Imploro
perdono. Giuro. Scusate, scusate, scusate, scusate.
Non era mia intenzione postare così
tardi.
Vi chiedo sinceramente scusa.
Alla
fine le l'ho fatta a scrivere questo capitolo, alleluia! Dovrebbe
essere il terzultimo di questa fic... penso, o il quartultimo.
Vedremo! Il prossimo capitolo fosse l'ultima cosa che faccio lo
posterò tra circa una settimana, oppure il tempo potrebbe un
pochino allungarsi di un'altra settimana dato che parto di nuovo...
Comunque entro due settimane dovrei postare il nono capitolo.
Scusate
ancora. Spero che questo capitolo vi piaccia. ♥
Capitolo
8.
“L'inserviente?!”,
esclamò Emily, alla guida di un SUV scuro, con un'espressione
scioccata sul viso mentre rievocava nella propria mente il momento in
cui aveva parlato con Edward Jacobs, il giorno prima, e le aveva
raccontato con tutta tranquillità del suo ultimo –
presunto – incontro con Reid.
La
squadra era divisa in due macchine scure, tutti indossavano un
giubbotto proiettile e le pistole nella fondina, pronte all'uso.
Alison
Juliet era rimasta a Quantico e, quando erano usciti, l'avevano vista
seduta sulla sedia della scrivania di Reid, le mani sul volto in un
gesto stanco e disperato. Sembrava quasi stesse pregando che
trovassero il suo ragazzo vivo, e che si sentisse terribilmente in
colpa per non essersi resa conto prima delle attenzioni che Edward
Jacobs le rivolgeva.
Emily
inchiodò davanti all'entrata del teatro John
F. Kennedy Center for the Performing Arts e uscì sbattendo la
portiera, imitata dal resto della squadra; Morgan, Hotch e Rossi, i
quali si trovavano sull'altro SUV, scesero pochi istanti dopo.
Morgan
si mise davanti alla porta e fece un respiro profondo, prima di
entrare abbassando la maniglia – la porta era aperta.
L'atrio
del teatro era semibuio, e illuminato solo da una piccola luce che
rifletteva le loro ombre sulle pareti.
“Edward
Jacobs?”, chiamò ad alta voce Hotch, la mano appoggiata
sulla pistola.
Aspettarono
qualche secondo, in silenzio, i loro cuori che battevano
all'impazzata e il respiro pesante.
“Edward
Jacobs, FBI!”, gridò Morgan, con quanto fiato aveva in
corpo.
Le
luci sopra le loro teste si accesero all'improvviso e dalla penombra
di un angolo uscì la figura tarchiata dell'inserviente, tra le
mani uno straccio grigio.
“Che
cosa diavolo sta succedendo?!”, domandò con tono
stridulo. L'intera squadra si voltò verso di lui.
“Mani
dietro la testa”, ordinò Rossi, guardandolo con
un'occhiata profonda.
“...Che
cosa?”, balbettò Jacobs, nervoso.
“Mani
dietro la testa, ho detto!”, gridò di nuovo l'agente
FBI.
Morgan
si avvicinò lentamente a Edward da dietro le spalle e gli
prese le mani, ammanettandole.
“Edward
Jacobs, è in arresto per il sequestro di Spencer Reid.
Qualunque cosa dica potrebbe essere utilizzata contro di lei in
tribunale. Può chiedere la presenza di un avvocato, se non può
permettersene uno gliene verrà assegnato uno di ufficio”,
recitò Emily Prentiss, osservandolo con un'occhiata assassina.
“Che
cosa state dicendo?!”, ringhiò l'inserviente, cercando
di divincolarsi. “Io non ho fatto niente!”. Il tono con
cui disse l'ultima frase a JJ parve tremendamente falso.
“Vedremo
sino a che punto”, sbottò Morgan, spingendolo verso
l'uscita.
Hotch
seguì la scena tenendo sempre alta la pistola e la riabbassò
solo quando vide Edward Jacobs varcare la porta d'uscita.
Aveva
l'orribile presentimento che quell'uomo non avrebbe ceduto molto
facilmente alle loro domande.
**
Morgan
sbatté un pugno sul tavolo, facendolo tremare, gli occhietti
acquosi di Jacobs puntati su di lui.
«Non
te lo chiederò di nuovo, dimmi dove si trova Reid!»,
urlò Derek, l'espressione minacciosa di chi non scherza.
«Ed
io non so più come dirglielo: io. Non. Lo. So.», sillabò
l'inserviente, ricambiando lo sguardo verso Morgan.
Morgan
si morse la lingua per non doversi mettere a urlare. Voltò le
spalle all'interrogato e uscì dalla sala interrogatori,
sbattendosi la porta alle spalle.
All'uscita
trovò il resto della squadra, tutti con la medesima
espressione spaurita, chi cercava di nasconderlo e chi meno.
In
mezzo a loro, c'era Alison Juliet.
«Niente?»,
domandò. Non stava più piangendo, sembrava aver finito
le lacrime, ora la sua voce era decisa, secca.
«Niente».
La
bionda fece un gran respiro.
«Fate
provare a me», enunciò nel silenzio improvviso.
«Come?
No. Non hai una preparazione, non sai cosa fare, non puoi»,
rifiutò categoricamente Morgan.
«Lui
vuole me. Posso fargli dire dove si trova Spencer, ho un'idea.
Fidatevi.», li guardò tutti negli occhi, uno ad uno. «Vi
prego».
Hotch
e Rossi si scambiarono un'occhiata.
«Che
idea sarebbe?», domandò poi quest'ultimo.
**
David
aprì la porta con forza, sbattendola, una mano serrata intorno
a un braccio di Alison. La ragazza stava facendo una smorfia, e
questa si accentuò ancor di più quando Rossi la fece
sedere a malo modo sulla sedia davanti a Edward Jacobs.
Edward,
al contrario, sorrideva improvvisamente alla vista della ragazza e
cercò di lamentarsi sentendola gemere.
«Cinque
minuti.», ringhiò David, guardando la bionda negli occhi
per poi uscire dalla porta con passo pesante.
«Alison...»,
sospirò Edward, gli occhi che gli brillavano. «Cosa ci
fai qui?».
La
ragazza alzò gli occhi su di lui.
«Che
cosa ci fai tu, qui,
piuttosto»,
commentò acidamente. Edward si strinse nelle spalle udendo
quel tono e abbassò il cavo.
Alison
scosse la testa e disegnò sul viso una nuova espressione.
«Scusami»,
sussurrò, melodica. «Sono...
stanca, spaventata. Mi accusano di una colpa assurda».
Jacobs
corrugò la fronte, incuriosito.
«Dicono
che ho rapito Spencer»,
sbottò. «Io,
ti rendi conto?! Perché mai dovrei fare una cosa del genere?».
«Ti
accusano di che cosa?!»,
esclamò Edward, sbalordito. «Ma
non è possibile!».
«È
quello che dico anch'io! Come potrei fare una cosa del genere, per
quanto mi piacerebbe che spariss-». Si zittì
all'improvviso, abbassando la testa.
Edward
la fissò confuso.
«Hai
detto... hai detto che ti piacerebbe se lui... sparisse?».
Nascondeva a stento la gioia.
Alison
Juliet si guardò intorno per la stanza, alla ricerca di
qualche telecamera. Non trovandone, proseguì.
«Sì»,
confessò, mordendosi il labbro inferiore. «Vorrei che
sparisse dalla mia vita una volta per tutte».
Edward
era perplesso, continuava a fissarla come se non credesse alle
proprie orecchie.
«Ma...
ma tu lo ami, voi vi
sposerete»,
pronunciò l'ultima parola come uno sputo.
La
bionda lo fissò, inarcando un sopracciglio.
«Ho
rotto il fidanzamento qualche giorno fa, Ed. Venerdì sera, per
la precisione».
«Ma
non è possibile,
voi vi stavate baciando,
e abbracciando, e lui
ti ha portato fuori a cena...», balbettò l'uomo.
«Come
mi ha riaccompagnato a casa l'ho lasciato», ammise lei. «Non
potevo più continuare a fingere».
«Io...
io non capisco, Alison».
La
giovane donna fece un sospiro, guardando velocemente alle proprie
spalle.
«Non
ho molto tempo, hai sentito quell'agente dell'FBI, mi sono stati
concessi solo cinque minuti. Ho rotto con Spencer, perché non
potevo più mentire a me stessa... né a lui. La verità,
è che in lui ho cercato un sostituto, qualcuno che sostituisse
il vuoto che ho dentro di me per non poter avere l'uomo che
desidero». Lo prese per mano, accarezzandogli il palmo. «Tu».
«Io?!».
«Tu.
So di averti trattato sempre con diffidenza, ma pensavo che standoti
lontana avrei smesso di provare per te ciò che in realtà
ancora provo: amore.
Sei sempre stato così gentile, con me, così delicato,
buono, generoso... Ma sapevo di non poteri avere, di non essere
abbastanza per te. Così ho ripiegato su Spencer, che sembrava
pronto ad accogliermi tra le sue braccia. È stato così
per anni, ma non potevo sposarlo con la consapevolezza di amare un
altro, non potevo. L'ho lasciato... e ora dicono che sia scomparso,
mi accusano di essere stata io a sequestrarlo. Ma non sono stata io,
lo giuro».
Lo
fissò negli occhi. Sembrava che Jacobs stesse per scoppiare a
piangere per la gioia.
«Ho
saputo che anche tu sei sospettato, quindi mi sono detta... hanno
sbagliato su di me, ma può anche darsi che... Ed, io non ti
sto accusando di niente, ma... sei stato tu, non è vero? A
prendere Reid?».
Ci
furono degli attimi dei secondi durante i quali sia Alison che
l'intera squadra all'esterno della sala interrogatori trattennero il
fiato.
Poi,
Jacobs annuì.
«Sì,
sono stato io».
Alison
Juliet riprese a respirare, cercando di non mostrarsi sollevata.
«Tu...
tu mi ami?».
Di
nuovo, Jacobs annuì.
La
ragazza fece un gran sorriso.
«Confessa»,
lo supplicò.
Edward
spalancò gli occhi.
«Cosa?!
No!».
«Ti
prego.», lo supplicò
la violinista, stringendo più forte la sua mano. «Se
confessi, se dici dove si trova, diranno che hai collaborato e ti
abbrevieranno la pena, uscirai prima di prigione e se ancora mi
vorrai potremo passare il resto delle nostre vite insieme».
Jacobs
non parlò.
«Se
vado in prigione io... non so quando mi faranno uscire. Spencer
potrebbe essere ancora vivo, l'accusa per ora è solo di
rapimento, ma se mai lo ritrovassero morto si trasformerebbe in
accusa di omicidio e potrei passare il resto della mia vita in
prigione...».
«È
ancora vivo».
Alison
sentì un enorme peso lasciarle il petto.
«Ti
prego, confessa e dì dove si trova, fallo per me... fallo per
noi».
Jacobs
rimase ancora qualche istante in silenzio.
«Fattoria
Turner, poco distante dal ponte Cartage. È lì».
Alison
sorrise ancora di più.
«Grazie».
Rossi
irruppe in quel secondo, trascinandola fuori dalla sala.
«Geniale»,
commentò, congratulandosi con lei.
Alison
sorrise. Spencer era vivo. Sapeva dove si trovava. Sarebbe andato
tutto bene.
«Andiamo
a prenderlo».
Continua...
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