Non
sono solita a scrivere NdA prima del capitolo, sono fermamente convinta
che distrugga la grafica del post, ma mi sento in dovere di dire
qualcosa stavolta. Credo sia importante.
Infantility
non è un titolo a caso. Significa
infantilismo,
e designa una grave e rara malattia che va a intaccare la mente e il
corpo di un individuo che ne è affetto. L'infantilismo
comporta un difetto di crescita; il soggetto conserva caratteristiche
psichiche e somatiche tipiche dell'infanzia.
Prima
di iniziare a scrivere questa storia, non sapevo nulla della malattia,
ma mentre cercavo un titolo da darle, "Infantility" mi
lampeggiò nella mente, senza come né
perché. Non sapevo nemmeno cosa volesse dire.
Allora
ho iniziato con le ricerche e ho scoperto, leggendo, gli orrori
psicologici che queste povere persone sono costrette ad affrontare,
giorno dopo giorno, e ho preso a cuore ogni loro storia.
In
un certo senso, Infantility rappresenta metaforicamente la malattia
omonima, e ho
deciso di dedicarla ad ognuna di queste persone, perché
ognuna di loro è speciale... anche
se non lo sapranno mai.
In
conclusione, prima di lasciarvi al capitolo, dopo questa mia nota un
po' triste e drammatica volevo tirarvi un po' su di morale e farvi
sorridere un po' ^^'
In
questi giorni, ho preparato un video che vorrebbe fare da trailer a questa
mia fanfiction xD Dico vorrebbe
perché
è la prima volta che creo interamente un video su youtube,
la prima volta che uso Movie Maker, la prima volta che mi metto in
gioco così... Insomma, è uno schifo, ne sono
consapevole xD
Semplicemente,
mi piaceva l'idea e volevo un po' divertirmi ad assemblare i pezzetti
che avevo in mente ^^' Non siete costretti a guardarlo, anche
perché è un grandissimo
spoiler di quella
che sarà la storia, anche se sinceramente credo che dal
video si capisca ben poco xD Comunque,
se aprirete il link, sarà a vostro rischio e pericolo v.v Io vi
consiglio un digestivo prima, se avete appena mangiato,
perché non vorrei essere la causa di stomaci contorti e
indigestioni varie xD
Per
vedere il video, cliccate sul banner della fanfiction qui sotto :)
Spero comunque che vi piaccia (che speranze vane, le mie xD)!
Ora
vi lascio al capitolo, ci risentiamo di sotto ^^ Buona
lettura!
1. Meredith
Montréal
mi piaceva.
È
vero, lo smog rendeva quasi fastidioso respirare, ma la bellezza
storica che colmava quella cittadina riusciva sempre ad affascinarmi.
Ogni volta che ci tornavo, avevo la sensazione di essere di nuovo a
casa.
Forse
era il sapore europeo che mi scaldava il cuore così. Il
Québec, in un certo senso, possedeva un pezzo della mia cara
Bordeaux. Anche se, dovevo ammetterlo, la Vieux-Montréal col suo
centro storico surclassava di molto quello della mia città
natale. Ma forse ricordavo male.
«Meredith,
lo senti?».
Okay,
la Francia non era proprio il mio paese di nascita, ma non avevo mai
vissuto abbastanza a lungo in un posto per sentirlo… mio.
Solo Bordeaux, immersa nei suoi splendidi vigneti, aveva trovato un
piccolo posto speciale dentro di me. E poi, adoravo parlare francese!
«Meredith!».
«Che
c’è?», sussurrai seccata.
«Un
po’ di concentrazione, per Dio!».
Sbuffai
impercettibilmente. Si fa per dire.
«Se
hai sentito qualcosa, è inutile che sussurri,
perché quel qualcosa si sarebbe già accorto di
noi», risposi alzando il tono di voce. Mi rizzai da
accovacciata com’ero e mi sedetti comodamente sul parapetto
dell’edificio, lasciando che le gambe penzolassero nel vuoto.
L’aria
fresca di primavera inoltrata mi sferzava il viso e mi scompigliava i
capelli, neri come quella notte.
«Cosa
ti tormenta, Meredith? Qualche ora fa stavi
bene…».
Mio
padre aveva il brutto vizio di preoccuparsi troppo. A volte poteva
passare per la tipica madre apprensiva… se naturalmente non
fosse stato affetto dal cromosoma Y. Dicono che le donne sono gli
esseri più complicati di questo mondo e che quando gli gira
per i fatti loro diventano isteriche e intrattabili, ma, stando
all’istinto materno, mio padre non era poi tanto diverso da
noi. Per quanto mi riguarda, non avevo di questi problemi.
«Niente,
Caleb. Solo un po’ di sana nostalgia». Mi voltai a
guardarlo e gli sorrisi mestamente.
Era
alto, molto alto per me, e piuttosto magro. I pantaloni neri e la
camicia azzurra nascondevano i muscoli poco pronunciati. Aveva
lineamenti dolci seppure un po’ scavati, gli occhi di un
castano scuro e i capelli dello stesso colore raccolti in una piccola
coda che gli ricadeva dietro le spalle. La pelle bianca si notava a
stento con le luci eccessive della città, mentre io sapevo
che sembrava quasi risplendere sotto il chiarore lunare. Era bello, mio
padre.
«Montréal
ti fa sempre quest’effetto, non è
vero?», domandò comprensivo.
Annuii.
«Perché non ci stabiliamo qui per un
po’? J'aime
l'atmosphère française… e toi aussi!».
Dio,
quanto adoravo parlare francese!
«Sai
che non possiamo, Meredith», si avvicinò,
«Ci siamo già fermati abbastanza».
«È
trascorsa appena una settimana!», esclamai, ma con nessuna
vera speranza di successo. Sapevo che aveva ragione.
«Per
l’appunto», concluse.
Abbassai
lo sguardo, delusa. Ero stanca di fare quella vita, di fuggire, di
nascondermi. Per una volta avrei semplicemente voluto avere una mia,
una nostra casa, di quelle belle fuori città, con un
giardinetto da curare ogni giorno e un salotto con le pareti tappezzate
di mensole e quadri dove poter riporre le foto dei nostri viaggi, unici
resti del nostro passato. Dopo qualche tempo, avremmo finito per
rimirarle con un pizzico di malinconia…
Certe
cose sono fatte per andare e venire, il tempo è fatto per
essere passato, presente e futuro, altrimenti nulla avrebbe
più davvero senso. Ma la verità è che
il cambiamento era un privilegio che ci era negato e vivere iniziava a
perdere di significato.
Ecco
perché ci trovavamo sul tetto di un palazzo, quella notte.
Stavamo dando un senso a ciò che eravamo.
«Quando
credi che si deciderà a farsi vivo?», gli chiesi
un po’ spazientita. «È da quando
è calato il sole che lo stiamo aspettando!».
«Presto,
Meredith. Questa sera avrà bisogno di nutrirsi»,
mi rispose, scrutando la città. «Dubiti delle mie
doti di spionaggio?», domandò in tono scherzoso.
Vederlo sorridere mi rendeva gioiosa, anche perché non
capitava spesso, anzi era così raro che, se avessi provato
ad immaginarlo, non ci sarei riuscita. Eppure, con lui ero felice.
La
mia fu una risata cristallina. «Assolutamente no, grande
capo!».
Si
stava rivelando una bella serata, dopotutto. Era un peccato che il
cielo fosse cupo, un po’ di stelle non avrebbero guastato.
Almeno nell’attesa avrei ripassato le costellazioni. La
pazienza non era decisamente il mio forte.
Sospirai
e chiusi gli occhi, decisa ad ascoltare ciò che andava oltre
il mio udito. Scacciai ogni nota di vivacità che avevo in
corpo e richiamai l’assoluta concentrazione, pronta e
determinata a fare il mio dovere.
Portai
una mano al petto e strinsi tra le dita il piccolo crocefisso
d’argento, ormai annerito dal tempo. Era una delle cose a cui
tenevo di più e la portavo sempre al collo, come fosse parte
di me, alla faccia di chi per decenni aveva insinuato che fosse nocivo
per noi. Me lo regalò Caleb per il mio tredicesimo
compleanno, o quinto, che dir si voglia, e mi aiutava a scacciare i
pensieri brutti quando avevo paura.
Lo
accarezzai con attenzione, mentre a bassa voce recitavo una preghiera.
«Signore,
dammi la forza. Dammi il vigore di correre, stanotte, più
veloce dell’Oscurità. Dammi la foga per fermarla e
sconfiggerla. Dammi il coraggio per fare giustizia, e questo giorno
un’altra anima verrà salvata».
Caleb mi fece da eco mentre pronunciavo l’ultima frase.
Sospirai
di nuovo e stavolta sentii l’energia che vibrava dentro il
mio corpo, un formicolio che mi si esaurì in viso,
così seppi che la mia espressione innocente era cambiata.
Quando aprii gli occhi, avevo lo sguardo da omicida.
I
miei sensi si estesero e percorsero le vie della città
sottostante, cercando carne fredda, vuota, selvaggia. Inumana. E la
trovarono.
Qualcosa
correva nella notte, veloce e silenzioso. Era nella periferia, al
porto.
Potevo
sentire il suo respiro ansante, ma non di affaticamento. Quello era un
respiro diverso, carico di brama, di desiderio… di morte.
Era
a caccia. E noi stavamo per iniziare la nostra.
Caleb
mi sfrecciò davanti e saltò dal tetto su cui
eravamo a quello adiacente, poi quello dopo ancora, correndo verso la
banchina, così mi alzai e lo seguii. Ora ero io a sferzare
il vento.
Correre
mi veniva automatico. Solo gli occhi seguivano i miei passi veloci,
mentre gli altri sensi si proiettavano molto più avanti,
dove la preda si spostava. La sua sete di sangue era diventata la mia,
ed era talmente esasperante da seccarmi la gola. Sete.
Un
ringhio gutturale mi fece tremare il petto e potei sentire il mio
autocontrollo che s’incrinava. Il mio olfatto allora si
espanse e percepì litri e litri di calda e dolce linfa che
scorreva nelle vene di centinaia di passanti, di umani che riposavano
ignari nei loro letti, nei palazzi che oltrepassavo, uno dopo
l’altro.
Deglutii
a fatica e cercai di nuovo la concentrazione per continuare
l’inseguimento. Ormai eravamo vicini alla banchina.
Vidi
Caleb saltare giù dall’ultimo palazzo e lo sentii
continuare la corsa lungo il fiume, allora cambiai strada e costeggiai
il suo passo dall’alto. Avevamo le nostre tecniche di
accerchiamento e io ero l’Effetto Sorpresa. Inutile dire che
la cosa non mi dispiaceva. Rendeva il gioco molto più
divertente.
Mi
fermai, non potendo evitare di strisciare le mie Nike per qualche
metro. La lotta era cominciata.
Il
vampiro stava difendendo il suo territorio.
Cambiai
di nuovo direzione, stavolta sfrecciando diretta verso il San Lorenzo.
Arrivata
all’ultimo edificio prima della banchina, saltai. In
quell’attimo, li vidi mentre combattevano come due grossi
felini, sibilando e azzannando l’aria. Nella frazione di
tempo prima che saltassi addosso alla preda, Caleb si
divincolò e lo spinse alla mia portata. Si era accorto di
me, lo vidi dall’occhiata feroce e sanguigna che mi
scoccò, ma non abbastanza in fretta per reagire,
così gli scaraventai contro tutta la mia forza e ruzzolammo
entrambi lungo il marciapiede. Lo bloccai sotto di me appena prima di
finire dentro l’acqua ― pura fortuna, non certo grazie alla
mia accortezza ―, gli piantai il mio ginocchio destro alla base dello
sterno e gli serrai gli avambracci con le mani.
Sentii
la pressione che esercitava sulle braccia per sciogliersi dalla mia
stretta e dovetti rinserrare la presa, tanto che vidi la sua pelle
creparsi, allora smise di dimenarsi e mi guardò con un misto
di rabbia e sgomento negli occhi. Straordinariamente, riesco ad essere
l’Effetto Sorpresa più di una volta nel
combattimento! Nessuno mi attribuirebbe mai una tale forza. In un certo
senso, adoravo essere sottovalutata così.
«Dovevate
essere tutti morti!», ringhiò. Da parte mia,
sorrisi dolcemente, nonostante quegli occhi rossi mi disgustassero. Il
suo viso era quasi irriconoscibile, sfigurato dalla smorfia di sete e
dolore, di odio e narcisismo, dal senso di difesa che conferisce lo
scoprire i denti affilati.
Comunque,
pensai che doveva essere un bel ragazzo da umano.
«Io
sono morta».
La
mia risposta più che tranquilla lo fece infuriare ancora di
più. «Questo è il mio territorio e lo
rivendico!». La sua voce era rauca e graffiata dagli anni di
una vita selvatica.
«Ti
senti davvero in grado di reclamare qualcosa da quella
posizione?», domandò Caleb alle mie spalle.
Quant’era maligno!
Il
vampiro gli sibilò contro e riprese a dibattersi con
più impeto di prima. Fece leva sulla mia stessa presa e mi
alzò sopra la sua testa, scaraventandomi qualche metro
più avanti sulla banchina.
Mi
rialzai subito e lo vidi mentre si lanciava su Caleb, furente. Ringhiai
mentre gli balzavo di nuovo addosso, decisa a porre fine a quella
seccatura.
Gli
piantai la mano sinistra alla base del collo e con l’altra
gli afferrai un polso. Caleb fece lo stesso con l’altro
braccio. Le sue giunture si spaccarono con un sonoro schiocco. Con uno
strattone deciso, gli strappammo gli arti superiori e le sue urla
riempirono il mio udito, mischiandosi a tante altre che la mia memoria
non aveva dimenticato.
A
quel punto Caleb si allontanò, lasciandomi fare. Mi
aggrappai con le gambe ai suoi fianchi, per portarmi alla sua altezza,
e tornai a guardare negli occhi la mia preda. La paura che vidi non era
altro che il riflesso di molte altre che in passato avevano
attraversato il mio viso, quello di altre mie prede e delle sue.
Gli
presi il volto fra le mani, come una donna può fare con il
suo amante per baciarlo appassionatamente prima di una lunga e dolorosa
separazione.
«Giustizia
sarà fatta su di te, in nome di coloro che hanno perso la
vita per donarla al tuo corpo senz’anima».
I
suoi occhi si spalancarono e si riempirono di puro terrore, poi feci
ciò che già avevo fatto con le sue braccia e le
urla cessarono di annebbiarmi la mente.
Ritoccai
terra con i piedi un attimo prima che il suo corpo straziato si
afflosciasse e mi crollasse davanti.
«Che
Dio possa perdonare ciò che di umano ti è
rimasto», mormorai e mi feci il segno della croce.
Alzai
lo sguardo dai resti e vidi la mia immagine riflessa sul vetro di un
edificio a specchio, ma non c’era niente che rivelasse la
donna dalla forza e la ferocia disumane che aveva appena commesso un
omicidio. Rasentavo l’immagine dell’innocenza.
Il
mio sguardo era l’unica cosa che lasciava trapelare la mia
vera essenza, la mia vera età, il mio reale tormento. Occhi
di ghiaccio, senz’anima, graffiati da ciocche di capelli del
colore della notte più cupa. La Tenebra in persona,
immedesimata in un corpo troppo giovane per le sue tetre gesta.
Ma
io non ero come loro, non ero un’assassina. Non
più.
Ero
la loro giustiziera. L’arma di Dio.
Una bambina immortale.
Buongiorno, cari
lettori! xD
Sì, lo so cosa state pensando... sono come un fungo
fastidioso, ogni tanto ricompaio! Ma cosa posso dire? Scuola, lavoro,
qualche visita alla sala gessi e un pessimo, lungo periodo nero che
mi ha allontanato da ciò che mi era più caro.
È passato più di un anno dall'ultima volta che ho
scritto qualcosa di concreto, non so se per mancanza di ispirazione o
per aver anteposto altre cose alla scrittura. Probabilmente, entrambe
le cose e me ne vergogno. Scrivere non mi ha mai deluso, è
un piacere continuo che mi dà esattamente quanto gli concedo
io, mai di meno.
Come ho detto, è da molto tempo che non scrivo e credo di
aver perso un po' la mano... Questo primo capitolo l'ho scritto
veramente col cuore, troppo felice di riprovare l'emozione di riempire
quelle pagine di word, riga dopo riga, ma mi rendo conto che questo me
lo fa vedere con occhi diversi ^^' Siate voi imparziali al posto mio e
ditemi le vostre impressioni... credo di averne proprio bisogno! xD
Il personaggio di Meredith si spiegherà meglio nei prossimi
capitoli, man mano che le storia s'infittirà, ma io, che
già la conosco bene, non posso fare a meno di amarla...
Spero sappia entrare anche nei vostri cuori :)
Ripeto ciò che ho scritto sopra, se vi interessano gli spoiler e se con
questo primo capitolo vi ho incuriosito almeno un po', QUI
trovate una specie di trailer
di Infantility xD
Grazie di avermi
ascoltata, grazie di aver letto, grazie se vorrete recensire
(risponderò ad ognuna di voi, naturalmente, con la mia
solita prolissione xD)!
Ricambierò volentieri il favore :)
Au revoir, mes chers
lecteurs! :)
Hilary
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