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Autore: hotaru    07/08/2011    2 recensioni
«Al aveva ormai ben chiaro che le corrispondenze tra il suo mondo e quello in cui si trovava ora non sarebbero mai finite: era davvero come in uno specchio, dove destra e sinistra erano sì scambiate, ma rimanevano sempre tali. Non avrebbe mai smesso di stupirsene, anche se ormai si aspettava di trovarne una ogni volta che girava un angolo.
E quando la sua primogenita, Trisha Elric, nacque lo stesso giorno di quel mese di febbraio in cui lui e Ed avevano compiuto la trasmutazione umana, non poté fare a meno di sorridere. Di sorridere perché davvero certe ferite si curavano da sole, col tempo.»
Sequel di "Regentage- Giorni di pioggia"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Altro personaggio, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
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3- Piccola città Piccola città


"Per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos’altro che abbia il medesimo valore.
In alchimia è chiamato il principio dello scambio equivalente."

(Alphonse Elric, episodio 2)


Quasi trattenne il fiato poggiando il naso contro la vetrina, appannandola col suo respiro.
Era assolutamente meraviglioso.
Legno scuro di acero e abete, corde che aspettavano solo di essere strofinate e un archetto che non chiedeva altro che pece (¹). Curve sfuggenti simili a foglie accartocciate, passi di danza di quelle fate di cui raccontavano gli anziani del paese. Due "effe" più simili ai baffi sornioni di un gatto che a semplici aperture su un piano di legno.
Avrebbe dato il suo letto e tutti i suoi giocattoli per poterlo avere. Poteva benissimo dormire per terra, in fondo. Era più semplice che pretendere di diventare un bravo musicista senza uno strumento con cui potersi esercitare tutti i giorni a casa, senza dover andare sempre dal vecchio Liddy. Anche se secondo sua madre doveva solo ringraziarlo, dato che non chiedeva altro che due uova per un'ora di lezione.
D'accordo, ma questo non risolveva il suo problema. Gli serviva un violino, un violino tutto suo. Un violino su cui avrebbe inciso le sue iniziali, "E.E.", e così facendo l'avrebbe "marchiato a fuoco", come diceva il vecchio Liddy.
Ma quello su cui aveva messo gli occhi da almeno tre mesi- dall'ultima volta che erano venuti in città con suo padre- costava troppo, anche se per fortuna non era ancora stato venduto. Se avesse potuto avere un violino solo continuando ad ammirarlo, quello sarebbe stato suo già da un pezzo. Natale si stava avvicinando, ma non poteva certo chiedere...
- Edwin! Ti muovi? -.
La voce di sua sorella era l'esatta antitesi al suono dolce di un violino, ma per una volta aveva ragione. Avevano accompagnato il loro padre in città per il periodico rifornimento di medicine e caramelle, perché in un paese piccolo come il loro la farmacia vendeva anche dolciumi. Ma era ora di andare, lo sapeva; si staccò dalla vetrina a malincuore, chiedendosi se il "suo" violino ci sarebbe stato anche dopo le feste.
"E anche se fosse?" pensò amaramente Edwin "Tanto rimarrebbe lì, non sarebbe mio comunque."
- Ancora con quel violino? - la voce di Trisha accanto a sé non lo sorprese – Non l'hanno ancora venduto? -.
- No – Edwin finse un sorriso – Lo sai che aspetta me -.
- E tu lo sai che costa troppo. Ti conviene dimenticartelo -.
Se c'era una cosa che a Trisha non mancava, era il tatto. Ma aveva ragione.
- Sì, lo so – annuì lui col capo – Ma non posso farci niente -.
Sospirò, e andò a raggiungere suo padre che stava comprando del pesce fritto per tutti e tre. A Edwin erano sempre piaciute quelle piccole gite che facevano ogni tanto, ma ultimamente erano diventate una vera sofferenza. Sperava quasi che quel violino sparisse davvero dalla vetrina, almeno si sarebbe messo il cuore in pace.
Trisha, dal canto suo, non l'aveva seguito subito. Aveva osservato brevemente quello strumento a cui Edwin lanciava lunghe occhiate languide ogni volta che venivano in città- non spesso, ma lui si fiondava davanti a quel negozio appena poteva. Trisha l'aveva sentito suonare qualche volta, andando a prenderlo un paio di nebbiosi pomeriggi autunnali a casa del vecchio Liddy, e doveva ammettere che era bravo. Non concedeva facili complimenti a suo fratello, ma con un violino in mano Edwin ci sapeva fare, e anche il vecchio Liddy riconosceva che aveva un certo talento. In fondo, anche a lei sarebbe piaciuto sentirlo suonare per casa.
Ma quel violino costava troppo, in ogni caso. Edwin non se l'era mai sentita di avanzare qualche richiesta, e in effetti nemmeno lei l'avrebbe fatto. Nemmeno se...
- Trisha! Adesso ti sei incantata tu? -.
Suo fratello le urlava senza tanti problemi alcuni metri più avanti, con suo padre accanto che teneva i cartocci del pesce. La pancia le brontolò per la fame, e il vento freddo e umido di dicembre le si infilò nelle orecchie, ma la lampadina che le si era accesa in testa era più luminosa che mai.
Si allontanò in fretta dalla vetrina, e l'espressione che esibì quando li raggiunse fece temere ad Al che Trisha avesse avuto un'altra delle sue idee. A volte si aspettava quasi che saltasse fuori con un familiare: - Ehi, Al! Senti questa! -.
Scosse la testa sorridendo, mentre i suoi figli se ne stavano zitti e concentrati con il loro cartoccio caldo tra le mani.
Chissà che stava combinando Ed? Era da un po' che non aveva più sue notizie.


- Come? Ma... sei sicura? -.
Al non era convinto di quel che avevano appena sentito le sue orecchie. Possibile che sua figlia avesse davvero avanzato una proposta del genere?
- Sì, beh... gli devo un favore -.
Al temette che la parola "favore" fosse un eufemismo, anche se non era ancora riuscito a farsi raccontare per bene cos'era successo il famoso giorno del lenzuolo. Una vocina fin troppo sicura di sé gli diceva che i suoi figli c'entravano con un certo incidente tra un treno e un povero montone, anche se finora erano stati ben attenti a non lasciarsi sfuggire nemmeno una parola.
- Vediamo se ho capito: sei disposta a rinunciare al tuo regalo di Natale, purché Edwin riceva un violino? -.
- Sì, ma non un violino qualsiasi – si affrettò a spiegare Trisha – Lui vuole quello nella vetrina del negozio di strumenti, vicino alla fisarmonica -.
- Quello che si ferma a guardare ogni volta che andiamo in città, quindi? -.
- Esatto – suo padre non si smentiva mai: si era accorto da un pezzo che Edwin andava sospirando dietro a quello strumento, sebbene non ne avesse mai fatto parola con nessuno. Non come Winry, a cui brillavano gli occhi non appena vedeva degli attrezzi assolutamente necessari al suo mestiere di costruttrice di automail, e poi saltellava tutto intorno a Ed pregandolo: "Me lo compri?".
Al sorrise, scuotendo la testa: anche dopo tanti anni, certi ricordi erano più vividi che mai.
Dal canto suo, Trisha non stava pensando ad un'amica d'infanzia conosciuta in un altro mondo, ma si stava chiedendo se, con quel sistema, sarebbe riuscita ad attenuare almeno un po' i sensi di colpa che provava nei confronti di suo fratello.
Edwin l'aveva salvata e poi lei aveva salvato lui, anche se ciò non cambiava il fatto che era stata tutta colpa sua. Nella migliore delle ipotesi, aveva rischiato di fare davvero del male a suo fratello. Malgrado poi fosse andato tutto bene, si sentiva comunque un mostro, e dopo due mesi ancora le si chiudeva la bocca dello stomaco al pensiero di “come sarebbe potuta andare”.
Trisha non sapeva di avere uno zio che avrebbe potuto capirla alla perfezione, per cui i sensi di colpa doveva affrontarli da sola.
- Credi che si possa fare, papà? O verrebbe a costare troppo lo stesso? - chiese di nuovo, alzando la testa.
Anche se fosse costato troppo, Al era sicuro che un modo l'avrebbe trovato. Già da tempo ne andava  parlando con Tiarnan, perché in effetti Edwin sembrava avere talento in fatto di musica, ma soprattutto una gran passione. Se Ed non avesse avuto la casa piena di libri di alchimia, dubitava che sarebbe mai diventato il grande alchimista che era stato.
- Si può fare – rispose lui, sorridendole.
E quando suo padre la guardò, a Trisha non importò davvero più nulla del suo regalo di Natale, perché vide l'orgoglio nei suoi occhi. E ne fu immensamente felice.


- Davvero ti ha detto così? - Tiarnan sembrava incredula – Mi chiedo quale sia questo "favore", anche se non so se vorrei saperlo -.
- Forse è giusto così, che resti un segreto tra fratelli – disse Al.
Tiarnan gli lanciò un'occhiata lievemente sarcastica.
- Se sono come i tuoi, di "segreti tra fratelli", sono più preoccupata di prima -.
Al sorrise colpevole: da parecchi anni, ormai, aveva raccontato a sua moglie tutta la verità riguardante lui e Ed, l'alchimia e il mondo al di là del Portale. Tiarnan non ne parlava molto, ma quando lo faceva si capiva quanto sperasse che i suoi figli avrebbero avuto un destino diverso.
- Cambiando discorso, pensi di accontentarla? - chiese, infilandosi sotto le coperte.
- Beh, ne stiamo comunque parlando da un po', no? Di prendere un violino a Edwin? -.
Tiarnan annuì.
- Sì, in effetti potrebbe essere l'occasione giusta – spense la luce, sdraiandosi – Ma credi che dovremmo farle comunque un piccolo regalo? -.
Al sapeva che sua moglie stava pensando di premiarla in qualche modo per il suo gesto, ma lui sapeva perfettamente ciò che andava fatto. Perciò rispose:
- No -.
Sentì Tiarnan sistemarsi meglio contro il cuscino e sorridere in silenzio:
- Ancora con questo scambio equivalente, eh? -.
- Già. Sai, è un po' difficile dimenticarlo... -.
- Beh, anche se non si può applicare proprio a tutto, trovo che in questo caso possa starci. Non è male, come metodo educativo -.
- Certo, basta non prenderlo come la verità della vita -.
Al sapeva di essersi capito solo lui, ma sorrise nel buio prima di addormentarsi.


Si era ormai abituato alle festività di quel mondo; o meglio, a quelle delle persone con cui viveva. E anche se non ci aveva capito molto, ora festeggiava il Natale con la sua famiglia esattamente come aveva festeggiato Hanukkah con i Mühlstein, dopo aver appena attraversato il portale.
- Aspetta, fammi capire – quando erano ancora fidanzati Tiarnan aveva cercato di spiegargli l'origine di quella festa – È nato... per morire? E perché? -.
- Per salvarci tutti -.
- Da cosa? -.
- Dal peccato originale -.
E qui Al aveva rimpianto con tutto il cuore l'alchimia, chiedendosi quale significato potesse mai avere l'accostamento dei termini "peccato" e "originale". Tiarnan doveva essersene accorta, perché aveva subito aggiunto:
- Mettila così: è venuto per portare la luce nelle tenebre del mondo. Per questo lo si festeggia nel periodo più buio e freddo dell'anno: è simbolico -.
- Aspetta, aspetta: porta la luce... che vince sull'oscurità? - Al era certo di esserci arrivato.
Tiarnan annuì, contenta che avesse capito.
- È come Hanukkah, giusto? -.
Quasi le caddero le braccia.
- No, non c'entra niente – sbuffò.
- Ah... davvero? Ma sei sicura? - eppure si somigliavano così tanto...
- Certissima -.
- Mmh... -.
Ad un certo punto aveva rinunciato a capirci qualcosa, limitandosi a godersi i visi luminosi dei suoi figli quando accendevano la candela della Vigilia presso una finestra, così che fosse visibile anche all'esterno. E Alice era la più contenta di tutti, dato che ad accenderla doveva essere il membro più giovane della famiglia. Poi Al doveva essere lesto a metterle una mano davanti alla bocca perché non la spegnesse l'istante successivo, ma anche questa era ormai una tradizione.


Come previsto, Edwin rimase a bocca aperta. Per un istante si chiese se lo strumento che aveva tra le mani fosse reale, ma anche se non l'aveva mai toccato l'avrebbe riconosciuto fra mille. L'aveva osservato per così tanto tempo che avrebbe potuto descriverlo alla perfezione, in ogni minimo dettaglio e curvatura del legno.
E ne fu immensamente felice, ma ancora non capiva.
- Ma come... costava troppo... - mormorò, ancora incredulo. Ma non era sicuro che sarebbe riuscito a riportare indietro il violino, se glielo avessero chiesto.
- Non ti preoccupare. Abbiamo trovato un modo – lo rassicurò suo padre. E anche se Edwin non capì a cosa si riferisse, era troppo felice per chiederselo. Pizzicò le corde e, quando le sentì vibrare, tremò assieme a loro.
Solo più tardi, quando riuscì finalmente a distogliere lo sguardo dal suo violino, se ne accorse. Dov'era il regalo di Trisha?
- Pensa al tuo, di regalo. Che ti importa di quello degli altri? - fu la gentile risposta di sua sorella.
Eppure non c'era, pensò Edwin. Cecelia e Alice stavano giocando con una nuova bambola e un nuovo coniglio di pezza, intente a trattare con la madre per il permesso di usare delle tazze vere per far prendere loro il té.
Corrugò la fronte, senza capire, accarezzando con il pollice il manico del violino. Avrebbe chiesto a suo padre; lui gli avrebbe detto cos'era quella storia.
- Scambio equivalente – fu invece la sibillina risposta di Al, che si stava intimamente chiedendo se Edwin ci sarebbe andato a dormire, con quel violino.
- Ma... -.
- Ehi, cosa fai vicino al camino? Tienilo lontano dal fuoco! -.
Alle parole di Trisha, Edwin strinse istintivamente lo strumento a sé. Lei si avvicinò, togliendogli l'archetto di mano e osservando i crini tesi e già strofinati di pece. Perché era così interessata al suo violino? Non gliene era mai importato niente, quando andava a guardarlo nella vetrina del negozio di strumenti.
- Pensi di suonarlo, prima o poi? - chiese lei – Conosci la giga della farfalla? -.
- "The Butterfly"? - fece Edwin – Sì, anche se lo staccato non mi riesce ancora molto bene -.
- Non so neanche cosa sia, lo staccato – ribatté Trisha, porgendogli l'archetto.
E quando Edwin lo appoggiò sulle corde e iniziò a suonare le prime note, all'inizio un po' incerto e poi via via sempre più sicuro, capì. Capì che Trisha c'entrava col suo regalo che costava troppo e che avrebbe fatto meglio a dimenticare, continuando ad esercitarsi col violino del vecchio Liddy quando andava da lui. Ecco cosa intendeva suo padre, con "scambio equivalente": Trisha aveva rinunciato al suo regalo per lui. Per il suo violino.
Aumentò il ritmo, le dita più sicure sulle corde. Era una melodia facile, le note che si ripetevano erano più o meno sempre le stesse.
Quando terminò, Alice lo guardò con disappunto, una mano in quella di Cecelia e l'altra sulla zampa del suo coniglio. Edwin si rese conto che stavano ballando- più o meno- e sentì un brivido di orgoglio lungo la schiena. Trisha e suo padre seduti vicino al fuoco lo stavano ascoltando, attenti, come sua madre che lo osservava sorridendo. Per la prima volta nella sua breve vita, era al centro dell'attenzione di tutta la sua famiglia.
Fu Cecelia a parlare per prima, lei che era la più silenziosa tra le sue sorelle.
- Ancora -.
Edwin Elric aveva appena scoperto la sua droga.


Due settimane più tardi Tiarnan incontrò il vecchio Liddy in paese, il quale le disse che Edwin stava migliorando in maniera sorprendente: il suono era più pulito, le dita più veloci e il ritmo più sicuro, anche se il senso del ritmo non gli era mai mancato.
Per forza, pensò sua madre. Nelle ultime due settimane avevano ascoltato il silenzio soltanto di notte, quando Edwin andava a dormire e doveva rimettere il violino nella sua custodia, finalmente silenzioso. Fortuna che da qualche giorno era ricominciata la scuola: almeno le sue orecchie potevano riposare per qualche ora.
Però non le dispiaceva avere un figlio musicista per casa, anche se quando non ne poteva proprio più lo spediva a suonare al piano di sopra. E Edwin saliva le scale suonando, sciorinando scale di note.
Se da una parte era convinta che fosse una fase- l'entusiamo per la novità, che si sarebbe esaurito presto- dall'altra Al le aveva detto che una simile costanza poteva essere un'eredità degli Elric: lui e Ed avevano trascorso giorni e notti intere a studiare l'alchimia, e forse suo figlio avrebbe trascorso giorni e notti intere suonando.
Sembrava proprio che ad avere ragione fosse suo marito.


Una gelida sera di gennaio, dopo cena, Al e Tiarnan sentirono un gran fracasso al piano di sopra. Più del solito, e in effetti lì dabbasso dei bambini non c'era traccia.
- Dai, stasera li metto a letto io – fece Al, scambiando un'occhiata con la moglie, per poi salire le scale.
Sentiva Edwin suonare- che novità- e tutti i suoi figli cantare a squarciagola una canzone che non conosceva. Quando aprì la porta della loro stanza, li trovò che saltavano da un letto all'altro, a piedi nudi e rossi in viso. Sembrava che il freddo l'avessero lasciato fuori dalla finestra, nel vento che ululava e che non riusciva a sovrastarli.
- Dance, then, wherever you may be... -. (²)
- Cos'è questa confusione? - fece Al, più sorpreso che altro – Che vi prende? -.
La sua voce riuscì a fermarli quel tanto che bastava perché Trisha prendesse il controllo della situazione e gli spiegasse:
- Senti questa canzone, papà! -.
Edwin attaccò il pezzo e le sue sorelle lo seguirono ricominciando a cantare, mettendosi poi a saltare a ritmo sui letti, accennando qualche passo della danza che accompagnava quella musica.
- Dance, then, wherever you may be; I am the Lord of the Dance, said he... -.
Già, pensò Al ascoltando attentamente quelle parole. Danza, allora, dovunque tu sarai. Non perderti d'animo, mai.
Quella giornata era stata lunga e faticosa, e non solo per lui: le notizie che arrivavano di giorno in giorno erano sempre più preoccupanti. La Germania aveva invaso la Polonia ormai da qualche mese, Gran Bretagna e Francia le avevano dichiarato guerra e l'Unione Sovietica era scesa in campo a sua volta. Non solo la Germania, sembrava che l'intera Europa fosse un calderone messo sul fuoco a bollire per troppo tempo, che minacciava di traboccare da un momento all'altro. Anzi, probabilmente aveva già cominciato.
Non aveva notizie di Ed da mesi, ormai, ma qualcosa gli diceva che stava bene. Che doveva stare bene e, appena avesse potuto, si sarebbe fatto sentire.
Forse era nel suo destino rendersi conto di essere felice ogni volta che il mondo attorno a lui andava allo sfascio. Perché quella sera si rese conto di avere ottenuto ciò che aveva sempre cercato, fin da quando si era messo in viaggio con suo fratello all'età di dieci anni: anche lui, come Ed, aveva desiderato tornare ai tempi in cui erano stati davvero felici, per l'unica volta nella loro vita, e quella sera si rese conto di esserci riuscito. Era tornato, ma andando avanti.
- ...and I'll lead you all wherever you may be, and I'll lead you all in the dance, said he -.
- Ti piace? - chiese Edwin, le dita ormai stanche dopo un'intera giornata di performance.
- È bellissima. E spero vi siate stancati abbastanza da mettervi sotto le coperte -.
Sapeva che non era affatto così; lo sapeva prima ancora che i suoi figli gridassero all'unisono: - Non siamo stanchi! - senza nemmeno consultarsi, perché non ce n'era bisogno. Lo sapeva, ma continuò imperturbabile:
- Avanti, a letto -.
Quando gli obbedirono senza fare troppe storie, ad Al venne il dubbio che forse un po' stanchi dovevano esserlo, e quando fece per rimboccare le coperte ad Alice, ebbe come un lampo d'ispirazione improvvisa.
Sentì che quella era la sera giusta per dire loro qualcosa di importante, qualcosa che sperava avrebbero ricordato.
- Spero ve ne ricorderete – disse infatti.
- Di cosa? - fece Cecelia, curiosa.
- Di questa canzone e di quello che dice -.
- Vuoi che te la cantiamo di nuovo? - si offrì all'istante Alice, che tuttavia doveva essere stremata per non essere saltata su come un grillo.
- Non ce n'è bisogno, vi ho ascoltato con attenzione – rispose Al.
- Ma perché dovremmo ricordare quello che dice? - chiese Trisha, e Al cercò di non sorridere. Perché lo sapeva già, che sarebbe stata lei a chiederlo: era Trisha quella delle domande, proprio come suo zio.
- Perché un giorno potreste non aver voglia di danzare, e nemmeno di saltare sui letti -.
- Questo è impossibile! - decretò categorica Alice, ormai un fagotto sotto le coperte.
- Potrebbe succedere, invece. Capita a tutti, prima o poi -.
Stavolta Alice non ribatté. Non è che avesse tanta esperienza di vita da sapere esattamente quando fosse, quel “prima o poi”.
- E quando succederà, cercate di ricordarvi di questa canzone – avrebbe voluto che anche sua madre avesse detto loro una cosa del genere. Forse Ed avrebbe saputo reagire in un altro modo – Va bene? -.


Aveva chiesto a Edwin se, cantandogli una melodia, potesse riuscire a suonarla col violino. Lui aveva risposto che poteva provarci, magari con l'aiuto del vecchio Liddy che a orecchio riusciva a suonare qualsiasi cosa.
Allora Al cercò di ricordare come fosse quella musica, quella dell'orologio di Win che lei aveva definito "una vecchia melodia russa". Come faceva?
- È difficile, papà – disse Edwin quando il vecchio Liddy ebbe buttato giù uno spartito, dicendo di aver già sentito quella canzone da qualche parte.
- Non devi suonarla adesso – lo rassicurò Al – Ma può essere un obiettivo -.
Edwin annuì.
- Fra qualche anno ci riuscirò sicuramente -.
Fra qualche anno avrebbe potuto ascoltarla anche Ed, se si fosse deciso a venire a trovarli. Suo fratello stava bene, lo sapeva come l'aveva saputo quando erano stati separati dal Portale.
Ma forse per rivederlo doveva aspettare ancora un po', rispettare anche lui lo scambio equivalente come era riuscita a fare Trisha: in fondo aveva avuto quattro figli, il che aveva un valore immenso. Per rivedere un fratello forse ci voleva ancora un po' di tempo.
Magari meno di quel che pensava.   


"Piccola città io ti conosco,
nebbia e fumo non so darvi il profumo del ricordo che cambia in meglio..."

(F. Guccini)



(¹) "Pece": nome comunemente usato di un composto di colofonia e altre resine che, passato sui crini dell'archetto di un violino, fa sì che questo produca attrito al contatto con le corde. In caso contrario scivolerebbe e non sarebbe possibile suonare.
Le "effe" sono invece le due fessure ai lati delle corde.
(²) “The Lord of the Dance”, qui nella versione dei Blackmore's Night.
Traduzione dei versi riportati:
“Danza, allora, dovunque tu sarai; sono il Signore della Danza, disse lui,
e guiderò tutti voi ovunque sarete, e guiderò tutti voi nella danza, disse lui.”



L'accensione della candela l'ho trovata tra le tradizioni natalizie irlandesi, anche se non l'ho mai potuta verificare di persona... mi fido di ciò che ho trovato in rete. ^^
Delle due canzoni nominate nel capitolo trovate il collegamento YouTube, spero che vi siano piaciute. Credo che la faccenda dello scambio equivalente sia difficile da dimenticare, per un alchimista, e a volte penso che possa davvero esistere una legge simile. O che almeno insegni il valore di ciò che si ha.
La melodia a cui si fa riferimento alla fine è ovviamente "Bratja", nominata alla fine de "Die Uhr- L'orologio". Non so se avete mai sentito una cover con solo violino, ma è meravigliosa. È meravigliosa in ogni caso, comunque.


Rispondendo alle recensioni:
_Li_: hai proprio ragione, Ed come fratello maggiore è una vera e propria palestra di vita. ^^ Mi piaceva l'idea di una piccola "avventura traumatica" anche per loro, ma che non fosse estrema come quella di Ed e Al.
Io sono appunto la sorella maggiore, invece. E, mano sul cuore, mi sono sempre sentita un po' il "capo" dei miei fratelli... è una bella sensazione. ^^
Alla prossima!
MusaTalia: beh, venendo da un mondo in cui, a guardar bene, non esiste discriminazione sessuale, credo sia normale che Al risulti più "moderno" degli uomini del tempo. Oltre al fatto che, sapendo bene com'è vivere senza la presenza di un padre, ho pensato potesse essere più che plausibile che lui voglia esserci, nella vita dei suoi figli.  
Per quanto riguarda le due figlie minori, finora le ho solo accennate, ma vedrai che avranno presto il loro spazio. ^^ 
   
 
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