Venticinquesimo Capitolo
Il giorno dopo a svegliarmi fu un dolore allucinante al
braccio. Senza aprire gli occhi, ancora mezza addormentata, cercai di muoverlo,
ma senza risultati. Era come se non ce lo avessi più. Decisi allora di aprire gli occhi, per verificare che brutta fine avesse
fatto. Ancora scombussolata, notai che si trovava sotto la mia testa:
molto probabilmente, senza rendermene conto, lo avevo usato come cuscino, in
assenza di un immediato sostituto. Seccata lo presi
con l’altra mano e lo misi sul fianco. Un tremendo formicolio mi invase tutto l’arto superiore destro. Che
orribile sensazione.
Innervosita da quella brusco sensazione,
decisi di svegliarmi del tutto. Aprii del tutto gli occhi e i pochi e tenui
raggi di sole che filtravano dalla tapparelle mi
permisero di capire che non mi trovavo affatto nella mia stanza.
Improvvisamente sentii un bisbiglio ed ebbi allora un sobbalzo nel sentire che
accanto a me cerca qualcun altro che si muoveva.
Tempo due secondi, e capii di trovarmi in camera di Bella.
Mi trovavo ai piedi del suo letto, accovacciata come se fossi il suo gatto,
mentre sentivo il respiro della mia amica che dormiva. Mi tirai su a sedere e
constatai felicemente che oltre al braccio che continuavo ancora a non sentire
la schiena non si trovava in stati migliori. Cercai di distenderla il meglio
che potevo e sentii tutte le vertebre scroccare
rumorosamente.
Bella riemerse da sotto le coperte, mentre si stiracchiava
anche lei, tirandosi indietro i capelli.
“Buongiorno” mormorai con la voce rauca.
“Oggi proprio non ci sta” brontolò lei, stropicciandosi la
fronte. Io sorrisi per la sua risposta.
“Fidati, sarà come togliersi un cerotto” le ripetei io “E
scommetto che alla fine ti divertirai almeno un pochino.”
Cavolo, chi non si divertiva al proprio matrimonio! Lei rimuginò qualcosa,
scontrosa.
“Hai dormito bene?” chiesi allora, per cambiare discorso.
“Per niente” mi rispose lei “Strani
sogni” tagliò corto. Io rimasi un attimo in silenzio
prima di parlare.
“C’entra qualcosa la conversazione di ieri?” chiesi
titubante.
“Anche” rispose lei svelta.
Passarono ancora alcuni secondi prima che io le
parlassi.
“Scusami, Bella. Non sarei dovuta venire da te ieri notte
a farti quei discorsi” mi scusai, sentendomi ancora in
colpa. Lei sbuffò.
“No, figurati. Anzi, mi sono serviti da lezione” cercò di minimizzare lei. Aprii bocca per risponderle che
farlo in un momento in cui era già abbastanza tesa non era la cosa migliore da
fare, quando il rumore di qualcosa che ripetutamente sbatteva contro il vetro
mi zittii. Quel rumore si ripeté ancora un paio di volte.
“Oh, questo dev’essere
sicuramente Edward” Senza rendersene conto, Bella
balzò dal letto alla velocità di una gazzella inseguita da un leone, per andare
immediatamente ad aprire la finestra. La luce del sole che entrò mi obbligò a
chiudere gli occhi.
“Buongiorno, Bella” disse una meravigliosa voce che non mi
aspettavo di sentire “Mi dispiace tantissimo di averti
disturbata, cara” disse terribilmente dispiaciuta.
“Oh, no, non fa niente, tanto eravamo già sveglie” rispose
Bella, dispiaciuta che non fosse Edward.
Io mi alzai di scatto dal letto e mi avvicinai alla finestra, mentre assonnata
mi stropicciavo gli occhi. Vidi allora la mia mamma strepitosa
aggrappata senza alcuna fatica alla finestra della camera da Bella.
“Mamma, cosa ci fai qua?” chiesi sorpresa. Con un elegante
balzo fu subito dentro.
“Dobbiamo prepararti per il matrimonio, Abi” mi spiegò lei con tono meravigliato, come se fosse un
qualcosa di lampante. “Ti ricordi che sei la damigella d’onore, giusto?” Passai
una mano sulla fronte.
“Ah, già” mormorai al limite della
sconsolazione “Grazie mille, Bella, per l’incarico” aggiunsi poi. Bella
accanto a noi alzò le mani in segno di resa.
“Non guardare me! Ha fatto tutto Alice!”
Il mio sguardo guizzò su di Bella. Cosa? Alice
mi aveva detto che era stata Bella a dirle che voleva
fossi io la damigella! Ma allora… era stata tutta una messa in scena di Alice!
“Forza, Abi, salta su. Non c’è
molto tempo” mi mise fretta mia mamma, entusiasta come
un bambino al parco giochi all’idea di questo matrimonio.
“Mamma, è l’alba. Il matrimonio sarà questo pomeriggio” le
feci notare scettica.
“Appunto” rispose lei, ancora con quel fastidiosissimo
tono da evidenza “Suppongo che tu non ti sia vista,
giusto? Ci sarà molto lavoro da fare.” La guardai stupita per quello che aveva
appena detto. Mi ricordava molto i discorsi isterici di Alice.
“Ti sei fatta influenzare troppo da Alice o è una mia
impressione?” Lei fece spallucce, stampandosi un sorriso da innocentina sulle
labbra.
“E’ che i matrimoni mi esaltano tantissimo” rispose
semplicemente. Non s’era proprio capito. Mamma cambiò allora subito discorso,
spostando l’attenzione su Bella, la persona che, purtroppo per lei, sarebbe
stata servita e riverita quel giorno.
“Hai dormito bene, Bella” chiese mamma con tono
zuccherino. Bella, senza alcun apparente motivo, arrossì leggermente, come
faceva spesso, d’altronde.
“Non molto” rispose lei, ancora con la voce roca dal
sonno.
“Sì, si vede. Hai delle occhiaie terribili. Alice non ne sarà contenta” constatò mamma esageratamente preoccupata,
dopo averle dato una veloce e approfondita scansione.
“Già” mormorò sconsolata lei, all’idea di trascorrere un
divertentissimo pomeriggio sotto le mani di Alice.
“Oh, Bella!!” scoppiò allora
mamma, buttandole le braccia al collo. Sobbalzai per quell’atto
troppo veloce ed inaspettato e così fece anche Bella. Quando mamma se ne accorse, si staccò subito, limitandosi a cingerle le
spalle.
“Oh, scusami, Bella” disse, guardandola con un sorriso
smagliante negli occhi
“Anche se adesso ti
sarà difficile crederlo, questa sarà un’esperienza meravigliosa, che non
dimenticherai tanto facilmente.”
“Vorrei che fosse come dici tu, Sophie”
mormorò Bella, ancora provata per quel repentino contatto inaspettato.
“Lo sarà, vedrai” disse sfiorandole la punta del naso in
atto giocoso. “Come sono contenta per te, Bella” disse mielosa per l’ennesima
volta, evitando questa volta di abbracciarla. Bella
non riuscì a trattenersi dal fare una smorfia, che in realtà doveva essere un
sorriso, mentre guardavo esasperata il soffitto, in
attesa che finisse l’esuberanza di mamma.
“Stai tranquilla, Bella” disse per l’ultima volta. “Abi, dai, su, che non c’è tempo.”
Io sobbalzai per il richiamo. Manco fossi un
cagnolino. Nonostante preferissi restarmene a dormire ancora un po’ e pensassi che fosse una esagerazione assurda introdurmi
all’inferno della preparazione del matrimonio all’alba, mi arrampicai sulla
schiena di mamma.
“A dopo Bella” esclamò entusiasta mamma.
“A dopo” rispose lei.
“Ciao” mormorai invece io, non proprio al massimo della
gioia, mentre l’attimo dopo mamma si lanciò dalla finestra.
Sentii per al massimo alcuni
secondi la sensazione del vento che sferzava il mio viso, che eravamo già
arrivati davanti a casa. Io scesi dalla schiena di mamma con malavoglia, al
solo pensiero di quello che avrei dovuto affrontare, mentre non smettevo di
sbadigliare dal sonno.
“Oh Abi, non fare così! Vedrai
che sarà divertente” esclamò di nuovo esuberante. Io
la guardai truce, non trovandoci proprio niente di divertente. Mamma allora
sbuffò.
“Non fare la guastafeste!” mi ammonì lei, spingendomi
verso l’interno della casa. “Almeno fingi di divertirti. Almeno così non rischi
di contagiare l’umore di Bella” Feci nuovamente un respiro profondo, dovendo
alla fine dare ragione a mamma. Dovevo dare prova di
tutte le mie arti recitative, perché in questa occasione più che mai ce ne
sarebbe stato il bisogno.
Aprii dunque la porta di casa Cullen,
pronta ad affrontare l’insopportabile. Rimasi totalmente pietrificata davanti
allo spettacolo che mi si pone davanti. Ogni cosa era
ricoperta di nastri di tulle, ghirlande di boccioli bianchi, raso bianco ed una
quantità innaturale di fiori di arancio, lillà, fresie
e rose dappertutto. E non avevo ancora visto il retro,
dove si sarebbe svolta la cerimonia. Tutto preannunciava un matrimonio elegante
fatto alla grande. Io sbuffai nuovamente alla vista di quella sfarzosità:
ovviamente Alice non aveva badato a spese.
Come farlo apposta, non appena pensai ad
Alice, ecco che si materializzò davanti a me.
“Eccoti finalmente!” mi disse con quel dannato tono
isterico che aveva da ormai due giorni. “Devi prepararti immediatamente” mi
ordinò quel folletto. Senza troppe cerimonie, mi prese per il polso e mi
trascinò fino ai piani di sopra, con una mamma tutta elettrizzata dietro di me.
“Alice, è l’alba! Non ti sembra di esagerare?” le feci
notare io, un po’ irritata per essere trattata come una bambola di prima
mattina. Alice si fermò di botto guardandomi truce. Quello sguardo mi impedì di proferire parole e mi fece pentire del commento
che avevo appena detto. Lei si limitò a sfoderarmi un sorrisino, uno di quelli
perfidi e malvagi tipici di Alice nelle sue crisi
isteriche, che minacciavano guai seri nel caso in cui i suoi ordini sarebbero
stati contraddetti. La sua attenzione si spostò sua mamma,
senza più badare a me.
“Posso lasciarla nelle tue mani?”
“Senza alcun problema” rispose sicura mamma.
“Bene” rispose Alice, con l’autorità di un generale, per
poi subito sparire chissà dove. Io guardai curiosa mamma, mentre mi portava
nella camera sua e di papà.
“Alice?” chiesi dubbiosa. Ero assolutamente sicura che ad
occuparsi di me sarebbe stata quel demonio di Alice.
“Deve occuparsi di Bella, quindi non ha molto tempo per
sistemare te. Quindi ci penserò io” mi disse in un sorriso.
Feci un lungo respiro di sollievo. Mi ero già costruita mentalmente tutto un
film sulle orribili torture di Alice, quindi fui
felicissima all’idea che a mettere mani su di me sarebbe stata mamma, che aveva
un tocco decisamente più delicato.
Non appena entrai sobbalzai alla quantità di trucchi e
creme tutte per me che era disposte sull’enorme
bancone.
“Siediti, forza” mi invitò mamma,
riferendosi ad una poltrona, più che ad una sedia. Io a malincuore obbedii e,
chiudendo gli occhi, lasciai che mamma iniziasse.
“Verrai strepitosa, vedrai” mi
confermò mamma.
“Sì, come no” ribadii
immediatamente io. “Come se lo potessi essere, vicina a te” Mamma sbuffò
infastidita.
“Quando avrò finito ti farò
rimangiare questa frase, e con gli interessi” mi avvertì mamma, mentre
continuava imperterrita nella sua opera. Trattenni l’ennesimo sbuffo, pensando
a come in realtà era del tutto inutile curare il mio aspetto fisico per una
cerimonia di mezza giornata. Mentre ero in preda di
queste mie riflessioni non molto ottimiste, sentii mamma canticchiare.
“Mamma, non riesco davvero a capire il motivo per cui sei così euforico per questo matrimonio” brontolai,
esasperata dalla sua allegria che non mi contagiava affatto.
“Insomma, lo sai come la penso del matrimonio, no? E’
l’atto di amore che unisce due persone, per quanto
formale sia, e che dà l’occasione alle persone care di partecipare a questo
amore” mi rispose semplicemente, continuando a spalmarmi creme e cremine. “E
poi sai che adoro vedere persone innamorate.”
All’udire questa
particolare frase mi irrigidii e finalmente riuscii a
uscire dalla mia prospettiva di totale rigetto per la cosa ed immedesimarsi nei
suoi panni. Mamma, da quando la conoscevo, era sempre stata una persona con un grande bisogno di ricevere amore. Non mi aveva mai parlato
molto della sua vita umana, che d’altronde non si ricordava chiaramente neppure
lei, ma da quel poco che sapevo non era stata affatto
una vita da rimpiangere, bastava solo prendere in considerazione che fine aveva
fatto quell’obbrobrio di uomo che l’aveva messa
incinta. Pertanto, come risultato di queste
esperienze, mamma aveva cominciato a sviluppare una forte attrazione per
l’amore: non solo riceveva e dava tutto il suo amore a me e a papà, ma si
sentiva particolarmente coinvolta in qualsiasi forma d’amore. Molto spesso,
infatti, la vedevo commuoversi davanti ad un film romantico, o soffermarsi ad
osservare una mamma che sorrideva al proprio bambino
incontrati per strada. Poteva essere scambiata sicuramente per una
romanticona con troppe fantasie in testa, per chi non la conoscesse.
Ed egoisticamente quella volta anch’io l’avevo per un
attimo considerata come una romanticona piena di fantasia. Decisi allora, non
solo per compiacere Bella, ma anche mamma, di sforzarmi di prendere seriamente
questo matrimonio e svolgere in modo impeccabile il mio ruolo di damigella,
iniziando prima di tutto a sopportare in silenzio questa tortura.
Mi lasciai allora trasportare dalle dita di mamma, che
veloci mi massaggiavano le guance con qualcosa di liquido e cremoso. Questa
dolce sensazione mi spinse a rilassarmi del tutto e a recuperare le ore di
sonno perdute. Stavo quasi per addormentarmi, quando una domanda mi sorse
improvvisamente spontanea.
“Perché non ti sei mai sposata
con papà?” mormorai io nella beatitudine del suo massaggio, ma con viva
occasione. Sapevo infatti che mamma e papà non si
erano mai sposati, ma non avevo mai realmente preso in considerazione il motivo
questa scelta, visto che i miei genitori si amavano come se lo fossero già da
tempo.
“Bhè, diciamo
che non c’è mai stata occasione, con una piccola umana a cui badare” mi rispose
lei senza un minimo di esitazione nella voce. “E poi
non conoscevamo troppe persone da invitare”
“Ma adesso che la piccola umana è cresciuta e può pensare
a sé stessa. Inoltre, adesso conosciamo
un po’ più di persone da poter invitare” replicai io con fermezza.
“Oltre ad avere un’ottima organizzatrice di matrimoni.”
“Stai forse dicendo che saresti
in grado di sopportare tutto questo un’altra volta?” domandò lei in tono
ironico. Ci pensai su prima di rispondere.
“Mmhh…. Per voi lo farei volentieri” Sentii la sua risata cristallina
risuonare.
“Ti ringrazio per sacrificarti in questo modo per noi”
continuò, ridendo. “Ma preferirei di gran lunga ora
come ora assistere al tuo di matrimonio” disse senza rendersi conto di quello
che diceva. Sentì le sue mani fredde fermarsi e scivolare via dal mio viso. Quella affermazione fu più che sufficiente per creare
un’atmosfera di gelo: da un po’ di anni a questa parte, infatti, il mio futuro
remoto era diventato un argomento piuttosto tabù. Aprii gli occhi lentamente.
Vidi mamma osservare il pavimento in uno stato di avvilimento
eccessivo, rispetto alla gioia che emanava prima, mentre le braccia le
scendevano lungo i fianchi. Da quando ci eravamo
trasferiti a Forks, per un problema o per l’altro non
si era mai creata l’occasione di pensare a quella cosa.
“Oh, Abi, per quanto mi sia
sforzata fino ad adesso di non pensarci, io…” mormorò
con tono rotto. Io feci un respiro. Odiavo vedere mamma così. Ma d’altronde, se mi fossi trasformata, sarebbe stata molto
peggio…
“L’uccellino deve abbandonare il nido
prima o poi…” dissi, pronunciando per l’ennesima volta la frase che più
sintetizzava il mio futuro e che troppe volte avevo detto e sentito. “Mamma, è giusto così. Non puoi stare accanto
a me per sempre. Le mamme di qualsiasi specie lasciano
i loro piccoli” continuai con un tono di voce tranquillo e contenuto, convinto
di quello che diceva.
“Lo so, lo so” continuò lei, alzò lo sguardo verso di me.
Gli occhi era lucidi e a quella vista fu come se
qualcuno mi stringesse il cuore. “Ma tu sei una rinuncia troppo grande, Abi.” Chiusi gli occhi, incapace
di resistere a quello sguardo.
“Anche tu lo sei per me, mamma”
mormorai inconsciamente. Sentii allora le sue forti braccia fredde, in grado di
spezzare la colonna vertebrale di un grizzly, leggere attorno a me.
“Abi, Abi”
mormorò ancora con la voce roca. Io mi staccai subito da quell’abbraccio
che mi avrebbe ben presto portato alle lacrime. Non era ancora tempo per questo
genere di commozioni.
“Su, bando alle ciance!” dissi con tono più esuberante
possibile, per distrarre mamma e farla concentrare nuovamente su questo
matrimonio. “Hai ancora tanto lavoro da fare, no?” Mamma mi fece
un sorriso timido e titubante, ma riuscii nel mio intento.
“Hai ragione” disse non del tutto convinto, rimettendosi a
spalmarmi creme.
“Abi? Svegliati su!” Qualcosa di
freddo sul collo mi obbligò ad aprire gli occhi improvvisamente. Davanti a me
c’era il sorrisone a trentadue denti di mamma.
“Sei magnifica, Abi”
Sorpresa, il mio sguardo guizzò sui miei capelli, che ricadevano sulle
spalle in boccoli impeccabili con un eccessivo profumo di lacca.
“Già fatto?” esclamai esterrefatta, ripensando alle due
ore che ci aveva impiegato Alice. Mamma mi guardava compiaciuta.
“Sì. Hai dormito per tre ore. È stato
piuttosto facile, senza le tue lamentele” Io trattenni un sorriso.
“Scommetto che adesso inizierai a truccarmi la notte per
il giorno dopo” Lei rise
“Potrebbe essere un’idea” replicò, accucciandosi “Ora
guarda verso di me, ti devo da una sistemata agli occhi” obbedii e ci impiegò al massimo due minuti per mettermi non so che
cosa sugli occhi.
“Perfetto” Mi lanciò un sorrisone
“Ora sei perfetta.” Stavo per girare la sedia e guardarmi allo specchio, quando
mamma mi bloccò.
“No, no, no! Prima ti devi mettere il vestito.” Mi fu impossibile non fare una smorfia, ma mi feci trasportare da mamma senza alcun problema. Mamma scomparì
ed un attimo dopo comparve di nuovo con in mano un
appendino ed il fantomatico vestito sbrilluccicoso. Senza lamentarmi troppo,
iniziai a svestirmi ed indossai il vestito. Non appena ebbi tirato su la zip, come se fosse stato una sorta di richiamo, entrò
un’Alice alquanto agitata. Indossava il medesimo mio vestito – a lei,
ovviamente, stava molto meglio – ed i capelli erano raccolti in una complicata
acconciatura, che la facevano sembrare molto più un
folletto. Tremavo all’idea che quello che avesse fatto mamma non
andasse affatto bene e che era necessario fare tutto da capo.
Ciononostante, non appena mi guardò il suo viso si
rilassò e sfoderò un grande sorriso. Guardò compiaciuta mamma.
“Hai fatto davvero un ottimo lavoro, Sophie.
Davvero stupefacente. Non avrei saputo fare di meglio.”
Mamma ricambiò il sorriso, guardando nuovamente il suo prodotto con orgoglio,
mentre io avevo tutte le intenzioni di tirare un sospiro di
sollievo. Tuttavia, mi si bloccò in gola quando
Alice, da non so dove, tirò fuori un paio di trampoli argentati.
“Deve riuscire a camminarci entro l’inizio della
cerimonia. Dici che riuscirà a farcela?” chiese Alice
a mamma, senza degnarmi di uno sguardo. Mamma fece spallucce.
“Non lo so. Possiamo provare” rispose
dubbiosa mamma. Scu-scusate?! Dov’erano finite le
ballerine?!?!
“E le ballerine?” riuscì a dire
io. Alice mi lanciò un’occhiataccia, come se fosse infastidita di averla interpellata.
“Stoni con le ballerine” si limitò a dire lei autoritaria.
Io aprii bocca per replicare, ma Alice mi anticipò.
“Mi fido di te, Sophie” disse a
mamma, affidandole le scarpe. “Io vado a occuparmi di
Bella”
“Vedrò quel che posso fare, Alice” le rispose prendendole
con cura. Dopo aver fatto un cenno autoritario, Alice se ne andò.
Io mi voltai lentamente verso mamma, guardandola basita. Lei ricambiò il mio
sguardo, facendo spallucce e facendo cenno alle
scarpe.
“Ma stiamo scherzando?!?!”
proruppi allora io, infastidita per non essere stata minimamente interpellata
di niente.
“Alice ha ragione, tesoro” cercò di
convincermi mamma “Sei l’unica damigella con le ballerine. E stoni tantissimo.” Io feci un respiro profondo, tentando
di calmarmi, ma inutilmente, scoppiai lo stesso.
“E chi se ne frega!” esclamai io.
Inviperita, tentai di afferrare la lampo dietro al
schiena, con tutte le buone intenzioni di togliermi quel vestito e ammutinarmi.
C’era un limite a tutto e questo era davvero troppo. Il trucco ed il vestito potevo accettarlo, ma fare la passerella con quelle scarpe,
non si parlava nemmeno.
“Abi, Abi”
Mamma veloce afferrò le mie mani e le bloccò. “Almeno prova, cosa ti costa?” Io
la guardai truce.
“Costa la salute dei miei piedi! Ecco cosa costa!” tentai di liberarmi dalla presa, ma inutilmente.
“Senti, facciamo un patto, tu impegnati, se non ci riesci,
convincerò Alice a darti le ballerine”
“Il punto è, mamma, che non ho nessuna intenzione
di impegnarmi!” sbottai io. Mamma sbuffò.
“Abi, dovrai prima
o poi imparare a usare le scarpe col tacco, no?”
“Meglio poi che prima!” continuai cocciuta io. Lei allora
mi sfoderò i suoi occhioni dolci, che puntualmente mi
ricordarono che se non lo volevo fare per me o per Bella, avrei reso fatto contenta la mia super mamma. Così quegli occhioni
furono sufficientemente potenti per convincermi almeno a provare. E feci l’ennesimo sbuffo della giornata.
Io e mamma andammo a provare direttamente dietro casa,
dove si sarebbe svolta la cerimonia, lungo il tappeto bianco che portava
all’altare e che non appena lo vidi mi sembrava non finire mai. Ovviamente
anche tutto l’esterno era pieno di nastri bianchi, fiori profumati e cose così.
Fino a quel momento avevo sempre pensato che fare la
damigella comportasse unicamente camminare in linea retta tenendo in mano un
mazzo di fiori, e fin lì tutti erano bravi a farlo, ma non avevo per nulla
preso in considerazione alcuni importanti fattori, come per esempio un
centinaio di occhi puntati verso di me, l’inaspettato
pericolo di inciampare, ipotetici e disorientanti flash delle macchine
fotografiche. E adesso c’erano anche le scarpe. Oh no.
“E’ davvero stupendo!” esclamò estasiata mamma, che non ci
stava più nella pelle. L’osservai e sorrisi involontariamente. La rendeva
davvero felice assistere ad un matrimonio, sebbene non fosse neppure suo. Anche perché, pensandoci bene, doveva essere la prima volta della
sua esistenza da vampiro, se non sbagliavo. Per un attimo la sua
allegria riuscì alla fine a contagiarmi e a convincermi a fare un piccolo
sforzo per renderla ancora più felice. Mi sedetti su una delle centinaia di
sedie che c’erano, pronta a farmi infilare le scarpe.
“Forza, fuori il dente, fuori il dolore” la richiamai
allora io alla realtà. Lei si riscosse un attimo per poi dedicarsi a me.
“Sì, certo” disse lei svelta e spaesata. Chissà a cosa stava pensando, mentre guardava quell’immenso
spiazzo.
Tempo cinque secondi e mi aveva
già legato ai piedi quegli orribili trampoli. Feci un respiro profondo e mi
alzai. Subito barcollai, instabile. Caspita, quant’era
alto il mondo da lassù! Dovetti immediatamente appoggiarmi a mamma. Lei in un
baleno mi raddrizzò. Sentii già da subito i piedi farmi male.
“Mamma, toglimele” mormorai, aggrappandomi a lei
nuovamente. Mamma sbuffò.
“Abi! Non è un’impresa
sovraumana!” ribadì lei. Prese nuovamente le mie
braccia e mi ristabilizzò. Riuscii a farmi trovare l’equilibrio, almeno se
stavo ferma.
“Coraggio, cammina!” mi esortò lei. Io la guardai
dubbiosa.
“Come si fa?” mormorai impaurita. A quel punto mamma capii
che da sola non sarei riuscita a muovere un passo. Quindi
mi prese a braccetto e mi esortò nuovamente ad andare avanti.
“Tacco, punta, tacco, punta. Non è difficile!” Cercai allora di seguire i suoi consigli.
Durante i primi passi continuai a perdere
l’equilibrio, ma dopo un po’ riuscii a farli senza problemi. Mi sentii
soddisfatta ed orgogliosa di me stessa all’idea di non essermi fatta battere da
un paio di trampoli qualunque, anche se sentivo i piedi pulsare.
“No, non va bene, Abi” Come non
detto. “Non devi arrancare, devi camminare!” Io la guardai
dubbiosa. Perché, non andava bene anche solo riuscire
ad andare avanti?
“Devi muovere i fianchi!” Io la guardai ancora più
dubbiosa. Ecco, muovere i fianchi. Lo stava chiedendo alla persona sbagliata.
Tentai di fare anche quello, ma l’inesperienza non aiutava
affatto.
“Di più, Abi, muovili di più!
Non avere paura di essere scambiata per una ragazza!” continuò mamma, con tono
ironico. Io la fulminai con lo sguardo lanciandole un’occhiataccia. Non era
esattamente il momento per fare dell’ironia. Ciononostante, a metà del
percorso, riuscii a strappare da mamma un complimento.
Non appena terminai quella cavolo
di passerella ed arrivai all’altare, mamma non mi diede neppure un secondo per
esultare, che dovetti nuovamente tornare indietro. Dopo altri due minuti di
quella prova, i miei ormai mi facevano così male che neppure li sentivo. Orami
mi ero fatta prendere del tutto ed osservare serissima il pavimento, cercando di non cadere e di
mantenere il ritmo che avevo acquistato. Quindi era normale il sobbalzo che feci alla vista di un flash. Osservai davanti a me,
sorpresa. Vidi papà con in mano la sua macchina
fotografica di ultima generazione guardarmi con un sorriso orgoglioso.
Io alzai gli occhi esasperata.
Ovviamente dovevo prevederlo, che papà, con la sua passione
per la fotografia, non perdesse l’occasione per scattare un bel po’ di
foto. Almeno i Cullen avrebbero risparmiato con il
fotografo, seppure nel loro caso non fosse necessario.
“Sei meravigliosa, Abi” mi disse
in un tono del tutto estasiato. Come se lui nel suo smoking
grigio fumo non facesse un figurone.
“Anche tu sei un bel pezzo di
gnocco, papà” gli risposi sfoderando tutta la mia classe.
“Molto fine, come sempre, vedo” mi sottolineò
lui. Io in risposta gli feci una linguaccia.
“Sei arrivato giusto in tempo, Will” comunicò mamma, con voce sempre più entusiasta, mano
a mano che si avvicinava l’ora “x”. “Puoi aiutare tu Abi?
Devo ancora andare a prepararmi”
“Certo” rispose papà, stranamente entusiasta.
“Bene” diede conferma mamma. Mi appigliai allora al
braccio di papà, mentre mamma si volatilizzava. Papà ricambiò la mia stretta,
guardando leggermente confuso.
“Dimmi, esattamente cosa devi fare?” Io sbuffai. Ancora.
“Devo imparare a camminare con ‘sti cosi per la cerimonia, perché secondo quella pazza di
Alice stono se metto delle ballerine” borbottai seccata. Papà trattenne un
sorriso.
“Così però sei più bella, sai?” mi sussurrò papà
all’orecchio, come sostegno. Io grugnii.
“Certo” risposi ironica. Papà sorrise
sotto i baffi.
Eravamo a metà del secondo giro e mi sembrava di andare
piuttosto bene.
“Pensavo fossi peggio a camminare con i tacchi, sai? Mi stupisci” osservò papà. “Solo che dovresti muovere di più i
fianchi. Sei troppo rigida”
“Non avrei mai detto che proprio
tu mi avresti detto di muovere di più i fianchi” gli feci sottolineare io. Papà
fece spallucce, trattenendo un sorriso.
“Hai ragione”
D’un tratto, Emmett e Jasper spuntarono dal salotto, ovviamente vestiti in maniera impeccabile anche loro. Stavano portando ancora
altri vasi di fiori da disporre. Come se quelli che già
c’erano non bastassero già. Mi domandavo dove li avrebbero
messi, visto che ormai non c’era più posto. Evidentemente anche loro non erano
sfuggiti dalle grinfie di Alice, che li aveva
soggiogati a dei burattini.
Speravo tanto che facessero quello che dovessero fare senza prestarmi troppa attenzione, ma me lo dovevo
aspettare che non sarebbe andata così. Emmett, come
sarebbe stato normale, non iniziò neppure a disporre quei cavoli di fiori
bianchi che si immobilizzò a guardarmi dapprima
curioso, per non riuscire a trattenere un sorriso subito dopo. Cercai di fare
finta di nulla, ma quel suo comportamento da cretino
mi irritava e mi distraeva.
“Cosa stai tentando di fare,
scusa?” mi chiese curioso e divertito, facendosi vicino.
“Camminare, se non si nota” borbottai irritata. Lui allora
scoppiò a ridere.
“Se ce la faccio io, allora non vedo perché tu non puoi
riuscirci.” E detto questo
iniziò a camminare velocemente, muovendo esageratamente i fianchi in un
atteggiamento preoccupatamente femminile. Io mi abbattei ancora di più vedere Emmett fare quello che avrei fatto
io molto meglio, questo bisognava dirlo. Doveva essere lui la damigella
d’onore.
Fu allora che, troppo innervosita, misi male il piede e di
sicuro sarei caduta come una pera, se mio padre non fosse stato tanto accorto
da trattenermi. Di conseguenza, com’era ovvio, Emmett
iniziò a sganasciarsi dalle risate, mentre io diventavo rossa come un peperone
dall’imbarazzo.
“Emmett, così non l’aiuto”
intervenne mio padre in mia difesa.
“Sei un fascio di nervi” intervenne allora Jasper, che, a differenza di suo fratello, era molto più
discreto e si era limitato a svolgere il compito
affidatogli da Alice senza notarmi. “Devi stare più tranquilla” disse in tono
particolarmente loquace.
Infatti, non appena ripresi a camminare, provai una grande sensazione di tranquillità e sicurezza che mi
permisero di muovermi molto più decisa di prima, nonostante l’indiscreta
presenza di Emmett.
Una volta arrivata dalla parte opposta dell’altare e
compiuto anche il secondo giro, Emmett e Jasper avevano già finito da un pezzo e si erano diretti
verso la sala dove si sarebbe svolta la cena, lasciando me e papà di nuovo da
soli.
Non ce la feci più: raggiunsi la sedia più vicina e ci
crollai sopra, con i piedi doloranti. Non osavo pensare alla quantità di
vesciche che mi sarebbero venute.
“Aspetta torno subito” mi avvertì papà. Il secondo dopo
era di nuovo lì, con un pacchetto di cerotti in mano. Benedissi quel santo uomo ed iniziai ad incerottarmi i piedi,
infischiandomene completamente se per Alice questo sarebbe stato anti-estetico.
Dopo aver fatto, papà mi aiutò a rimettermi in piedi e sfilò dalla parte
opposta un bouquet enorme con gli stessi fiori sparsi
per la sala. Io lo guardai, contemporaneamente disgustata e sorpresa.
“Questo dovrebbe essere il tuo bouquet” mi
informò papà “Dovresti iniziare a prenderci confidenza” mi disse in tono
ironico. Lo presi con malavoglia, prevedendo che non sarebbe
stato affatto facile camminare e tenerlo in mano. Infatti,
non appena mossi i primi passi, mi sembrai del tutto uguale ad una trapezista.
Senza avvedermene, quindi, iniziai a canticchiare sottovoce la canzoncina del
circo. Papà allora si mise a ridere.
“Esagerata!” disse dandomi un leggero pizzicotto “E non ti
dimenticare che devi anche sorridere, oltre a fare
tutto questo.” Non appena lo disse mi si dipinse automaticamente un’espressione
da funerale. Come se non ci bastasse anche questa. Non
avrei mai pensato che sarebbe stato così complicato fare una semplice
camminata.
“Stai migliorando” mi comunicò papà. Sì, ma ancora non
riuscivo a staccarmi dal suo braccio, purtroppo. Capendo dunque che parlare di
quello che stavo facendo non serviva a molto, papà iniziò a distrarmi cambiando
discorso.
“Ti ricordi quando da piccola
giocavamo ai matrimoni?” mi ricordò sorridente. Io scoppiai immediatamente a
ridere.
“Ci saremmo sposati almeno una cinquantina di volte!”
esclamai io, con le lacrime agli occhi.
“Quasi sposati. Ti divertivi sempre a lasciarmi
all’altare. La cosa più divertente era che ogni volta sceglievi un modo
diverso”
“Hai ragione!” continuai io, ridendo come una matta per i ricordi
della mia infanzia.
Quando ero piccola, io e mio papà giocavamo
sempre al “gioco del matrimonio”. Non mi ricordavo ora bene come fosse saltato fuori, molto probabilmente avevo visto qualche
film alla tv. Fatto sta che il gioco consisteva nello sposare papà, ma ogni volta che dovevo dire “sì”, mi inventavo ogni
scusa possibile ed immaginabile per scappare. Alla fine finiva sempre che me ne andavo sul mio triciclo. Con il senno di adesso ammetto
che era un gioco davvero stupido ed infantile, ma al
tempo era il massimo il “gioco del matrimonio”.
“E come ti impegnavi a vestirti
da sposa” continuò papà. Io non riuscivo a smetterla di ridire.
“E’ vero! Usavo quantità enormi di carta igienica per il
velo!”
“E impiegavi ore per fare dei bouquet da sposa davvero
orribili” sottolineò papà. Io gli lanciai una
gomitata.
“Non è vero!” ribattei io.
“Fidati, è così” ribadì sicuro
papà. “Attenta al gradino.” Allorché sobbalzai sorpresa,
guardando davanti di me: eravamo già arrivati all’altare. Mi appoggiai a
papà per salire. Lui mi raggiunse e lentamente mi prese entrambe le mani.
“Bhè, almeno non potrò
rimpiangere di non averti portato all’altare almeno una volta” disse con uno
strano tono malinconico. Io mi paralizzai all’istante; il discorso, com’era
successo con mamma, era finito di nuovo su quell’argomento
anche con papà.
“Hai sentito il discorso con mamma?” bisbigliai, a
disagio.
“No, affatto” mi rispose sincero lui “Ma
non mi sorprende che non ne abbiate parlato.” Io mi limitai a tenere lo sguardo
fisso verso il basso. Scese allora un pesante silenzio imbarazzante. Io
continuai a mantenere lo sguardo verso il basso, in
attesa che papà dicesse qualcosa.
“Abi…” incominciò, per poi
troncare il discorso lì, evidentemente perché, stranamente, non trovava le
parole da dire. Lo sentii fare un respiro profondo, per poi cingermi le spalle
con le braccia, mentre appoggiava le labbra fredde sulla mia fronte. Iniziò, in
silenzio, a cullarmi lentamente, mentre con una mano mi accarezzava la schiena
scoperta. Con grande fatica, ricambiai quell’abbraccio. Non aveva senso tutto questo, mancava
ancora tanto tempo e non sarebbe servito a niente
disperarsi ora. Sfoderai allora tutta la mia ironia ed il mio
sarcasmo, facendo senza dubbio la figura dell’inconveniente e dell’indelicata.
“Non mi stringere troppo, papà.” La mia voce risuonava
ovattata, da sotto la giacca di mio padre “O Alice mi concerà per le feste.” In una risata fin troppo forzata, papà sciolse
l’abbraccio. Mi guardò quindi con quel suo sguardo fiero, tipico di papà.
“Certo, hai ragione” disse, capendo sicuramente che non
volevo toccare quell’argomento di discussione. Mi
diede poi una dettagliata scannerizzazione dalla testa ai piedi.
“Abi, da dove vengono fuori
tutte queste curve” mi fece notare lui, tornando ad essere il padre super-preoccupato che amavo. “Mi devo cominciare a
preoccupare sul serio, allora.” Io sbuffai, alzando
gli occhi al soffitto.
“Come no, papà” esclamai io esasperata.
“No! Dico sul serio!” continuò
lui convinto. Fece allora un giro veloce intorno a me, osservandomi bene. Mi
guardò decisamente preoccupato. “Ti preferivo con la
tuta, sai?” Io sghignazzai in modo mascolino.
“A chi lo dici, pah’.” Sobbalzai
immediatamente alla vista di Alice davanti a noi. Mi diede un’occhiata veloce e mi lanciò un sorriso.
“Sei davvero splendida, Abigail.”
Io sorrisi automaticamente, all’idea che Alice stessa mi faceva un complimento.
Il secondo dopo, invece, mi diedi della totale stupida
ad averlo anche solo pensato.
“Vediamo allora come cammini” continuò lei senza perdere
entusiasmo. Io feci un respiro profondo. Ecco, la prova del nove era arrivata.
Feci un passo in avanti convinta, ma persi immediatamente l’equilibrio senza
l’appoggio di papà e con un bouquet in mano.
Fortunatamente, papà mi afferrò subito, evitando di farmi cadere. Alice
automaticamente cambiò umore, mentre si strofinava disperata una mano sulla
fronte.
“Come non detto. Dovevo immaginarlo”
esclamò seccata. “Ecco, tieni.” Da non so dove mi porse un paio di
ballerine dal colore e dal tessuto identico a quelle con il tacco. Feci un grande respiro di sollievo, mentre velocemente mi toglievo
quelle che avevo addosso.
“Avanti, fammi vedere come intendi camminare” mi esortò
Alice. Improvvisai allora una breve camminata, facendo particolare attenzione a
sorridere. Alice però non sembrava troppo convinta.
“No, non ci siamo. Ondeggia ancora un po’.” Dovetti
pensare qualche secondo prima di capire che voleva che
muovessi i fianchi. Cercai allora di camminare come avevo fatto fino ad adesso con le scarpe coi tacchi, seppure era una
sensazione piuttosto strana, che mi metteva a disagio.
“Mmhh… non c’è male” concluse
alla fine Alice. Non mi lasciò nemmeno il tempo di respirare che mi trascinò
via per un polso. “Forza, gli invitati arriveranno a momenti.”
Io, del tutto sconcertata, mi volsi in dietro, come richiesta d’aiuto a papà.
Lui, però, si limitò a farmi l’occhiolino come gesto di incoraggiamento,
lasciando che Alice mi trascinasse nelle camere di sopra.
Suonino le trombe, l’autrice ha
pubblicato un nuovo capitolo! Dopo mesi e mesi di
silenzio, finalmente mi rifaccio viva.
Purtroppo ho una bruttissima notizia da darvi: ho serie
intenzioni di lasciare incompiuta questa fan fiction e
fermarmi qua.
Non riesco più a scrivere, per poco
perfino mi annoia farlo. Credo che ormai è scomparsa
quella voglia di scrivere di due anni fa, quando ho postato il primo capitolo. E questo, dopo due anni, mi sembra anche un fatto normale.
Purtroppo, mi sono posta un obiettivo troppo grosso. Mi dispiace solo mollare quando manca relativamente poco alla fine e quando
accadranno i fatti centrali di questa storia!
Mi trovo quindi in una situazione piuttosto disperata, e
credo di dover proprio chiedere l’aiuto di qualcuno, se spero di concludere questa fan fiction. È vero che da una parte mi è
difficile lasciare questa storia nelle mani di qualcun altro, in quanto ci sono
fin troppo affezionata. Dall’altra, tuttavia, desidero con tutto il cuore
vedere questa mia storia finita, come molti di voi, e quindi sono più che disposta
ad accettare l’aiuto di qualcuno. Quindi, chi vuole aiutarmi a concludere questa fan fiction, mi contatti pure!
Detto questo, è forse giunta l’ora di concludere
con un ultimo saluto. Ringrazio, dunque, tutti voi, miei lettori, che avete
apprezzato le disavventure di Abigail,
che forse, spero, vi abbiano fatto sognare, come hanno fatto con me.
Vi saluto, dunque, (forse) per l’ultima volta, mandandovi
un forte, grosso e strabordante GRAZIE DI TUTTO!!!
Lalla124