al collo.
«Non ti azzardare mai più a chiamarla
così»
le ringhiò contro, infuriato come non era mai stato.
«Non
ti permetto di riferirti ad Aida, che è quanto di
più
incontaminato abbia mai visto, con appellativi che meriterebbero,
invece, le amiche che tanto ti affanni a sponsorizzare! Io so quello
che voglio e non sarai certo tu ad impedirmi di ottenerlo,
chiaro?»
Il francese rimase colpito da quanto udì, anche se sapeva
già che, quando voleva, Gianni sapeva essere molto profondo,
come anni prima, quando era stato l’unico della squadra ad
insistere strenuamente sul fatto che quei i Blade Breakers avessero
dalla loro qualcosa di speciale, una forza che andava oltre ogni
aspettativa quale è la vera amicizia.
Claudia, invece, serrò le labbra, riprendendo a
sventagliarsi in
maniera più tranquilla, ma ciò che disse poco
dopo
dimostrò che era solo apparenza.
«Non finisce qui!» gli sussurrò,
minacciosa,
rivolgendogli il suo solito sorriso sinistro. Poi, fece un cenno ad
Olivier e si avviò verso il terminal per raggiungere il
resto
del gruppo. A quel punto, il francese salutò
l’amico con
un cenno del capo, come a fargli capire che era d’accordo con
lui
sul fatto che la sua fidanzata avesse esagerato, affrettandosi a
raggiungerla.
Rimasto solo, Giancarlo si ritrovò a pensare che Claudia
aveva
superato tutti i limiti con quella sua gelosia ossessiva. Non si
meravigliò, a quel punto, che la sua storia con Massimo
Colonna
fosse finita nel peggiore dei modi, poiché, tra
l’eccessiva avidità di attenzioni esclusive da
parte di
lei e la natura davvero poco fedele di lui, avevano formato una coppia
veramente male assortita.
Scacciando quelle ultime considerazioni, il giovane scosse la testa,
voltandosi ad osservare il mare rifulgere come un cristallo sotto i
raggi del sole autunnale e rimanendo incantato dalla bellezza della
natura che troppo spesso aveva ignorato, preso da frivoli passatempi, e
fu contento che il destino lo avesse condotto fino a lì.
Dopo l’importante crisi di coscienza che aveva affrontato,
non si
sarebbe certo lasciato influenzare da qualche commento gratuito,
soprattutto se detto da una cugina retrograda, anzi, al massimo,
avrebbe tenuto conto di ciò che avrebbero detto Marcello
e Beatrice, poiché rimanevano pur sempre i suoi genitori.
La prospettiva di avere una seconda occasione lo riempì
improvvisamente di una voglia di ricominciare: a lui quella ragazza
piaceva sul serio e sentiva chiaramente che non era solo una questione
di attrazione fisica, perché Aida, con la sua dolcezza e la
sua
forza interiore, era stata la prima a riuscire a smuovere qualcosa nel
suo animo. Così, deciso più che mai a perseguire
il suo
obiettivo, alzò la testa e, con incedere sicuro, ripercorse
i
propri passi, facendo ritorno dai suoi compagni.
Come al solito, Yussef stava scaricando le cassette sul molo, ma, dopo
la quinta, dovette tirarsi su tenendosi la schiena, giacché
la
fatica si faceva sentire e da diverso tempo non era più un
giovanotto nel fiore degli anni.
Ad un tratto, però, notò uscire dal terminal,
diretta
verso l’attracco di uno dei traghetti, la stessa comitiva
eterogenea che aveva visto arrivare il martedì precedente,
nelle
stesse posizioni in cui li aveva visti la prima volta: la nordica era
sempre preoccupata, probabilmente perché non era amante
delle
traversate, mentre il tedesco camminava sicuro e impassibile, i due
britannici ancora annoiati e la bionda e il suo fidanzato, invece, si
atteggiavano a coppietta in viaggio di nozze, perciò
l’unico del gruppo a sembrare diverso fu il ragazzo
dall’aria strafottente che, quel giorno, appariva molto serio
e
camminava assorto nei propri pensieri, preso da qualcosa. O, forse, da
qualcuno.
Il pescatore, mentre i giovani gli passavano davanti senza notarlo,
concesse loro solo una fugace occhiata, poco prima di riprendere ad
impilare le cassette, dopo aver fatto una breve valutazione di quante
ancora doveva scaricarne. Scorgendone ancora troppe sulla barca,
sospirò e si rimise a lavorare, borbottando:
«Turisti...»
***
Gli eventi e i personaggi
narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni
riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è
puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti
dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB
Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly
per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione e
disponibilità.
***
[N.d.A.]
1. Excalibur:
la nuova squadra europea nella serie Beyblade Metal Masters;
2. fennec:
mammifero carnvoro dei deserti africani, simile ad una piccola volpe
con orecchie enormi;
3. Aegyptus... cepit:
rivisitazione voluta della citazione oraziana “Graecia capta
ferum vicitorem cepit” [ossia la Grecia presa (dai Romani)
conquistò il feroce vincitore (con la grandezza della sua
cultura) - Orazio, Epistulae, II]. Qui, Olivier gioca sul fatto che
l’Egitto sia stato in passato colonia romana,
nonché sulla
considerazione che Giancarlo, conquistatore romano (anche se non di
terre), sia stato a sua volta conquistato dalla dolce Aida,
appartenente al popolo egiziano;
4. vuota:
Claudia, in quanto
sommelier, usa questo termine nell’accezione enologica; esso
denota un vino mancante dei componenti essenziali della
corposità e privo di qualità;
5. Rosetta e Bianca:
secondo
il doppiaggio originale e quello americano, sono le due ami(o)chette di
Giancarlo, incontate negli episodi 35/36 della prima serie.
*
Trovandomi in
fase di rielaborazione del testo, aggiungo anche delle
“curiosità”. I diminutivi di Aida e
Jamila sono dei
retaggi rimasti dal periodo in cui Samir era molto piccolo e non
riusciva a pronunciare correttamente il nome di nessuna delle due.
***
Ad Aly,
mia fidata Cappellaia,
che mi ha aiutato a riordinare i
Palmi Pedoni
|