† Consolazioni
Fasulle †
Allen era bravo
a consolarsi. Aveva imparato
il giorno in cui Mana lo aveva abbandonato.
Non
è
morto. Si sta solo riposando. Chiamalo più forte, vedrai che
si sveglierà. E ti
prenderà in giro per esserti tanto impaurito.
Lo aveva
chiamato. Tante, tante volte. Così
tante da scorticarsi l’ugola.
Quando la sua
voce si era spenta in un
ultimo rantolo rauco, si era accorto che il sole era tramontato.
Sono
state le tue urla a stufare il sole: ora non sorgerà mai
più.
Aveva infossato
il viso smunto nella ginocchia
ossute e aveva pianto finché gli occhi non gli erano
diventati tanto gonfi da
occupare tutta l’orbita, aveva pianto per il sole che se ne
era andato, e per
Mana, che se ne era andato ancora di più.
Era tornata
qualche giorno più tardi, quella
vocetta infame, quando stava vagabondando senza una
meta
in un mondo sprofondato in uno degli inverni più gelidi
dell’ultimo ventennio.
Mana
se ne è andato, ma è andato in un posto migliore.
Questo Paradiso
non doveva essere poi così
ben protetto, se il Conte del Millennio riusciva ad intrappolare con
tanta
facilità le anime nei suoi marchingegni infernali, gli
Akuma.
Non
hanno paura di te. Semplicemente, non comprendono appieno il tuo
potenziale.
Questo
la vocina glielo aveva sussurrato quando aveva notato gli sguardi
carichi di
apprensione degli altri Esorcisti. Un’apprensione che
affondava le sue radici
nel sospetto, non nella perplessità. Quella volta, Allen non
era riuscito ad essere
forte: aveva ceduto alle lusinghe della sua intangibile consigliera,
rifugiandosi dietro una convinzione più fragile di un fiocco
di neve. Aveva
voltato gli occhi per non incrociare i volti sospettosi degli altri,
aveva
finto di non sentire gli sguardi fissi e i commenti sul suo braccio,
che i più
maligni definivano “diabolico”.
Non voleva
credere di essere rimasto di
nuovo solo. Non proprio ora che era circondato dalla gente.
A volte si
persuadeva di avere una sorta di
maledizione intorno a sé, come un’aura malefica
che spingeva gli altri ad
allontanarsi da lui. Il dolore che si era sedimentato nella sua anima
in tutto
quel tempo fungeva da repellente sia per le persone felici, che non
volevano
essere contaminate da tanta mestizia, che da quelle tristi, che non
volevano
aggravare ulteriormente il loro fardello di pene.
E la
solidarietà? Che fine aveva fatto?
Possibile che nemmeno gli Esorcisti, che pure sanavano il mondo dalla
piaga
degli Akuma, avessero un cuore abbastanza grande da ricavare uno spazio
anche
per l’albino orfano?
L’unico
cuore che lo avesse mai ospitato era
fermo da tempo, era stato dilaniato dalla resurrezione in Akuma e ora,
con
tutta probabilità, era nello stomaco di un verme.
L’unico posto che avesse
avuto nel mondo giaceva nell’apparato digerente di un
invertebrato.
Eppure, gli
sembrava che tutto ciò che gli
era accaduto in passato fosse stato pianificato per spingerlo, un passo
e una
lacrima alla volta, verso gli Esorcisti… non era disposto ad
accettare che
tutta la sua vita, perfino la morte cruenta di Mana, fossero servite
solo a
condurlo su un binario morto. Doveva essere
quella la sua strada, e quella la sua casa.
Non vi erano
altre spiegazioni possibili.
***
Perché
simili ragionamenti giungessero
proprio in quel momento, non riusciva a capirlo.
Sarebbe stato
più logico, più sensato se
avesse cercato di elaborare un piano di fuga, o anche solo uno
stratagemma per
derubare l’aria di un'altra boccata d’ossigeno.
Non era per
niente saggio rammaricarsi delle
sue tristi giornate mentre i muscoli erano diventati cenere e il sangue
acqua,
il suo braccio sinistro era l’unica parte ancora sensibile
del suo corpo, e il
Noah sogghignava con aria satanica davanti a lui, serrandogli la
trachea tra le
impietose dita guantate.
Aveva notato
come il sorriso malefico
dell’uomo si estendesse man mano che aumentavano i segni
della sua sofferenza,
per cui represse a forza uno spasmo muscolare per non dare ulteriore
diletto al
nemico.
«Peccato,
piccolo. Mi sarebbe piaciuto fare
un’altra partita a poker con te.»
Le pareti delle
vene erano gonfie fino allo
spasmo: con tutta l’anidride carbonica strozzata
all’interno, le arterie si
stavano espandendo fino al loro limite; se il Noah non lo avesse
liberato,
sarebbero esplose come una diga troppo piena. Con il sangue
impossibilitato a
scendere oltre la gola strangolata, tutti gli arti languivano per la
denutrizione,
e si afflosciavano inerti nella neve circostante .
Aveva la
sensazione di aver ingoiato un otre
di fuoco greco tanto gli organi interni bruciavano e dolevano, pronti a
scoppiare da un momento all’altro per la troppa pressione. La
sua coscienza si
sfilacciava in un grumo informe di pensieri sconnessi, fino a
degenerare in una
fitta caligine, prima avvisaglia dello svenimento.
Fu proprio
quando i sensi stavano per
abbandonarlo definitivamente che il Noah rilasciò la presa.
Lo fece così
all’improvviso che Allen realizzò solo qualche
secondo dopo di essere libero,
precisamente quando il gelo della neve gli agguantò le
guance con tanta
irruenza da fargli riprendere di colpo conoscenza. La sua bocca
spalancata
incamerò generose boccate di ossigeno direttamente nei
polmoni quasi avvizziti
e i bronchi pomparono con rinnovata foga il gas vitale in tutto il
corpo, facendogli
riacquisire la sensibilità nei tessuti intirizziti dal
freddo. L’aria
corroborante lo aiutò a snebbiare la mente, donando nuova
lucidità ai suoi
pensieri.
La sensazione di
precario benessere non durò
molto: la suola di una scarpa calò spietata tra le sue
scapole, mozzandogli il
respiro appena recuperato e affondandogli la faccia nella neve.
Lottò
strenuamente per riuscire a rialzare
la testa da quella bianca assassina che cercava di ostruirgli il naso e
la
bocca, soffocandolo in un modo ancora più atroce di quello
tentato poco prima
dal Noah, e finalmente riuscì a sollevare il capo,
nonostante il tacco ancora
conficcato nella sua schiena.
«Arrivano.»
L’uomo
pronunciò quell’unica parola prima di
alleggerirlo del peso della sua scarpa.
L’inglese
tossì rauco la neve che gli era
entrata in gola, sorreggendosi con le ultime forze ancora presenti nel
braccio
destro. Batté più volte gli occhi per liberarli
dai cristalli artici
intrappolati nelle ciglia, impossibilitato ad usare sia il braccio
sinistro,
completamente prosciugato di energie, che quello destro, impegnato a
sorreggere
il corpo. Solo dopo svariati tentativi riuscì finalmente a
distinguere con
chiarezza le figure scure che li accerchiavano: divise nere rifinite in
argento, armi divine e fuoco negli occhi. Gli Esorcisti erano arrivati.
Il Noah
sollevò appena il cappello in un saluto
di scherno e flautò, derisorio:
«Complimenti,
signori: mi avete trovato.»
***
Quell’ufficio
era una scultura alla
burocrazia e allo zelo professionale: sulla scrivania non vi erano
altro che
fogli e documenti impilati con ordine millimetrico, completati da un
calamaio
diligentemente riempito ed un pennino in ottone lustrato con attenzione
maniacale; le forme scomode della sedia erano state pensate apposta per
scacciare l’indolenza ed il sonno ed incoraggiare un impegno
sempre maggiore
nel lavoro, così come dalla libreria in fondo
all’ufficio erano state bandite
le opere di narrativa in favore di codici civili e manuali specifici.
Era facile
intuire il carattere del proprietario
di un simile cimitero di umanità: tempra di ferro e anima di
acciaio donavano i
natali ad un uomo più macchina che cuore.
La luce della
lampada si insinuò tra le
rughe di concentrazione che spezzavano i suoi lineamenti marcati, e
creavano
uno strano gioco di chiaroscuro su quel volto austero, facendolo
assomigliare
al disadorno abbozzo di una scultura in marmo.
La porta,
aprendosi, distolse la sua
attenzione dalle carte, ed il nuovo arrivato di guadagnò
un’occhiata di
sprezzante biasimo per averlo interrotto in un momento così
cruciale. Tuttavia,
la notizia che il messaggero portava lo convinse a smussare lievemente
il suo
cipiglio tirannico.
«Abbiamo
catturato un Noah, signore»
annunciò quello, immobilizzato sull’attenti.
«Chi
l’ha catturato?» pretese di sapere il burocrate,
spostando il plico di
documenti a lato della scrivania.
«Il
gruppo di Esorcisti diretto in Cina»
strombazzò l’araldo, ancora pietrificato.
«Abbiamo ordinato loro di fare immediatamente
ritorno. Saranno qui tra tre giorni.»
Le dita
dell’uomo pungolarono il mento
rettangolare, levigato dall’ultima rasatura, poi si mossero
in un cenno
sbrigativo diretto al legato perché abbandonasse la stanza.
«Signore…»
barcollò questo, dondolandosi
incerto sulle ginocchia. «Allen Walker, il nuovo arrivato del
gruppo Komui, era
insieme al Noah. Ed era illeso.»
«Sapevo
che era stato ferito gravemente»
obiettò il funzionario.
«Le
lesioni riportate sono una conseguenza
del combattimento con il traditore dell’Innocence,
Suman» specificò il
messaggero. «Gli Esorcisti non sono giunti tempestivamente
sul luogo dello
scontro, quindi il Noah avrebbe avuto tutto il tempo di ucciderlo, se
solo
avesse voluto. Invece, non l’ha neppure scalfito.»
L’uomo
quasi stritolò la radice del naso tra
il pollice e l’indice, mentre una ragnatela di grinze si
diramava dalle
palpebre troppo strette. Un altro potenziale traditore, per di
più in combutta
con i Noah? L’invio di una squadra di emergenza avrebbe messo
in allarme Walker
e gli avrebbe dato il tempo di scappare, se davvero era un falso
apostolo. Era
forse troppo azzardato lasciarli da soli con il Noah per tre giorni? In
fin dei
conti, avevano dimostrato il loro valore imprigionandolo…
Emise
un lungo, esasperato sospiro
«Date
ordine che Allen Walker non resti mai
da solo con il Noah. Per nessun motivo. E fateli sorvegliare in
segreto.»
«Signore…»
«Fai
come ti ho detto.»
Il legato
annuì con una smorfia, si inchinò
e corse ad informare chi di dovere della decisione del suo superiore.
Si augurava solo
che l’anziano burocrate non
avesse commesso un mortale passo falso.
***
Una mano gentile
lo scosse per la spalla, facendolo
dondolare dolcemente sul materasso morbido.
«Allen,
come ti senti?»
La voce accorata
di Lavi gli accarezzò piano
la spalla prima di scivolare nel suo orecchio.
Il ragazzo
albino girò cautamente su se
stesso, i muscoli ancora memori del terribile scontro subito, fino a
ritrovarsi
con il viso contro il petto accogliente del compagno.
«Abbastanza
bene da poter fare il mio turno
di guardia» articolò. Sbirciò la luce
che trapelava dalle finestre per cercare
di intuire che ore fossero: i raggi rettangolari proiettati dalle
persiane
chiuse erano opalescenti e fiacchi, troppo smorti per appartenere al
sole.
«Quanto
ho dormito?» s’informò.
«Parecchio»
fu la risposta evasiva di Lavi.
«Ne avevi bisogno, Allen: oggi sei quasi morto.»
Oggi.
Quindi non era passato troppo tempo, rifletté con sollievo.
«Il
Noah?» chiese di nuovo, agitazione e
calma in conflitto dentro di lui: era in ansia perché temeva
che
quell’individuo potesse fare del male agli altri Esorcisti, e
allo stesso tempo
era tranquillo perché nessun suono inconsulto proveniva
dall’esterno. Se il
Noah avesse cercato di evadere, certamente non ci sarebbe stata una
simile
quiete tutt’intorno.
«Crowlino,
Linalee e il vecchio lo stanno
sorvegliando» lo acquietò Lavi. Insinuò
le dita tra le fini ciocche albine,
quasi volesse dipanare la tensione del ragazzo assieme ai piccoli nodi
che
aggrovigliavano la chioma lattea.
«Vi
siete fermati qui solo per farmi
riposare?»
«Siamo
tutti stanchi, Allen.»
«Vi
sto rallentando» si ostinò il giovane,
interrompendo a metà il tentativo di staccarsi
dall’erede di Bookman: le ferite
ancora fresche trafissero i suoi centri nervosi con scariche di dolore
intollerabili, e lo costrinsero ad appoggiarsi sfinito al materasso e
al
compagno. «Lasciatemi qui: quando mi sarò ripreso
vi raggiungerò.»
«Allen,
non prenderla come una critica
personale, ma cosa pensi di fare in queste condizioni?» lo
riprese cortesemente
Lavi. Gli accarezzò la schiena con la delicatezza di un
alito di vento e,
nonostante questa sua premura, i muscoli dell’Esorcista si
irrigidirono a quel
contatto imprevisto con le lesioni ancora non cicatrizzate.
«Perfino un Livello
Uno potrebbe finirti. Viaggerai con noi, e speriamo di non metterci
troppo a
tornare a casa.»
Allen
appoggiò la testa al cuscino con un
lungo sospiro.
«Domani
mattina ci rimetteremo in viaggio»
ordinò, prima di chiudere gli occhi.
Una sensazione
morbida avvolse le sue labbra
appena dischiuse, mentre un sapore ben conosciuto si insinuava al loro
interno.
«Ripartiremo
domani mattina. Ma ora riposati»
sussurrò Lavi sulla sua bocca, sostandovi ancora un poco
prima di allontanarsi
e permettergli di poggiare il viso nell’incavo del suo collo.
Un
sorriso tenue spianò le labbra dell’inglese ancora
tiepide per il bacio, mentre
rilassava i muscoli tesi ed indolenziti per abbandonarsi alla quiete di
Morfeo.
***
Il suo sonno non
fu per nulla sereno.
Si era immerso
nell’angoscia di Suman, aveva
condiviso i suoi ricordi più cari, aveva sentito il suo
disperato desiderio di
vita risuonargli nelle ossa, scuotendolo fino al midollo… e
i sogni non
facevano che riproporgli quegli allucinanti stralci di vita come un
sanguinario
carillon che non smetteva di suonare la stessa, macabra melodia: le
grida di
Suman, il suo fallimento nel salvarlo, la sofferenza
dell’apostolo abbandonato
dall’Innocence, e poi il dolore più forte di
tutti, il suo…
Si
risvegliò con i capelli appiccicati al
volto dal sudore freddo che gli ricopriva tutto il corpo e lo faceva
tremare
come una foglia in autunno. Si rialzò a sedere in una feroce
protesta di membra
ancora irrigidite dagli sforzi della giornata, e notò che
Lavi non occupava più
il posto al suo fianco. Passò le dita nella frangia
perlacea, senza porsi
troppe domande a riguardo: probabilmente l’anziano Bookman
era venuto a
prelevare il suo allievo nottetempo.
Sgusciò
fuori dalle coperte calde e
rabbrividì a contatto con la pietra gelida del pavimento; fu
lesto ad infilarsi
le scarpe e, ignorando i polpacci anchilosati, uscì dalla
propria camera e si
diresse verso la stanza di detenzione del Noah.
L’ambiente
era piccolo e spoglio, in modo
che il nemico dell’Innocence non potesse utilizzare nulla
come arma
improvvisata o come elemento per una qualche fattucchieria: non vi
erano altro
che quattro mura di nudo intonaco, il pavimento in lastroni calcarei e
un
fazzoletto di cielo incastrato nella cornice della piccola finestrella
quadrata, poco sotto il soffitto.
Il Noah era
stato spogliato del cilindro,
dei guanti e del cappotto per evitare che potesse nascondervi qualche
diavoleria; non gli avevano consentito di tenere neppure le scarpe.
Eppure non aveva
perso la sua aura di
inesplicabile eleganza nemmeno ora che il suo vestiario aristocratico
era stato
sfoltito: la posa rilassata lasciava intendere un languore insolito per
un
prigioniero costretto a sedere sulla dura pietra, e il viso scuro non
lasciava
trasparire il minimo disagio per quella situazione malagevole; al
contrario,
ogni battito di ciglia pareva essere una frecciatina sarcastica
scoccata agli
Esorcisti. Perfino i capelli, morbidamente modellati in ricci corvini,
sembravano disegnati secondo un complicato quadro di disordine ben
calcolato:
anche le ciocche più spettinate riuscivano a ricadere in
modo da sottolineare
la curva piacevole dello zigomo, il caldo oro delle iridi o la forma
ben
tracciata delle sopracciglia. I
due
Esorcisti davanti a lui non facevano che rendere ancora più
evidente la serena ed
irriverente alterigia del Noah: Crowley e Linalee sedevano uno di
fronte e uno
di spalle al carcerato, la pelle tesa sui lineamenti contratti e sui
muscoli
irrigiditi, le labbra ridotte ad una fessura nervosa.
«Allen!»
si preoccupò Linalee, vedendolo
entrare. «Dovresti stare a letto!»
«Sei
ancora lontano dalla guarigione, invero»
il mantello del vampiro frusciò vellutato mentre
l’uomo cadaverico gli si
avvicinava. «Dovresti riposarti.»
L’inglese
quasi non ascoltò i suggerimenti
dei compagni: il Noah lo aveva trapassato con il suo sguardo dorato non
appena
aveva varcato la soglia. Allen avvertì quasi un bruciore
fisico nei punti in
cui l’uomo lo fissava, come se gli avessero premuto due
tizzoni ardenti sulla
pelle.
«Piccolo,
tu sei Allen Walker?»
«Non
devi rispondergli» lo freddò Linalee, lanciando
uno sguardo torvo al prigioniero.
«Sono
venuto a fargli una domanda» bisbigliò
Allen a Crowley.
«Non
te la lasceranno fare» il Noah ghignò
sagace mentre appoggiava il mento nel palmo della mano con
insopportabile
superiorità. «Hanno ricevuto ordini precisi: Allen
Walker non deve avere alcun
contatto con il Noah.»
«E’
per difenderlo dalle tue nefandezze!»
reagì Crowley, dispiegando un’ala del mantello
davanti all’inglese per
proteggerlo.
«Oppure
perché dubitano delle sue capacità
da Esorcista. O, ancora peggio, della sua lealtà»
sospettò l’uomo; gli occhi si strinsero in un
ghigno nel notare il cambiamento
di espressione del ragazzo albino.
«Devo
fargli solo una domanda. Non ci
impiegherò molto tempo.»
A
quell’ultimo tentativo dell’inglese,
Crowley si fece da parte a malincuore e tenne fisso lo sguardo sul
ragazzo
mentre questo avanzava verso il Noah: aveva colto una specie di
tensione
elettrica quando Allen aveva incassato l’accusa del loro
nemico, e temeva che
quest’ultimo potesse fargli ancora del male con le sue
insinuazioni. Richiamò l’Innocence
nelle zanne, pronto ad intervenire in qualsiasi momento, imitato da
Linalee che
caricò l’energia necessaria negli stivali.
Un sogghigno
raffinato e insolente aleggiava
sulle labbra sottili dell’uomo mentre attendeva che il
giovane Esorcista si
chinasse davanti a lui.
«Per
quale motivo mi hai lasciato in vita?»
volle sapere Allen, una volta portato il viso allo stesso
livello
del Noah.
«Non
per l’intervento dei tuoi valorosi
compagni» rispose derisorio l’uomo.
«Cosa
stai pianificando?»
«Per
quale motivo dovrei rivelarti le mie
intenzioni?» gli angoli della bocca scattarono verso
l’alto quando il sorriso
perverso del prigioniero si ampliò. «Sei un ottimo
giocatore di poker, dovresti
saperlo che non si rivelano le proprie carte agli avversari.»
«Non
stiamo parlando di…»
Il cravattino
che portava al collo venne
strattonato dalle dita di ferro del Noah; quando il mondo intorno a lui
tornò
fermo, Allen si ritrovò con il mento puntato sulla spalla
dell’uomo, e l’orecchio
solleticato dai mormorii suadenti del carcerato:
«Hai
mai giocato ad othello, piccolo?» le
labbra del Noah gli lambivano impercettibilmente il lobo ad ogni
lettera,
soffiandogli le parole nell’orecchio con una
fluidità quasi ipnotica. «Il
bianco diventa nero in un attimo, il colore delle pedine non
è mai definitivo.
Ti consiglio di informarti bene sui trascorsi del tuo gruppo prima di
decidere
a che bandiera votarti.»
Degli artigli
acuminati lo strattonarono lontano
dal nemico, strappandolo dal sortilegio della sua voce persuasiva e del
suo
profumo paralizzante.
«Lascialo
stare» ringhiò Crowley, parandosi
davanti ad Allen con i canini affilati esibiti tra le labbra tese.
Il Noah si
limitò a riacquisire la sua posa
scultorea, senza emettere un solo suono superfluo.
«Stai
bene, invero?» si impensierì il
vampiro, voltandosi verso il giovane.
«Sto
bene» Allen coprì il viso con il dorso
della mano nel rassicurare Crowley: sarebbe morto di vergogna se
qualcuno
avesse notato quanto le sue guance fossero diventate paonazze.
Lasciò
in fretta la stanza, tra l’ansietà
degli Esorcisti e il sadico divertimento del Noah.
Quell’uomo
era pericoloso. Molto più di
quanto pensassero gli altri.
Per anni aveva
covato dentro il pensiero di
non aver trovato il suo posto nel mondo, e perfino tra gli Esorcisti
non si era
sentito del tutto integrato: ma una persona che lo conosceva da pochi
minuti,
la maggior parte dei quali passata a tentare di ucciderlo, non poteva
aver
capito ciò che marciva dentro di lui da tutta una vita.
I suoi genitori
lo avevano abbandonato,
negandogli il nido domestico. Mana lo aveva accolto, ma la tomba lo
aveva
reclamato troppo presto. E ora il Noah metteva in dubbio che il suo
vero posto
fosse tra gli apostoli dell’Innocence.
Quel che era
peggio, era che lo credeva lui
stesso.
Scosse il capo
con furia, stendendosi sul
letto con enorme sollievo dei muscoli spossati.
Non avrebbe mai
più parlato con quell’uomo.
Mai.
Credici,
Allen xD
Okay, poche cose da dire su questo capitolo: è stato un
parto da scrivere,
veramente un parto, perchè da questo signorino che avete
appena letto dipende
tutto lo svolgersi della trama futura. E, nei miei progetti, dovrebbe
essere
anche l'ultimo che Tyki e Allen passano così lontani. Basta
molestie
occasionali u.u
Capitolo di passaggio, insomma, che spiana la strada al prossimo.
Indi, al quarto, miei cari<3
Red
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