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Fuori dalla caverna non faceva molto più freddo che dentro.
Il
vento, impetuoso, alzava i suoi vestiti. Vestiti suoi, certo. Rubati
dal sacco, che era stato rubato pure quello. Un ladro insomma.
Ti sei ridotto maluccio,
eh?
Era un uomo che viveva nel passato ormai, non sapendo che
essere, si figurava in sogni, o incubi passati, sperando che prima o
poi qualcuno, ma chissà chi, venisse a indicargli che essere.
Si mise in cammino, pulsavano le vene nelle sue tempie, dolore, diceva
il suo cervello. Fame, diceva il suo stomaco. Trascinandosi malamente,
uscì dal sentiero vicino alla grotta, inoltrandosi nel vuoto
agghiacciante della pianura.
Pensieri s'accavallavano nella sua mente, malandata mente. Paura, era
il filo conduttore. Terrore, lo sfondo. Sconsolatezza, lo svolgimento.
Disperazione, la fine.
Era cambiato, molto, forse troppo. Croci che non portava
più, spade che non indossava, documenti che non scriveva.
Camminando però, cominciava a ordinarli, massacri e
devastazioni
cominciavano a sfumare, la ragione vacillava di fronte a tutto
ciò, ricordi del passato trovavamo un posto nel suo cervello
automaticamente, finchè, non si trovò solo nel
nulla.
Niente pensieri, volatilizzati.
Niente ricordi, andati.
Solo lui, un cielo plumbeo e un freddo atroce.
Di questo s'acccorse, faceva molto molto freddo, nonostante le due
giubbe che indossava, gli battevano i denti, aveva la pelle d'oca.
Non ricordava bene da quanto stesse camminando. Le sue mani eran
diventate insensibili.
A dire la verità, non sapeva nemmeno dove stava andando. Il
sentiero che aveva seguito fino a quel momento si era interrotto nei
pressi di un fortino abbandonato costruito sopra ad una collina.
Finestre vuote lo guardavano come occhi senza espressione, il portone,
divelto dai cardini, era in terra, ne era rimasto solo un pezzo
cigolante in alto, che mandava sinistri e cupi sullulti a ogni piccolo
accenno di vento. L'edera invadeva le pietre che un tempo dovevano
essere state squadrate alla perfezione, i merli sui camminamenti erano
semi crollati e tutto era immerso in un silenzio irreale.
Ignorando la paura, entrò.
La corte era deserta. O meglio, quello che ne restava. Il pozzo per
l'acqua era l'unica cosa intatta stranamente, ma vicino ad esso vi
erano mucchi di armature distrutte, spade tranciate a metà,
cataste di freccie semi carbonizzate.
A quanto pare, avevano affrontato un assedio, anche con impegno vista
la quantità di armamenti rimasti, gli altri erano stati
sicuramente depredati, il che sembrava strano, per un castello sperduto
nel nulla.
Cercava d'immaginarsi cosa poteva essere accaduto.
Davvero non capisci,
soldatino?
C'era comunque qualcosa di strano: la chiesa era l'unico
edificio con la porta integra, per di più sbarrata
dall'interno.
Come mai? Aveva provato a forzarla, ma non v'era riuscito.
Ormai calava la sera, timidi refoli di vento gl'arrivavano addosso dal
portone, suo unico occhio verso l'esterno, unica entrata per un fortino
dimenticato; tanto valeva fermarsi lì per la notte,
ignorando i
crampi allo stomaco e la debolezza provocata dalla mancanza di cibo.
Nel piccolo mastio, l'unica luce era quella della Luna, che entrava da
una piccola finestra, in alto. Il ponte per arrivare ai piani
superiori, era sparito, anzi, probabilmente si trovava ancora sopra di
lui, sopra il soffittto, nascosto da mani impaurite, celato in un
angolo ombroso e inacessibile.
Stese la coperta e mise attorno a lui le poche cose che aveva, le poche
cose che gli rimanevano.
Con calma si distese, aspettando che il sonno lo cogliesse e
gli facesse dimenticare tutti i suoi problemi.
Occhi scuri, castani, lo
guardavano.
Capelli ancora più scuri lo sfioravano, sfumati di rosso.
Labbra sottili, delicate, si muovevano.
Una ragazza esile, seduta accanto a lui.
Parlava, un velo di tristezza offuscava occhi che un tempo dovevano
essere stati felici. Un velo di rassegnazione segnava i suoi lineamenti.
Non ricordava chi fosse, non sapeva. Era lì, mentalmente le
faceva domande, cercava di muovere la bocca. Ma nulla, nessun suono
usciva.
Cercava di stringerla a sè, ma nulla, nessun muscolo si
muoveva. Cercava di capire i suoi deboli sussurri. Ma nulla, nessuno di
questi giungeva alle sue orecchie.
Cosa stava succedendo?
Perchè aveva cominciato a piangere? Piccole lacrime
sgorgavano, scendevano lungo le sue gote, arrivavano al mento.
Cadevano. Nel nulla.
Perchè, perchè avrebbe voluto consolarla?
Perchè se nemmeno ricordava chi fosse?
Perchè non capiva l'essenza di quel momento?
Sopravviveva, semplicemente, senza vivere.
Si svegliò nel cuore della notte, ansimante.
Oh sì
soldatino, rammenti qualcosa di diverso da massacri e devastazioni?
Incredibile, non si capacitava di chi potesse essere
quella ragazza con cui aveva parlato. Parlato, come no. Tentato di
parlare, a dir la verità.
Sogni, inutili svaghi della mente, la sua mente, malandata, torturata.
Troppi pensieri, troppe preoccupazioni.
Ma li voleva, voleva rientrarci, voleva capire il perchè di
quelle lacrime. Voleva capire, capire, capire e ancora capire.
Si girò, a pancia in su, dalla finestra intravedeva le
stelle, si chiese, per un momento, se quella ragazza le avesse mai
viste, o fosse solo una creatura dei suoi sogni.
Si addormentò, di nuovo.
Di nuovo lì,
stesso luogo. Gli sembrava d'essere seduto su di un muretto,
la ragazza sempre di fianco a lui.
Sentiva di più questa volta. Il Sole, il Sole splendeva, il
vento saliva dalle sue spalle fresco, girandosi vide un fiume, non
molto distante, ma più in basso. Guardò in
basso. Strapiombo. Si
rigirò, guardandola. Dietro di lei c'eran due cipressi,
alti, scuri. Ora coprivano il Sole. A sinistra ora notava un castello,
minaccioso, una torre, ancora più minacciosa.
Nuvole cominciavano ad arrivare su di loro. Ma lei non sembrava
accorgersene. Continuava a parlargli, con gli occhi spenti, sussultando.
E lui, lui continuava a non capire.
E' per te,
so che te ne accorgerai. Lei ti somiglia.
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