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Autore: HamletRedDiablo    29/07/2011    2 recensioni
"L'asso di picche possiede un fascino ambiguo e pericoloso. Se tenuto dritto, è una mera carta, come tutte le altre. Se capovolto... diventa il simbolo della morte."
Ed Allen era il gemello di quell'asso traditore.
Ma Tyki... qual era la carta corrispondente a Tyki?
[Poker love; accenni LaviAllen]
Dedicata a Rota e alla figlia.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Allen Walker, Tyki Mikk | Coppie: Tyki/Allen
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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† Consolazioni Fasulle †

 

 

 

 

   Allen era bravo a consolarsi. Aveva imparato il giorno in cui Mana lo aveva abbandonato.
   Non è morto. Si sta solo riposando. Chiamalo più forte, vedrai che si sveglierà. E ti prenderà in giro per esserti tanto impaurito.
   Lo aveva chiamato. Tante, tante volte. Così tante da scorticarsi l’ugola.
   Quando la sua voce si era spenta in un ultimo rantolo rauco, si era accorto che il sole era tramontato.
   Sono state le tue urla a stufare il sole: ora non sorgerà mai più.
   Aveva infossato il viso smunto nella ginocchia ossute e aveva pianto finché gli occhi non gli erano diventati tanto gonfi da occupare tutta l’orbita, aveva pianto per il sole che se ne era andato, e per Mana, che se ne era andato ancora di più.
   Era tornata qualche giorno più tardi, quella vocetta infame, quando stava vagabondando senza una
meta in un mondo sprofondato in uno degli inverni più gelidi dell’ultimo ventennio.
   Mana se ne è andato, ma è andato in un posto migliore.
   Questo Paradiso non doveva essere poi così ben protetto, se il Conte del Millennio riusciva ad intrappolare con tanta facilità le anime nei suoi marchingegni infernali, gli Akuma.
   Non hanno paura di te. Semplicemente, non comprendono appieno il tuo potenziale.
   Questo la vocina glielo aveva sussurrato quando aveva notato gli sguardi carichi di apprensione degli altri Esorcisti. Un’apprensione che affondava le sue radici nel sospetto, non nella perplessità. Quella volta, Allen non era riuscito ad essere forte: aveva ceduto alle lusinghe della sua intangibile consigliera, rifugiandosi dietro una convinzione più fragile di un fiocco di neve. Aveva voltato gli occhi per non incrociare i volti sospettosi degli altri, aveva finto di non sentire gli sguardi fissi e i commenti sul suo braccio, che i più maligni definivano “diabolico”.
   Non voleva credere di essere rimasto di nuovo solo. Non proprio ora che era circondato dalla gente.
   A volte si persuadeva di avere una sorta di maledizione intorno a sé, come un’aura malefica che spingeva gli altri ad allontanarsi da lui. Il dolore che si era sedimentato nella sua anima in tutto quel tempo fungeva da repellente sia per le persone felici, che non volevano essere contaminate da tanta mestizia, che da quelle tristi, che non volevano aggravare ulteriormente il loro fardello di pene.
   E la solidarietà? Che fine aveva fatto? Possibile che nemmeno gli Esorcisti, che pure sanavano il mondo dalla piaga degli Akuma, avessero un cuore abbastanza grande da ricavare uno spazio anche per l’albino orfano?
   L’unico cuore che lo avesse mai ospitato era fermo da tempo, era stato dilaniato dalla resurrezione in Akuma e ora, con tutta probabilità, era nello stomaco di un verme. L’unico posto che avesse avuto nel mondo giaceva nell’apparato digerente di un invertebrato.
   Eppure, gli sembrava che tutto ciò che gli era accaduto in passato fosse stato pianificato per spingerlo, un passo e una lacrima alla volta, verso gli Esorcisti… non era disposto ad accettare che tutta la sua vita, perfino la morte cruenta di Mana, fossero servite solo a condurlo su un binario morto. Doveva essere quella la sua strada, e quella la sua casa.
   Non vi erano altre spiegazioni possibili.
 
***
 
   Perché simili ragionamenti giungessero proprio in quel momento, non riusciva a capirlo.
   Sarebbe stato più logico, più sensato se avesse cercato di elaborare un piano di fuga, o anche solo uno stratagemma per derubare l’aria di un'altra boccata d’ossigeno.
   Non era per niente saggio rammaricarsi delle sue tristi giornate mentre i muscoli erano diventati cenere e il sangue acqua, il suo braccio sinistro era l’unica parte ancora sensibile del suo corpo, e il Noah sogghignava con aria satanica davanti a lui, serrandogli la trachea tra le impietose dita guantate.
   Aveva notato come il sorriso malefico dell’uomo si estendesse man mano che aumentavano i segni della sua sofferenza, per cui represse a forza uno spasmo muscolare per non dare ulteriore diletto al nemico.
   «Peccato, piccolo. Mi sarebbe piaciuto fare un’altra partita a poker con te.»
   Le pareti delle vene erano gonfie fino allo spasmo: con tutta l’anidride carbonica strozzata all’interno, le arterie si stavano espandendo fino al loro limite; se il Noah non lo avesse liberato, sarebbero esplose come una diga troppo piena. Con il sangue impossibilitato a scendere oltre la gola strangolata, tutti gli arti languivano per la denutrizione, e si afflosciavano inerti nella neve circostante .
   Aveva la sensazione di aver ingoiato un otre di fuoco greco tanto gli organi interni bruciavano e dolevano, pronti a scoppiare da un momento all’altro per la troppa pressione. La sua coscienza si sfilacciava in un grumo informe di pensieri sconnessi, fino a degenerare in una fitta caligine, prima avvisaglia dello svenimento.
   Fu proprio quando i sensi stavano per abbandonarlo definitivamente che il Noah rilasciò la presa. Lo fece così all’improvviso che Allen realizzò solo qualche secondo dopo di essere libero, precisamente quando il gelo della neve gli agguantò le guance con tanta irruenza da fargli riprendere di colpo conoscenza. La sua bocca spalancata incamerò generose boccate di ossigeno direttamente nei polmoni quasi avvizziti e i bronchi pomparono con rinnovata foga il gas vitale in tutto il corpo, facendogli riacquisire la sensibilità nei tessuti intirizziti dal freddo. L’aria corroborante lo aiutò a snebbiare la mente, donando nuova lucidità ai suoi pensieri.
   La sensazione di precario benessere non durò molto: la suola di una scarpa calò spietata tra le sue scapole, mozzandogli il respiro appena recuperato e affondandogli la faccia nella neve.
   Lottò strenuamente per riuscire a rialzare la testa da quella bianca assassina che cercava di ostruirgli il naso e la bocca, soffocandolo in un modo ancora più atroce di quello tentato poco prima dal Noah, e finalmente riuscì a sollevare il capo, nonostante il tacco ancora conficcato nella sua schiena.
   «Arrivano.»
   L’uomo pronunciò quell’unica parola prima di alleggerirlo del peso della sua scarpa.
   L’inglese tossì rauco la neve che gli era entrata in gola, sorreggendosi con le ultime forze ancora presenti nel braccio destro. Batté più volte gli occhi per liberarli dai cristalli artici intrappolati nelle ciglia, impossibilitato ad usare sia il braccio sinistro, completamente prosciugato di energie, che quello destro, impegnato a sorreggere il corpo. Solo dopo svariati tentativi riuscì finalmente a distinguere con chiarezza le figure scure che li accerchiavano: divise nere rifinite in argento, armi divine e fuoco negli occhi. Gli Esorcisti erano arrivati.
   Il Noah sollevò appena il cappello in un saluto di scherno e flautò, derisorio:
   «Complimenti, signori: mi avete trovato.»
 
***
 
   Quell’ufficio era una scultura alla burocrazia e allo zelo professionale: sulla scrivania non vi erano altro che fogli e documenti impilati con ordine millimetrico, completati da un calamaio diligentemente riempito ed un pennino in ottone lustrato con attenzione maniacale; le forme scomode della sedia erano state pensate apposta per scacciare l’indolenza ed il sonno ed incoraggiare un impegno sempre maggiore nel lavoro, così come dalla libreria in fondo all’ufficio erano state bandite le opere di narrativa in favore di codici civili e manuali specifici.
   Era facile intuire il carattere del proprietario di un simile cimitero di umanità: tempra di ferro e anima di acciaio donavano i natali ad un uomo più macchina che cuore.
   La luce della lampada si insinuò tra le rughe di concentrazione che spezzavano i suoi lineamenti marcati, e creavano uno strano gioco di chiaroscuro su quel volto austero, facendolo assomigliare al disadorno abbozzo di una scultura in marmo.
   La porta, aprendosi, distolse la sua attenzione dalle carte, ed il nuovo arrivato di guadagnò un’occhiata di sprezzante biasimo per averlo interrotto in un momento così cruciale. Tuttavia, la notizia che il messaggero portava lo convinse a smussare lievemente il suo cipiglio tirannico.
   «Abbiamo catturato un Noah, signore» annunciò quello, immobilizzato sull’attenti.
   «Chi l’ha catturato?» pretese di sapere il burocrate, spostando il plico di documenti a lato della scrivania.
   «Il gruppo di Esorcisti diretto in Cina» strombazzò l’araldo, ancora pietrificato. «Abbiamo ordinato loro di fare immediatamente ritorno. Saranno qui tra tre giorni.»
   Le dita dell’uomo pungolarono il mento rettangolare, levigato dall’ultima rasatura, poi si mossero in un cenno sbrigativo diretto al legato perché abbandonasse la stanza.
   «Signore…» barcollò questo, dondolandosi incerto sulle ginocchia. «Allen Walker, il nuovo arrivato del gruppo Komui, era insieme al Noah. Ed era illeso.»
   «Sapevo che era stato ferito gravemente» obiettò il funzionario.
   «Le lesioni riportate sono una conseguenza del combattimento con il traditore dell’Innocence, Suman» specificò il messaggero. «Gli Esorcisti non sono giunti tempestivamente sul luogo dello scontro, quindi il Noah avrebbe avuto tutto il tempo di ucciderlo, se solo avesse voluto. Invece, non l’ha neppure scalfito.»
   L’uomo quasi stritolò la radice del naso tra il pollice e l’indice, mentre una ragnatela di grinze si diramava dalle palpebre troppo strette. Un altro potenziale traditore, per di più in combutta con i Noah? L’invio di una squadra di emergenza avrebbe messo in allarme Walker e gli avrebbe dato il tempo di scappare, se davvero era un falso apostolo. Era forse troppo azzardato lasciarli da soli con il Noah per tre giorni? In fin dei conti, avevano dimostrato il loro valore imprigionandolo…
    Emise un lungo, esasperato sospiro
   «Date ordine che Allen Walker non resti mai da solo con il Noah. Per nessun motivo. E fateli sorvegliare in segreto.»
   «Signore…»
   «Fai come ti ho detto.»
   Il legato annuì con una smorfia, si inchinò e corse ad informare chi di dovere della decisione del suo superiore.
   Si augurava solo che l’anziano burocrate non avesse commesso un mortale passo falso.
 
***
 
   Una mano gentile lo scosse per la spalla, facendolo dondolare dolcemente sul materasso morbido.
   «Allen, come ti senti?»
   La voce accorata di Lavi gli accarezzò piano la spalla prima di scivolare nel suo orecchio.
   Il ragazzo albino girò cautamente su se stesso, i muscoli ancora memori del terribile scontro subito, fino a ritrovarsi con il viso contro il petto accogliente del compagno.
   «Abbastanza bene da poter fare il mio turno di guardia» articolò. Sbirciò la luce che trapelava dalle finestre per cercare di intuire che ore fossero: i raggi rettangolari proiettati dalle persiane chiuse erano opalescenti e fiacchi, troppo smorti per appartenere al sole.
   «Quanto ho dormito?» s’informò.
   «Parecchio» fu la risposta evasiva di Lavi. «Ne avevi bisogno, Allen: oggi sei quasi morto.»
   Oggi. Quindi non era passato troppo tempo, rifletté con sollievo. 
   «Il Noah?» chiese di nuovo, agitazione e calma in conflitto dentro di lui: era in ansia perché temeva che quell’individuo potesse fare del male agli altri Esorcisti, e allo stesso tempo era tranquillo perché nessun suono inconsulto proveniva dall’esterno. Se il Noah avesse cercato di evadere, certamente non ci sarebbe stata una simile quiete tutt’intorno.
   «Crowlino, Linalee e il vecchio lo stanno sorvegliando» lo acquietò Lavi. Insinuò le dita tra le fini ciocche albine, quasi volesse dipanare la tensione del ragazzo assieme ai piccoli nodi che aggrovigliavano la chioma lattea.
   «Vi siete fermati qui solo per farmi riposare?»
   «Siamo tutti stanchi, Allen.»
   «Vi sto rallentando» si ostinò il giovane, interrompendo a metà il tentativo di staccarsi dall’erede di Bookman: le ferite ancora fresche trafissero i suoi centri nervosi con scariche di dolore intollerabili, e lo costrinsero ad appoggiarsi sfinito al materasso e al compagno. «Lasciatemi qui: quando mi sarò ripreso vi raggiungerò.»
   «Allen, non prenderla come una critica personale, ma cosa pensi di fare in queste condizioni?» lo riprese cortesemente Lavi. Gli accarezzò la schiena con la delicatezza di un alito di vento e, nonostante questa sua premura, i muscoli dell’Esorcista si irrigidirono a quel contatto imprevisto con le lesioni ancora non cicatrizzate. «Perfino un Livello Uno potrebbe finirti. Viaggerai con noi, e speriamo di non metterci troppo a tornare a casa.»
   Allen appoggiò la testa al cuscino con un lungo sospiro.
   «Domani mattina ci rimetteremo in viaggio» ordinò, prima di chiudere gli occhi.
   Una sensazione morbida avvolse le sue labbra appena dischiuse, mentre un sapore ben conosciuto si insinuava al loro interno.
   «Ripartiremo domani mattina. Ma ora riposati» sussurrò Lavi sulla sua bocca, sostandovi ancora un poco prima di allontanarsi e permettergli di poggiare il viso nell’incavo del suo collo.
   Un sorriso tenue spianò le labbra dell’inglese ancora tiepide per il bacio, mentre rilassava i muscoli tesi ed indolenziti per abbandonarsi alla quiete di Morfeo.
 
***
 
   Il suo sonno non fu per nulla sereno.
   Si era immerso nell’angoscia di Suman, aveva condiviso i suoi ricordi più cari, aveva sentito il suo disperato desiderio di vita risuonargli nelle ossa, scuotendolo fino al midollo… e i sogni non facevano che riproporgli quegli allucinanti stralci di vita come un sanguinario carillon che non smetteva di suonare la stessa, macabra melodia: le grida di Suman, il suo fallimento nel salvarlo, la sofferenza dell’apostolo abbandonato dall’Innocence, e poi il dolore più forte di tutti, il suo…
   Si risvegliò con i capelli appiccicati al volto dal sudore freddo che gli ricopriva tutto il corpo e lo faceva tremare come una foglia in autunno. Si rialzò a sedere in una feroce protesta di membra ancora irrigidite dagli sforzi della giornata, e notò che Lavi non occupava più il posto al suo fianco. Passò le dita nella frangia perlacea, senza porsi troppe domande a riguardo: probabilmente l’anziano Bookman era venuto a prelevare il suo allievo nottetempo.
   Sgusciò fuori dalle coperte calde e rabbrividì a contatto con la pietra gelida del pavimento; fu lesto ad infilarsi le scarpe e, ignorando i polpacci anchilosati, uscì dalla propria camera e si diresse verso la stanza di detenzione del Noah.
   L’ambiente era piccolo e spoglio, in modo che il nemico dell’Innocence non potesse utilizzare nulla come arma improvvisata o come elemento per una qualche fattucchieria: non vi erano altro che quattro mura di nudo intonaco, il pavimento in lastroni calcarei e un fazzoletto di cielo incastrato nella cornice della piccola finestrella quadrata, poco sotto il soffitto.
   Il Noah era stato spogliato del cilindro, dei guanti e del cappotto per evitare che potesse nascondervi qualche diavoleria; non gli avevano consentito di tenere neppure le scarpe.
   Eppure non aveva perso la sua aura di inesplicabile eleganza nemmeno ora che il suo vestiario aristocratico era stato sfoltito: la posa rilassata lasciava intendere un languore insolito per un prigioniero costretto a sedere sulla dura pietra, e il viso scuro non lasciava trasparire il minimo disagio per quella situazione malagevole; al contrario, ogni battito di ciglia pareva essere una frecciatina sarcastica scoccata agli Esorcisti. Perfino i capelli, morbidamente modellati in ricci corvini, sembravano disegnati secondo un complicato quadro di disordine ben calcolato: anche le ciocche più spettinate riuscivano a ricadere in modo da sottolineare la curva piacevole dello zigomo, il caldo oro delle iridi o la forma ben tracciata delle sopracciglia.  I due Esorcisti davanti a lui non facevano che rendere ancora più evidente la serena ed irriverente alterigia del Noah: Crowley e Linalee sedevano uno di fronte e uno di spalle al carcerato, la pelle tesa sui lineamenti contratti e sui muscoli irrigiditi, le labbra ridotte ad una fessura nervosa.
   «Allen!» si preoccupò Linalee, vedendolo entrare. «Dovresti stare a letto!»
   «Sei ancora lontano dalla guarigione, invero» il mantello del vampiro frusciò vellutato mentre l’uomo cadaverico gli si avvicinava. «Dovresti riposarti.»
   L’inglese quasi non ascoltò i suggerimenti dei compagni: il Noah lo aveva trapassato con il suo sguardo dorato non appena aveva varcato la soglia. Allen avvertì quasi un bruciore fisico nei punti in cui l’uomo lo fissava, come se gli avessero premuto due tizzoni ardenti sulla pelle.
   «Piccolo, tu sei Allen Walker?»
   «Non devi rispondergli» lo freddò Linalee, lanciando uno sguardo torvo al prigioniero.
   «Sono venuto a fargli una domanda» bisbigliò Allen a Crowley.
   «Non te la lasceranno fare» il Noah ghignò sagace mentre appoggiava il mento nel palmo della mano con insopportabile superiorità. «Hanno ricevuto ordini precisi: Allen Walker non deve avere alcun contatto con il Noah.»
   «E’ per difenderlo dalle tue nefandezze!» reagì Crowley, dispiegando un’ala del mantello davanti all’inglese per proteggerlo.
   «Oppure perché dubitano delle sue capacità da Esorcista. O, ancora peggio, della sua lealtà» sospettò l’uomo; gli occhi si strinsero in un ghigno nel notare il cambiamento di espressione del ragazzo albino.
   «Devo fargli solo una domanda. Non ci impiegherò molto tempo.»
   A quell’ultimo tentativo dell’inglese, Crowley si fece da parte a malincuore e tenne fisso lo sguardo sul ragazzo mentre questo avanzava verso il Noah: aveva colto una specie di tensione elettrica quando Allen aveva incassato l’accusa del loro nemico, e temeva che quest’ultimo potesse fargli ancora del male con le sue insinuazioni. Richiamò l’Innocence nelle zanne, pronto ad intervenire in qualsiasi momento, imitato da Linalee che caricò l’energia necessaria negli stivali.
   Un sogghigno raffinato e insolente aleggiava sulle labbra sottili dell’uomo mentre attendeva che il giovane Esorcista si chinasse davanti a lui.
   «Per quale motivo mi hai lasciato in vita?» volle sapere Allen, una volta portato il viso allo stesso
livello del Noah.
   «Non per l’intervento dei tuoi valorosi compagni» rispose derisorio l’uomo.
   «Cosa stai pianificando?»
   «Per quale motivo dovrei rivelarti le mie intenzioni?» gli angoli della bocca scattarono verso l’alto quando il sorriso perverso del prigioniero si ampliò. «Sei un ottimo giocatore di poker, dovresti saperlo che non si rivelano le proprie carte agli avversari.»
   «Non stiamo parlando di…»
   Il cravattino che portava al collo venne strattonato dalle dita di ferro del Noah; quando il mondo intorno a lui tornò fermo, Allen si ritrovò con il mento puntato sulla spalla dell’uomo, e l’orecchio solleticato dai mormorii suadenti del carcerato:
   «Hai mai giocato ad othello, piccolo?» le labbra del Noah gli lambivano impercettibilmente il lobo ad ogni lettera, soffiandogli le parole nell’orecchio con una fluidità quasi ipnotica. «Il bianco diventa nero in un attimo, il colore delle pedine non è mai definitivo. Ti consiglio di informarti bene sui trascorsi del tuo gruppo prima di decidere a che bandiera votarti.»
   Degli artigli acuminati lo strattonarono lontano dal nemico, strappandolo dal sortilegio della sua voce persuasiva e del suo profumo paralizzante.
   «Lascialo stare» ringhiò Crowley, parandosi davanti ad Allen con i canini affilati esibiti tra le labbra tese.
   Il Noah si limitò a riacquisire la sua posa scultorea, senza emettere un solo suono superfluo.
   «Stai bene, invero?» si impensierì il vampiro, voltandosi verso il giovane.
   «Sto bene» Allen coprì il viso con il dorso della mano nel rassicurare Crowley: sarebbe morto di vergogna se qualcuno avesse notato quanto le sue guance fossero diventate paonazze.
   Lasciò in fretta la stanza, tra l’ansietà degli Esorcisti e il sadico divertimento del Noah.
   Quell’uomo era pericoloso. Molto più di quanto pensassero gli altri.
   Per anni aveva covato dentro il pensiero di non aver trovato il suo posto nel mondo, e perfino tra gli Esorcisti non si era sentito del tutto integrato: ma una persona che lo conosceva da pochi minuti, la maggior parte dei quali passata a tentare di ucciderlo, non poteva aver capito ciò che marciva dentro di lui da tutta una vita.
   I suoi genitori lo avevano abbandonato, negandogli il nido domestico. Mana lo aveva accolto, ma la tomba lo aveva reclamato troppo presto. E ora il Noah metteva in dubbio che il suo vero posto fosse tra gli apostoli dell’Innocence.
   Quel che era peggio, era che lo credeva lui stesso.
   Scosse il capo con furia, stendendosi sul letto con enorme sollievo dei muscoli spossati.
   Non avrebbe mai più parlato con quell’uomo.
   Mai.




Credici, Allen xD
Okay, poche cose da dire su questo capitolo: è stato un parto da scrivere, veramente un parto, perchè da questo signorino che avete appena letto dipende tutto lo svolgersi della trama futura. E, nei miei progetti, dovrebbe essere anche l'ultimo che Tyki e Allen passano così lontani. Basta molestie occasionali u.u
Capitolo di passaggio, insomma, che spiana la strada al prossimo.
Indi, al quarto, miei cari<3
Red


   
 
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