Atto
terzo
La
Cadillac
CTS-V nera di Shannon imboccò a tutta velocità (e
ben oltre i limiti imposti)
la Highway 101 che, da Los Angeles, portava a San Francisco. Quella
domenica di
Luglio, alle sei del mattino, reduce da un party hollywoodiano in
compagnia di
suo fratello protrattosi fino a un’ora prima,
l’uomo era diretto a Monterey, al
circuito di Laguna Seca, per assistere alle gare della Moto GP.
Era
stato
Steve che aveva organizzato il tutto: aveva comperato i biglietti per
entrare
nella zona del circuito proprio sul famoso
‘Corkscrew’ (il ‘cavatappi’),
la chicane
su collina, la curva più spettacolare di Laguna Seca, ed era
riuscito anche a
trovare dei pass per il paddock.
Tutta
la
compagnia di motociclisti era stata invitata e Shannon aveva gradito
oltremodo
quell’invito e accettato con piacere, nonostante gli impegni.
L’uomo
impostò
il navigatore: la highway era quasi deserta, a quell’ora,
visto che era appena
l’alba, e l’uomo schiacciò il piede
sull’acceleratore con convinzione. Ci
sarebbero volute quasi cinque lunghe ore di auto per percorrere gli
oltre
cinquecento chilometri che separavano Los Angeles da Monterey e forse
sarebbe
arrivato solo in tempo per la gara della MotoGP, considerato che doveva
anche
trovare parcheggio e non sapeva dove e come.
Forse
per
mezzogiorno sarebbe riuscito ad arrivare ad incontrare i suoi amici
che,
probabilmente già partiti tutti presto, in piena notte o
forse già il giorno
prima, non aveva sentito né telefonicamente né in
altri modi, impegnato com’era
stato con le registrazioni.
Accese
l’autoradio e mise il CD del suo adorato Deadmau5, spense il
telefonino e
decise di rilassarsi: aveva bisogno di staccare un po’ da
tutto, aveva bisogno
di fare il vuoto mentale cullato dalle canzoni ipnotizzanti del DJ
canadese,
aveva bisogno di stare da solo.
Erano
settimane
che lui con gli altri 30 Seconds to Mars erano chiusi in sala
d’incisione per registrare
il nuovo CD ed erano ancora piuttosto in alto mare. Volevano fare
qualcosa che
fosse completamente diverso dagli album precedenti, tanto che avevano
inserito
nelle canzoni alcuni pezzi cantati dalle Echelon e lui aveva
addirittura
cambiato la composizione della sua batteria. Per non parlare delle
campane e
dei cori tibetani, di inserimenti di arrangiamenti elettronici
e… di ogni idea
strampalata che venisse in mente a Jared, il quale, attivo ventiquattro
ore al
giorno, lo chiamava in ogni momento della giornata per qualsiasi minima
lampadina si accendesse dentro la sua testa.
Uno
strazio.
Esattamente
come la sua situazione sentimentale: il tira e molla con la sua ragazza
del
momento, K., si protraeva ormai da mesi, con lei che, ragazza madre,
avrebbe
voluto di più e lui che non aveva nessuna intenzione, con
una tourneè mondiale
in arrivo alle porte, di sistemarsi e farsi una famiglia definitiva,
con una
bambina di cinque anni di mezzo... Ma poi, era davvero K. la donna
della sua
vita? Nonostante la ragazza fosse matura per la sua età e
per nulla
sprovveduta, quasi vent’anni di differenza potevano pesare in
ogni momento,
specialmente agli occhi dei genitori di K. che avevano praticamente la
sua età.
Shannon
sospirò, guardando il sole rosso che sorgeva ad est: era
tutto estremamente
‘vivo’, in realtà. Tutto come avrebbe
sempre voluto che fosse, ma certe volte
era proprio stanco, come quel mattino.
Si
augurò che
almeno quella domenica passata a guardare Stoner correre per il
circuito, in
sella alla sua Ducati e che partiva dalla pole position, lo avrebbe
rilassato e
gli avrebbe fatto scordare tutto il periodo piuttosto faticoso, e
soprattutto
l’anno in arrivo, in cui, a seguito dell’album,
avrebbe dovuto girare per il
mondo varie volte per la tournee, le interviste e tutto il resto.
Sospirò
per
l’ennesima volta: la strada era lunga, non solo quella per
Laguna Seca, ma
anche quella della sua vita.
Tanti
chilometri e qualche caffè nero poco zuccherato dopo,
Shannon arrivò nei pressi
del circuito e, in connessione telefonica con Steve, riuscì
non solo a trovare
agevolmente parcheggio, ma anche a trovare il suo gruppo di amici,
assiepati
nel prato sopra il cavatappi.
“Ehilà!
Finalmente sei arrivato! Ora ci siamo tutti!”, lo accolse
Steve, dandogli la
mano.
Shannon
si
guardò attorno: tra tutta la gente seduta per terra e che
aspettava l’inizio
della corsa, in realtà non vedeva nessuno che conoscesse, a
parte Steve e un
paio di altri motociclisti.
E
soprattutto
non vedeva chi si aspettava di trovare, quella persona che avrebbe
voluto
reincontrare con piacere e che da un po’ di tempo non
incrociava, nemmeno in
pizzeria. Era quasi tentato di chiedere a Steve, che gli stava
raccontando del
suo incontro con Nicky Hayden, dove fosse una certa loro amica
che…
improvvisamente Shannon spalancò gli occhi, sorpreso:
Christine avanzava in
mezzo alla gente verso di lui, sorridendo, accompagnata dalla moglie di
Steve.
Indossava un paio di blue jeans aderenti, una maglietta corta ed
attillata con
l’effige di Valentino Rossi e un berretto giallo e azzurro
col frontino con il
numero 46 ricamato sopra. Una perfetta fan del corridore italiano.
“Ciao,
Shannon! Ben arrivato!”, gli sorrise lei subito, con il suo
solito modo
cordiale, che gli riscaldava il cuore, i capelli castani che si
muovevano al
caldo vento che veniva dal deserto.
Shannon
le si
avvicinò, incuriosito, lasciando il discorso con Steve a
metà: “Ehi! Ma… ma… ma
tifi per The Doctor?”
Christine
scoppiò a ridere: “Si vede, eh? Con una Yamaha a
casa, è d’obbligo! E tu? Tu
che hai la Ducati, tifi per Stoner e la sua Desmosedici,
giusto?”
“Sì,
sì… ma
nel mio caso non si vede.” Shannon si indicò la
maglietta nera senza scritte.
Christine
non
rispose, ma, sorridendo, si tolse lo zainetto dalle spalle e
cominciò a
ravanarci dentro. Poi estrasse un berretto col frontino, rosso, con il
numero
27 ricamato e la bandiera australiana. E con scritto Ducati da un lato.
“Ora sì!”,
disse a Shannon, avvicinandosi e mettendoglielo in testa.
Shannon
scoppiò a ridere, divertito, sistemandosi il berrettino,
mentre, stranamente,
tutti si erano allontanati e li avevano lasciati soli.
“Ma… l’avevi comperato
per me?”, chiese, sorpreso, non aspettandosi un regalo del
genere.
La
ragazza
fece spallucce: “No… l’ho visto su una
bancarella qui fuori, mi è piaciuto e
l’ho preso… senza un perché…
mi è venuto così e… te lo regalo,
dai…”, rispose
Christine, sedendosi sulla sua stuoia,
e
Shannon non capì se mentisse o meno. Poi estrasse la
macchina fotografica
digitale: “Vieni, Shannon. Guarda.”, gli fece segno
di avvicinarsi.
Shannon,
curioso, si sedette vicino a lei e Christine gli porse la digitale:
sullo
schermo comparve una foto di lei con Valentino Rossi.
“E’ stato il momento più
emozionante della mia vita. E… Rossi mi ha anche firmato il
berretto. Guarda
qui.” La ragazza spostò la testa per mostrargli
l’autografo su un lato e una
zaffata del suo profumo colpì Shannon in pieno viso.
Deodorante,
sudore, donna.
Shannon
aprì
le narici per sentirlo meglio, fissandole il collo bianco e
l’attaccatura dei
capelli, con piacere, incantato da lei e dal suo atteggiamento:
“E’… è stato
gentile, Rossi...”
Christine
si
girò a guardarlo in viso. “Sì, davvero.
E’ proprio un personaggio. E’ unico. Molto
particolare.”
Shannon
le
restituì la digitale. “Anche tu.”
La
ragazza
piegò le sopracciglia: “Anch’io,
cosa?”
L’uomo
sorrise
furbescamente e dolcemente nello stesso tempo. Aveva percepito una sua
verità
su Christine, giusta o sbagliata che fosse, aveva sentito qualcosa su
di lei,
anche se non sapeva nulla di come fosse in realtà, in fondo
non la conosceva.
La
California
era infestata di ragazze la cui unica preoccupazione era se il tacco
delle
scarpe o la lunghezza della gonna fossero all’ultima moda o
no, e la cui unica
aspirazione era finire sulla copertina di Vogue o sposare un produttore
miliardario. Ragazze che passavano la vita dall’estetista per
le extension
e le ciglia finte o
dal chirurgo
plastico per labbra e tette gonfie, belle, bellissime, ma finte e tutte
uguali.
Ma
non
Christine.
Lei
era del
tutto diversa.
Era
come se
certe cose della sua vita fossero state accantonate o non la toccassero
più di
tanto, come se adesso lei facesse solo quello che le piaceva, non
avesse
aspirazioni da conquistare, ma situazioni consolidate da gustare fino
in fondo,
fregandosene di cosa si poteva pensare di lei. Niente di quello che per
le
altre era legge, per lei contava qualcosa. Lei era oltre. Sopra a
tutto. Era
tranquilla, senza smania di passare avanti agli altri o di essere un
qualcosa
che non era: quasi sembrava aver raggiunto quella consapevolezza e
distacco
buddisti che anche Shannon cercava. Anche adesso che raccontava di
Rossi, era
contenta, ma non esagitata, era normale anche in quello:
“Anche tu sei un
personaggio…”, le disse, dandole un buffetto sulla
guancia. “Un personaggio
raro.”
Christine
arrossì, imbarazzata: “Io? Ma no, no,
Shannon… non prendere in giro, dai…
sono…
sono solo una pizzaiola, dai… A
proposito…”, la ragazza sembrava quasi volere
cambiare disperatamente discorso, schernendosi: “Vuoi un
po’ di pizza?”, gli
chiese, estraendo dallo zaino un
pacchettino e cominciando a scartarlo. “Gliene
ho portata anche una a
Rossi…”
Shannon
scoppiò a ridere: “Ma sì,
perché no?” Alla fine anche lui fu contento di
cambiar discorso: non aveva chiaro nemmeno lui dove volesse andare a
parare con
il discorso che aveva fatto. E fu anche contento dell’arrivo
di Steve e degli
altri che, rumorosamente, si sedettero tutti lì vicino a
mangiare la pizza di
Christine e il loro pranzo al sacco.
Mentre
l’ora
della gara si avvicinava, il sole di Luglio picchiava sul circuito di
Monterey
e le chiacchiere proseguivano, con
pronostici sulla vittoria dei vari motociclisti che si sprecavano,
Shannon, con
una notte brava e bianca alle spalle e lo stomaco soddisfatto di pizza
e birra,
si addormentò, placidamente sdraiato vicino a Christine con
il berretto rosso
calato sugli occhi, mentre il rombo di una gara dimostrativa di auto lo
cullava.
Lei
lo guardò
un attimo sorridendo, chiedendosi cosa Shannon avesse voluto dire con
l’uscita
di poco prima, e poi si spostò in modo da fargli ombra con
il suo corpo: anche
Shannon era decisamente un personaggio.
Tutto
da
scoprire.
Shannon
fu risvegliato
da Steve che gli urlava in un orecchio a voce altissima:
“E’ ORAAAAAA!!!
SVEGLIAAAA!! SI SCATENERA’ L’INFERNO!!!”
“MUDDAFUGAZZ,
STEVE! CHE CAZZO FAI?!??” Shannon balzò seduto
chiedendosi dove fosse, ancora
con i fumi del sonno profondo che gli annebbiavano la mente, il
berretto a
sghimbescio. “VUOI FARMI MORIRE
D’INFARTO???”, poi si alzò di scatto e
fece per
tirargli un pugno scherzoso su una spalla.
Ma
Christine
gli stava porgendo un bicchiere di carta, sorridendo.
“Caffè? Meno dieci minuti
alla partenza! Sei pronto per la gara?”
Shannon
accettò
il caffè ed annuì, convinto, ma nessuno al mondo
poteva essere pronto per una
gara tiratissima come quella, con Stoner e Rossi che, partiti veloci
come
fulmini, si contendevano la prima posizione con sorpassi a non finire,
con
tutto il campionario di prodezze dei due grandi atleti completamente
sfoggiato.
Con
Rossi che,
proprio al cavatappi, metteva due ruote sulla terra ma riusciva a stare
in
sella per miracolo e Christine che lanciava un urlo.
Con Stoner che domava le
derapate della sua
Ducati, rosso cavallo selvatico, e con Shannon con i brividi lungo la
schiena,
estasiato.
A
nove giri
dalla fine, dopo una gara mozzafiato, Stoner sbagliò una
staccata e, per
evitare di tamponare Rossi, andò fuori pista,
piegò sulla ghiaia del bordo
pista e finì a terra: Shannon e Christine trattennero il
fiato, mentre il
corridore australiano si rialzava e ricominciava
l’inseguimento di Rossi, ma inutilmente.
Rossi
aveva
vinto, aveva baciato la curva del cavatappi proprio davanti agli occhi
esterrefatti di Christine, e Shannon si complimentò subito
con la ragazza,
ancora incantata dall’impresa e da quel bacio
sull’asfalto: “Gli hai portato
fortuna!”, le disse, abbracciandola
e
alzandola da terra. “E’ stata la tua
pizza!”
La
ragazza si
schernì, come al solito, prendendo il viso di Shannon tra le
mani e poi
stringendolo a sé, con slancio, senza pensarci:
“No, no… Rossi è bravissimo
e…
anche Stoner è un campione… e la gara era tra chi
sbagliava meno, dai… Oddio…
che gara! Sono stremata! Oddio! Non ci posso credere!”,
disse, prima di
fermarsi e rendersi conto di quel che aveva fatto e di trovarsi tra le
braccia
di Shannon e avere lui nelle sue. Ognuno ritirò le proprie
braccia, quasi di
corsa, imbarazzati tanto da cominciare simultaneamente una discussione
sulla
gara con gli amici.
Discussione
che
proseguì al tavolino di un bar di Monterey a bere qualcosa,
prima di partire ognuno
con il proprio mezzo destinazione casa.
Shannon
era
impegnato in una discussione con Ray, un tifoso di Hayden, su quali
erano le
possibilità di Stoner e della Desmosedici, ma con un
orecchio ascoltava la
discussione tra Steve e Christine, seduti davanti a lui e in evidente
combutta.
“Vieni?
E’
giovedì prossimo, alle venti…” chiedeva
Christine.
“Questo
giovedì?”
“Sì.”
“Accidenti!
Io…
non posso, Christine. Sono fuori città per lavoro.”
“OK.”
“Mi
dispiace.
Non possiamo fare un altro giorno?”
“Ehm…
purtroppo ho comperato già i biglietti.”
“Mi
dispiace
davvero, cara…” Steve le toccò un
braccio, dispiaciuto per davvero.
Ma
Christine
gli sorrideva, nonostante si vedesse la delusione nei suoi occhi scuri:
“Non
preoccuparti, Steve. Riuscirò a convincere Betty,
tranquillo.”
Shannon
non
aveva capito di cosa si stesse parlando, ma l’espressione di
Christine non gli piaceva.
“Vengo
io.”
Tutti
si
girarono ad occhi spalancati verso chi aveva parlato. Era stato
Shannon. La cui
voce gli era uscita quasi senza volere e senza sapere dove dovesse
andare.
Steve
lo
guardò ad occhi spalancati: “Sei sicuro,
Shan?”
“Ehm…
sì…”, rispose.
Steve
scosse
la testa: “A te non piace l’opera lirica.”
Shannon
spalancò gli occhi: “Opera?”
“Sì.”
Rispose
Christine, “Andrei a vedere ‘il Barbiere di
Siviglia’ di Rossini, giovedì
prossimo, all’Opera House. Ehm… vieni
tu?”
A
Shannon
quasi mancò l’aria. “Opera?”,
ripetè, traumatizzato.
“Sì,
opera.”,
ribadì Christine, sorridendo contenta.
Tutti
attorno
al tavolino guardavano lui, sorpresi ed in attesa della sua risposta,
qualunque
fosse. Tutti sapevano della passione di Christine per la lirica (oltre
che per le
moto) e tutti si erano più o meno defilati già da
tempo, nonostante la ragazza
non fosse poi così insistente. Resisteva solo Steve. Ma quel
giorno aveva dato
buca pure lui.
“OK”,
disse
Shannon, alla fine, con un filo di voce. Dopotutto era
un’esperienza musicale
anche quella no? Musica decisamente diversa dalle altre che ascoltava
ma sempre
musica. Musica che comunque segnava la vita a molte persone,
così come la sua
musica segnava la vita delle echelon. “OK. Certo che vengo.
Sono… curioso, non ci
sono mai stato.”
Christine
gli
passò un tovagliolino di carta in cui aveva scritto
frettolosamente il suo
indirizzo, dicendogli: “Allora giovedì alle
diciannove a casa mia, va bene?” e
poi si alzò e, sotto gli occhi sbigottiti di Shannon ancora
con il foglietto in
mano, si mise il giubbotto di pelle, il casco e se ne andò,
salutando tutti.
Shannon
non
credeva ai suoi occhi: Christine tornava a casa in moto!
Shannon
fu
tentato di buttarsi in macchina e braccarla, a folle
velocità inseguirla e
controllarla, incredulo di quella pazza che affrontava ore ed ore di
strada in
moto per rientrare, ma sapeva che non l’avrebbe mai raggiunta.
In
molti
sensi.
Questo
capitolo è dedicato alla mia amica Valentina: sai che ormai
io non credo più che
il personaggio che descrivo qui (nemmeno lo nomino) sia in qualche modo
reale o
abbia le caratteristiche che gli attribuisco. Anzi, ormai e per tante
ragioni
sono portata a ritenere che sia esattamente l’opposto, che la
sua sensibilità sia
nulla e le sue qualità umane inesistenti…
però… però devo dire che scrivere di
lui in questo modo, era proprio bello! Baci!
|