4_Like a dark sky
«Vincent, perché hai quell'espressione cupa? È... successo qualcosa mentre non c'ero?».
Gilbert si chinò al
fianco del più giovane - seduto e rannicchiato a ridosso della
parete del vicolo dove vivevano, le gambe ripiegate verso il petto ed
il mento appoggiato sopra le ginocchia - e lo esaminò: la sua
espressione era piuttosto triste e scura, quasi depressa.
A causa dei ciuffi di
capelli più lunghi che si era fatto crescere per nascondere i
suoi occhi bicromi al mondo, il più grande non riusciva a vedere
benissimo e forse era per quello che non si era accorto prima del suo
atteggiamento.
Vincent abbassò le sopracciglia, corrugandole, assumendo uno sguardo se possibile ancor più triste.
«È colpa mia se sei costretto a vivere qui in questa miseria. Perché non te ne vai?» borbottò.
Gilbert si fece all’improvviso serio.
«Ancora con questa
storia?» chiese, alzandosi per dare maggior rilievo alla sua
espressione inaspettatamente severa «Perché continui a
farti di questi problemi?».
Il biondo assunse un’aria mortificata.
«Perché tu non
sei maledetto e non hai fatto niente. Non devi stare con me per forza.
So che quest’occhio rosso porta sciagure con sé e non
voglio che ti capiti... niente di male...» disse, esitando sulle
ultime parole per il dolore che gli provocavano: non solo lasciava che
altri gli dicessero che la sua stessa esistenza era una sciagura per
chiunque gli stesse attorno, ma lo diceva anche lui stesso.
Gilbert percepiva quasi a
tatto quanto il fratello soffrisse per quella situazione e se ne
dispiaceva profondamente: capitava sempre più spesso che Vincent
si colpevolizzasse della loro condizione di vita, nonostante più
volte gli avesse ripetuto che non l’avrebbe mai abbandonato, per
nessuna ragione al mondo.
Eppure, il suo fratellino
vedeva le cose con sempre maggiore cupezza. Erano ormai lontani i tempi
in cui Vincent gli sorrideva con l’espressione scintillante di
vita, incurante di tutte le cattiverie che venivano perpetrate a suo
danno.
Era stato l’inizio di quella tragedia che sembrava però non avere mai una fine.
Non riusciva a capire
perché dovesse darsi la colpa per tutto ciò che di
spiacevole capitava loro: sapeva per certo che Vincent, a dispetto
delle proprie parole, gli era molto affezionato. Lo capiva dalla
fievole seppur calda luce che gli illuminava il viso ogni volta che si
stringevano l’uno all’altro per ripararsi dalla pioggia con
il lacero mantello grigio che lui indossava.
Sapeva che abbandonarlo a
sé stesso avrebbe significato morte sicura per lui non solo
fisicamente, ma anche interiormente: senza il suo supporto morale,
temeva che il suo fratellino avrebbe finito col perdere il senno e
tentare addirittura di togliersi la vita con le sue stesse mani.
Senza la sua presenza,
Vincent avrebbe finito col perdere anche la debole fiammella che
rischiarava - seppur tenuemente - le tenebre assolute in cui era
avviluppata la sua vita.
Il maggiore si
appoggiò contro la parete e si lasciò scivolare a terra,
accanto al più giovane: non aveva la minima intenzione di
lasciarlo a crogiolarsi nel grigiore del suo modo di vedere il mondo.
Non gli avrebbe permesso di perdere di vista la luce che, nelle
difficoltà molteplici che incontravano ogni giorno, poteva
comunque essere scorta.
«Sai, Vince...» disse, girandosi verso di lui «... è da un po’ che ci penso...».
«A cosa, Gil?» domandò l’altro, curioso.
Gilbert gli sorrise. La sua
espressione divenne improvvisamente più calda e Vincent si
sentì piacevolmente abbracciato da essa come se fosse
fisicamente cinto dalle braccia del fratello.
«Tu... vedi tutto con troppa negatività...» disse il moro, pacato.
Nel suo tono il biondo carpì una leggera nota di rimprovero.
«Negatività...?» ripeté, mortificato.
«Non fare
quell’espressione abbattuta, per favore» disse il
più grande, prendendogli il mento ed alzandolo fino a che i due
non poterono guardarsi dritti negli occhi.
In quelli di Gilbert,
Vincent colse una scintilla di vitalità che lui non riusciva a
capire, ma che per qualche motivo gli infondeva una serenità
profonda ed apparentemente incontrastabile cui si abbandonò
volentieri.
«Ti sto facendo
preoccupare...?» domandò spontaneamente in tono fievole,
come se temesse di scatenare una qualche sua reazione violenta.
«Non è questione di preoccuparsi» rispose il moro, scuotendo paziente il capo «Ti spiego».
Si guardò intorno,
in cerca di qualcosa che potesse funzionare da esempio. Era diventato
abbastanza abile nel cogliere i significati nascosti dietro le semplici
cose nonostante la tenera età, per cui un qualsiasi oggetto
avrebbe potuto essere funzionale alla sua spiegazione; ma non ne
trovava alcuno.
Poi alzò lo sguardo
e trovò, finalmente, il suo esempio: sollevò un indice
verso il cielo, facendo sì che il biondo rivolgesse alla volta
celeste notturna il proprio sguardo.
«Tu vedi il mondo
come un cielo scuro e senza stelle» esclamò in tono
semplice, senza la minima traccia d’accusa. Era solo una sua
banale constatazione.
Vincent osservava rapito il
cielo, come se esso stesso gli stesse rivelando il significato segreto
insito nelle parole dell’altro, ma non riuscì a coglierlo,
così domandò: «Ed è un male?».
«No, non
proprio» rispose il maggiore con leggerezza: non voleva che quel
discorso - anziché riuscire a tirarlo su di morale - lo
deprimesse ancor di più.
«La luce delle stelle è indispensabile per rischiarare la notte. A te... piacciono le stelle, no?»
«Sì» rispose il più piccolo, accompagnando con un assenso deciso.
«Ecco, la
positività per le persone ha la stessa funzione delle stelle:
serve a rischiarare la vita. Tu, però, non riesci più a
vederla» spiegò «Ed è un peccato...»
aggiunse in tono più affettuoso.
Lo sguardo di Vincent si
posò sul viso del più grande, che notò in esso la
stessa malinconia e cupezza di poco prima.
«Come faccio a vedere positivo...? Non c’è niente di positivo per me in questa vita...» asserì.
«No, non è
vero!» esclamò con veemenza Gilbert, afferrandogli le
guance con le dita e tirandole con forza e delicatezza insieme.
«Cosa stai facendo,
Gil...? M-mi fai male...» riuscì a fatica a dire, mentre
l’altro gli tirava il viso.
«Perché non
posso vederti più sorridere, come facevi prima?»
interloquì il moro, senza smettere di pizzicargli le guance.
Vincent cessò di far resistenza e rimase a guardarlo, stupito.
Gilbert proseguì a
parlare: «Ti vedo sempre imbronciato e sempre triste e mi dici
sempre che dovrei andarmene. Vedi tutto nero, anche il fatto che io sia
qui adesso, ma ho detto che sarei stato con te e ti avrei protetto. Ora
però sembra quasi che tu voglia cacciarmi...».
Il biondo fu lacerato da
quelle parole: suo fratello soffriva per come lo trattava.
Perché non se ne era accorto mai prima di allora?
Lui non voleva che Gilbert, l’unico affetto che aveva al mondo, soffrisse a causa sua e del suo comportamento.
«Gil...» borbottò, mentre le lacrime gli invadevano gli occhi.
Si gettò contro il
suo petto con forza, affondando il viso nel suo torace mentre le
lacrime cominciavano a rigargli il volto e i singhiozzi gli scuotevano
convulsamente le spalle.
«Mi dispiace,
Gil...» lo sentì singhiozzare con un fil di voce, mentre
le sue dita stringevano in modo incontrollato e frenetico il tessuto
del suo mantello lacero.
Gilbert rimase sorpreso ed
interdetto per qualche momento, poi sorrise dolcemente e gli
carezzò il capo con fare affettuoso e protettivo.
«Non fare
così, dai... coraggio, alzati e smetti di piangere, okay?»
disse, prendendolo delicatamente per le spalle e sollevandolo, in modo
tale da poterlo guardare in viso.
La sua espressione era
incoraggiante e consolatrice. Vincent fissò quelle due pozze
gemelle d’oro come se fossero l’unico appiglio rimastogli
per non cadere nella voragine buia e senza fine della follia che si era
aperta sotto di lui.
Il biondo tirò su con il naso e si staccò dal maggiore, il quale gli terse le lacrime dalle guance.
«Avanti, fai un bel sorriso...» lo esortò, sorridendo a propria volta.
Vincent apparve smarrito
per qualche istante, come se avesse dimenticato come fare, poi
però le sue labbra si incurvarono debolmente in un sorriso che
gli illuminò il volto.
«E basta con questi
discorsi tristi, okay? Devi pensare positivo: prima o poi andremo via
da questa strada, te lo prometto» esclamò Gilbert, sicuro
di sé.
Il minore parve acquisire
un po’ di vitalità, mentre annuiva, sospinto dalla
decisione percepita nella voce dell’altro.
«Allora, proverò a guardare il mondo come un cielo stellato...».
Angolino autrice
E' bello tornare a scrivere sul mio amato Vince *O* cucciolotto >/////<
Anyway, anche se mi ero ripromessa
di non mettere più Vince e Gil come unici protagonisti di un
altro capitolo, alla fine non ho resistito *O* perché da
piccolini, nella loro sofferenza, sono pucciosi ù////ù
Spero di essere riuscita a dare un
qualche tipo di spessore alla riflessione di Gil ò__ò e
di non avergli fatto formulare un discorso un po' troppo maturo per
lui, anche se sono del parere che esperienze come quella che hanno
vissuto abbia portato a farlo maturare prematuramente.
Va be', basta ùwù ormai quel che è fatto è fatto.
Ringrazio GMadHattressFromUnderground per la recensione allo scorso capitolo e quanti hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
|