Alberto il
contafrottole
E
quattordici… erano quattordici giorni che andava lì, ogni sera. Due
settimane.
Erano due settimane che si
alzava nel cuore della notte, indossava i vestiti più pesanti che aveva,
percorreva tre chilometri in bicicletta e arrivava in quel campo, appena fuori
città.
E
arrivato lì, la vedeva…
… sottile, eterea, quasi
evanescente, con lunghissimi capelli argentei che ricadevano come una cascata
sul masso su cui era seduta, e poi giù, giù fino alla terra morbida e fertile,
madre di miriadi di fili d’erba…
Cascate d’acqua. Era così
che l’immaginava quando solo, in casa sua ripensava a
quello che accadeva di notte. Cascate d’acqua, fresca, limpida,
sfuggente…
Soprattutto sfuggente,
come i suoi occhi grigi. Grigio ghiaccio, quasi celeste, quasi
glaciale.
E
sempre all’acqua paragonava la sua voce. Sottile, delicata e allegra, come un
ruscello appena sgorgato dalla roccia, in montagna, dove nulla è stato
contaminato.
Acqua. Acqua che sgorga, che fluisce, che modella, che trascina, che
corrode…
Corrode.
Era così che era
iniziata.
Corroso. Era corroso dalla
vita, dalla sua vita. Corroso dal suo
lavoro monotono, dalle sue conoscenze superficiali, dalla sua completa
incapacità di provare emozioni. E così una bella
sera si era alzato nel cuore della notte, aveva indossato i vestiti più pesanti
che aveva, aveva percorso tre chilometri in bicicletta e aveva scoperto quel
campo, poco fuori città. Si era seduto su un grosso masso e aveva cominciato ad
osservare la luna.
Non pensava a nulla.
Osservava semplicemente la luna.
E
lei era andata da lui.
Aveva più volte cercato di
ricordarsi come era successo, ma non vi era mai
riuscito… Non ricordava quando l’aveva vista per la prima volta, e non ricordava
perché o come avessero cominciato a parlare. Ricordava però il suo aspetto,
evanescente, e ricordava la sensazione che gli aveva trasmesso,
serenità.
Per la prima volta in vita
sua si era sentito sereno. Per la prima volta la sua vita non gli sembrava così
vuota e priva di senso.
Era tutto così bello, così
tranquillo, così… naturale.
Sì… naturale. Non fosse
stato per quelle piccole alucce argentate che le
spuntavano dietro le spalle.
Me le ha
descritte spesso… lo avevano colpito. Piccolissime ali,
come quelle delle farfalle, cos’ sottili che aveva autentico terrore di
toccarle. Era così goffo che le avrebbe
sicuramente rotte, e lei non sarebbe più riuscita a volare.
E
una sera, la quattordicesima, lei gli spiegò perché era successo. e il perché, molto più del come, gli cambiò la vita… e anche
la mia…
-
Non mi hai mai chiesto chi io sia…
-
…
-
Io sono le
tue speranze e i tuoi sogni.
-
Impossibile.
-
Perché?
-
I sogni non hanno corpo, e anche se lo
avessero i miei non sarebbero così belli come
te.
-
Hai sempre creduto a quello che ti ho
detto, perché oggi no?
-
Perché se mi stai dicendo questo vuol dire che te ne andrai, allora se non
ti credo sarai costretta a rimanere per convincermi.
-
Non rimarrò… non come speri tu. E poi, in fondo, tu mi credi. Non è vero?
Gli occhi che lo avevano
fuggito per tredici giorni quella volta lo
incatenarono. E lui comprese. Comprese che per
quattordici sere consecutive si era alzato nel cuore
della notte, aveva indossato i vestiti più pesanti che aveva, aveva percorso tra
chilometri in bicicletta, era arrivato in quel campo poco fuori città, si era
seduto su quel grosso masso e… aveva osservato la luna.
E
dopo aver compreso questo si voltò e lei… e lei stava volando verso il cielo,
verso la luna. E la luna era così luminosa che rimase
abbagliato. Si coprì gli occhi per un attimo e quando li riaprì era esattamente
dove doveva essere: affacciato al balcone di casa, ad osservare un cielo
nuvoloso, senza luna.
Sospirò e si voltò per
tornare a letto. Faceva freddo e lui indossava solo il pigiama. E quando si voltò… la trovò. Meglio… mi trovò.
Sono passati molti anni da
allora. La gente del quartiere ha sempre parlato male di mio padre. Dicono che è un pazzo, un visionario, un “contafrottole”.
Però nessuno è mai stato capace, dopo aver sentito dalla sua bocca la nostra
storia, di guardarlo negli occhi e dirgli che non ci
credeva. Perché dopo, riflettendoci con calma, a casa, al sicuro tra quattro
mura, che chiudono fuori le stranezze del mondo, puoi
riderci sopra e scherzare su “Alberto il contafrottole”. Ma in quel momento, quando ti guarda con quello sguardo scuro
e caldo, quando leggi nel profondo del suo animo che quella storia è vera,
allora, in quel momento, non puoi dubitare.
Così come non puoi
dubitare a casa tua, mentre guardi la televisione e ripensi ridendo a quel
povero visionario di Alberto.
I dubbi arrivano in giorno
dopo, quando dopo aver riflettuto e riso, “Alberto il contafrottole” ti
rincontra per la strada e ti presenta sua figlia, che poi sarei io. I dubbi ti
vengono il giorno dopo, quando vedi i miei occhi di ghiaccio e i miei capelli argentati, che ricadono a terra come cascata
d’acqua.
Solo allora dubiterai, e
aspetterai il giorno in cui anche i tuoi sogni diventeranno realtà e ti verranno affidati come bambini indifesi, affinché tu li
protegga e li faccia crescere.
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