Mare

di Alkibiades
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Il mare. L'avevo già visto una volta, durante l'infanzia, ma non esistono parole per descrivere ciò che prova un fanciullo dell'entroterra di fronte all'inaspettata distesa marina, al fascino dell'orizzonte celeste che si congiunge al mar ein una linea perfetta.
I campi e le montagne, che sembravano estendersi interminabilmente, si interrompono formando spiagge sinuose, insenature e scogliere: solo le nuvole proseguono il loro cammino, impalpabili, con i loro pensieri errabondi, nell'immensità dei tranquilli tramonti costieri.
Ma quella distesa è viva, ancor più della terra. Muta inaspettatamente, parla una lingua infinita che atterrisce l'uomo.
E' allora che quell'uomo dell'entroterra comprende che nulla si può costruire sul mare. Le case, i templi e le mura in cui troviamo riapro sono impossibili qui. Solo il fragile vascello, che forma una bianca scia che subito sfuma. I suoi sensi sembrano dileguarsi, svanire in una vertigine senza ormeggi, e grida, inginocchiandosi di fronte all'immensità, o indietreggia, temendolo e odiandolo per sempre.
Io rimasi sbalordito sulla sabbia, contemplando quel gigante calmo e ceruleo che si avvicinava a lambirmi i piedi delicatamente.

Ecco, visto che nessuno lo legge, per te che non sei nessuno, ma qualcuna(: anzi, quancuna con la Q maiuscola, Qualcuna. La mia Qualcuna preferita.




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