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Autore: Alkibiades    27/07/2011    0 recensioni
In una terra desolata, vaga da solo, senza sapere chi è e cos'è. Chi era prima? Cos'è successo ora? Perchè è ridotto così?
Prima le risposte gliele dava il suo Dio, ma adesso?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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3 Fuori dalla caverna non faceva molto più freddo che dentro. Il vento, impetuoso, alzava i suoi vestiti. Vestiti suoi, certo. Rubati dal sacco, che era stato rubato pure quello. Un ladro insomma. 
Ti sei ridotto maluccio, eh?
Era un uomo che viveva nel passato ormai, non sapendo che essere, si figurava in sogni, o incubi passati, sperando che prima o poi qualcuno, ma chissà chi, venisse a indicargli che essere.
Si mise in cammino, pulsavano le vene nelle sue tempie, dolore, diceva il suo cervello. Fame, diceva il suo stomaco. Trascinandosi malamente, uscì dal sentiero vicino alla grotta, inoltrandosi nel vuoto agghiacciante della pianura.

Pensieri s'accavallavano nella sua mente, malandata mente. Paura, era il filo conduttore. Terrore, lo sfondo. Sconsolatezza, lo svolgimento. Disperazione, la fine.
Era cambiato, molto, forse troppo. Croci che non portava più, spade che non indossava, documenti che non scriveva.
Camminando però, cominciava a ordinarli, massacri e devastazioni cominciavano a sfumare, la ragione vacillava di fronte a tutto ciò, ricordi del passato trovavamo un posto nel suo cervello automaticamente, finchè, non si trovò solo nel nulla.
Niente pensieri, volatilizzati.
Niente ricordi, andati.
Solo lui, un cielo plumbeo e un freddo atroce.
Di questo s'acccorse, faceva molto molto freddo, nonostante le due giubbe che indossava, gli battevano i denti, aveva la pelle d'oca.

Non ricordava bene da quanto stesse camminando. Le sue mani eran diventate insensibili.
A dire la verità, non sapeva nemmeno dove stava andando. Il sentiero che aveva seguito fino a quel momento si era interrotto nei pressi di un fortino abbandonato costruito sopra ad una collina. Finestre vuote lo guardavano come occhi senza espressione, il portone, divelto dai cardini, era in terra, ne era rimasto solo un pezzo cigolante in alto, che mandava sinistri e cupi sullulti a ogni piccolo accenno di vento. L'edera invadeva le pietre che un tempo dovevano essere state squadrate alla perfezione, i merli sui camminamenti erano semi crollati e tutto era immerso in un silenzio irreale.

Ignorando la paura, entrò.

La corte era deserta. O meglio, quello che ne restava. Il pozzo per l'acqua era l'unica cosa intatta stranamente, ma vicino ad esso vi erano mucchi di armature distrutte, spade tranciate a metà, cataste di freccie semi carbonizzate.
A quanto pare, avevano affrontato un assedio, anche con impegno vista la quantità di armamenti rimasti, gli altri erano stati sicuramente depredati, il che sembrava strano, per un castello sperduto nel nulla.
Cercava d'immaginarsi cosa poteva essere accaduto.
Davvero non capisci, soldatino?
C'era comunque qualcosa di strano: la chiesa era l'unico edificio con la porta integra, per di più sbarrata dall'interno. Come mai? Aveva provato a forzarla, ma non v'era riuscito.
Ormai calava la sera, timidi refoli di vento gl'arrivavano addosso dal portone, suo unico occhio verso l'esterno, unica entrata per un fortino dimenticato; tanto valeva fermarsi lì per la notte, ignorando i crampi allo stomaco e la debolezza provocata dalla mancanza di cibo.

Nel piccolo mastio, l'unica luce era quella della Luna, che entrava da una piccola finestra, in alto. Il ponte per arrivare ai piani superiori, era sparito, anzi, probabilmente si trovava ancora sopra di lui, sopra il soffittto, nascosto da mani impaurite, celato in un angolo ombroso e inacessibile.
Stese la coperta e mise attorno a lui le poche cose che aveva, le poche cose che gli rimanevano. 
Con calma si distese, aspettando che il sonno lo cogliesse e gli facesse dimenticare tutti i suoi problemi.

Occhi scuri, castani, lo guardavano.
Capelli ancora più scuri lo sfioravano, sfumati di rosso.
Labbra sottili, delicate, si muovevano.
Una ragazza esile, seduta accanto a lui.
Parlava, un velo di tristezza offuscava occhi che un tempo dovevano essere stati felici. Un velo di rassegnazione segnava i suoi lineamenti.
Non ricordava chi fosse, non sapeva. Era lì, mentalmente le faceva domande, cercava di muovere la bocca. Ma nulla, nessun suono usciva.
Cercava di stringerla a sè, ma nulla, nessun muscolo si muoveva. Cercava di capire i suoi deboli sussurri. Ma nulla, nessuno di questi giungeva alle sue orecchie.
Cosa stava succedendo?
Perchè aveva cominciato a piangere? Piccole lacrime sgorgavano, scendevano lungo le sue gote, arrivavano al mento. Cadevano. Nel nulla.
Perchè, perchè avrebbe voluto consolarla? Perchè se nemmeno ricordava chi fosse?
Perchè non capiva l'essenza di quel momento?
Sopravviveva, semplicemente, senza vivere.

Si svegliò nel cuore della notte, ansimante.
Oh sì soldatino, rammenti qualcosa di diverso da massacri e devastazioni?
Incredibile, non si capacitava di chi potesse essere quella ragazza con cui aveva parlato. Parlato, come no. Tentato di parlare, a dir la verità.
Sogni, inutili svaghi della mente, la sua mente, malandata, torturata. Troppi pensieri, troppe preoccupazioni.
Ma li voleva, voleva rientrarci, voleva capire il perchè di quelle lacrime. Voleva capire, capire, capire e ancora capire.
Si girò, a pancia in su, dalla finestra intravedeva le stelle, si chiese, per un momento, se quella ragazza le avesse mai viste, o fosse solo una creatura dei suoi sogni.

Si addormentò, di nuovo.

Di nuovo lì, stesso luogo.  Gli sembrava d'essere seduto su di un muretto, la ragazza sempre di fianco a lui.
Sentiva di più questa volta. Il Sole, il Sole splendeva, il vento saliva dalle sue spalle fresco, girandosi vide un fiume, non molto distante, ma più in basso. Guardò
in basso. Strapiombo. Si rigirò, guardandola. Dietro di lei c'eran due cipressi, alti, scuri. Ora coprivano il Sole. A sinistra ora notava un castello, minaccioso, una torre, ancora più minacciosa. 
Nuvole cominciavano ad arrivare su di loro. Ma lei non sembrava accorgersene. Continuava a parlargli, con gli occhi spenti, sussultando.
E lui, lui continuava a non capire.

E' per te, so che te ne accorgerai. Lei ti somiglia.
 
  
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