Your Guardian Angel
*° Capitolo
Quattordici: Soluzione °*
Scusate
per la mia assenza, per il mio ritardo e per tutto il resto.
Questo
capitolo è dedicato a tutte voi che continuate a seguirmi,
nonostante io sia pessima.
Vi ringrazio e mi scuso
ancora, davvero dal profondo.
POV
BELLA
“Toc
toc”, un mormorio divertito, seguito
da un lieve colpetto sulla superficie della porta, mi fece sobbalzare,
sebbene
lo stessi aspettando da un pezzo.
Non
avevo fatto altro che chiedermi, con un
misto di irritazione, ansia e sarcasmo, quando mia madre avrebbe ceduto
alla
morbosa curiosità che avevo letto nei suoi occhi non appena
Edward era saettato
fuori dalla porta di casa, mormorando scuse e saluti indistinti. Sapevo
che
sarebbe salita in camera non appena avrebbe trovato un istante libero,
avida di
conoscere le ‘vicende sentimentali di sua figlia’.
Già la immaginavo, tutta
entusiasta e saltellante, finalmente alle prese con i problemi di cuore
che
aveva sempre desiderato, da eterna adolescente qual era.
“Avanti”,
risposi rassegnata, nascondendo
la testa sotto il cuscino e raggomitolandomi su me stessa, come se il
solo
fatto di essere coperta avesse potuto proteggermi
dall’interrogatorio di Renée.
Memorizzai
con nervosismo crescente ogni
suo minimo movimento, ogni rumore che avvertii non appena
varcò la porta della
mia camera: il cigolio prodotto dalla porta spalancata con foga, i suoi
passi
frettolosi nel raggiungere il letto, il rumore sordo mentre si
inginocchiava
sul pavimento, accanto al materasso.
Rimanemmo
in silenzio per un paio di
minuti: probabilmente si aspettava che sarei stata io a prendere parola
e a
confidarmi con lei, che le avrei raccontato tutto per filo e per segno
e che
avrei confermato ciò che lei, da mamma veramente intuitiva,
aveva immaginato e,
sicuramente, sperato fosse accaduto.
“Bella?”,
mi richiamò con voce carica di
aspettativa.
“Mmm?”,
ribattei con finta innocenza dal
mio angolino, ancora speranzosa di poterla scampare.
“Cos’è
successo prima, con Edward?”,
eccola, la fatidica domanda.
Renée
si alzò in piedi – ormai la sua sete
di sapere aveva raggiunto il culmine – e scostò
lenzuola e cuscino per potermi
guardare in faccia.
Sospirai
profondamente: d’altronde avevo sempre
saputo che sarebbe dovuto succedere.
Mamma
dovette cavare informazioni dalla mia
bocca con le pinze, interpretare i miei grugniti e i mugolii vari, i
silenzi
secondo lei ‘carichi di significato’, analizzare i
miei attimi di incertezza
con aria da Sherlock Holmes in versione femminile e americana, ma, alla
fine,
sembrò soddisfatta e la sua curiosità fu messa a
tacere.
“Oh,
tesoro, quanto sono felice!”, esclamò
con un trillo e stampandomi un forte bacio sulla guancia, incurante del
fatto
che, solitamente, la gente a quell’ora della notte dormisse.
“Edward
è davvero un bravissimo ragazzo …
così dolce, premuroso … quando vi
rivedrete?”
Oh.
“N-non
lo so”, balbettai, preoccupata di
una qualche sua reazione isterica.
“Ma
siete o non siete fidanzati?!”, domandò
con un cipiglio perplesso e irritato.
“Non
abbiamo avuto tempo di parlarne!”,
sbottai, ormai allo stremo delle forze, “Sei spuntata fuori
all’improvviso e
lui è scappato via!”
Attese
un attimo, in piena meditazione zen.
“Questo è vero”, rifletté con
le sopracciglia ancora aggrottate, “ma il bacio
non dovrebbe parlare da sé? Non dovrebbe essere segno di una
dichiarazione?”
A
quel punto, mi alzai in piedi e,
fingendomi più stanca ed esasperata di quanto in
realtà fossi, spinsi mia mamma
verso la soglia della mia camera. “Buona notte,
mamma!”
Lei
sembrò alquanto sorpresa dalla mia
reazione, ma, per una volta, non ribatté e si
limitò semplicemente a salutarmi
con un bacio ed un sorriso.
Non
appena se ne fu andata, chiusi la porta
con un tonfo e corsi alla mia postazione precedente, riagganciando il
lenzuolo
e coprendomi fino al mento.
Fu
proprio in quel momento che, al buio e
con la testa finalmente sgombra, mi lasciai andare ad una risatina
strana,
eccitata, euforica, vera. Una
risatina
che nemmeno io ero capace di spiegarmi. Non avrei mai smesso di pensare
a ciò
che era successo quella sera, al bacio e a tutto il resto.
E
non importava che non sapessi
assolutamente come la situazione si sarebbe evoluta o come avrei dovuto
comportarmi con Edward nei giorni a venire: in quell’istante
tutto sembrava
splendido, regnava quella perfezione che avevo visto soltanto nelle
fiabe da
bambina e che ero convinta non avrei trovato in nessun altro posto.
Fu
così che mi addormentai, con le labbra
tese in un sorriso e la mente lontana da qualsiasi altra cosa che non
fosse lui:
Edward.
*
* * * * *
L’indomani
mattina, non ci fu bisogno delle
solite e odiate cannonate affinché mi svegliassi:
bastò semplicemente il sole.
I suoi raggi, infatti, quel giorno erano così caldi, forti e
insistenti che
riuscirono a penetrare nella stanza semplicemente attraverso le fessure
delle
tapparelle, donandomi un risveglio piacevole e, per la prima volta da
moltissimo tempo, pacifico.
Stropicciai
gli occhi con calma, giusto per
godermi quel momento di pace mattutina che, ne ero certa, non si
sarebbe
ripetuto molto presto.
Seppure
fossimo a ottobre inoltrato, il
sole era sempre presente ed i suoi raggi, in quel momento, sembravano
penetrare
nella pelle come per iniettarvi linfa vitale con la dolcezza di una
carezza.
Mi
cambiai lentamente, andai in bagno e
ritornai nella mia stanza per preparare lo zaino: erano tutte azioni
che
compivo ogni mattina, quasi meccanicamente per quanto erano divenute
ripetitive
e noiose, ma che quel giorno richiesero cura, dedizione, quasi; oltre
ad un
sorriso sulle labbra che ormai era diventato onnipresente.
Scesi
le scale quasi saltellando, zaino
pendente da una spalla e la mano sinistra a tracciare i contorni del
corrimano in
legno.
“Buongiorno”,
mi rivolsi a Charlie,
sprofondato nella poltrona del salotto con gli occhi chiusi, sebbene la
televisione fosse accesa. Della serie, passare da un letto a un altro.
Non
appena sentì la mia voce, saltò quasi
in aria e spalancò le palpebre, rivelando riflessi pronti e
scattanti da
poliziotto, nonostante gli acciacchi dell’età.
“Oh,
Bella, sei tu”, esclamò, senza
preoccuparsi di non far trasparire il sollievo dalla sua voce.
Ridacchiai
in risposta, dirigendomi verso
la cucina.
“Ah,
Bells!”, mi voltai, sentendomi
chiamare ancora. L’espressione di mio padre era perplessa, le
sopracciglia
aggrottate a formare un’ulteriore ruga sulla fronte.
“Come mai lo zaino? Oggi
dobbiamo andare all’ospedale”
Aprii
la bocca per replicare, ma dalle mie
labbra a formare una piccola O, non uscì alcun suono. Me
n’ero completamente
dimenticata!
Lasciai
scivolare lo zaino dal braccio,
facendolo atterrare mollemente a terra. Poi, a passi pesanti e
strascicati,
andai a sedermi sul divano accanto a mio padre, il quale ancora mi
fissava con
quell’espressione di chi non sta capendo più nulla.
Sprofondai
anche io tra i morbidi cuscini
colorati del sofà, e tentai di seguire con occhi assenti il
servizio trasmesso
dalla CNN.
“Bella,
qualche problema?”.
“No”,
risposi scuotendo la testa per dare
più enfasi alla negazione. “Mi è
sembrato semplicemente strano che … me ne
fossi dimenticata”
Charlie
sorrise, allungando lentamente una
mano verso la mia, appoggiata sul bracciolo del divano.
“Stavi pensando ad
altro, vero?”, domandò in una risatina leggera,
forse per vendicarsi della
figura fatta poco prima.
“Certo
che pensava ad altro!”, s’intromise
Renée con tono allegro, facendo capolino dalla cucina e
salvandomi da quella
situazione. “La mia bambina non pensa mai
all’ospedale, perché è una cosa troppo
triste. Lei sa che pensarci le farà
venire le rughe prima del tempo, perciò evita.”
Scambiai
uno sguardo sconvolto con mio
padre, poi risi, ormai certa che nella mia famiglia non ci fosse
più nessuno in
grado di salvarsi dalla pazzia.
“Ehi!”,
protestò Renée, offesa, poi si unì
alle nostre risate, senza alcun apparente motivo.
Che
bel quadretto familiare, pensai
sorridente. Da bambina,
avrei fatto di tutto per un momento del genere, ma col tempo mi ero
rassegnata
all’idea che se i miei non litigavano e non si parlavano era
già un progresso.
In quel momento, invece, tutto sembrava diverso, carico di
un’atmosfera nuova,
che non riuscivo a definire. Sapevo soltanto che mi piaceva. E tanto.
*
* * * * *
“Siamo
giunti ad un momento molto delicato,
Isabella”, il tono del dottor Banner era solenne e serio,
mentre tastava con
tocco attento e gentile le chiazze nude sul mio cranio.
Renée,
in piedi accanto a me, stringeva
forte la mia mano, mentre i suoi occhi, spalancati e luminosi,
saettavano da me
al dottore come una pallina da tennis.
“Senti mai
nausea?”, domandò, sempre con quel
tono distaccato e professionale.
Avevo
imparato a conoscere un po’ meglio il
Dottor Banner, col tempo, e avevo compreso che utilizzava quella voce
soltanto
quando era estremamente concentrato su qualcosa, proprio come in quel
frangente.
“N-non
mi sembra”, balbettai, colta alla
sprovvista.
“Sì,
invece, Bella.”, intervenne mia madre
con aria di rimprovero. “Non ricordi che, qualche giorno fa,
a cena, non hai
mangiato perché sentivi male allo stomaco? E tutte quelle
volte che salti la
colazione?”
Gli
occhi del dottore adesso erano puntati
verso di me, attenti. “Sono sintomi da non sottovalutare
assolutamente, questi.
Entro poco tempo, infatti, diventeranno sempre più forti ed
insistenti: come
già sai, perderai sangue, vomiterai spesso e, come stiamo
già vedendo, i
capelli cadranno. Stiamo entrando nella fase più intensa
della chemioterapia,
perciò vi devo chiedere molta cautela.”
Il
suo sguardo penetrante lasciò i miei occhi,
andando ad incrociare quelli preoccupati di mia madre. “Nei
primi tempi, non
esitate a portarla all’ospedale, dove vi daremo indicazioni
su cosa fare. Col
tempo, ci prenderete anche voi la mano e non sarà
più necessario portarla ogni
volta fin qui”
Renée
continuava ad annuire come un robot,
così meccanicamente da pensare che si trattasse di un tic
nervoso.
Osservai
il dottore, serio e concentrato,
allontanarsi per compilare i soliti moduli; e mi accorsi che qualche
minuto
dopo, quando ebbe sollevato nuovamente la testa, sembrava una persona
completamente diversa. Il volto sorridente e pacifico, infatti, emanava
una
radiosità incredibile che lo faceva sembrare quasi un
angelo, all’interno di
quella stanza bianca.
“Bene,
direi che possiamo anche terminare
qui”, esclamò con tono benevolo, dandomi un lieve
buffetto sulla guancia. “Sono
felice che tu stia reagendo meglio alla terapia”
Per
la seconda volta nella giornata, mia
madre mi salvò da una situazione imbarazzante, prorompendo
con una risata
cristallina. “Oh, sì, pensi che ne ha una tutta
sua … decisamente di un altro genere”,
annunciò entusiasta, dandomi una
leggera gomitata con fare cospiratorio.
Il
dottor Banner sembrò illuminarsi. “Ah,
capisco!”. Detto questo, fece l’occhiolino e mi
accompagnò con una mano sulla
spalla sino alla soglia della stanzetta bianca.
Mi
lasciai trascinare in giro per
l’ospedale da Renée, che ancora non aveva smesso
di tenermi per mano. Sembrava così
serena, quel giorno, nonostante le indicazioni del dottore non fossero
state
delle più allegre.
Il
fattore perdita di capelli, infatti, non
era un qualcosa che spaventava a morte soltanto me, ma anche lei. Forse
era stupido
parlarne in quel modo, visto che la caduta dei capelli era decisamente
una
delle conseguenze minori della leucemia; eppure, il pensiero di dover
perdere
un qualcosa di così determinante per tutte le donne mi
terrorizzava. Avrei perso
la mia femminilità? Mi avrebbero scambiato per un maschio
quando camminavo per
strada? E con Edward? Come avrei spiegato il mio essere diventata
improvvisamente calva?
Non
appena nominai mentalmente il nome di
Edward, i miei pensieri presero strade completamente diverse,
abbandonando
quelle tristi riflessioni legate alla leucemia e passando ad altre di
decisamente altro genere.
“Dici
che è così evidente?”, domandai di
punto in bianco, proprio mentre stavamo per imboccare
l’uscita dell’ospedale.
“Cosa?”.
Si fingeva confusa, lei, ma sapevo
bene che aveva intuito perfettamente a cosa mi stessi riferendo.
“Dai
…”, mormorai a disagio. “Parlo di
Edward”
“Ah,
lui!”, esclamò Renée con
l’aria di chi
ha scoperto l’acqua calda. “Be’
… diciamo che se chiedessi a quel vecchietto
laggiù il motivo per cui stai sorridendo, non penso che
arriverebbe alla
conclusione che c’entra Edward, ma, agli occhi di qualcuno
che ti conosce anche
solo un poco, è chiaro che ti è successo qualcosa
di … bello”, spiegò con un
sorriso materno.
Sospirai,
continuando ad osservare il
traffico mattutino di Phoenix. “Prima dovevo avere
l’aria parecchio depressa …”
“Nah”,
ribatté ironicamente, “semplicemente
esistono persone un tantino più allegre”. Mi mise
un braccio attorno alle
spalle, stringendomi goffamente a sé. “Per me sei
una figlia meravigliosa così
come sei, tesoro”
Se
fossi stata una figlia modello così come
mia madre mi descriveva, probabilmente l’avrei ringraziata di
quel complimento
e le avrei ricordato il bene che le volevo, ma purtroppo non lo ero,
perciò
rimasi in silenzio, imbarazzata, per diversi minuti, lasciando che la
conversazione si disperdesse così, nel vuoto.
Osservai
il traffico intenso e – per me –
confortante di Phoenix, le luci, le persone che scorrevano veloci come
sagome
sullo sfondo di quella città così affollata e
caotica. Neo -mamme con il
passeggino o il figlioletto in braccio, signore anziane che si
aggrappavano ai
pali della luce a causa della mancanza di giovanotti pronti a prestare
i loro
servigi, uomini che passeggiavano tranquilli per la città,
apparentemente senza
un pensiero per la testa, donne e uomini impegnatissimi, con migliaia
di
scartoffie tra le mani che minacciavano di cadere da un momento
all’altro … non
ci si annoiava mai a guardare il via vai di tutte quelle persone.
Ci
fu un qualcuno che, però, catturò la mia
attenzione più degli altri. Si trattava di un uomo in
smoking che parlava
animatamente al telefono, una valigetta scura in una mano e,
nell’altra, un
sacchetto da cui traboccava un magnifico orsacchiotto di peluche con
indosso un
bavaglino su cui era scritto Teddy Bear.
Mi
ritrovai a sorridere, osservandolo, e
pensai che quella scena sarebbe stata capace di far stramazzare Edward
al suolo
dalle risate. “Un uomo facoltoso,
un
manager probabilmente, sempre alle prese con affari, viaggi e
trattative che se
ne va in giro con un orsacchiotto di peluche! Questo sì che
è cadere in
basso!”, avrebbe esclamato tra le risa, incurante
del fatto che la gente
avrebbe potuto sentirlo e dargli del maleducato.
Chissà
cosa stava facendo, in quel momento.
Così come avevo fatto così tante volte, lo
immaginai nella sua scuola, alle
prese con insegnanti, lezioni, test, compagni … sapevo bene
che quei pensieri
non portavano mai a nulla di buono, ma che, al contrario, non facevano
altro che
acuire le mie paranoie, già abbastanza numerose.
Eppure,
mi bastava sempre sentire la sua
voce per calmarmi, per far sparire almeno per un po’ tutti
quei problemi che si
affacciavano nella mia esistenza.
Diedi
un’occhiata veloce all’orologio,
colta da un lampo di ispirazione folgorante. Erano le 10.56.
Senza
pensarci due volte, liquidai mia
madre con qualche scusa a caso, inventando un negozio che dovevo assolutamente andare a vedere!
Lei, un po’ scettica,
acconsentì senza troppe domande, ma con un sorriso che mi
fece temere avesse
intuito qualcosa.
Camminai
ancora per un paio di minuti, poi,
quando fui certa che Renée fosse ormai lontana, presi il
cellulare dalla tasca
dei jeans e composi con dita tremanti il numero di Edward.
Era
l’intervallo, cavoli, doveva
rispondermi.
Dopo
tre squilli a vuoto, finalmente,
eccola, la sua voce, resa un po’ più roca e
metallica dal telefono.
“Pronto?”
“Ciao”,
dissi semplicemente, con il cuore
in gola. Colta da quell’improvviso desiderio di sentirlo, non
avevo badato
molto alle precedenti preoccupazioni circa ciò che ci
saremmo dovuti dire dopo
il bacio.
“Oh,
ciao, Bella”, rispose lui immediatamente, nella
voce una nota di sollievo
che speravo di non essermi inventata. “Tutto
bene?”
“Sì,
abbastanza. Oggi, giornata libera. Ho finito
l’assistenza all’ospedale proprio qualche minuto
fa”, dichiarai fiera, mentendo
spudoratamente.
“Beata
te! Io sono a scuola … a proposito, mi hai beccato proprio
nel momento giusto,
sai? C’è l’intervallo, adesso.”
Feci
finta di non aver calcolato tutto,
evitando di passare per una pazza maniaca. “Wow. E tu che
fai?”
“Io?
Mmm …”,
lasciò la frase in sospeso,
lasciando che udissi rumori e fruscii indistinti dall’altra
parte.
Attesi
qualche secondo, un tempo che invece
a me sembrò un’eternità. Quasi quasi mi
preoccupai che mi avesse riattaccato in
faccia e che non me ne fossi nemmeno accorta.
“Vedi,
sono concentrato in un’operazione
della massima importanza”, il suo tono vagamente ironico e
cospiratorio fece
alleggerire la mia ansia.
“Mmm
… sono molto curiosa”
“E’
un’arte, la mia. Un compito che ho imparato a svolgere sin da
quando ero in
fasce poiché è davvero, davvero importante per la
sopravvivenza dell’umanità e,
soprattutto … per
la mia!”
Ridacchiai,
ormai davvero interessata e
colpita. “Uh, il mistero s’infittisce”
“Eh,
già. Sono come un vampiro, devo agire di nascosto, senza
essere visto da
nessuno.”
“E
perché?”
“Perché
in molti potrebbero non capire l’importanza del mio compito,
potrebbero
addirittura fraintendere: farmi
passare per il nemico, capisci?!”,
domandò con tono teatrale.
Non
volevo proprio pensare alle persone che
gli sarebbero passate accanto in quel momento e che
l’avrebbero preso per
pazzo, sentendogli dire certe scemenze.
“Deve
essere un qualcosa di incredibilmente
serio. Ma dimmi, di che si tratta?”, chiesi a mia volta,
dando alla mia voce un
fare cospiratorio, proprio come aveva fatto lui.
“Non
so se posso rivelartelo, Bella … tu mi tradiresti mai?”
“Mai”,
risposi di getto, con una sincerità
che andava decisamente al di là di quel gioco scemo.
“Allora
posso fidarmi”, concluse sereno, “Vedi
… io … io … sono un ladro di merende!”.
A
quelle parole, sussurrate con un’intensità
incredibile, non riuscii a fare a meno di trattenere le risate,
guadagnandomi
qualche occhiata confusa da parte dei passanti.
“Tu
non sei affatto normale!”
“Lo
vedi? Lo vedi che avevo ragione?! Non posso fidarmi di te, tu sei come
tutti
gli altri! Non capisci quale sia l’importanza del mio compito!”,
ribatté
con tono – fintamente – disperato.
“Oh,
no, Edward, io capisco perfettamente!
Questa è la missione per la tua
sopravvivenza, poco ma sicuro!”
“Stai
mettendo in dubbio il mio altruismo, vero? Ma tu non mi conosci, io
sono un
Robin Hood dell’era contemporanea, io rubo ai ricchi per dare
ai poveri!”
Risi
ancora, sforzandomi di ritrovare il
fiato per rispondere. “Oh, ma fammi indovinare: rubi gli
spuntini dietetici alle
cheerleader per donarli ai secchioni ed agli emarginati?”
“Rubo
anche cose non dietetiche, eh, ma comunque … sì,
a grandi linee la missione prevedrebbe
questo.”
“Edward
… allora ti lascio al tuo grande
compito, non vorrei mai che a causa mia qualche sfigato rimanesse senza
cibo.”,
attesi un attimo, prima di continuare, incerta. “Ci
… vediamo”
“Sì,
così potrò raccontarti l’esito della
mia missione. Va bene venerdì alle 16
davanti all’ospedale? Vorrei approfittarne per comprare il
regalo per Jessica e ...”
“E’
vero, Jessica!”, lo interruppi immediatamente,
“Me n’ero completamente dimenticata!”
E
mentre parlavo, il panico cominciò ad
attanagliarmi. Come mi sarei comportata davanti a tutta quella gente
che mi
aveva sempre tratta come uno scarto della natura? Come mi sarei
vestita? Che
cosa avrei comprato e … i capelli!
“...
E
parlare con te per bene … a sei occhi”
La
sua frase mi spiazzò completamente, non
soltanto perché mi ero persa in pensieri di
tutt’altro genere, ma perché non me
l’aspettavo proprio. Mi sarebbe anche venuto il batticuore,
se non fosse stato per
le ultime tre parole, che mi lasciarono un po’ perplessa.
“Sei occhi?”,
domandai attraversando di corsa la strada.
“Oh,
scusami! Mi ero dimenticato che i miei occhiali non erano inclusi
nell’appuntamento!”
“Da
quando porti gli occhi?!”, esclamai a
voce troppo alta.
Lui
rise. “Da un po’ di tempo,
vedi, la mia missione è talmente pericolosa che a
volte ci rimetto perfino io stesso …”
Ma
ormai non lo ascoltavo quasi più. I miei
occhi erano incappati in una vetrina che sembrava essere stata
costruita
soltanto per alleviare le mie pene terrene.
“Ci
vediamo presto, Edward”, riattaccai in
fretta e furia, il mio sguardo che ormai non faceva altro che
rincorrere quelle
parole vergate con un carattere svolazzante e azzurrino
sull’entrata del
negozio.
I
vostri capelli non vi piacciono più? Sono troppo crespi,
grassi o ispidi? Avete
voglia di cambiare completamente stile senza spendere milioni dal
parrucchiere?
Qui
troverete la soluzione ai vostri problemi! Acquistate uno, dieci, cento
dei
nostri prodotti, tutti di altissima qualità, e vedrete
eccome la differenza!
Senza
attendere più un secondo, ricacciai
il cellulare in tasca e aprii con forza la porta a vetri tappezzata di
manifesti e annunci pubblicitari.
“Salve, vorrei
una parrucca.”
Non
avete idea di quanto mi vergogni a presentarmi qui soltanto oggi, dopo
3 mesi e 2 giorni dallo scorso aggiornamento, con ancora tantissime
recensioni a cui rispondere.
Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.
Non
so davvero come dirlo, vorrei conoscere tutte le lingue del mondo per
fare almeno una bella figura, ma a parte l'italiano e qualcos'altro di
antico e nuovo, so ben poco.
Potrei
dirvi che ho avuto un sacco di cose da fare, ma non lo farò,
perché sebbene abbia avuto gli esami e per parecchio tempo
non sia stata a casa, ho avuto il tempo di stare al computer, ho
provato e riprovato a scrivere questo capitolo così come
altri, di storie diverse, eppure non ce l'ho mai fatta.
Tre
mesi fa, finalmente sembrava che l'ispirazione fosse tornata, ma,
evidentemente, mi sbagliavo.
Spero
che siate disposte a perdonarmi ancora una volta, anche se non me lo
merito. E, anzi, se non lo farete, sappiate che avete tutta la mia
comprensione: io non so se lo farei, fossi nei vostri panni.
Nel
caso scegliate di farlo, vi ringrazio davvero dal profondo del cuore, e
lo fanno anche i miei Edward e Bella, nel loro piccolo.
Passando
a loro, euesto capitolo è un po' di passaggio, ma serve per
far capire come entrambi hanno preso la storia del bacio (non temete,
Edward non se n'è affatto dimenticato!) e per sottolineare
il particolare della caduta dei capelli, oltre alla fantomatica
soluzione.
Se
devo essere sincera, avrei voluto scrivere un capitolo molto
più drammatico riguardante la caduta dei capelli, in quanto
particolarmente legata a questo sintomo, ma non mi sembrava giusto
rovinare l'emozione che si prova dopo un momento
così romantico e dolce *.*
Prima
di salutarvi e di augurarvi buone vacanze, vorrei precisare un'ultima
cosa, ma non per questo meno importante. Circa tre
mesi fa, ho avuto l'occasione di guardare un bellissimo film di cui in
tanti mi avevano parlato bene, ma che non sapevo assolutamente di cosa
trattasse: I passi dell'amore. Ecco, ne sono rimasta incantata, ma mi
sono accorta che la storia somiglia davvero tantissimo a YGA!!!!!!! E
vi posso giurare che io non l'avevo mai visto!!!!!! Ora, vorrei evitare
di scrivere un qualcosa di identico a I passi dell'amore, ma non posso
nemmeno sconvolgere del tutto la trama originaria, perché
altrimenti la storia non sarebbe più la stessa!
Detto
questo ... ancora scusa, ragazze! Scusate e grazie infinite per le
splendide recensioni che mi lasciate ogni volta: GRAZIE DAVVERO!!!!
Vi
auguro una buonissima estate, sperando che l'ispirazione torni a farmi
compagnia, e vi annuncio che purtroppo starò lontana da casa
per 1 mese e, quindi, anche dal pc. =(
Ci
rivediamo a settembre!!!!
Mi scuso ancora, augurandomi
di sentirvi presto tramite le recensioni di quelle sante che spero mi
perdoneranno.
Un bacio grande,
Elena
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