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Autore: Halley Silver Comet    29/06/2011    7 recensioni
Si addentrò all’interno della stanza avanzando lentamente, come se sentisse che, se si fosse mosso con maggiore rapidità, quella ragazza sarebbe scomparsa. L’interesse che lo muoveva verso di lei, d’altra parte, era del tutto nuovo e sconosciuto, così diverso da quello che solitamente lo animava quando incontrava una bella fanciulla: questa volta, infatti, avrebbe voluto unicamente sapere qualcosa di più sul suo conto, a cominciare dal nome.
La giovane, però, dal canto suo, non si era ancora resa conto di nulla, tanto era concentrata a trafficare con matite, squadre e gomme cambiando continuamente utensile, tracciando, misurando, cancellando o semplicemente valutando se la punta di grafite fosse ben appuntita, mentre Gianni, ormai solo a qualche passo di distanza, si era accorto di aver smesso di respirare e di avere la salivazione praticamente ridotta a zero, anche se la cosa più sorprendente per lui fu avvertire che la nausea si stava attenuando.
Giunto accanto al tavolino, buttò uno sguardo sul foglio che teneva in mano la ragazza e rimase sorpreso da ciò che vi trovò raffigurato, perché era l’ultima cosa alla quale avrebbe pensato.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gianni, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Stella del Sud - Atto II





Parte Prima - Atto Secondo



Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.


Dante Alighieri, Vita Nova, Cap. XXVI, vv. 5-8


A
sera inoltrata, quando finì il suo turno, Aida ebbe finalmente modo di parlare con Samir, il quale era rientrato puntualmente alle cinque e, dopo aver fatto diligentemente i compiti, si era sdraiato su uno dei divanetti appoggiati alla parete, impegnato a giocare una partita sul suo videogame, in attesa che i fratelli maggiori terminassero di lavorare.
«Passato un bel pomeriggio?» gli chiese la sorella, quando gli fu vicina.
«Puoi dirlo forte! Giancarlo mi ha insegnato un sacco di cose e mi ha raccontato che ha conosciuto di persona i Blade Breakers, i Neo Borg e tanti altri campioni super famosi!» esclamò il bambino, euforico, dimenticando per un attimo la console.
«Sarebbero i tizi dei poster appesi in camera tua?»
Samir annuì con un enorme sorriso stampato sul volto ed Aida corrugò la fronte, poiché aveva un’idea molto vaga degli strani personaggi ritrattati nelle foto che tappezzavano le pareti della camera del fratello. Al contrario, il bambino era una specie di enciclopedia vivente sull’argomento e conosceva vita, morte e miracoli di ognuno di loro.
«Sì! Ne ho anche uno dei Majestics. Lo sai che cinque anni fa, durante un campionato, furono sabotati dal Barthez Team? Però, l’anno successivo li hanno sconfitti!»
«E tu come fai a saperlo? Avevi solo tre anni!» fece la ragazza, un po’ sorpresa.
«Dada, su internet ci sono tutte le vecchie registrazioni degli incontri e mi piace troppo vederli! Quelli di oggi sono noiosi...» affermò il bambino, con tono esperto, «anche quelli degli Excalibur1».
Alla sorella, a quel punto, sfuggì un sorriso divertito: Samir adorava il beyblade a tal punto da conoscere alla perfezione anche i campioni del passato, esattamente come i cultori dei vecchi gruppi musicali che sanno a menadito tutti i testi delle loro canzoni.
«Mi fa piacere sapere che ti sei divertito» disse lei.
«Da matti! E Giancarlo ha promesso che giocherà di nuovo con me, prima di andare via!»
«Davvero?»
«Sì, sì!»
Aida corrugò appena la fronte, guardando il fratellino che le sorrideva radioso: non si era ancora fatta un’idea precisa sul giovane italiano, tuttavia non pensava che fosse malvagio, sicuramente un po’ eccentrico, ma non cattivo.
«D’accordo, però tu cerca di non essere insistente, non puoi importunare gli ospiti con i tuoi capricci!» gli ricordò.
«Ma era contento anche lui! Mi ha detto che non si divertiva così da tanto tempo» replicò l’altro, con naturalezza.
A quella risposta, la fanciulla strinse le spalle, arrendendosi di fronte all’evidenza dei fatti.
«Se va bene a lui, allora credo non ci siano problemi. Ora, però, metti via il gioco e va’ a lavarti le mani, perché appena arriverà Rami, andremo a cenare, d’accordo?»
«Evviva, si mangia!» esclamò il bambino, scattando su e correndo in direzione delle scale che portavano alle stanze del personale.
Nel seguirlo con lo sguardo, la ragazza scosse la testa, sorridendo, per poi dedicarsi a togliere i petali secchi caduti dai vasi di fiori ai lati del bancone del bar, tuttavia, non passò molto tempo che sopraggiunse il fratello maggiore, distrutto dalla stressante giornata.
«Ricordami di mettere in guardia gli ospiti contro i cammellieri: hanno davvero toccato il fondo! Se dovessi incrociare quel vecchio fennec2 di Alì, di sicuro gliene dirò quattro!» sospirò il giovane, lasciandosi cadere su una poltrona vicino alla sorella.
«Oh, non dirmi che è successo di nuovo!» esclamò lei, tra l’incredulo e lo sconcertato, lasciando cadere in terra tutti i petali che aveva raccolto.
«E invece sì!» replicò Rami, indicando la mensola dove erano poggiati tutti i liquori. Aida, che sapeva che, con quel gesto, le stava chiedendo due dita di sherry, si affrettò a raccogliere tutti i petali e, dopo averli buttati, prese la bottiglia.
«Indovina quanto hanno sborsato, oggi, i mariti di due turiste spagnole?»
La giovane versò il liquore ambrato in un bicchiere basso e spesso e glielo porse, per poi tornare indietro, con aria pensierosa, per richiudere la bottiglia con il tappo.
«Non ne ho idea, anche se, l’altra volta, mi pare abbiano chiesto cento dollari. Hanno forse preteso la stessa cifra?» azzardò.
«Sì, ma solo per salire sul dromedario, ai quali devi aggiungere altri centocinquanta per scendere».
«Duecentocinquanta dollari?!» esclamò la ragazza, sbattendo le palpebre, scioccata.
«Per ciascuna turista, cinquecento in totale» precisò Rami, sorseggiando il suo sherry e scuotendo la testa.
Aida fece una smorfia di assoluto disappunto: «Oh, be’, avranno davvero un bel ricordo del nostro paese!» commentò, ironica.
A quel punto, però, entrò correndo Samir, chiamando a gran voce il fratello maggiore e buttandosi tra le sue braccia.
«Rami, Rami!»
«Ciao, campione!» lo salutò quello con un ampio sorriso, arruffandogli affettuosamente i capelli. «Cosa hai fatto oggi di bello?»
«Oh, non ci crederai mai: Aida mi ha fatto conoscere un autentico fuoriclasse del beyblade!»
«Ah, sì?» domandò il giovane, guardando la sorella che, contrariata, stava ancora rimuginando sulle truffe macchinate dai cammellieri.
«Sì!» esclamò il bambino. «Abbiamo giocato tutto il pomeriggio e mi ha insegnato un sacco di tecniche fantastiche. Adesso sono certo che batterò tutti i miei amici!»
«Ah, ah, ah!» rise Rami. «Vedremo. Comunque, chi sarebbe questo ragazzo? È un nostro ospite, per caso?»
«Certo! È Giancarlo Tornatore, il grande blader italiano» rispose Samir, con entusiasta semplicità.
Nel sentire quel nome, il sorriso sulle labbra di Rami scomparve lentamente, man mano che gli riaffiorava alla mente il ricordo degli ospiti arrivati il giorno prima e della conversazione che aveva accidentalmente ascoltato, realizzando presto che il ragazzo di cui parlava Samir era lo stesso che aveva alluso alla volontà di divertirsi con le sue lavoranti. Adirato, il concierge prese subito il bimbo e lo posò delicatamente in piedi sul pavimento, quindi si alzò a sua volta, mentre Aida, allarmata da quel repentino cambiamento di umore, lo scrutava confusa.
«Samir, scendi in cucina e chiedi a Nadira di servirti la cena!» ordinò poi il ragazzo, asciutto, puntando sulla sorella uno sguardo truce. Quella, però, continuando a non capire cosa si nascondesse dietro ad un simile atteggiamento, cominciò a sentirsi inquieta, ma non osò comunque chiedere spiegazioni, giacché sapeva che Rami non avrebbe parlato, finché Samir non si fosse allontanato.
«Ma io vorrei mangiare con voi!» protestò il bimbo, incrociando le braccia con fare ostinato.
«Non insistere e fai come ti dico!» lo rimproverò, invece, energicamente l’altro, senza smettere di fissare la ragazza in modo ostile. «Io devo scambiare qualche parola con Aida».
«Non è giusto!» sbuffò il ragazzino, allontanandosi di malavoglia, e, non appena i due fratelli maggiori rimasero soli, scoppiò un putiferio.
«Si può sapere cosa ti è preso?!» domandò la giovane, scrutando Rami perplessa.
«Ah, hai anche il coraggio di chiederlo?» sbraitò lui. «Sapevo che hai sempre la testa tra le nuvole, ma non credevo fossi così irresponsabile da lasciare Samir nelle mani del primo idiota che passa!»
«Rami!» lo richiamò Aida. «Non urlare, potrebbero sentirci gli ospiti! E poi, si può sapere cosa avrei fatto di tanto tremendo?» aggiunse, indignata per le offese che aveva ricevuto.
«Ti sei fatta raggirare da un coglione, ecco cosa hai fatto!» continuò imperterrito lui, ignorando il suo rimprovero. «Non voglio più vedere te o Samir dare confidenza a quel pervertito!»
La ragazza aprì la bocca per replicare, ma dovette richiuderla, colpita dai pesanti insulti che erano stati pronunciati dal fratello.
«Perché ti stai rivolgendo a Giancarlo in questo modo? È stato molto gentile e…»
«Ah, lo chiami pure per nome!» incalzò Rami, ormai davvero infuriato.
Aida, a quel punto, socchiuse gli occhi, profondamente urtata dal suo atteggiamento irrispettoso, sia verso di lei, sia verso il ragazzo italiano.
«Certo, visto che ci siamo presentati! Io non sono una sciocca come credi: oggi pomeriggio li ho controllati spesso attraverso la vetrata, mentre erano in giardino e posso dirti che Giancarlo ha davvero giocato con Samir, permettendomi di lavorare, aiutandomi perfino con il mio prospetto architettonico. Non è successo altro!»
Rami, però, scoppiò in una risata arcigna.
«Tesoro, come sei ingenua... Non mi interessa quello che ha finto di fare, mi basta quello che ho visto e ho sentito personalmente! Possibile che tu riesca a capire che non gli interessa un accidente, né di te, né tanto meno di Samir? Quello lì ha un solo scopo: farti diventare la sua concubina africana!»
Dopo tali parole, la ragazza capì che qualsiasi argomentazione avesse usato, sarebbe stata inutile, poiché non aveva nulla da aggiungere a quanto già espresso; così, si lasciò cadere sul divanetto dietro di lei, mentre la sua mente si affollava di domande.
«Io non voglio venire meno alla promessa che ho fatto a nostro padre, pertanto tu e Samir starete lontano da quel playboy da strapazzo. Fine della storia».
Il giovane pronunciò quest’ultima frase con un tono estremamente basso e lento, ma che, nel complesso, risultò più inquietante e minacciosa che se l’avesse urlata a gran voce.
Aida, allora, sospirò, anche se non rispose, limitandosi a distogliere lo sguardo dal fratello, che, nel frattempo, la stava scrutando severo, poiché non trovava giusto essere stata rimproverata in quel modo. In realtà, sapeva che lui voleva soltanto il suo bene e che non le avrebbe mai mentito senza una ragione più che comprovata, tuttavia, restava il fatto che a lei quel ragazzo, anche se conosciuto da poco, aveva fatto un’impressione diversa da quella che gli aveva proposto Rami: c’era stato qualcosa che l’aveva spinta a fidarsi, pertanto continuava ad essere più che convinta che Giancarlo fosse stato sincero.
Ciononostante, ammise a se stessa che, per fugare ogni dubbio, l’unica cosa da fare fosse parlarne con il diretto interessato.
***

«Cosa hai combinato ieri, mentre noi eravamo fuori?» chiese Olivier all’amico, mentre scendevano le scale per arrivare nella hall prima che Ralf cominciasse l’appello e Claudia si facesse venire una crisi di nervi, sia per la mancata presenza del fidanzato che per la sospettosa assenza del cugino.
«Niente di particolare, ho solo giocato un po’ con un bambino, trovando, intanto, l’occasione per rispolverare il mio vecchio beyblade» rispose evasivo Gianni. «Mi ha fatto piacere, perché era da parecchio tempo che lo portavo in giro solo a cambiare aria, poiché, da quando gli Excalibur hanno preso il nostro posto, non c’è stata più occasione per un serio allenamento».
«E quell’aria trasognata deriva solo da un incontro di bey con un bambino?» chiese, allora, l’altro, accigliato, scrutandolo a fondo.
«Trasognata?» replicò Gianni, piuttosto vago.
«Oui, mon ami, è da ieri pomeriggio che sembri essere su un altro pianeta».
«Deve essere solo una tua impressione» tagliò corto il biondo, leggermente infastidito da tutte quelle insistenze, giacché, contrariamente a quello che pensavano in molti, non amava divulgare le faccende che lo riguardavano troppo da vicino.
Tuttavia, il caso volle che il parigino non dovesse comunque attendere molto per avere una risposta che soddisfacesse pienamente la sua curiosità, poiché stavano procedendo entrambi abbastanza spediti, quando il ragazzo si arrestò di colpo, senza preavviso.
«Ed ora, perché ti sei fermato?» chiese il compagno, sorpreso.
Si trovavano davanti alla doppia porta che separava i due saloni e, non ottenendo risposta, Olivier si accigliò, per poi voltarsi verso l’amico e notare che teneva lo sguardo fisso su qualcosa o, meglio, su qualcuno. Seguì quindi la traiettoria e scorse una ragazza piuttosto minuta ed esile con la pelle color nocciola e una treccia nera, intenta a servire ad alcuni clienti cappuccini e croissant, distribuendo cortesi sorrisi e muovendosi con grazia e precisione; ogni tanto, però, distoglieva la sua attenzione e gettava un’occhiata affettuosa ad un bambino seduto accanto all’altra barista, intento a consumare la colazione latte e cerali, tenendo il cucchiaio con una mano e la sua console con l’altra.
«Ecco svelato il mistero!» commentò Olivier, con un sorrisetto. «Dovevo immaginare che, oltre ad un petit enfant, ci fosse anche una ragazza! Di’ la verità: hai cercato di accattivarti la simpatia del bambino per entrare nelle grazie di sua sorella!» concluse, convinto di aver capito tutto e, di conseguenza, di aver smascherato l’amico.
Il biondo, allora, lo guardò, manifestandogli il suo disappunto con un’espressione talmente disgustata, che quello sgranò gli occhi per lo stupore.
Gianni non si era certo aspettato che i suoi amici, che lo avevano ormai etichettato come un indolente farfallone, comprendessero quanto si fosse sentito bene con se stesso, addirittura utile a qualcuno, mentre giocava con Samir; aveva perfino avuto la sensazione di trovarsi, come mai prima, nel posto giusto.
«In realtà, Samir ci sa davvero fare con il bey, ha un buon potenziale e poi Aida doveva lavorare, così mi sono offerto di darle una mano» precisò, seriamente irritato da quelle insinuazioni.
«Aida? Nome interessante, ma ciò non toglie che tu abbia fatto da baby-sitter» notò Olivier, incredulo. «E, conoscendoti, non credo tu l’abbia fatto senza un tornaconto».
«Se la pensi così, non credo tu mi conosca granché bene, sai?» si difese il biondo, stizzito per tanta malafede. Sapeva benissimo di non essere mai stato uno stinco di santo, ma ciò non voleva significare che ogni suo gesto avesse un doppio fine, soprattutto in quel caso.
«Excuse-moi, non volevo offenderti!» ribatté l’amico, cercando di mitigare il tono che aveva usato prima. «Però, se sai il suo nome, qualcosa vi sarete pur detti, o sbaglio?»
«A dire il vero, abbiamo parlato abbastanza a lungo» ammise l’altro, tornando a posare istintivamente lo sguardo su Aida.
«E, mentre parlavate, immagino tu abbia trovato parecchie cose di cui vantarti, per cercare di impressionarla» commentò, allora, Olivier, con una punta di malizia.
Gianni scosse appena la testa, dicendo semplicemente: «Sarebbe stato inutile, non credo che quella graziosa fanciulla si lasci impressionare tanto facilmente».
Durante il loro colloquio, infatti, aveva capito che, per fare una bella figura con lei, avrebbe dovuto evitare di menzionare proprio tutto ciò di cui si era sempre vantato per fare colpo su una ragazza; anzi, per la prima volta, si era sentito a disagio proprio perché desiderava fare una buona impressione, ma non aveva i mezzi per farlo.
Aida non era superficiale e lui era certo che sarebbe rimasta del tutto indifferente, se non addirittura contrariata, di fronte al suo millantare le sue ricchezze e la sua bella villa antica che, per altro, non possedeva per proprio merito, poiché le prime derivavano dal lavoro di suo padre e l’altra dall’eredità del bisnonno Antonio.
Per quel che riguardava, invece, le sue abilità di seduttore consumato, quelle rappresentavano decisamente l’ultima cosa che avrebbe voluto raccontarle di sé.
«Graziosa
«Cosa?» fece il biondo, trasecolato, ridestandosi dai suoi pensieri.
«Hai detto “quella graziosa fanciulla”» osservò Olivier, corrugando leggermente la fronte.
«Ma no, devi esserti sbagliato» fece Gianni, rendendosi conto di essersi lasciato scappare senza volerlo quell’aggettivo compromettente.
«Oh, no, no, ho sentito benissimo, invece! Ti concedo il dubbio che io non ti conosca perfettamente, ma so bene quali apprezzamenti rivolgi alle belle ragazze e, di certo, non sono così delicati» insistette il giovane. Poi, dopo qualche secondo di pausa, batté le mani, come se avesse avuto un’importante intuizione ed aggiunse, ridacchiando: «Mon Dieu, ora sì che ho capito cosa è successo! Mon ami, tu sei cotto, anzi, sei proprio lesso come une courgette
Nel sentire queste parole, le guance di Giancarlo assunsero il caldo colore di un bel pomodoro maturo.
«Ah, ah!» fece l’altro, continuando a ridere, nel vedere la sua reazione. «Cosa avresti intenzione di fare, ora? Dovresti recitarle la tua consueta sceneggiata, magari ne rimarrà colpita».
«Cosa?!» esclamò il ragazzo, inorridito alla sola idea. «Gran bel suggerimento: così perderei per sempre l’opportunità di parlarle!»
Olivier stava per aggiungere qualcosa, ma, prima che potesse anche solo aprir bocca, fu interrotto da una vocina sottile e allegra che irruppe all’improvviso: «Giancarlo!» chiamò.
Subito dopo, Samir corse incontro al giovane, il quale, vedendolo, dimenticò all’istante la discussione con l’amico e si abbassò affinché il bimbo potesse saltargli in braccio.
«Buongiorno, campione! Pronto per la nostra nuova sfida?»
«Certo, non vedo l’ora!» rispose il ragazzino, sorridendo. Poi notando la presenza dell’altro ragazzo, si voltò verso di lui e, dopo qualche secondo di stupore, esclamò, ammirato: «Non posso crederci, tu sei Olivier Boulanger!»
Di fronte a tanta partecipazione, il giovane non poté non sorridergli e rivolgergli qualche parola gentile: «Oui, mon petit ami. E tu, invece, come ti chiami?»
«Samir. Posso chiederti una cosa? Mi faresti l’autografo? Io ho visto tutti i vostri incontri passati, siete stati dei grandi!»
«Mais certainement!» gli rispose Olivier. «Per un fan tanto affezionato, credo che potremmo procurarci anche l’autografo di Jurgens e di McGregor, cosa ne dici?»
A tale proposta, le pupille del bimbo si dilatarono per l’emozione: «L’autografo dei Majestics al completo? Sarebbe fantastico!»
«Allora vedremo di fartelo avere prima di partire» decise il francese. Poi aggiunse: «Molto bene, Gianni, io vado dagli altri, credo che abbiano aspettato abbastanza, ma tu raggiungici pure quando preferisci. Au revoir, Samir» concluse, allontanandosi mentre ed esibendo l’ennesimo sorrisetto divertito della mattinata.
Nel vederlo andar via, il ragazzo sospirò, rassegnato: era certo che l’amico avrebbe riferito tutto al resto della comitiva e, ormai, nulla al mondo avrebbe avuto il potere di sottrarlo alle salaci battute di McGregor.

«Jamila, hai visto dov’è finito Samir?»
La ragazza che era con Aida gettò una fugace occhiata alla solitaria scodellina contenente ancora latte e cerali, notando solo in quel momento che il commensale e la sua console erano spariti, così, stava appunto per rispondere negativamente alla domanda che le era stata fatta dall’amica, quando vide spuntare il bambino e si accorse, soprattutto, che non era solo.
«Ah, però, sembra proprio messo bene!» commentò.
La giovane guardò Jamila con aria interrogativa.
«Cosa?»
«Vorrai dire, chi! Comunque, mi riferivo al ragazzo incredibilmente carino che ti sta riportando tuo fratello» spiegò la ragazza. «Stanno chiacchierando vivacemente, sembrano in confidenza e, dalle occhiate che ti lancia, pare che conosca anche te. Sei sicura che non ti sei dimenticata di dirmi qualcosa?» chiese poi, sorridendole maliziosamente.
Aida, però, la ignorò, poiché, se non fosse stata più che certa di essere ancora viva, avrebbe potuto facilmente credere di essere andata in arresto cardiaco; infatti, si voltò al rallentatore sperando che, per una volta, due più due non facesse quattro... ma, come è noto, le leggi della matematica sono uguali per tutti.
«Buongiorno, Aida» la salutò dolcemente Gianni, quando fu abbastanza vicino.
«Ehm, sì, ciao» gli ripose distrattamente lei, guardandosi intorno e temendo che Rami potesse sbucare all’improvviso davanti a loro e vedere ciò che non avrebbe mai dovuto, mentre il giovane, percependo quell’apparente freddezza, convertì molto presto il sorriso in un’espressione delusa.
«Dada, lo sai che ho conosciuto Olivier Boulanger, il blader francese? Mi ha promesso l’autografo di tutti i Majestics. Ci pensi? Avrò l’autografo di un’intera squadra di campioni!» fece subito dopo il bambino, tenendo le braccia intorno al collo del biondo, per nulla infastidito da quell’infantile euforia.
La sorella, allora, smise di cercare con lo sguardo anche il più piccolo segno di Rami e guardò severa il fratello minore.
«Samir, ne abbiamo già parlato, non puoi importunare gli ospiti!» lo rimproverò.
«Glielo abbiamo proposto noi, non ti preoccupare» replicò, però, pacatamente Giancarlo, con tono rassicurante, sebbene fosse rimasto davvero male per l’atteggiamento di lei.
Aida rimase a fissarlo per qualche secondo, incerta su cosa dirgli, poiché non voleva dare l’impressione di volerlo cacciare via, ma, al tempo stesso, sapeva che era necessario che lui si allontanasse da lì il prima possibile, preferibilmente senza farsi vedere da suo fratello. Per scusarsi con il giovane e dargli le dovute spiegazioni, avrebbe certamente trovato un modo in seguito, tuttavia, la priorità, in quel momento, era evitare che succedesse qualcosa di tremendamente spiacevole.
Così, la fanciulla aprì appena la bocca per parlare, per poi accorgersi che la voce che tuonava in tutta la sala non era affatto la sua.
«Samir, scendi subito a terra!»
Maledicendo mentalmente quel dannoso tempismo, la giovane chiuse gli occhi, contò fino a tre e si voltò indietro, mostrando uno dei suoi migliori sorrisi.
«Buongiorno, Rami! Dormito bene?»
Il fratello, però, ignorò quella domanda e le si avvicinò con fare intimidatorio, sbraitandole contro: «Cosa stai combinando?! Mi ero raccomandato di…»
«… servire adeguatamente i clienti? Non vedi quanti ce ne sono?» fece Aida, con tono eloquente, indicando la sala piena di persone e, allo stesso tempo, cercando di evitare che qualcuno si rendesse conto di cosa stava accadendo.
Rami fece per rispondere, ma, invitato a guardarsi intorno dal gesto di lei, si bloccò, scrutando attentamente la stanza gremita. Poi, però, tornò a rivolgersi alla sorella e, infine, dardeggiò Gianni con uno sguardo truce.
«Metti giù mio fratello!» gli ordinò, sibilando come un cobra sul punto di azzannare il suo nemico.
Il biondo socchiuse gli occhi, incredulo, faticando a credere di avere avanti lo stesso concierge che li aveva cordialmente accolti il giorno prima, ma fece quanto gli era stato ordinato.
«Samir, lo scuolabus sta per passare, ti conviene sbrigarti se non vuoi perderlo!» continuò l’altro, sempre sussurrando, con la sua calma inquietante.
«Uffa, mi interrompi sempre sul più bello!» sbuffò il bambino, contrariato, raccattando con malagrazia lo zaino e uscendo dalla porta, non senza aver prima baciato la sorella e salutato con la manina il suo nuovo amico, ovviamente.
Quando il ragazzino ebbe varcato la soglia, anche l’ultimo residuo di calore sparì e l’atmosfera, che fino a quel momento era stata serena, diventò così tesa da poter essere tagliata con una lama.
«Tu!» intimò il ragazzo a Gianni, puntandogli contro un dito, minaccioso. «Devi venire con me, ed anche tu» aggiunse, rivolto alla sorella, «fatti sostituire da Jamila, perché dobbiamo fare una lunga chiacchierata».
Aida scosse la testa, furibonda all’idea di dover ascoltare la lavata di capo che le avrebbe fatto il fratello, perché sentiva di non aver fatto niente di male, ma, alla fine, chiamò comunque l’amica e le disse qualcosa, per poi tornare al cospetto di Rami.
A quel punto, lui l’agguantò per un polso senza troppi convenevoli e, con un cenno del capo, indicò a Gianni di seguirlo e il ragazzo non si sottrasse a quello che si preannunciava come un brutto quarto d’ora.

«Rami, lasciami, mi stai facendo male!» protestò Aida, cercando di sottrarre il proprio polso dalla presa d’acciaio che lo teneva, per poi massaggiarsi lentamente la parte martoriata, riservando al fratello uno sguardo ostile.
Lui, però, la scrutò inespressivo, chiudendo la porta della saletta in cui aveva condotti, lontano da occhi e orecchie indiscreti e, quando ebbe fatto, riversò su Gianni un’occhiata carica di disprezzo.
«Aida, mi hai disubbidito: ti avevo detto di stare lontana da quest’essere e, soprattutto, di badare che Samir facesse altrettanto!» si infiammò Rami, diretto contro la giovane. «E tu, sciupa femmine da quattro soldi, non devi azzardarti nemmeno a guardare mia sorella! Se vuoi divertirti, Alessandria può offrirti alcove e postriboli adatti ad uno come te» disse, rivolto al biondo, con tono disgustato.
Gianni serrò la mascella: almeno quella volta, tali parole così offensive non erano meritate.
«Davvero credi che io consideri tua sorella come un potenziale divertimento?» chiese poi, inclinando la testa da una parte e socchiudendo appena gli occhi.
Rami sorrise beffardo e gli rispose: «C’è forse da chiederlo? Direi che è chiaro come il sole».
«Ah, sì? Sentiamo allora, da che cosa lo avresti dedotto?» domandò il giovane, spavaldo e deciso a non dargliela vinta, soprattutto davanti ad Aida.
L’altro, allora, rafforzò ancor di più il sorriso, ormai divenuto un vero e proprio ghigno mefistofelico.
«Dai disgustosi discorsi che hai fatto appena arrivato qui» fece, sicuro delle prove in suo possesso. «Ti ho visto e sentito mentre pensavi a quale fosse il metodo migliore per abbordare le nostre lavoranti!»
Fu allora che il ricordo delle prime ore passate in Egitto si fece prepotentemente spazio nella mente di Gianni, facendogli capire che, al contrario di ciò che aveva pensato, al momento dell’esposizione del suo piano, rivelatosi successivamente quanto mai fallimentare, nella hall non c’erano solo lui, sua cugina ed il suo amico.
“Dannazione!” si ritrovò a pensare, mentre le punte delle orecchie prendevano fuoco. “Sono stato uno maledettissimo e superficialissimo cretino”.
«Rami, finiscila!» esclamò all’improvviso Aida. «Ti stai rendendo ridicolo, piantala con questa scenata!» lo rimproverò, mostrandosi molto decisa.
«Aspetta, sorellina cara... Il meglio deve ancora venire, non ho finito, sai? Tornatore, perché non racconti ad Aida delle piacevoli conoscenze che hai fatto in sala massaggi? Devo mandarle a chiamare, o te le ricordi da solo? Però, credo di doverti rendere merito, casanova da strapazzo, che oltre alle parole, passi anche ai fatti. O avresti anche il coraggio di negarlo?»
In quel momento, Gianni avrebbe davvero voluto discolparsi e dire alla ragazza che quella era tutta un’orribile menzogna messa in scena a suo danno, ma sapeva che sarebbe stata una bugia e mentire non rientrava affatto nei suoi progetti per provare a cambiare in meglio. Perciò, non gli restava che un’unica scelta: dire la verità, anche se questo avrebbe pregiudicato per sempre la considerazione che Aida aveva di lui.
Così, dopo quelli che gli sembrarono interminabili secondi di dolorosa agonia, scandì, con voce chiara: «No, non lo nego».
A quel punto, ottenuta la confessione che desiderava, Rami ghignò di cinica soddisfazione.
«Ah-ha!» esultò, trionfante, riafferrando la sorella e mettendogliela davanti. «Ne ero certo. Ammettilo che non vedi l’ora di metterle le mani addosso! Non è forse vero che stai sbavando al solo pensiero di poter assaggiare le ragazze d’Africa, depravato che non sei altro?»
Quello che, però, desiderò ardentemente Gianni, in quel preciso istante, fu sprofondare nelle viscere della Terra e rimanervi per un bel po’, ma il pavimento dimostrò scarsa collaborazione e rimase bello integro e liscio. Così, il ragazzo abbassò lo sguardo, non osando guardare la fanciulla negli occhi, giacché temeva che lei gli avrebbe rivolto solo un’occhiata disgustata.
In quel momento si rese conto di aver fatto la conoscenza della signora Vergogna e della signora Umiliazione, trovandole brutte e ripugnanti. Non come la bella signora Solitudine di cui cantava Morandi!
Invece Aida, dal canto suo, aveva cominciato a fissare il soffitto e, dipinta sul volto, aveva una smorfia che tradiva un’enorme irritazione.
«Rami, basta. Hai capito? Basta!» sbottò, infine, mostrando dignità ed intelligenza, per nulla intenzionata a prendere parte ai teatrini inscenati dal fratello. «Giancarlo ha fatto compagnia a Samir e lo ha trattato come il bambino di otto anni che è. Per quanto mi riguarda, ha solamente dato un giudizio sul mio prospetto, aiutandomi a correggerlo. Se poi vuole divertirsi, è libero di farlo, non devi essere tu a decidere, e se quelle due che hai assunto ci stanno, problemi loro. Punto. Ora, scusatemi, ma ho molto lavoro da sbrigare».
Poi, si liberò dalla sua morsa con uno strattone ed uscì rapidamente dalla sala, senza rivolgere a Gianni nemmeno l’ombra di un’occhiata e ciò fece parecchio male al ragazzo, che non sapeva davvero quale fosse il male minore tra il disgusto e l’indifferenza di lei.
Tale comportamento, però, indispettì all’inverosimile Rami che, ormai, fumava dalla rabbia, ritenendo che sua sorella avrebbe dovuto essere più incisiva. A quel punto, si voltò verso il biondo e gli sibilò a denti stretti: «Ringrazia che domani te ne andrai, altrimenti non te l’avrei fatta passare liscia!»
Dopo quell’ennesimo insulto, Gianni fissò a lungo il concierge, passando velocemente in rassegna i modi più crudeli con cui fargliela pagare: tanto per cominciare, avrebbe potuto minacciare di sguinzagliargli contro metà degli avvocati più esperti di Roma, querelandolo per calunnia e poi trascinandolo in tribunale. Tuttavia, dopo un’analisi più attenta della sua situazione, decise di non farlo, poiché quella sarebbe stata la tipica mossa di uno stupido ragazzino viziato che vuole averla vinta a tutti i costi, pur sapendo di non essere esattamente dalla parte della ragione, come lui non voleva più essere. Pertanto, alla fine, decise di resistere alla tentazione di fare fuoco e fiamme, nonostante il suo orgoglio fosse stato seriamente ferito e, per natura, avesse un carattere piuttosto vendicativo.
«Buona giornata, signor al-Nassar» si congedò subito dopo, dandogli le spalle e uscendo dalla stanza, lasciandolo a schiumare di rabbia in solitudine.

La nuova vita di Giancarlo Tornatore era iniziata e presto avrebbe dimostrato quanto la sua volontà potesse essere forte. L’unica cosa di sui si rammaricava era l’aver procurato, anche se indirettamente, una sofferenza inutile ad Aida. Nel corso della lite, infatti, sia lui che Rami avevano parlato di lei in terza persona nonostante fosse lì presente, come se stessero discutendo di un oggetto. La ragazza se ne era accorta e la sua espressione che aveva sul volto quando era uscita aveva lasciato inendere che, certamente, non le aveva fatto piacere.
Allora, il giovane sentì l’impellente bisogno di tirarsi uno schiaffo sul volto, cosicché il dolore fisico potesse distrarlo da quello morale, molto più profondo e nauseante: la pelle chiara si chiazzò immediatamente di rosso, ma non fu certo quella a provocargli il violento bruciore che sentiva all’altezza del petto.
Di sicuro, se suo padre fosse stato al corrente di tutto, lo avrebbe guardato con aria di sufficienza, per nulla sorpreso, poiché era avvezzo ai fallimenti del figlio, tanto che ormai non si sprecava nemmeno ad essere originale nei rimproveri e Gianni sentì quasi la voce profonda e beffarda di Marcello cantilenargli il solito e odiato proverbio.
Chi è causa del suo male, pianga se stesso”.
Il ragazzo fece una smorfia, pensando come, in certe occasioni, la saggezza popolare potesse rasentare il puro sadismo.
***

Sei paia d’occhi, disposti intorno ad un tavolo, lo guardarono divertiti, mentre lui, piuttosto imbarazzato, evitava quelli sguardi insistenti con fare scocciato.
«Cosa avete da guardare?» chiese, irritato.
«Niente di particolare, è che stentiamo ancora a prendere per vero quello che ci ha raccontato Olivier» rispose per tutti Claudia, mettendo a posto la carta dei vini, giacché aveva appena finito di prendere accordi con il maître e il sommelier circa le bottiglie da abbinare alle portate che avevano ordinato. Poi, sollevò lo sguardo sul cugino e gli riservò un’occhiata talmente sinistra che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Tuttavia, Gianni la conosceva bene ed era così furibondo per l’indelicatezza che gli aveva riservato il suo amico, che non si scompose minimamente: Radio Vive la France aveva adempiuto al suo dovere ed ora lui doveva pagarne le conseguenze.
«Grazie tante, mon ami» fece, lanciando un’occhiata piuttosto velenosa ad Olivier.
Quello, però, strinse le spalle e scosse la testa, come a voler sminuire la gravità della cosa, nonostante Gianni non fosse dello stesso parere, poiché non trovava affatto corretto che l’intera comitiva fosse stata messa a conoscenza degli intrecci che correvano tra lui, Aida e il severo fratello di lei. Inoltre, era consapevole anche che ciò che non avevano potuto sapere per vie dirette, lo avevano aggiunto lavorando di fantasia, come si fa di solito quando si creano i migliori pettegolezzi e l’aver atteso che fossero tutti riuniti nel famoso e prestigioso Pointe Bleu aveva garantito ad ognuno l’opportunità di dire la sua in merito, standosene comodamente seduto davanti a leccornie di ogni tipo e approfittando della lussuosa ospitalità di cui stavano godendo in quel momento. Infatti, lo chef che gestiva il ristorante, tale Jacques Dupont, era un amico di vecchia data del blader francese ed era stato sufficiente sussurrare il nome Boulanger, che la lista d’attesa, fitta di prenotazioni fino all’autunno successivo, si era miracolosamente ridotta.
Fra tutti, Andrew, alla luce delle nuove rivelazioni, aveva assunto una perenne aria di scherno che non accennava a voler abbandonare.
«Ah, ah, that’s so incredible, avrei pagato per poter assistere a quello spettacolo in prima persona!» sghignazzò, rumorosamente.
«Io, invece, trovo che sia eine gute Sache» affermò Ralf, con la sua solita calma, prendendo in mano il suo calice. «Sarà un buona occasione per temprare la tua indole così… passionale».
Nel sentire le sue parole, Christine e Mary Anne ridacchiarono, ma, almeno, ebbero il buon cuore di farlo con discrezione.
«Da quando in qua fai dello spirito, Herr-se-cade-il-mondo-io-mi-sposto-Jurgens?» si risentì il giovane, scrutando il suo amico con severità.
«A dire il vero, non stavo facendo dello spirito» rispose pronto quello.
«Be’, era ora che qualcuno mettesse un freno a questo tuo continuo importunare giovani e affascinanti fanciulle!» sin intromise nuovamente Andrew, sempre ridendo di gusto.
«Se non vado errato, non sono io quello che stava per essere denunciato per stalking, o sbaglio, Andrew?» notò, allora, Gianni, piccato.
A quella risposta, lo scozzese si ricompose, giacché non aveva dimenticato le prime conseguenze della sua corte spietata a Mary Anne, aggiustandosi il colletto e bofonchiando: «Io, almeno, ho riportato qualche risultato».
«Suvvia! Io propongo di non dare giudizi e di stare a vedere come si evolveranno le cose, piuttosto. D’altra parte, Aegyptus captus ferum vicitorem cepit3» si intromise Olivier, provocando la comparsa di una ruga sottile sulla fronte di Claudia che, nonostante non avesse aperto bocca per tutto il tempo, con la sua espressione oltraggiata aveva lasciato trapelare perfettamente quanto fosse urtata da quella conversazione.
A quel punto, Gianni li guardò uno per uno con un’espressione indecifrabile.
«Avanti, forza! Qualcun altro vuole aggiungere qualcosa? Sono in vena di sentire altri consigli, stasera» chiese, infine, con marcato sarcasmo.
«Spero che questo tuo diversivo duri il meno possibile» parlò finalmente Claudia, con estrema freddezza. «Altrimenti, qualcuno potrebbe cominciare a pensare che ci sia sotto qualcosa di serio, non trovi?»
I due cugini si scambiarono un’occhiata gelida e, dopo qualche istante, il giovane afferrò il tovagliolo, poggiato accanto al suo braccio, e lo scagliò verso il centro del tavolo.
«Adesso basta, mi avete seccato! Trovatevi un altro diversivo per passare la serata!» esclamò, per poi alzarsi e dirigersi verso l’ingresso, evitando con destrezza tutto lo sciame del personale di sala impegnato nel servizio, sparendo all’interno della fila di persone che sostavano all’ingresso in attesa che si liberasse un tavolo.

“Questa è una faccenda che riguarda solo me!” si ritrovò a pensare Gianni, furibondo per come era stato trattato dai suoi compagni, mentre usciva sul trafficatissimo lungomare sfavillante di luci nella fresca notte alessandrina.
Poi, all’improvviso, si fermò, con la testa china e le mani piantate sui fianchi, incerto sul da farsi, cercando di riappropriarsi del proprio autocontrollo: la partenza da Alessandria era stata fissata per il giorno dopo e aveva già perso abbastanza tempo, pertanto, se voleva davvero parlare con Aida, doveva agire in fretta e scrollarsi di dosso la sua indolenza.
Pian piano, la rabbia sbollì ed il giovane ritrovò un certo grado di lucidità, tanto che ebbe la giusta ispirazione e capì, finalmente, che avrebbe fatto tutto il possibile per parlare con lei, con o senza l’approvazione di suo fratello.
L’abbondanza di taxi che passavanolungo la strada in entrambi i sensi di marcia, invece, gli suggerì come avrebbe fatto a tornare indietro, quindi, senza stare troppo a pensarci, si avvicinò al bordo del marciapiede e, poggiando appena due dita sulle labbra, fischiò per richiamarne uno.

In meno di un’ora, fu di ritorno in albergo e, una volta entrato nella hall, stranamente deserta, scorse il solito grande specchio, pronto per fargli nuovamente compagnia e offrirgli l’occasione per un nuovo confronto con il giudice che temeva più di tutti: se stesso.
Subito si avvicinò all’enorme lastra di vetro e scoccò un’occhiata commiserevole alla sua immagine, poiché, costretto in quei vestiti, sentiva di assomigliare ad un pezzo di gesso e faticava persino a respirare.
Qualche secondo dopo, però, quasi incoscientemente si portò una mano al collo e cominciò ad allentare il nodo della cravatta, prima piano, poi con sempre più forza, finché non se la sfilò del tutto; a quel punto, si aprì i primi due bottoni della camicia bianca e quelli dei polsini, rendendosi conto che, così, andava decisamente meglio, inspirando a fondo e godendosi l’aria fresca che gli entrava nei polmoni.
Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non lo soddisfaceva, quindi si passò più volte una mano tra i capelli, facendo assumere loro all’istante la solita piega ribelle. Allora, arrotolò la cravatta e se la mise in tasca, riprendo poi a guardarsi e accorgendosi che il suo riflesso lo stava invitando ad un nuovo confronto.
“Chi non muore, si rivede. Non vuoi più mettermi a tacere, adesso?”
«Se proprio vuoi saperlo, sono stato uno stupido a farlo e me ne pento».
“Be’, meglio tardi che mai! Comunque, cosa aspetti ad andarla a cercare?”
«E se non volesse ascoltarmi?»
“Ne avrebbe tutte le ragioni, ma devi tentare, non puoi arrenderti alle prime difficoltà!”
«Più che difficile, lo trovo doloroso. Non potrei sopportare il suo disprezzo».
“Ah, be’, se vuoi startene lì a leccarti le ferite senza fare alcun che e aspettando la compassione di qualcuno, accomodati pure. D’altronde, ultimamente non hai fatto altro che rinunciare. Per inciso, con ultimamente intendo gli ultimi diciassette anni”.
«Rinunciare a lei? Mai, è troppo… importante, mi sta facendo capire tante cose».
“Allora cosa stai aspettando? Non hai tutta la notte a disposizione!”
«Sì, ma gli altri… suo fratello...»
“Gli altri non c’entrano, sono tutte scuse. Non trovi che sia arrivata l’ora di decidere in autonomia?”
«Già, penso proprio di sì. In fondo, sono io che devo decidere cosa fare della mia vita».
“Ottima risposta! Tuo nonno ne sarebbe fiero”.
Giancarlo, a quel punto, vide il suo riflesso che gli sorrideva compiaciuto. Più rinfrancato nello spirito rispetto a quando era arrivato, avvertì crescere in lui una sicurezza del tutto diversa dalla consueta spavalderia, poiché, questa volta, sapeva davvero cosa voleva: trovare Aida e chiarirsi con lei.
Già, ma dov’era la ragazza?
Proprio in quel momento, come se il fato volesse premiare i suoi sforzi e dargli una mano, di punto in bianco udì un indistinto chiacchiericcio proveniente dalle sale situate oltre l’atrio in cui si trovava in quel momento. Così, tese l’orecchio e si mise in ascolto con maggiore attenzione, distinguendo due voci diverse, delle quali una era quella che gli interessava: la sua.

Oltre l’ampia vetrata che chiudeva la sala da un lato, si vedevano chiaramente ad intervalli irregolari alcune deboli lucine che si perdevano nel blu della notte, segno che le lampare dei pescatori erano uscite in mare aperto, come accadeva ogni giorno al calar della sera.
La saletta, con vista sul golfo di Alessandria, era stata quasi interamente riordinata: mancavano solo i cuscini dei divanetti e poi, finalmente, Aida e Jamila avrebbero potuto concludere la loro giornata lavorativa, mentre, poco distante, Samir già sonnecchiava placidamente su uno dei divani neri dell’angolo bar.
«Ah, che stanchezza, certi giorni c’è davvero troppo da fare!» commentò Jamila, sbadigliando, mentre si stiracchiava.
«Eh» sospirò Aida, assente, sprimacciando, con un gesto automatico, lo stesso cuscino da almeno mezz’ora.
«Dovremmo proprio uscire ed andare a divertirci!» continuò l’altra.
«Sì».
«Mi hanno detto che hanno aperto un nuovo locale, poco lontano da qui» le propose l’amica, con energia. «Per una volta che non c’è Rami a sindacare sull’orario del coprifuoco, potremmo rientrare con più calma».
Era più alta di Aida di parecchi centimetri, aveva i capelli più corti, le forme decisamente più abbondanti e, certamente, anche qualche annetto in più.
«Potremmo...» mormorò, in risposta.
Jamila, allora, fissò la sua futura cognata e alzò un sopracciglio, buttando sul divano l’ultimo cuscino e incrociando le braccia sul petto.
«Aida?»
«Sì?»
«Tu non mi stai ascoltando».
«Come no?» protestò la ragazza, senza la benché minima enfasi. «Ho sentito tutto quello che hai detto».
Tuttavia, Jamila la guardò, ironica: «Sì, certo. Perché non ammetti, piuttosto, che non hai ascoltato una parola, perché stai pensando ancora a quel ragazzo?»
A tale affermazione, la fanciulla trasalì.
«Cosa? No, è che…»
«Guarda che non c’è niente di male! Per essere carino, è carino e, per quanto riguarda la storia delle vipere del Sahara, credo tu sappia come la penso: strusciarsi e avvinghiarsi ai bei ragazzi è la loro specialità. Anzi, mi meraviglio che Rami non abbia ancora preso provvedimenti. Altro che massaggio shiatzu e fesserie varie, se mai mi capiteranno sotto mano, saranno loro ad avere bisogno di un bel trattamento, riabilitativo, però!»
«Non so davvero che cosa pensare, Jamila» replicò stancamente Aida, sedendosi su un pouf color tamarindo, accanto ad uno dei tavolinetti bassi. «Quando abbiamo parlato, è stato così gentile, non mi è sembrato che volesse...» iniziò, ma senza concludere la frase.
«Cercare una scusa per portarti a letto?» completò l’altra, con estrema disinvoltura.
Allora, la fanciulla, leggermente imbarazzata, prese a lisciarsi, assorta, la lunga treccia nera, ma, alla fine, si limitò a sospirare: «Già. Però non riesco proprio a credere che stesse fingendo».
«A quanto pare, Samir lo adora e sai che il tuo fratellino è fin troppo intelligente per farsi raggirare» notò l’amica, prendendo posto sull’altro pouf, disposto davanti a lei.
«Questo è vero. Eppure, Rami mi è parso così furioso…»
«Io ho visto come ti guardava quel biondino stamattina, Dada. Come se fossi chissà quale miracolo» concluse Jamila, sognante.
Tale osservazione ebbe il potere di strappare un sorriso ad Aida, che replicò: «Sai, dovresti smetterla di leggerti tutti quei romanzi, la vita non è così semplice».
«Be’, non esistono solo i saggi barbosi di architettura e archeologia che leggi tu. Saranno pure storie inventate, ma le cose accadono comunque, prima o poi» sostenne, invece, l’altra, convinta. «Sai bene che, quando ho deciso di stare con Rami, non è stato tutto rose e fiori, ma, nonostante tutto, sono ancora qui».
Aida spostò lo sguardo verso la veduta sul golfo: suo fratello e la sua ragazza ne avevano passate davvero tante prima di poter stare insieme. Molte non si erano nemmeno risolte come speravano e gli stralci della complicata situazione sortivano ancora numerosi effetti sulla vita di Jamila: da quanto tempo non vedeva i suoi? Due anni? O, forse, erano tre? Non lo ricordava di preciso.
«E cosa dovrei fare, secondo te?» le chiese, allora, sinceramente interessata al suo parere.
«Dargli una piccola possibilità, parlare con lui ed esigere che ti dica la verità. Solo così potrai decidere che cosa fare» sentenziò quella con decisione.
Aida scosse appena la testa, poiché dubitava seriamente che quella possibilità potesse avverarsi realmente, soprattutto dopo il grottesco teatrino a cui aveva dato vita suo fratello quella stessa mattina.
«Le offese di Rami sono state pesanti, non penso che lui voglia perdere ancora tempo con me» osservò, ben decisa a rimanere coi piedi per terra e a non lasciarsi contagiare dall’entusiasmo dell’amica.
«Ne sei proprio sicura? Io penso, invece, che lui a te tenga davvero tanto».
«Come puoi dirlo?»
«Guarda tu stessa!» rispose Jamila, indicando con un cenno del capo qualcuno davanti a sé.
Aida la scrutò aggrottando la fronte, poi, all’improvviso, capì, voltandosi lentamente verso la direzione che le era stata indicata e, finalmente, lo vide anche lei: il ragazzo era lì, in piedi all’ingresso della sala, con le mani in tasca. La stava osservando con la testa leggermente inclinata da un lato e un’espressione dolcemente malinconica sul volto, ma non sembrava troppo abbattuto, né tanto meno arrabbiato, e ciò le fece sperare che, nonostante il putiferio che aveva scatenato Rami, non provasse risentimento verso di lei.
«Giancarlo!» esclamò, alzandosi di scatto, incapace di trattenere la sorpresa.
Lui incurvò appena le labbra e la salutò con un elegante inchino del capo: «Ciao, Aida».
Jamila, allora, decise di sfruttare la situazione per studiarlo meglio, rimanendo soddisfatta di quello che vide; quindi, si girò verso l’amica per dirle qualcosa, ma non ci riuscì, trovandola molto presa dal nuovo visitatore. Subito, spostò lo sguardo su di lui, vedendo la stessa espressione, e capì istintivamente che quei due si trovavano in un momento di reciproca, mistica contemplazione.
«Allora, Dada, non mi presenti?» si intromise, lanciando all’altra uno sguardo eloquente.
«Ah, sì certo» farfugliò Aida, sbattendo le palpebre e ritornando bruscamente alla realtà. «Giancarlo, ti presento Jamila, una mia cara amica. Jamila, questo è Giancarlo Tornatore, membro italiano della squadra europea e campione di beyblade».
«Più che altro, ex-praticante» la corresse il giovane. «Ormai è solo una vecchia passione, i veri campioni sono altri».
«A sentire Samir non sembrerebbe... comunque, piacere!» fece Jamila, sorridente, stringendogli la mano. «Tu devi essere la vittima contro cui Rami ha continuato a borbottare fino al pomeriggio, ma non preoccuparti... abbaia, ma non morde».
«Su questo avrei i miei dubbi» si lasciò scappare lui, soprappensiero, dopo aver appreso quanto fosse forte l’astio che il concierge covasse nei suoi confronti.
«Ah, ah, come sei simpatico! Lo so, il mio fidanzato non ha un carattere semplice, ma, in fondo, è buono» commentò allegra la ragazza. «Be’, lieta di averti conosciuto, comunque! Sarà il caso che recuperi la mia borsa e vada, adesso, stavo proprio dicendo ad Aida che sono stanca morta».
La fanciulla guardò l’amica stranita, dato che, in realtà, aveva appena finito di dire l’esatto contrario, esprimendo il desiderio di andare per locali e dopo aver preso la sua pochette, Jamila si avvicinò a lei quel tanto che bastava per essere sicura che fosse l’unica a sentire quello che le avrebbe sussurrato.
«Visto da vicino, è ancora più carino e stasera, tra la giacca nera e la camicia bianca, è assolutamente da capogiro. Su, bella, datti da fare!»
A tali parole, la fanciulla, che ancora non si era del tutto ripresa da quella visita inattesa, spalancò gli occhi e boccheggiò a vuoto, imbarazzata: «C-Cosa dici, Jamila!» balbettò.
«Perché, scusa? Preferisci forse quella mummia stantia di Mohammed?»
«Certo che no, cosa vai a pensare!»
«Allora rifatti un po’ gli occhietti e comportati da persona intelligente. Almeno senti cosa ha da dirti».
Aida fece per replicare, ma non lo fece, soffermandosi a pensare su quanto aveva appena udito, poiché sapeva che Jamila aveva ragione: l’espressione grave di Giancarlo, infatti, lasciava intendere che doveva dirle qualcosa di molto serio e, dal canto suo, era piuttosto curiosa di sapere di cosa si trattasse.
«E non preoccuparti di Rami: con lui me la vedo io» terminò, intanto, l’altra, strizzandole l’occhio. Poi, improvvisamente, alzò il tono di voce. «A Samir ci pensi tu, vero? Bene, bene, buona serata, cari!»
Quindi, fece un ultimo cenno di saluto all’amica e al giovane e si allontanò, affinché i due avessero, finalmente, l’occasione di restare soli.

A quel punto, Giancarlo, tenendo ancora una mano in tasca e lisciandosi il mento con l’altra, aveva assunto un’aria meditabonda, nel tentativo di trovare le parole più adatte per iniziare il suo discorso.
«Delusa?» chiese, osservandola attentamente.
Aida, sorridendo leggermente, negò, poi si diresse verso Samir e si sedette vicino a lui, cominciando ad accarezzarlo dolcemente sulla testa.
«Non proprio, direi più sorpresa, perché non pensavo che fossi il tipo che cade vittima dei giochetti di quelle approfittatrici».
Gianni si prese due secondi per riflettere su quanto lei gli aveva appena rivelato, poi domandò: «Mi stai forse dicendo che era tutto programmato
«Più o meno, sì» rispose lei, sollevando lo sguardo verso di lui. «Lavoro a stretto contatto con quelle due da circa un anno e mezzo, perciò ormai so come si comportano ed è sempre la medesima storia».
A quel punto, il giovane increspò le labbra, trattenendosi a stento dallo schiaffeggiarsi da solo per la seconda volta nell’arco della giornata.
«Allora, concorderai con me su quanto sono stato idiota».
«Non più di tanti altri, in realtà» considerò lei, alzando le spalle e sorridendogli divertita. «Dai, non stare lì, vieni, accomodati pure» lo esortò poi, invitandolo a sedersi accanto a lei. Lui, però, prima di accettare, si gettò una rapida occhiata alle spalle, guardingo.
«Non preoccuparti, Rami non c’è. È andato a sbrigare alcuni affari a Il Cairo e non sarà qui prima di domani mattina» lo informò lei.
«In questo caso, non credo di correre rischi» commentò il biondo, prendendo posto ad un’adeguata distanza dalla giovane.
«Prima di andarsene, però, ha ordinato a Jamila di accertarsi che ti stessimo lontano...»
A queste parole, Gianni si irrigidì, temendo per un attimo che la fanciulla aggiungesse che condivideva quel punto di vista; tuttavia, le parole che seguirono furono abbastanza rassicuranti.
«... ma, come hai visto, lei si fida di te, quindi non ci sono problemi» finì, infatti, la ragazza e, poco dopo, sui due calò un silenzio piuttosto imbarazzante.
«Io…» cominciarono entrambi dopo qualche secondo, bloccandosi subito dopo, ma i sorrisi che comparvero sui loro volti li aiutarono a far diminuire la tensione.
«Vuoi iniziare prima tu?» chiese educatamente la fanciulla.
«Non so, io avrei molte cose da dirti e potrei impiegare diverso tempo, perché non sono mai stato bravo nella sintesi» replicò lui, piuttosto imbarazzato, torturandosi nervosamente le ciocche di capelli che gli ricadevano sulla nuca.
«Va bene, allora. Comincerò io» fece la ragazza, accennando un sorriso. «Ecco, quello che volevo dirti è soltanto che mi dispiace per oggi. D’altra parte, però, mi piacerebbe che anche tu provassi a capire Rami: da quando nostro padre è in carcere, sente su di sé tutte le responsabilità della famiglia».
Per stare più comodo, Gianni si sistemò meglio sul divano, ascoltando attentamente Aida, incantato dal suo modo di parlare e raccontare.
«Nostra madre se ne è andata di casa due mesi dopo la nascita di Samir e, nel giro di qualche settimana, a causa di un malinteso, nostro padre è stato arrestato. Rami, all’epoca, aveva solo diciotto anni ed era poco più di un ragazzino, così, Maria e Franco, i due vicini di cui ti ho parlato, ci hanno accolto tutti e tre in casa loro, crescendoci come se fossimo stati loro nipoti» continuò a raccontare la ragazza, riprendendo ad accarezzare il fratellino.
«Crescere senza genitori non deve essere stato facile, per nessuno di voi» osservò il biondo, sorpreso da una tale rivelazione.
«No, per niente. Sai, i miei sono due giornalisti» spiegò lei. «Papà si è incaponito a portare avanti inchieste scomode, voleva il grande servizio della sua vita, ma si è messo nei guai e, adesso, è nel carcere di Addis Abbeba».
«Ma... non è la capitale etiope?» domandò il suo interlocutore, perplesso, aggrottando la fronte.
«Sì, mio padre è egiziano, ma mia madre era… è etiope. Ti ho già detto che da piccoli abbiamo vissuto ad Harar».
«Ah, già, è vero. E dov’è, adesso?» chiese, allora, Gianni, che cominciava ad avere un quadro molto più chiaro dell’intera faccenda, e iniziava a capire meglio perché il modo di fare di Aida fosse così europeizzato e perché la pelle della giovane fosse di qualche nota più scura, rispetto alla tonalità propria del popolo egiziano.
A quel punto, la ragazza smise di accarezzare Samir e, lasciando trapelare un grande risentimento, alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi blu di lui.
«Mia madre? In California con il suo nuovo marito, un ricco industriale statunitense. Ce l’ha fatta, sai? È diventata una giornalista affermata, riuscendo a realizzare la sua massima aspirazione, perché prima, per lei, noi figli eravamo soltanto un peso, un ostacolo alla sua carriera. Si è ricordata di noi solo due anni fa, chiedendoci se, per caso, avevamo voglia di trasferirci da lei. E noi, per caso, le abbiamo risposto che stiamo bene qui».
Man mano che parlava, Aida aveva assunto un’espressione dura e arrabbiata, ma anche sofferente.
Il ragazzo, a quel punto, rimase in silenzio, ritenendo che non ci fosse nulla da aggiungere, visto che, in una situazione del genere, qualunque cosa sarebbe suonata inopportuna. Tuttavia, alla luce di quanto udito, il mosaico, finalmente, era quasi terminato e anche la reazione di Rami stava acquistando un significato più comprensibile.
«Quindi» riprese Aida, «è per questo che ti chiedo di scusare mio fratello. È molto protettivo nei nostri confronti, anche se non avrebbe dovuto comunque autorizzarlo a dirti tutte quelle cose».
«No, non ti scusare, Rami fa bene ad andarci cauto» mormorò il giovane, pensieroso. «Ha reagito in maniera legittima».
«Avrebbe potuto farlo in maniera meno aggressiva, però» ribatté con convinzione la fanciulla. «Ti ha trattato come se fossi l’essere più spregevole della Terra!»
«Non si è poi sbagliato di molto» considerò il biondo, chinando il capo, mentre Aida assumeva un’espressione accigliata.
“Devo essere sincero, almeno con lei” disse, tra sé e sé.
Poi, alzò piano la testa e vide la giovane che lo fissava, ma, contrariamente a quanto si aspettava, senza tradire alcun genere di ribrezzo, anzi, era più che altro incuriosita.
«Credo sia arrivato il mio turno di raccontare e parlare un po’ di me, adesso. Non ho avuto il coraggio di dirti tutto quando ci siamo conosciuti, perché...»
Gianni fece una pausa, mentre le sue guance assumevano un’ombra scarlatta, anche se non smise comunque di guardare Aida negli occhi, «... non c’è niente di incredibile o meraviglioso da dire. Io non sono un’icona di rettitudine come Rami. Sei sicura di voler conoscere chi sono davvero
«Sì» sussurrò la ragazza, annuendo; poi, si accoccolò contro lo schienale imbottito del divano e raccolse le gambe da una parte, appoggiando la guancia su una mano aperta, pronta per l’ascolto.
«Non sarà una bella favola» aggiunse il giovane, amareggiato.
«A volte, bisogna essere disposti a farsi raccontare anche storie reali» replicò Aida, con tono incoraggiante.
A quel punto, Gianni fece un respiro profondo: le parlò di ogni cosa che avesse caratterizzato la sua esistenza in passato, a cominciare dal suo amore per la bella vita e per le belle donne, fino al fallimento in università e al senso di inferiorità che avvertiva nei confronti dei suoi compagni di squadra, accennando perfino alle occhiate angustiate che gli rivolgeva suo padre e ai sospiri di sua madre.
Le sue gote si imporporarono ogni volta che citò un episodio del quale si vergognava maggiormente, come, ad esempio, quando aveva iniziato una tresca con la personal trainer solo per vincere una scommessa che aveva fatto con Massimo Colonna.
La ragazza, però, rimase tutto il tempo ad ascoltarlo in silenzio, rispettando le sue pause ed evitando inutili commenti o giudizi sommari, poiché sapeva che, per lui, non doveva essere semplice affrontare argomenti così scottanti; inoltre, aveva compreso che aveva riposto in lei una grande fiducia, rendendola partecipe delle sue sconfitte e confessandole i suoi errori.
Gianni le riferì anche di come fossero andate effettivamente le cose con le due massaggiatrici, spiegandole che non era andato oltre il fare il cascamorto con loro, e di come, al contrario, fosse rimasto, invece, profondamente colpito da lei e dal suo atteggiamento, così affettuoso, nei confronti dei due fratelli.
Nell’udire l’ultima parte, l’espressione di Aida si ingentilì parecchio, ma il ragazzo non ebbe modo di accorgersene, impegnato com’era a vergognarsi di quanto stava ammettendo, giacché si era spogliato delle sue maschere, consentendo finalmente a qualcuno di vederlo per ciò che era in realtà: ammettere a voce alta tutto quello che non andava nella sua vita gli era costato molto, eppure, dopo averlo fatto, ebbe l’impressione di sentirsi meglio. Prima di allora, non aveva mai creduto possibile che la confessione delle sue colpe e l’ammenda delle sue scelleratezze potessero apportargli una nuova dignità e una ritrovata serenità d’animo, sentendosi bene come non accedeva da tanto, forse troppo tempo…

«Ecco, ora sai tutto anche tu» concluse, nervoso, temendo la reazione di lei. Cosa avrebbe pensato di lui, dopo tutto quello che aveva ascoltato?
Dal canto suo, Aida era ancora appoggiata al cuscino, in posizione rilassata e per nulla turbata, intenta a scrutare il ragazzo con attenzione, mentre Gianni, a sua volta fermo di fronte a lei, non mosse nemmeno un muscolo, in attesa di una risposta che, per fortuna, non tardò ad arrivare.
«Mi dispiace, ma in te io non ho visto niente di tutto questo» considerò la fanciulla, accennando un sorriso, mentre il giovane inarcava le sopracciglia, sorpreso.
«Quello che ho detto a Rami questa mattina, lo penso davvero. Non posso colpevolizzarti per cose che non ho visto direttamente!» continuò lei. «Per natura, sono una persona che deve sperimentare ciò che le viene riferito. Non mi piace basarmi sul si dice…»
«… e si fa» concluse Giancarlo, colpito.
«Esatto!» annuì Aida, sorridendo, poi, però, si staccò dal cuscino e si mise seduta, sussurrandogli: «Dammi la mano».
Vedendo che il ragazzo la guardava accigliato, rimanendo immobile, si sporse e gli prese la mano destra, tenendola tra le sue.
«Guardami e rispondimi sinceramente: quando mi hai rivolto per la prima volta la parola, era un elegante tentativo di provarci con…»
«No!» esclamò lui, senza nemmeno lasciarle terminare la frase.
«No?» ripeté lei, scoccandogli una profonda occhiata indagatrice.
«No, assolutamente no, volevo solamente sapere qualcosa in più su di te. Sei libera di non credermi, ma... solo dopo averti visto quella sera, ho capito quanto stessi sbagliando» cominciò a spiegare lui, con fermezza. «E poi, sarò stato anche un libertino ed uno scapestrato, ma non ho mai cercato di fare il furbo con la donna di un altro: anch’io ho dei limiti, per quanto nessuno voglia riconoscermeli».
La fanciulla parve soddisfatta della sua risposta, perché, qualche secondo dopo, scoppiò in una risata argentina.
«Ah, ah, già, è vero! Pensavi che Rami ed io fossimo sposati e che Samir fosse nostro figlio!»
Allora, Giancarlo, che già al contatto fisico aveva avvertito le punte delle orecchie avvampare tremendamente, a quell’affermazione sentì che anche le sue guance non volevano essere da meno e presero la stessa tonalità dell’astice che gli era stato servito qualche ora prima, ma, nonostante tutto, non gli sfuggì la bellissima sensazione, mai provata prima, che gli procurava quella situazione: era diviso tra l’imbarazzo e il piacere che gli offrivano quel tocco e la semplice presenza della ragazza.
D’altra parte, non era abituato ad arrossire così spesso, perché di solito erano le ragazze a farlo, quando rivolgeva loro i più svariati apprezzamenti, veri o presunti, però dovette ammettere che provarlo sulla propria pelle non era così brutto come immaginava, anzi, forse gli piaceva anche di più.
«Aida?» la chiamò, dolce.
«Sì?» fece la fanciulla, smettendo di ridere e tornando a guardare il ragazzo negli occhi.
«Posso chiederti un favore?»
«Quale?»
«Mi daresti il permesso, diciamo, di conoscerti... un po’ meglio? Vorrei imparare a poco a poco quello che ti piace e quello che, invece, odi, quello che ti fa stare bene e quello che non puoi sopportare. Ti prometto che non sarò invadente od oppressivo, ma, ti prego, non negarmi questa possibilità» spiegò Gianni, concitato, sperando di ricevere una risposta positiva, ma temendo il contrario.
La ragazza rimase sbalordita da una richiesta del genere e lasciò immediatamente la presa, soffermandosi a guardarlo con aria mesta.
«Non fare promesse che sai di non poter mantenere, perché mi daresti un motivo per avercela seriamente con te» disse, quasi sottovoce.
«Non è così, posso mantenerle eccome!» si risentì lui. «Perché, proprio ora, hai deciso di non fidarti?»
«Giancarlo, sai bene che domani partirai ed io diventerò presto soltanto un ricordo. Spero bello, ma comunque un ricordo che svanirà poco a poco» gli spiegò Aida, sussurrando.
«E se ti dimostrassi che, al contrario di ciò che credi, non dimenticherò tutto quello che mi hai dimostrato in questi giorni?» ribatté il biondo, deciso.
La ragazza, allora, lo guardò, serrando le labbra, poiché era certa che le sue intenzioni fossero buone e una parte di lei era davvero lusingata che quel giovane mostrasse tutto quell’interesse nei suoi confronti; tuttavia, un’altra era offuscata dai dubbi, giacché, in fondo, era pur sempre una cameriera ed una studentessa, mentre Giancarlo apparteneva ad una facoltosa famiglia italiana. E, come se non bastasse, avrebbe dovuto considerare anche la presenza di suo fratello: cosa avrebbe pensato Rami, così attaccato ai pregiudizi, di tutta quella situazione?
Lui, però, parve intuire i pensieri di lei e, infatti, aggiunse: «Anche Rami dovrà accettarlo, perché mi piacerebbe anche continuare a sentire Samir, per sapere i suoi progressi con il bey, come procede con la scuola e così via... glielo devo, visto che, per ovvie ragioni, oggi non ho potuto giocare nuovamente con lui. Inoltre, ho notato che è molto intelligente e scommetto che è molto bravo in tutte le materie».
«Sì, è così, non ci dà alcun problema con lo studio» confermò Aida, soprappensiero.
«Davvero un bravo bambino...»
«Giancarlo?»
«Cosa c’è?»
«Se mi stai prendendo in giro, sappi che non ti perdonerò. Non sopporto le delusioni» gli disse la fanciulla, guardandolo con serietà mista tristezza.
In quell’istante, gli vennero in mente le parole che la ragazza aveva usato nei confronti della propria madre e si intrattenne a contemplarla, sorridendo dolcemente.
«Bene, ho già appreso un’informazione importante, ma» considerò, «resta il fatto che, nonostante tutto, credo di avere ancora una parola d’onore. Accordo fatto, dunque?» le propose, tendendole la mano.
Aida la scrutò un attimo, poi la strinse.
«Accordo fatto» confermò. «Ma come farai…?»
Il ragazzo, allora, le sfiorò delicatamente le labbra con l’indice, senza, però, che si stabilisse un vero e proprio contatto.
«Lascia fare a me, tranquilla. Ti ho promesso che non sarò oppressivo, ma comunque presente. Solitamente, seguo l’ispirazione ed amo le sorprese, perciò non penso che avrai mai modo di annoiarti».
In risposta, la giovane si lasciò sfuggire un sorriso sereno, dopo di che fece per avvicinarsi al fratellino, così da prenderlo in braccio e portarlo al suo letto.
«Me ne occupo io» si offrì subito il giovane, oltrepassandola: quindi, sollevò il bimbo con cautela e lo prese tra le braccia, distribuendo equamente il peso tra di esse.
«Non c’è bisogno che ti disturbi!» esclamò lei, sorpresa dal gesto.
«Nessun disturbo, tranquilla. Mi spiace solo non poterlo salutare come si deve, dato che sarà a scuola quando partiremo» bisbigliò Giancarlo, indicando Samir con un cenno del capo.
Aida fu sul punto di protestare per la troppa gentilezza, poi, decise di accettarla e lo ringraziò ancora, precedendolo per guidarlo verso le stanze del personale.

Pochi minuti dopo, il ragazzo adagiò il bambino sul letto, lasciando che la sorella lo coprisse accuratamente.
«Dovresti vedere la sua stanza a casa nostra, le pareti sono coperte interamente da poster dei campioni di beyblade!» commentò la ragazza, rimboccandogli le coperte.
«Sì, me lo ha detto» disse lui, accarezzando la testa di Samir. «A proposito, anche quei due asociali di Jurgens e McGregor hanno dato il loro contributo, quindi domani, quando verrò a salutarti, Rami permettendo, ti darò anche l’autografo di tutti noi».
«Non credo che Rami possa fare molto, sai? Ci saranno anche i tuoi amici» considerò Aida. «Comunque, grazie, mio fratello ne sarà contento».
«Figurati, è stato un piacere» fece lui, in risposta, alzando le spalle.
A quel punto, rimasero entrambi a guardarsi per qualche istante, finché il giovane non trovò il coraggio di staccarsi, poiché sapeva perfettamente che, se avesse continuato ad ammirarla, non se ne sarebbe più andato.
«Allora, buonanotte» la salutò, voltandosi indietro.
«Buonan… No, aspetta!»
A quel richiamo, il biondo si fermò di colpo e Aida gli fu vicino in un paio di istanti, mettendosi davanti a lui.
«Aspetta solo un attimo...» mormorò, mentre, concentrata, gli appoggiava i polsi sulle spalle, facendo scorrere le dita sotto il colletto della camicia e sistemandoglielo meglio sul bavero della giacca.
«Samir deve essersi aggrappato a te nel sonno e ti ha sgualcito il colletto. Succede sempre anche quando lo porta Rami» spiegò la fanciulla, semplicemente. Si intuiva che aveva a che fare tutti i giorni con degli uomini, anche se erano i suoi fratelli, perché il suo approccio era sicuro ed affettuso, ma non sfacciato.
Mentre la ragazza gli riservava quelle premure, Gianni posò lo sguardo su di lei, avvertendo sensibilmente il suo tocco delicato trasmettersi dagli abiti alla pelle; in quel momento, si trovavano ad una distanza pericolosamente inesistente, tanto che lui poteva distinguere nettamente ogni, singola ciglia.
Non era un mistero, infatti, che il giovane avesse sempre incarnato la quintessenza delle pulsioni vitali, l’ideale dell’amante passionale e, se si fosse trovato in un altro momento e con una diversa disposizione d’animo, avrebbe certamente colto al volo l’occasione per sedurre la sua preda di turno. L’aveva fatto tante volte: illudere una ragazza con le sue lusinghe, solo per soddisfare un effimero istinto ferino, esaudendo un desiderio materiale, senza coinvolgere alcun genere di sentimento.
Tuttavia, era stato prima di conoscerla e, in quel momento, fu certo che per nulla al mondo avrebbe toccato Aida senza che anche lei lo volesse o che ci fosse un valido motivo per farlo, perché lei meritava rispetto, così come era per l’impegno e la dedizione con i quali affrontava la vita.
Ridestandosi da quei pensieri, si allontanò delicatamente dalla fanciulla e, lasciandosi sfuggire un sorriso malinconico, le sussurrò: «Ti ringrazio, non me ne ero reso conto».
«Oh no, sono io ad essere un po’ pignola su queste cose» ammise la ragazza, arricciando il naso e ricambiando il sorriso.
«Allora... buonanotte, Aida».
«Buonanotte a te».
Giancarlo, allora, aprì la porta e fece per uscire ma, colto da un’improvvisa illuminazione, si voltò verso di lei e disse: «Grazie per avermi ascoltato, sono felice di averti incontrata. Non a tutti viene concessa una seconda occasione ed io cercherò di meritare questa fortuna».
Lì per lì, Aida fu talmente sorpresa da quella dichiarazione, che si riscosse solo al tonfo della porta che si chiudeva, realizzando che lui se ne era davvero andato.
Con estrema lentezza, cominciò a spogliarsi e a sistemarsi per mettersi sotto le coperte, poi, quando ebbe fatto, si avvicinò al suo letto, lasciandosi cadere e soffermandosi a guardare il soffitto bianco, considerando quanto le diverse emozioni provate durante la serata l’avessero scombussolata, mentre Samir, inconsapevole di tutto, continuava a dormire sereno.
Ancora con la mente impegnata a pensare al giovane, si girò su un fianco, poggiando il viso all’altezza del suo polso, e, in quella posizione, avvertì il suo profumo, rendendosi conto che era bastato un breve contatto per lasciare su di lei una traccia intensa di quel piacevole aroma, composto da una base delicata con qualche nota più marcata. Era proprio come era chi lo indossava: sorprendente.
Chissà come sarebbe andata a finire... Cosa avrebbe detto Rami? Si sarebbe convinto delle serie intenzioni di Giancarlo?
Conosceva l’indole sospettosa di suo fratello e scardinare le sue convinzioni, da lui considerate come veri e propri dogmi, non sarebbe semplice, anche se non impossibile.
Tuttavia, Aida sapeva di avere le sue insicurezze, per lo più legate alla distanza e al tempo: quel ragazzo era diverso da tutti quelli che aveva conosciuto fino a quel momento e si trovava bene con lui. Forse provava più di una semplice simpatia nei suoi confronti, anche se ancora non lo sapeva con certezza, e ora lui le aveva promesso che si sarebbero conosciuti meglio, ma... avrebbe mantenuto il suo impegno? Era difficile mentire guardando negli occhi una persona e, mentre le aveva esposto le proprie intenzioni, lui l’aveva scrutata a lungo con quelle sue iridi blu. Oh, quanto le piaceva il colore dei suoi occhi, lo stesso del mare più profondo. Tuttavia, doveva anche ammettere che, di bello, Giancarlo non aveva solo gli occhi e, in quel momento, le tornarono in mente gli apprezzamenti che aveva fatto Jamila verso di lui, stuzzicandola e costringendola a nascondere il viso nell’incavo del gomito piegato, lasciando che la traccia rimasta del suo profumo la stordisse piacevolmente, fino a farla scivolare nel mondo dei sogni.
***

Il mattino seguente, Gianni si svegliò di buon umore come non accadeva ormai da diverso tempo, senza fare nemmeno caso al fatto che, accanto o addossate a lui, non erano presenti ragazze delle quali non ricordava nemmeno il nome.
Subito, scosse la testa per scrollarsi di dosso quel poco di sonnolenza che gli era rimasta e, senza ulteriori indugi, si diresse in bagno, avvertendo che c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Dopo essersi fatto una doccia veloce, si mise davanti allo specchio e, mentre si frizionava i capelli per asciugarli sommariamente, si osservò attentamente: qualche goccia residua, proveniente dalle ciocche bionde ancora umide, gli scese lungo il viso, per poi avventurarsi lungo il collo e proseguire per il declivio delle spalle, quindi scendere giù per la schiena e per il torace. Sentirle percorrergli la pelle gli procurò un piacevole senso di benessere, ma mai quanto ne avvertì nel rendersi conto che la lastra di vetro e metallo gli stava nuovamente rinviando la sua immagine, sorridente e compiaciuta.
Negli ultimi giorni, infatti, aveva avuto modo di confrontarsi con gli specchi più di quanto avesse mai fatto in vita sua, perché, pur compiacendosi del proprio aspetto, non aveva mai amato troppo vedere e meditare sul proprio riflesso in nessun momento della giornata e meno che mai al mattino, momento in cui si riprende il contatto con la vita dopo la pausa notturna, ritrovandosi sempre diversi da come ci si ricordava.
Tuttavia, quella mattina fece eccezione, poiché, per la prima volta, Giancarlo riuscì a contemplarsi senza provare vergogna ed il suo volto, così composto e sereno, non gli diede ribrezzo: aveva accettato il suo riflesso, aveva accettato se stesso, proprio perché non aveva nulla da dimenticare, nessuna notte brava da archiviare nei meandri della sua memoria, nessun rimpianto per il fatto che l’ebbrezza da alcool fosse svanita, anzi, voleva ricordare, proseguire nel suo intento e, quindi, raggiungere il suo obiettivo.
“La mia seconda occasione non dovrà essere sprecata” si disse.
La leggera e rada peluria bionda presente sul suo viso lo sollevò anche dall’incomodo di farsi la barba che, nonostante i suoi ventitré anni, non aveva, pertanto finì rapidamente di prepararsi con modesta cura, per poi rimettere via gli abiti della sera precedente. Quando, però, prese in mano la giacca, percepì intorno al bavero un delicatissimo aroma, buono ma completamente diverso dal suo, in quanto era fresco, estivo e leggermente speziato.
«No, questo non è mio, sembra una fragranza decisamente esotica, come una rosa del deserto» sussurrò, chiudendo gli occhi e cominciando a meditare su quella che sarebbe stata la sua mossa successiva.
Avrebbe dovuto farsi venire in fretta un’idea per continuare a sentire Aida senza risultare insistente, ma, nello stesso tempo, senza dare l’impressione di essere superficiale o di star prendendosi gioco di lei; infatti, avrebbe dovuto cercare di fare qualcosa per aiutare lei e Samir, senza però che la fanciulla lo percepisse come un gesto di carità e considerare il suo atteggiamento come un’offesa, vista la sua grande dignità e il suo indubbio orgoglio.
Inoltre, il giovane avrebbe dovuto trovare un appiglio anche per ingraziarsi Rami e non sembrava facile trovare un punto in comune a tutti quegli aspetti; ciononostante, nel silenzio di quel mattino di tardo settembre, arrivò quasi subito ad una grande intuizione.
Rianimato dalla folgorante idea, si ridestò dai propri dilemmi e ripiegò sommariamente la giacca, per poi avviarsi a passo di marcia verso la stanza di Andrew: se il suo piano fosse andato a buon fine, sarebbe stato davvero un ottimo inizio.

Rami fischiettava, soddisfatto, mentre finiva di registrare a computer il materiale che aveva raccolto durante la sua trasferta a Il Cairo, la quale aveva avuto esito positivo; infatti, aveva sbrigato le sue commissioni prima del dovuto, traendone anche anche un profitto maggiore a quanto aveva stimato e nulla avrebbe potuto fargli andare di traverso la giornata, soprattutto perché il motivo di tanto gaudio non era ascrivibile unicamente ai suoi successi lavorativi.
Accanto a lui, impegnata in un’interessante lettura sulla sezione aurea, era seduta sua sorella Aida, ben consapevole di quale fosse la vera ragione che rendeva così allegro Rami: l’imminente dipartita dei turisti europei.
«Potresti smettere di fischiare? Mi stai deconcentrando» lo apostrofò all’improvviso, manifestando tutto il suo disappunto verso il comportamento del fratello, che le aveva appositamente scambiato la sua abituale mansione al bar con un turno in cucina, così che fosse relegata lì e non avesse modo di salutare personalmente Giancarlo.
«Sei acidula, stamattina, o sbaglio? Non dovresti, guarda che bel clima autunnale abbiamo quest’oggi!» esclamò, però, il giovane, gaio, non lasciandosi turbare dal rimprovero.
Di fronte a tanta sfacciataggine, Aida sbuffò, tornando a concentrarsi sul suo libro e a sottolineare i concetti più importanti, finché non batterono le dieci. Non appena i rintocchi terminarono, Rami si allontanò un momento per andare a prendere i fogli necessari a rifornire la stampante, mentre la ragazza chiuse il trattato con un gesto di stizza, per nulla intenzionata a pulire e tagliare verdure in isolamento per tutto il resto della mattinata.
Se solo per un qualsiasi motivo suo fratello avesse tardato a tornare alla reception, lei sarebbe riuscita ad incrociare Giancarlo prima di essere sepolta viva da patate e pomodori.
«Dove stai andando?» la richiamò improvvisamente una voce femminile. «Voglio sapere per filo e per segno come è andata ieri sera!»
«Oh, buongiorno Jamila» rispose Aida, mettendo via il libro. «Purtroppo ora non ho tempo per parlare, perché mi aspettano in cucina. Rami mi ha scambiato il turno».
«Cosa? E perché mai?» chiese la ragazza, stralunata. Poi, però, ci rifletté su un attimo e arrivò da sé alla soluzione. «Questa volta ha superato ogni limite! Non può decidere per te e manipolare la tua vita a suo piacimento!» esclamò.
«Lascia stare, è inutile rimuginarci su» replicò, però, l’altra, amareggiata.
«Dada, ti arrendi troppo facilmente! Facciamo così: prenderò io il tuo posto in cucina» propose Jamila. «Io adesso ho un buco fino all’ora di pranzo, quindi sarai assolutamente libera».
«Davvero lo faresti?» domandò stupita la fanciulla, incapace di credere a quella fortuna.
«Certo, sei mia amica! Però, non credere che sarà gratis, eh. Infatti, mi renderai il favore appena potrai, raccontandomi anche cosa hai deciso di fare riguardo ad un certo biondino molto affascinante».
La giovane sorrise e stava anche per rispondere, quando fecero la loro apparizione le due massaggiatrici.
«La vecchia fata madrina che aiuta la sua protetta ancora in fasce, che scena commovente!» commentò una di loro, scoppiando a ridere subito dopo, prontamente imitata dall’altra.
Jamila, però, fece finta di non aver sentito e non rispose alla provocazione, almeno finché le due non sparirono dalla loro vista.
«L’undicesima e la dodicesima piaga d’Egitto. In confronto, l’invasione delle locuste è quasi una sciocchezza!» considerò, indispettita.
Aida rise, scuotendo la testa: «Non penso tu possa aspettarti niente di diverso da quelle due».
«A te sembra normale che mi diano della vecchia solo perché ho due anni in più di loro?» le domandò l’amica. «Anche se sospetto che il loro accanimento contro di me derivi dal fatto che stia col capo».
«Non lo escluderei» concordò l’altra, alzando le spalle.
«Aida, sei ancora qui?!» tuonò Rami proprio in quel momento, rientrando con un’enorme risma di fogli tra le mani, scorgendo la sorella nella hall.
La fidanzata, però, si parò subito davanti a lui, nascondendogli la ragazza alla vista.
«Oh, ma guarda chi c’è! Ti spiace se prendo il posto di Dada, per oggi?»
Il giovane la guardò irritato, aggrottando la fronte e storcendo lievemente le labbra.
«Jamila, non ti intromettere» fece, imperativo, «lo sai che Aida deve fare tutto quello che le dico io!»
«Dai, Rami! Non essere cattivo!» lo supplicò lei.
«Ho detto di no!» replicò il ragazzo, cercando di aggirarla per agguantare la sorella.
Tuttavia, mentre i due erano impegnati a battibeccare, furono raggiunti dai turisti spagnoli che erano stati truffati dai cammellieri, i quali avevano bisogno di Rami per poter saldare il soggiorno, tradendo una certa fretta di lasciare l’Egitto.
Allora, approfittando del fatto che il concierge fosse preso dai clienti, Jamila sfuggì al suo controllo, ammiccando ad Aida, per poi dirigendosi verso le cucine e il giovane non poté far altro che guardarla andar via con la coda dell’occhio.

Era passato più di un quarto d’ora da quando la comitiva europea aveva chiesto il conto del soggiorno e, finalmente, Rami era riuscito a stampare e firmare tutte le ricevute, senza, però, smettere nemmeno per un istante di guardare Giancarlo in tralice, ampiamente ricambiato dal giovane.
Nel frattempo, anche Claudia, intenta a farsi aria con il suo immancabile ventaglio, non aveva staccato un momento gli occhi da Aida, sul volto un’espressione di orrore misto a disgusto, perché, se aveva pensato che il cugino stesse recitando la solita farsa, divertendosi come era solito fare, in quel momento fu costretta a ricredersi. Infatti, l’essersi prodigato per lasciare un regalo a Samir e le occhiate ammirate che lanciava furtivamente alla ragazza non lasciavano spazio ad altre interpretazioni, se non quella che fosse fin troppo coinvolto.
La giovane era così irritata che, ad un certo punto, si voltò per non essere costretta a guardare quello scempio, ma il fidanzato si limitò ad alzare le spalle e muovere le labbra come a dire: «Te l’avevo detto!»
Intanto, mentre Ralf dava direttive per la partenza, Andrew scrutava la scena a braccia conserte, sempre più meravigliato, convinto ormai che le avesse viste tutte, dopo che quel cialtrone di Gianni aveva dimostrato di essere molto accorto se era in gioco qualcosa che gli interessava veramente, come aveva dimostrato quando era andato a bussare alla loro porta, facendo fatto leva sui valori nei quali credeva la giovane avvocata per ottenere quello che gli sarebbe tornato utile.
Osservando la scena che si stava svolgendo davanti a sé, lo scozzese inarcò un sopracciglio, giacché sapeva, anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto minaccia di morte, che la mossa che aveva progettato il biondo era alquanto interessante, così come lo sarebbe stato vedere se e quali risultati avrebbe ottenuto.
Aida, invece, era rimasta per tutto il tempo in disparte in un angolo della stanza, fissando rassegnata Rami e Giancarlo, impegnati in un muta e reciproca offensiva, sicura che non si sarebbe estinta tanto presto, fino a coinvolgere chissà quanti altri personaggi e teatri.
«Na schön» annunciò infine Ralf. «Abbiamo sbrigato tutte le formalità ed ora possiamo andare!»
Tese quindi la mano a Christine, preoccupatissima per la traversata che la attendeva, aiutandola ad alzarsi da uno dei divanetti, per poi prenderla sottobraccio e condurla fuori.
La coppia venne dapprima imitata da Andrew e da Mary Anne e poi da Olivier e da Claudia, la quale distolse rapidamente lo sguardo schifato che aveva rivolto ad Aida. Quella, però, se ne accorse e dedusse di non andarle particolarmente a genio, tanto è vero che si sentì immediatamente sollevata quando vide la sparire oltre la porta.
In realtà, sapeva perfettamente che era la cugina di Giancarlo, poiché avevano in comune la carnagione chiara e gli stessi capelli dorati li facevano somigliare molto, tuttavia, per fortuna, gli occhi erano diversi, in quanto quelli della ragazza erano scuri, altezzosi ed in grado di farla sentire inferiore, nonché insignificante con un solo sguardo.
Claudia, però, era molto bella e, indubbiamente, doveva aver ricevuto un’educazione molto raffinata, come si vedeva dal modo in cui camminava, si vestiva, parlava e perfino da come sventagliava, muovendo appena il polso e lasciando il resto del braccio immobile e Aida era cosciente che non sarebbe stata mai così.
Infine, arrivò il momento dei saluti definitivi e nella hall rimase solo Giancarlo, perso nella contemplazione di quella fanciulla che aveva cambiato tanto il suo modo di vedere le cose.
«Non è il momento di andare?» lo esortò Rami, impaziente di vederlo fuori dalla circolazione una volta per tutte, ma, in risposta, il biondo gli scoccò un’occhiata beffarda.
«Oh, non credere che ti libererai di me così presto, perché ho fatto a tua sorella una promessa che intendo mantenere!»
Il giovane si rivolse quindi alla ragazza, cambiando completamente tono: «Mia dolce Aida, sappi che il mio pensiero sarà costantemente rivolto a te» annunciò, con istrionica e ampollosa ispirazione. Poi, ammiccò nella sua direzione e lanciò un’ultima occhiata di sfida al concierge, per poi uscire di scena, come un attore alla fine di un atto.
Tuttavia, tale esibizione ebbe il potere di far ridere di cuore Aida, che ritrovò subito la serenità che la boriosa e insopportabile Claudia, con il suo atteggiamento pieno di superbia, le aveva tolto.
«Promessa? Di quale promessa sta parlando?» si intromise Rami, sospettoso.
«Niente, una cosa tra di noi» rispose rapidamente lei, rimanendo sul vago.
L’altro, allora, sembrò essere seriamente sul punto di perdere la pazienza.
«Si può sapere cosa ci trovi in lui?!» abbaiò. «Non riesco ancora a credere che tu abbia rifiutato la proposta del mio amico Mohammed. Mi pare che sia molto apprezzato dalle donne, inoltre gestisce il traffico di petrolio verso mezza Europa: cos’altro avresti voluto di più? Se avessi accettato di sposarlo, a quest’ora saresti stata ricca quanto una regina!»
«Non lo metto in dubbio, ma sarei stata una regina triste, poiché non lo amo e non è affatto il mio tipo» rispose con giudizio lei. «Invece, Giancarlo è gentile, sa la differenza tra Bernini e Borromini, mi fa sorridere e...»
Poi si fermò un attimo, abbassò lo sguardo e, incurvando dolcemente le labbra, aggiunse: «Ha davvero un buon profumo».
«Ancora ti ostini a giudicare le persone in base al profumo che indossano?!» la riprese il fratello, tra lo sconcertato e il furente.
«Alcuni sono proprio disgustosi e mi fanno venire il voltastomaco, mentre il suo è veramente piacevole e rispecchia pienamente il suo carattere» replicò serenamente Aida e, dopo aver recuperato il regalo per Samir, si allontanò, canticchiando.
Rami, allora, le riservò uno sguardo spiritato, additandola come se fosse uscita di senno.
«Sei impazzita, per caso? Che razza di risposta è?!»
***

Il terminal del traghetto per Patrasso era pressoché vuoto: era una pigra mattinata di fine settembre e nessuno, sia tra i passeggeri che tra il personale, sembrava disposto a correre o ad affaticarsi.
L’unica che, invece, sembrava fremere era Claudia, la quale fissava insistentemente suo cugino sventagliandosi nervosamente, con tanta foga che, se non avesse smesso, nel giro di poco avrebbe ridotto a brandelli tutto il prezioso pizzo sangallo.
«E così quella era il tuo nuovo giocattolo?» gridò, inviperita, ignorando volutamente tutti quelli che si girarono a guardala, sorpresi.
In risposta, Gianni si limitò a lanciarle un’occhiata obliqua, per nulla intenzionato ad assistere all’ennesima scenata di gelosia.
«Claudia, per favore, non qui!» le sibilò, infastidito.
«Nel fare il galletto, però, non mi pare tu abbia mai fatto caso a dove ti trovassi!» ribatté lei, con voce stridula.
Il ragazzo, allora, assottigliò appena lo sguardo, reprimendo faticosamente l’istinto di strozzarla, e poi valutò attentamente cosa fare, poiché non voleva che nessuno, compresi i loro compagni, sentisse, poiché non erano affari loro ciò che si sarebbero detti.
Così, si avvicinò cautamente a Claudia e le propose di uscire un attimo fuori per discuterne in maniera adulta e fortunatamente la cugina, con una smorfia altezzosa, accettò. Ovviamente, li seguì anche Olivier, il quale aveva il privilegio di poter assistere, essendo il fidanzato di lei.
«Cosa ti sei messo in testa?!» esordì la ragazza, minacciando il cugino con il ventaglio chiuso. «Quella sciacquetta non fa assolutamente per te! Non ha un briciolo di fascino, è troppo infantile, troppo vuota4
Il giovane, che solo a sentire l’orribile epiteto, aveva inarcato inverosimilmente le sopracciglia, fissò a lungo l’altra ad occhi socchiusi, cercando di capire dove volesse arrivare.
«Puoi avercela con me quanto ti pare per la storia di Maria Chiara» le rispose, sicuro, «ma non cambierò idea, perché non sono disposto a fare da zerbino ad una fredda calcolatrice come lei».
«Una fredda calcolatrice? Maria Chiara muore per te, anche se davvero non so come faccia! Ha uno stuolo di pretendenti che le vanno dietro, eppure ha avuto il coraggio di rifiutarli perché ti adora! E poi, è bellissima, colta, ricca ed educata secondo le maniere più fini!» strillò sguaiatamente Claudia, gettando definitivamente alle ortiche il suo charme.
Giancarlo, a quel punto, la fissò talmente tanto disgustato che lei, anche se per un misero istante, tentennò, smarrita.
«Non hai alcun diritto di dirmi cosa devo o non devo fare» le sibilò, infarcendo di disprezzo ogni parola. «Conosco Maria Chiara Odescalchi e so che l’unica cosa che le interessa di me sono i soldi e le proprietà, che vuole per accrescere le sue finanze».
«Perché, quelle due baldracche non sono attratte dal tuo patrimonio?» replicò la ragazza, inferocita. «Di’ la verità, quante chiamate ti hanno fatto, da quando siamo partiti?»
«Ti riferisci a Rosetta e Bianca5?» domandò lui, infastidito dall’esser stato costretto a citarle. Avrebbe dato qualunque cosa, pur di poter cancellare l’ambigua relazione che, in passato, era intercorsa tra lui e quelle due. «Forse hai dimenticato che, recentemente, ho cambiato sia il cellulare che la sim e che non hanno il mio nuovo numero».
«E per fortuna!» esclamò l’altra. «Altrimenti quelle due pezzenti poco di buono ci avrebbero rovinato la vacanza!»
Il ragazzo stava per replicare, ma lei glielo impedì, riprendendo il discorso e rincarando la dose, fino ad arrivare a dire quello che, probabilmente, voleva sin dall’inizio: «Puoi dire quello che vuoi, ma la verità è che Maria Chiara dovresti sposarla e questo non ti va bene, o sbaglio? Tu preferisci essere libero! E adesso hai la tua nuova sgualdrina, della quale ti dimenticherai ancor prima di mettere piede in Grecia!»
Seguì una pausa, durante la quale Olivier, che era stato in disparte per tutta la lite, decise di avvicinarsi alla sua ragazza, prevedendo guai seri, poiché non gli era sfuggito l’impeto iracondo che era passato sul volto di Giancarlo nel sentire quelle parole. Quello, infatti, dovette contare fino a dieci per farsi passare la tentazione di metterle le mani al collo.
«Non ti azzardare mai più a chiamarla così» le ringhiò contro, infuriato come non era mai stato. «Non ti permetto di riferirti ad Aida, che è quanto di più incontaminato abbia mai visto, con appellativi che meriterebbero, invece, le amiche che tanto ti affanni a sponsorizzare! Io so quello che voglio e non sarai certo tu ad impedirmi di ottenerlo, chiaro?»
Il francese rimase colpito da quanto udì, anche se sapeva già che, quando voleva, Gianni sapeva essere molto profondo, come anni prima, quando era stato l’unico della squadra ad insistere strenuamente sul fatto che quei i Blade Breakers avessero dalla loro qualcosa di speciale, una forza che andava oltre ogni aspettativa quale è la vera amicizia.
Claudia, invece, serrò le labbra, riprendendo a sventagliarsi in maniera più tranquilla, ma ciò che disse poco dopo dimostrò che era solo apparenza.
«Non finisce qui!» gli sussurrò, minacciosa, rivolgendogli il suo solito sorriso sinistro. Poi, fece un cenno ad Olivier e si avviò verso il terminal per raggiungere il resto del gruppo. A quel punto, il francese salutò l’amico con un cenno del capo, come a fargli capire che era d’accordo con lui sul fatto che la sua fidanzata avesse esagerato, affrettandosi a raggiungerla.
Rimasto solo, Giancarlo si ritrovò a pensare che Claudia aveva superato tutti i limiti con quella sua gelosia ossessiva. Non si meravigliò, a quel punto, che la sua storia con Massimo Colonna fosse finita nel peggiore dei modi, poiché, tra l’eccessiva avidità di attenzioni esclusive da parte di lei e la natura davvero poco fedele di lui, avevano formato una coppia veramente male assortita.
Scacciando quelle ultime considerazioni, il giovane scosse la testa, voltandosi ad osservare il mare rifulgere come un cristallo sotto i raggi del sole autunnale e rimanendo incantato dalla bellezza della natura che troppo spesso aveva ignorato, preso da frivoli passatempi, e fu contento che il destino lo avesse condotto fino a lì.
Dopo l’importante crisi di coscienza che aveva affrontato, non si sarebbe certo lasciato influenzare da qualche commento gratuito, soprattutto se detto da una cugina retrograda, anzi, al massimo, avrebbe tenuto conto di ciò che avrebbero detto Marcello e Beatrice, poiché rimanevano pur sempre i suoi genitori.
La prospettiva di avere una seconda occasione lo riempì improvvisamente di una voglia di ricominciare: a lui quella ragazza piaceva sul serio e sentiva chiaramente che non era solo una questione di attrazione fisica, perché Aida, con la sua dolcezza e la sua forza interiore, era stata la prima a riuscire a smuovere qualcosa nel suo animo. Così, deciso più che mai a perseguire il suo obiettivo, alzò la testa e, con incedere sicuro, ripercorse i propri passi, facendo ritorno dai suoi compagni.

Come al solito, Yussef stava scaricando le cassette sul molo, ma, dopo la quinta, dovette tirarsi su tenendosi la schiena, giacché la fatica si faceva sentire e da diverso tempo non era più un giovanotto nel fiore degli anni.
Ad un tratto, però, notò uscire dal terminal, diretta verso l’attracco di uno dei traghetti, la stessa comitiva eterogenea che aveva visto arrivare il martedì precedente, nelle stesse posizioni in cui li aveva visti la prima volta: la nordica era sempre preoccupata, probabilmente perché non era amante delle traversate, mentre il tedesco camminava sicuro e impassibile, i due britannici ancora annoiati e la bionda e il suo fidanzato, invece, si atteggiavano a coppietta in viaggio di nozze, perciò l’unico del gruppo a sembrare diverso fu il ragazzo dall’aria strafottente che, quel giorno, appariva molto serio e camminava assorto nei propri pensieri, preso da qualcosa. O, forse, da qualcuno.
Il pescatore, mentre i giovani gli passavano davanti senza notarlo, concesse loro solo una fugace occhiata, poco prima di riprendere ad impilare le cassette, dopo aver fatto una breve valutazione di quante ancora doveva scaricarne. Scorgendone ancora troppe sulla barca, sospirò e si rimise a lavorare, borbottando: «Turisti...»





***
Gli eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità.
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[N.d.A.]
1. Excalibur: la nuova squadra europea nella serie Beyblade Metal Masters;
2. fennec: mammifero carnvoro dei deserti africani, simile ad una piccola volpe con orecchie enormi;
3. Aegyptus... cepit: rivisitazione voluta della citazione oraziana “Graecia capta ferum vicitorem cepit” [ossia la Grecia presa (dai Romani) conquistò il feroce vincitore (con la grandezza della sua cultura) - Orazio, Epistulae, II]. Qui, Olivier gioca sul fatto che l’Egitto sia stato in passato colonia romana, nonché sulla considerazione che Giancarlo, conquistatore romano (anche se non di terre), sia stato a sua volta conquistato dalla dolce Aida, appartenente al popolo egiziano;
4. vuota: Claudia, in quanto sommelier, usa questo termine nell’accezione enologica; esso denota un vino mancante dei componenti essenziali della corposità e privo di qualità;
5. Rosetta e Bianca: secondo il doppiaggio originale e quello americano, sono le due ami(o)chette di Giancarlo, incontate negli episodi 35/36 della prima serie.
* Trovandomi in fase di rielaborazione del testo, aggiungo anche delle “curiosità”. I diminutivi di Aida e Jamila sono dei retaggi rimasti dal periodo in cui Samir era molto piccolo e non riusciva a pronunciare correttamente il nome di nessuna delle due.
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Ad Aly,
mia fidata Cappellaia,
che mi ha aiutato a riordinare i Palmi Pedoni
  
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