3- Piccola città
Piccola città
"Per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos’altro che abbia il medesimo valore.
In alchimia è chiamato il principio dello scambio equivalente."
(Alphonse Elric, episodio 2)
Quasi trattenne il fiato poggiando il naso contro la vetrina, appannandola col suo respiro.
Era assolutamente meraviglioso.
Legno scuro di acero e abete, corde che aspettavano solo di essere
strofinate e un archetto che non chiedeva altro che pece (¹).
Curve sfuggenti simili a foglie accartocciate, passi di danza di quelle
fate di cui raccontavano gli anziani del paese. Due "effe" più
simili ai baffi sornioni di un gatto che a semplici aperture su un
piano di legno.
Avrebbe dato il suo letto e tutti i suoi giocattoli per poterlo avere.
Poteva benissimo dormire per terra, in fondo. Era più semplice
che pretendere di diventare un bravo musicista senza uno strumento con
cui potersi esercitare tutti i giorni a casa, senza dover andare sempre
dal vecchio Liddy. Anche se secondo sua madre doveva solo ringraziarlo,
dato che non chiedeva altro che due uova per un'ora di lezione.
D'accordo, ma questo non risolveva il suo problema. Gli serviva un
violino, un violino tutto suo. Un violino su cui avrebbe inciso le sue
iniziali, "E.E.", e così facendo l'avrebbe "marchiato a fuoco",
come diceva il vecchio Liddy.
Ma quello su cui aveva messo gli occhi da almeno tre mesi- dall'ultima
volta che erano venuti in città con suo padre- costava troppo,
anche se per fortuna non era ancora stato venduto. Se avesse potuto
avere un violino solo continuando ad ammirarlo, quello sarebbe stato
suo già da un pezzo. Natale si stava avvicinando, ma non poteva
certo chiedere...
- Edwin! Ti muovi? -.
La voce di sua sorella era l'esatta antitesi al suono dolce di un
violino, ma per una volta aveva ragione. Avevano accompagnato il loro
padre in città per il periodico rifornimento di medicine e
caramelle, perché in un paese piccolo come il loro la farmacia
vendeva anche dolciumi. Ma era ora di andare, lo sapeva; si
staccò dalla vetrina a malincuore, chiedendosi se il "suo"
violino ci sarebbe stato anche dopo le feste.
"E anche se fosse?" pensò amaramente Edwin "Tanto rimarrebbe lì, non sarebbe mio comunque."
- Ancora con quel violino? - la voce di Trisha accanto a sé non lo sorprese – Non l'hanno ancora venduto? -.
- No – Edwin finse un sorriso – Lo sai che aspetta me -.
- E tu lo sai che costa troppo. Ti conviene dimenticartelo -.
Se c'era una cosa che a Trisha non mancava, era il tatto. Ma aveva ragione.
- Sì, lo so – annuì lui col capo – Ma non posso farci niente -.
Sospirò, e andò a raggiungere suo padre che stava
comprando del pesce fritto per tutti e tre. A Edwin erano sempre
piaciute quelle piccole gite che facevano ogni tanto, ma ultimamente
erano diventate una vera sofferenza. Sperava quasi che quel violino
sparisse davvero dalla vetrina, almeno si sarebbe messo il cuore in
pace.
Trisha, dal canto suo, non l'aveva seguito subito. Aveva osservato
brevemente quello strumento a cui Edwin lanciava lunghe occhiate
languide ogni volta che venivano in città- non spesso, ma lui si
fiondava davanti a quel negozio appena poteva. Trisha l'aveva sentito
suonare qualche volta, andando a prenderlo un paio di nebbiosi
pomeriggi autunnali a casa del vecchio Liddy, e doveva ammettere che
era bravo. Non concedeva facili complimenti a suo fratello, ma con un
violino in mano Edwin ci sapeva fare, e anche il vecchio Liddy
riconosceva che aveva un certo talento. In fondo, anche a lei sarebbe
piaciuto sentirlo suonare per casa.
Ma quel violino costava troppo, in ogni caso. Edwin non se l'era mai
sentita di avanzare qualche richiesta, e in effetti nemmeno lei
l'avrebbe fatto. Nemmeno se...
- Trisha! Adesso ti sei incantata tu? -.
Suo fratello le urlava senza tanti problemi alcuni metri più
avanti, con suo padre accanto che teneva i cartocci del pesce. La
pancia le brontolò per la fame, e il vento freddo e umido di
dicembre le si infilò nelle orecchie, ma la lampadina che le si
era accesa in testa era più luminosa che mai.
Si allontanò in fretta dalla vetrina, e l'espressione che
esibì quando li raggiunse fece temere ad Al che Trisha avesse
avuto un'altra delle sue idee. A volte si aspettava quasi che saltasse
fuori con un familiare: - Ehi, Al! Senti questa! -.
Scosse la testa sorridendo, mentre i suoi figli se ne stavano zitti e concentrati con il loro cartoccio caldo tra le mani.
Chissà che stava combinando Ed? Era da un po' che non aveva più sue notizie.
- Come? Ma... sei sicura? -.
Al non era convinto di quel che avevano appena sentito le sue orecchie. Possibile che sua figlia avesse davvero avanzato una proposta del genere?
- Sì, beh... gli devo un favore -.
Al temette che la parola "favore" fosse un eufemismo, anche se non era
ancora riuscito a farsi raccontare per bene cos'era successo il famoso
giorno del lenzuolo. Una vocina fin troppo sicura di sé gli
diceva che i suoi figli c'entravano con un certo incidente tra un treno
e un povero montone, anche se finora erano stati ben attenti a non
lasciarsi sfuggire nemmeno una parola.
- Vediamo se ho capito: sei disposta a rinunciare al tuo regalo di Natale, purché Edwin riceva un violino? -.
- Sì, ma non un violino qualsiasi – si affrettò a
spiegare Trisha – Lui vuole quello nella vetrina del negozio di
strumenti, vicino alla fisarmonica -.
- Quello che si ferma a guardare ogni volta che andiamo in città, quindi? -.
- Esatto – suo padre non si smentiva mai: si era accorto da un
pezzo che Edwin andava sospirando dietro a quello strumento, sebbene
non ne avesse mai fatto parola con nessuno. Non come Winry, a cui
brillavano gli occhi non appena vedeva degli attrezzi assolutamente necessari al suo mestiere di costruttrice di automail, e poi saltellava tutto intorno a Ed pregandolo: "Me lo compri?".
Al sorrise, scuotendo la testa: anche dopo tanti anni, certi ricordi erano più vividi che mai.
Dal canto suo, Trisha non stava pensando ad un'amica d'infanzia
conosciuta in un altro mondo, ma si stava chiedendo se, con quel
sistema, sarebbe riuscita ad attenuare almeno un po' i sensi di colpa
che provava nei confronti di suo fratello.
Edwin l'aveva salvata e poi lei aveva salvato lui, anche se ciò
non cambiava il fatto che era stata tutta colpa sua. Nella migliore
delle ipotesi, aveva rischiato di fare davvero del male a suo fratello.
Malgrado poi fosse andato tutto bene, si sentiva comunque un mostro, e
dopo due mesi ancora le si chiudeva la bocca dello stomaco al pensiero
di “come sarebbe potuta andare”.
Trisha non sapeva di avere uno zio che avrebbe potuto capirla alla
perfezione, per cui i sensi di colpa doveva affrontarli da sola.
- Credi che si possa fare, papà? O verrebbe a costare troppo lo stesso? - chiese di nuovo, alzando la testa.
Anche se fosse costato troppo, Al era sicuro che un modo l'avrebbe
trovato. Già da tempo ne andava parlando con Tiarnan,
perché in effetti Edwin sembrava avere talento in fatto di
musica, ma soprattutto una gran passione. Se Ed non avesse avuto la
casa piena di libri di alchimia, dubitava che sarebbe mai diventato il
grande alchimista che era stato.
- Si può fare – rispose lui, sorridendole.
E quando suo padre la guardò, a Trisha non importò
davvero più nulla del suo regalo di Natale, perché vide
l'orgoglio nei suoi occhi. E ne fu immensamente felice.
- Davvero ti ha detto così? - Tiarnan sembrava incredula –
Mi chiedo quale sia questo "favore", anche se non so se vorrei saperlo
-.
- Forse è giusto così, che resti un segreto tra fratelli – disse Al.
Tiarnan gli lanciò un'occhiata lievemente sarcastica.
- Se sono come i tuoi, di "segreti tra fratelli", sono più preoccupata di prima -.
Al sorrise colpevole: da parecchi anni, ormai, aveva raccontato a sua
moglie tutta la verità riguardante lui e Ed, l'alchimia e il
mondo al di là del Portale. Tiarnan non ne parlava molto, ma
quando lo faceva si capiva quanto sperasse che i suoi figli avrebbero
avuto un destino diverso.
- Cambiando discorso, pensi di accontentarla? - chiese, infilandosi sotto le coperte.
- Beh, ne stiamo comunque parlando da un po', no? Di prendere un violino a Edwin? -.
Tiarnan annuì.
- Sì, in effetti potrebbe essere l'occasione giusta –
spense la luce, sdraiandosi – Ma credi che dovremmo farle
comunque un piccolo regalo? -.
Al sapeva che sua moglie stava pensando di premiarla in qualche modo
per il suo gesto, ma lui sapeva perfettamente ciò che andava
fatto. Perciò rispose:
- No -.
Sentì Tiarnan sistemarsi meglio contro il cuscino e sorridere in silenzio:
- Ancora con questo scambio equivalente, eh? -.
- Già. Sai, è un po' difficile dimenticarlo... -.
- Beh, anche se non si può applicare proprio a tutto, trovo che
in questo caso possa starci. Non è male, come metodo educativo -.
- Certo, basta non prenderlo come la verità della vita -.
Al sapeva di essersi capito solo lui, ma sorrise nel buio prima di addormentarsi.
Si era ormai abituato alle festività di quel mondo; o meglio, a
quelle delle persone con cui viveva. E anche se non ci aveva capito
molto, ora festeggiava il Natale con la sua famiglia esattamente come
aveva festeggiato Hanukkah con i Mühlstein, dopo aver appena
attraversato il portale.
- Aspetta, fammi capire – quando erano ancora fidanzati Tiarnan
aveva cercato di spiegargli l'origine di quella festa – È
nato... per morire? E perché? -.
- Per salvarci tutti -.
- Da cosa? -.
- Dal peccato originale -.
E qui Al aveva rimpianto con tutto il cuore l'alchimia, chiedendosi
quale significato potesse mai avere l'accostamento dei termini
"peccato" e "originale". Tiarnan doveva essersene accorta,
perché aveva subito aggiunto:
- Mettila così: è venuto per portare la luce nelle
tenebre del mondo. Per questo lo si festeggia nel periodo più
buio e freddo dell'anno: è simbolico -.
- Aspetta, aspetta: porta la luce... che vince sull'oscurità? - Al era certo di esserci arrivato.
Tiarnan annuì, contenta che avesse capito.
- È come Hanukkah, giusto? -.
Quasi le caddero le braccia.
- No, non c'entra niente – sbuffò.
- Ah... davvero? Ma sei sicura? - eppure si somigliavano così tanto...
- Certissima -.
- Mmh... -.
Ad un certo punto aveva rinunciato a capirci qualcosa, limitandosi a
godersi i visi luminosi dei suoi figli quando accendevano la candela
della Vigilia presso una finestra, così che fosse visibile anche
all'esterno. E Alice era la più contenta di tutti, dato che ad
accenderla doveva essere il membro più giovane della famiglia.
Poi Al doveva essere lesto a metterle una mano davanti alla bocca
perché non la spegnesse l'istante successivo, ma anche questa
era ormai una tradizione.
Come previsto, Edwin rimase a bocca aperta. Per un istante si chiese se
lo strumento che aveva tra le mani fosse reale, ma anche se non l'aveva
mai toccato l'avrebbe riconosciuto fra mille. L'aveva osservato per
così tanto tempo che avrebbe potuto descriverlo alla perfezione,
in ogni minimo dettaglio e curvatura del legno.
E ne fu immensamente felice, ma ancora non capiva.
- Ma come... costava troppo... - mormorò, ancora incredulo. Ma
non era sicuro che sarebbe riuscito a riportare indietro il violino, se
glielo avessero chiesto.
- Non ti preoccupare. Abbiamo trovato un modo – lo
rassicurò suo padre. E anche se Edwin non capì a cosa si
riferisse, era troppo felice per chiederselo. Pizzicò le corde
e, quando le sentì vibrare, tremò assieme a loro.
Solo più tardi, quando riuscì finalmente a distogliere lo sguardo dal suo violino, se ne accorse. Dov'era il regalo di Trisha?
- Pensa al tuo, di regalo. Che ti importa di quello degli altri? - fu la gentile risposta di sua sorella.
Eppure non c'era, pensò Edwin. Cecelia e Alice stavano giocando
con una nuova bambola e un nuovo coniglio di pezza, intente a trattare
con la madre per il permesso di usare delle tazze vere per far prendere
loro il té.
Corrugò la fronte, senza capire, accarezzando con il pollice il
manico del violino. Avrebbe chiesto a suo padre; lui gli avrebbe detto
cos'era quella storia.
- Scambio equivalente – fu invece la sibillina risposta di Al,
che si stava intimamente chiedendo se Edwin ci sarebbe andato a
dormire, con quel violino.
- Ma... -.
- Ehi, cosa fai vicino al camino? Tienilo lontano dal fuoco! -.
Alle parole di Trisha, Edwin strinse istintivamente lo strumento a
sé. Lei si avvicinò, togliendogli l'archetto di mano e
osservando i crini tesi e già strofinati di pece. Perché
era così interessata al suo violino? Non gliene era mai
importato niente, quando andava a guardarlo nella vetrina del negozio
di strumenti.
- Pensi di suonarlo, prima o poi? - chiese lei – Conosci la giga della farfalla? -.
- "The Butterfly"? - fece Edwin – Sì, anche se lo staccato non mi riesce ancora molto bene -.
- Non so neanche cosa sia, lo staccato – ribatté Trisha, porgendogli l'archetto.
E quando Edwin lo appoggiò sulle corde e iniziò a suonare
le prime note, all'inizio un po' incerto e poi via via sempre
più sicuro, capì. Capì che Trisha c'entrava col
suo regalo che costava troppo e che avrebbe fatto meglio a dimenticare,
continuando ad esercitarsi col violino del vecchio Liddy quando andava
da lui. Ecco cosa intendeva suo padre, con "scambio equivalente":
Trisha aveva rinunciato al suo regalo per lui. Per il suo violino.
Aumentò il ritmo, le dita più sicure sulle corde. Era una
melodia facile, le note che si ripetevano erano più o meno
sempre le stesse.
Quando terminò, Alice lo guardò con disappunto, una mano
in quella di Cecelia e l'altra sulla zampa del suo coniglio. Edwin si
rese conto che stavano ballando- più o meno- e sentì un
brivido di orgoglio lungo la schiena. Trisha e suo padre seduti vicino
al fuoco lo stavano ascoltando, attenti, come sua madre che lo
osservava sorridendo. Per la prima volta nella sua breve vita, era al
centro dell'attenzione di tutta la sua famiglia.
Fu Cecelia a parlare per prima, lei che era la più silenziosa tra le sue sorelle.
- Ancora -.
Edwin Elric aveva appena scoperto la sua droga.
Due settimane più tardi Tiarnan incontrò il vecchio Liddy
in paese, il quale le disse che Edwin stava migliorando in maniera
sorprendente: il suono era più pulito, le dita più veloci
e il ritmo più sicuro, anche se il senso del ritmo non gli era
mai mancato.
Per forza, pensò sua madre. Nelle ultime due settimane avevano
ascoltato il silenzio soltanto di notte, quando Edwin andava a dormire
e doveva rimettere il violino nella sua custodia, finalmente
silenzioso. Fortuna che da qualche giorno era ricominciata la scuola:
almeno le sue orecchie potevano riposare per qualche ora.
Però non le dispiaceva avere un figlio musicista per casa, anche
se quando non ne poteva proprio più lo spediva a suonare al
piano di sopra. E Edwin saliva le scale suonando, sciorinando scale di
note.
Se da una parte era convinta che fosse una fase- l'entusiamo per la
novità, che si sarebbe esaurito presto- dall'altra Al le aveva
detto che una simile costanza poteva essere un'eredità degli
Elric: lui e Ed avevano trascorso giorni e notti intere a studiare
l'alchimia, e forse suo figlio avrebbe trascorso giorni e notti intere
suonando.
Sembrava proprio che ad avere ragione fosse suo marito.
Una gelida sera di gennaio, dopo cena, Al e Tiarnan sentirono un gran
fracasso al piano di sopra. Più del solito, e in effetti
lì dabbasso dei bambini non c'era traccia.
- Dai, stasera li metto a letto io – fece Al, scambiando un'occhiata con la moglie, per poi salire le scale.
Sentiva Edwin suonare- che novità- e tutti i suoi figli cantare
a squarciagola una canzone che non conosceva. Quando aprì la
porta della loro stanza, li trovò che saltavano da un letto
all'altro, a piedi nudi e rossi in viso. Sembrava che il freddo
l'avessero lasciato fuori dalla finestra, nel vento che ululava e che
non riusciva a sovrastarli.
- Dance, then, wherever you may be... -. (²)
- Cos'è questa confusione? - fece Al, più sorpreso che altro – Che vi prende? -.
La sua voce riuscì a fermarli quel tanto che bastava
perché Trisha prendesse il controllo della situazione e gli
spiegasse:
- Senti questa canzone, papà! -.
Edwin attaccò il pezzo e le sue sorelle lo seguirono
ricominciando a cantare, mettendosi poi a saltare a ritmo sui letti,
accennando qualche passo della danza che accompagnava quella musica.
- Dance, then, wherever you may be; I am the Lord of the Dance, said he... -.
Già, pensò Al ascoltando attentamente quelle parole. Danza, allora, dovunque tu sarai. Non perderti d'animo, mai.
Quella giornata era stata lunga e faticosa, e non solo per lui: le
notizie che arrivavano di giorno in giorno erano sempre più
preoccupanti. La Germania aveva invaso la Polonia ormai da qualche
mese, Gran Bretagna e Francia le avevano dichiarato guerra e l'Unione
Sovietica era scesa in campo a sua volta. Non solo la Germania,
sembrava che l'intera Europa fosse un calderone messo sul fuoco a
bollire per troppo tempo, che minacciava di traboccare da un momento
all'altro. Anzi, probabilmente aveva già cominciato.
Non aveva notizie di Ed da mesi, ormai, ma qualcosa gli diceva che stava bene. Che doveva stare bene e, appena avesse potuto, si sarebbe fatto sentire.
Forse era nel suo destino rendersi conto di essere felice ogni volta
che il mondo attorno a lui andava allo sfascio. Perché quella
sera si rese conto di avere ottenuto ciò che aveva sempre
cercato, fin da quando si era messo in viaggio con suo fratello
all'età di dieci anni: anche lui, come Ed, aveva desiderato
tornare ai tempi in cui erano stati davvero felici, per l'unica volta nella loro vita, e quella sera si rese conto di esserci riuscito. Era tornato, ma andando avanti.
- ...and I'll lead you all wherever you may be, and I'll lead you all in the dance, said he -.
- Ti piace? - chiese Edwin, le dita ormai stanche dopo un'intera giornata di performance.
- È bellissima. E spero vi siate stancati abbastanza da mettervi sotto le coperte -.
Sapeva che non era affatto così; lo sapeva prima ancora che i
suoi figli gridassero all'unisono: - Non siamo stanchi! - senza nemmeno
consultarsi, perché non ce n'era bisogno. Lo sapeva, ma
continuò imperturbabile:
- Avanti, a letto -.
Quando gli obbedirono senza fare troppe storie, ad Al venne il dubbio
che forse un po' stanchi dovevano esserlo, e quando fece per rimboccare
le coperte ad Alice, ebbe come un lampo d'ispirazione improvvisa.
Sentì che quella era la sera giusta per dire loro qualcosa di importante, qualcosa che sperava avrebbero ricordato.
- Spero ve ne ricorderete – disse infatti.
- Di cosa? - fece Cecelia, curiosa.
- Di questa canzone e di quello che dice -.
- Vuoi che te la cantiamo di nuovo? - si offrì all'istante
Alice, che tuttavia doveva essere stremata per non essere saltata su
come un grillo.
- Non ce n'è bisogno, vi ho ascoltato con attenzione – rispose Al.
- Ma perché dovremmo ricordare quello che dice? - chiese Trisha,
e Al cercò di non sorridere. Perché lo sapeva già,
che sarebbe stata lei a chiederlo: era Trisha quella delle domande,
proprio come suo zio.
- Perché un giorno potreste non aver voglia di danzare, e nemmeno di saltare sui letti -.
- Questo è impossibile! - decretò categorica Alice, ormai un fagotto sotto le coperte.
- Potrebbe succedere, invece. Capita a tutti, prima o poi -.
Stavolta Alice non ribatté. Non è che avesse tanta
esperienza di vita da sapere esattamente quando fosse, quel
“prima o poi”.
- E quando succederà, cercate di ricordarvi di questa canzone
– avrebbe voluto che anche sua madre avesse detto loro una cosa
del genere. Forse Ed avrebbe saputo reagire in un altro modo – Va
bene? -.
Aveva chiesto a Edwin se, cantandogli una melodia, potesse riuscire a
suonarla col violino. Lui aveva risposto che poteva provarci, magari
con l'aiuto del vecchio Liddy che a orecchio riusciva a suonare
qualsiasi cosa.
Allora Al cercò di ricordare come fosse quella musica, quella
dell'orologio di Win che lei aveva definito "una vecchia melodia
russa". Come faceva?
- È difficile, papà – disse Edwin quando il vecchio
Liddy ebbe buttato giù uno spartito, dicendo di aver già
sentito quella canzone da qualche parte.
- Non devi suonarla adesso – lo rassicurò Al – Ma può essere un obiettivo -.
Edwin annuì.
- Fra qualche anno ci riuscirò sicuramente -.
Fra qualche anno avrebbe potuto ascoltarla anche Ed, se si fosse deciso
a venire a trovarli. Suo fratello stava bene, lo sapeva come l'aveva
saputo quando erano stati separati dal Portale.
Ma forse per rivederlo doveva aspettare ancora un po', rispettare anche
lui lo scambio equivalente come era riuscita a fare Trisha: in fondo
aveva avuto quattro figli, il che aveva un valore immenso. Per rivedere
un fratello forse ci voleva ancora un po' di tempo.
Magari meno di quel che pensava.
"Piccola città io ti conosco,
nebbia e fumo non so darvi il profumo del ricordo che cambia in meglio..."
(F. Guccini)
(¹) "Pece": nome comunemente usato di un composto di colofonia e
altre resine che, passato sui crini dell'archetto di un violino, fa
sì che questo produca attrito al contatto con le corde. In caso
contrario scivolerebbe e non sarebbe possibile suonare.
Le "effe" sono invece le due fessure ai lati delle corde.
(²) “The Lord of the Dance”, qui nella versione dei Blackmore's Night.
Traduzione dei versi riportati:
“Danza, allora, dovunque tu sarai; sono il Signore della Danza, disse lui,
e guiderò tutti voi ovunque sarete, e guiderò tutti voi nella danza, disse lui.”
L'accensione della candela l'ho
trovata tra le tradizioni natalizie irlandesi, anche se non l'ho mai
potuta verificare di persona... mi fido di ciò che ho trovato in
rete. ^^
Delle due canzoni nominate nel
capitolo trovate il collegamento YouTube, spero che vi siano piaciute.
Credo che la faccenda dello scambio equivalente sia difficile da
dimenticare, per un alchimista, e a volte penso che possa davvero
esistere una legge simile. O che almeno insegni il valore di ciò
che si ha.
La melodia a cui si fa riferimento
alla fine è ovviamente "Bratja", nominata alla fine de "Die Uhr-
L'orologio". Non so se avete mai sentito una cover con solo violino, ma
è meravigliosa. È meravigliosa in ogni caso, comunque.
Rispondendo alle recensioni:
_Li_:
hai proprio ragione, Ed come fratello maggiore è una vera e
propria palestra di vita. ^^ Mi piaceva l'idea di una piccola
"avventura traumatica" anche per loro, ma che non fosse estrema come
quella di Ed e Al.
Io sono appunto la sorella maggiore,
invece. E, mano sul cuore, mi sono sempre sentita un po' il "capo" dei
miei fratelli... è una bella sensazione. ^^
Alla prossima!
MusaTalia:
beh, venendo da un mondo in cui, a guardar bene, non esiste
discriminazione sessuale, credo sia normale che Al risulti più
"moderno" degli uomini del tempo. Oltre al fatto che, sapendo bene
com'è vivere senza la presenza di un padre, ho pensato potesse
essere più che plausibile che lui voglia esserci, nella vita dei
suoi figli.
Per quanto riguarda le due figlie minori, finora le ho solo accennate, ma vedrai che avranno presto il loro spazio. ^^
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