-E voi cosa ci fate qui?-
-Potrei chiederti la stessa cosa, discemolo. Che fine ha fatto il tuo
cane da guardia?- Allen si grattò pigramente un orecchio
–diciamo che aveva bisogno di riposo e l’ho un
po’ aiutato- disse, restando sul vago.
Continuava a chiedersi che cosa ci facesse il suo maestro davanti alla
stanza di Hoshi a quell’ora, ma ogni sua domanda fu prevenuta
dall’intervento della diretta interessata.
-Posso esservi utile?- la voce risuonò beffarda alle loro
spalle.
-Devo parlarti- disse subito Cross, facendo un passo in avanti. Gli
occhi neri di Hoshi si spostarono su Allen, con uno sguardo decisamente
più gentile di quello che avevano riservato al Generale
–ti serve qualcosa?- chiese. L’albino scosse la
testa, mesto.
-Volevo solo vederti, ma se ti disturbo…- la ragazza fece
subito cenno di no, lanciandogli la chiave della camera
–aspettami. Tanto sarà una cosa breve- disse,
accennando seccamente all’uomo di fianco a loro.
Allen annuì ed entrò nella stanza, lasciandoli
fuori. Hoshi e Marian si allontanarono, infilandosi in uno sgabuzzino
abbandonato.
-Allora, che vuoi?- chiese lei bruscamente. Non le piaceva affatto che
la fosse venuta a cercare a quell’ora, e meno ancora le
piaceva che lui ed Allen si fossero incrociati davanti alla sua stanza.
-Solo chiederti se le voci che girano sono vere-
-Sai come la penso riguardo alle voci sul mio conto- ci fu un rumore
secco di un palmo che picchiava contro la parete.
-Questo non è uno scherzo, maledizione. Hai capito o no cosa
c’è dentro quel ragazzo?- Hoshi guardò
l’uomo che le stava di fronte, gelida –ho capito
benissimo. E lo vedo, anche, quindi penso di avere più
ragioni di tutti voi per capire- mormorò.
-Hoshi, è condannato. Soffrirai di nuovo- stavolta fu il
turno della ragazza di sbottare.
-Anch’io sono condannata, Marian. Ma lui è
riuscito a mostrarmi che nonostante questo prima della sentenza si
può ancora vivere- sibilò a una manciata di
centimetri dal suo viso –che anche nelle tenebre
più profonde si può trovare una luce- si
allontanò da lui, tornando fredda come il marmo
–che ti prende? Non dirmi che sei geloso- mormorò
in tono di scherno. Trattarlo a quel modo le faceva male. Non avrebbe
voluto farlo soffrire, ma era l’unico modo che aveva per
proteggere la se stessa che aveva trovato lì. Doveva erigere
barriere che reggessero la peggiore delle tempeste, per non far portare
via quel germoglio luminoso nato su terra bruciata.
All’improvviso le braccia dell’uomo la afferrarono,
sbattendole la schiena contro il muro, e le labbra di Marian si
impadronirono delle sue.
Hoshi gli sferrò un calcio allo stomaco con tutta la forza
che aveva, facendolo finire addosso alla parete opposta, poi lo
afferrò per il bavero per la giacca e lo
scaraventò brutalmente fuori dallo stanzino.
-Non mi toccare- ansimò con la voce che le tremava
–mai più, mai più in questo modo!- la
sua voce salì fino a diventare un grido che
riecheggiò nel corridoio. Non se ne preoccupò: su
quei piani, così in alto, non c’era quasi nessuno.
-Ma che succede?- quasi nessuno, tranne lui. Hoshi imprecò
mentalmente, fissando con odio l’uomo steso a terra.
-Niente. La discussione è conclusa, e non
ritornerò sull’argomento- nelle sue mani
brillò la katana nera, che in un istante si ficcò
sotto la gola di Cross, lasciandovi un sottile solco rosso
–che ti sia da monito- sibilò fissandolo
–azzardati a rifarlo e l’avere una testa attaccata
al collo non sarà più un tuo problema-
l’arma scomparve, Hoshi afferrò Allen per un
polso, trascinandolo in camera e sbattendo violentemente la porta.
Marian si passò un dito dove Hoshi l’aveva ferito,
fissando il rosso del sangue sul polpastrello con un sorriso amaro
stampato in viso.
Alla fine, lo spingerla a seguire l’Ordine l’aveva
fatta allontanare da lui.
Non importava, se lei era felice. Ma temeva che in questo modo le cose
avrebbero potuto solamente volgersi al peggio.
---
Cercò di recuperare un minimo di autocontrollo, mentre Allen
la guardava con tanto d’occhi. Forse non si aspettava di
vederle saltare i nervi a quel modo.
-Scusa se ti ho fatto aspettare- disse, constatando con sollievo che
anche il tono di voce era tornato alla normalità
–c’era qualche punto che andava messo in chiaro-
andò ad abbandonarsi pigramente sul letto, poggiando la
schiena contro il muro gelido e sospirando. L’albino si
sedette di fianco a lei in silenzio.
Intanto fuori aveva iniziato a piovere. L’acqua scrosciava
sulle pareti della torre, rimbombando al suo interno e alterando ogni
suono. Quel rumore le faceva venire sonno, pensò Hoshi
sbadigliando.
-Come mai conosci il maestro?- chiese Allen dopo un po’. Lei
abbozzò un sorriso amaro: in effetti, era un po’
una pretesa il non dirgli nulla.
Si chiese come l’avrebbe presa.
“Hai paura?” le parole di Jerry le tornarono in
mente.
“Adesso si” pensò. Adesso aveva paura,
anche se non sapeva bene di cosa.
-Sei sicuro di volerlo sapere?- gli chiese, guardandolo negli occhi.
Allen la fissò di rimando a metà fra
l’incuriosito e lo spaventato –s-so che il maestro
è una persona particolare, ma così mi fai paura-
Hoshi ridacchiò, ma i suoi occhi non sorridevano affatto
–e fai bene ad averne. Sapessi quanta ne ho io-
mormorò, abbassando la testa e fissando il materasso.
Da dove doveva iniziare?
Sentì un braccio di Allen passarle intorno alle spalle, e la
cosa la rincuorò. Intrecciò le dita con quelle
della mano che poggiava sulla sua spalla destra e cominciò.
-Io… ricordo poco della mia infanzia. Vivevo in un
orfanotrofio, non so dove, ma tutte le volte che ci ripenso mi torna in
mente il rumore del mare, quindi forse si trovava su una scogliera, o
su una spiaggia- mormorò, rievocando quelle scarse immagini
che le tornavano alla mente –non avevo né questi
capelli, né questi occhi- sorrise, tirandosi distrattamente
una ciocca bianca –e ricordo che il loro colore mi
sembrò importante soltanto quando, a dodici anni, venne mio
fratello a portarmi via di lì- sentì Allen
trattenere lievemente il fiato, e pensò che avesse
già fatto il collegamento –capelli rossi, e occhi
castani. Marian è mio fratello- mormorò Hoshi.
-Ma… a dodici anni ero già allievo del maestro
anch’io, perché non ti ho mai vista?- chiese Allen
disorientato.
-Perché Marian mi lascò ad Edo, in una casa
curata solo da akuma modificati da lui- continuò la ragazza
–sarà per questo che non mi fanno tanto effetto.
Veniva spesso a trovarmi, però, quasi tutti i giorni.
Possibile che non ti ricordi?- l’albino fece un verso di
comprensione –ora che mi ci fai pensare, si… quasi
tutti i giorni, appena dopo l’ora di cena, e stava via tutta
la notte- Hoshi annuì, intercettando lo sguardo sorpreso del
ragazzo –non biasimarti per aver pensato che andasse a donne.
Appena mi fui ambientata, la sua principale occupazione
tornò quella- ridacchiò, ma di nuovo
un’ombra triste le oscurò il viso.
Non gli aveva ancora detto tutto.
Non ne aveva il coraggio.
-Ma cosa ti ha detto prima per farti arrabbiare a quel modo? Credevo lo
avresti ucciso!- a puntino arrivò la domanda di Allen, che
la mandò ancora più in crisi. Hoshi lo
fissò, poi fece un gesto noncurante con una mano,
trincerando ogni sua preoccupazione dietro ad un’espressione
spavalda –dovevo solo mettere nettamente in chiaro una cosa-
mormorò, fissando il muro di fronte a sé.
Allen non insistette, cosa che da Hoshi fu ringraziata con molte
benedizioni. Non sapeva perché, ma quel piccolo ed
insignificante particolare non voleva assolutamente saperne di uscire
dalla sua bocca.
Concluse che non era poi così importante. Quel passato,
chissà come, per lei non contava più niente. E se
a Marian fosse venuta la balzana idea di fare la spia, avrebbe
modificato tutti i suoi akuma e gliel’avrebbe dato in pasto.
Un sorriso omicida le si allargò sul volto al pensiero.
-Ho-Hoshi?- Allen la fissava spaventato, e lei sospirò:
possibile che incutesse così paura?
-Niente, stavo solo pensando- disse, non contribuendo per niente a
sopire i timori dell’albino.
-A cosa?- chiese titubante.
-Al fatto che ti avevo detto di chiamarmi in un altro modo, se non
ricordo male- rispose, grattandosi un dito con finta noncuranza.
Lo sentì sorridere, e ancora una volta si stupì
di come con Allen sembrasse superfluo ogni contatto per sapere cosa
stava facendo o che espressione aveva sul viso.
La colpì un pensiero improvviso, utile anche per sviare da
argomenti pericolosi.
-E Link? L’hai sepolto vivo?- chiese, guardandolo con un
sopracciglio alzato.
Il sorriso sadico stavolta s’impadronì del volto
di Allen, che iniziò a sghignazzare, raccontando qualcosa su
un’oscura e sinistra invenzione di Komui.
Quel teatrino la fece ridere, anche se ben ricordava la devastazione
che era capace di causare il pallino delle invenzioni di quel pazzo.
Era ovvio però che stavano continuando a sviare
dall’argomento principale, e così fu
finchè Allen non si decise ad affrontarlo.
-Ehi- fece a un certo punto, serio. Gli occhi di Hoshi si fissarono nei
suoi.
-Quello che è successo in missione…
ecco…- santo cielo, che imbarazzo! Hoshi distolse
bruscamente lo sguardo, sentendosi arrossire fino alla radice dei
capelli, mentre il cuore le batteva all’impazzata nel petto,
del tutto incurante dell’infarto a cui era prossima la sua
proprietaria.
-…so che la domanda può sembrare strana-
continuò Allen, evidentemente in agitazione quanto lei, dal
momento che continuava a guardare da una parte all’altra come
impazzito.
-…ma tu sai perché è successo?-
chiese, alla fine.
Hoshi tutto si aspettava, meno che una domanda del genere.
Avrebbe tanto voluto saperlo anche lei, il perché. Sapeva
che l’aveva voluto, sapeva che ne era felice, ma non aveva la
più pallida idea del perché fosse successo.
Non voleva dargli il nome di sentimento. Non ci riusciva. Non ancora.
-I-io non lo so- sussurrò, avvertendo uno strano gelo
invaderle il petto e lo stomaco, una sensazione così
sgradevole che le fece sgranare gli occhi.
“Ma che mi succede?” sentiva le mani artigliare la
stoffa della veste, fredde come il marmo.
Si pentì istantaneamente di averle fatto quella domanda non
appena la vide andare in crisi a quel modo.
In effetti, a dirla tutta il perché non lo sapeva nemmeno
lui. Non sapeva neppure se fosse così importante ma, che
fosse fondamentale o meno, il non saperlo spiegare disorientava Hoshi a
morte per qualche motivo a lui oscuro.
Le prese una mano e quasi si spaventò nel sentire
quant’era gelata.
Decise in quell’istante che non poteva sopportare di vederla
in quello stato, e che avrebbe preferito di gran lunga che gli tirasse
un manrovescio per quello che stava per fare.
Non capiva cosa l’avesse spinto verso di lei a quel modo,
sentiva come se fra loro ci fosse una sorta di connessione, come se
potessero capirsi ad un livello molto, molto più profondo
del normale.
Le accarezzò lievemente una guancia, girando il viso verso
il suo e portandosi vicino a lei. Hoshi seguì i suoi
movimenti senza staccare gli occhi dai suoi.
Ancora una volta, ad Allen quelle tenebre sembrarono luminose.
Appoggiò lievemente le labbra su quelle di Hoshi,
sfiorandole il viso con le mani.
Non sapevano perché stesse succedendo tutto ciò,
eppure il ragazzo sentiva che nessuno dei due voleva che finisse.
Hoshi ricambiò il bacio, infilando le dita fra i suoi
capelli. La schiena gli si riempì di brividi.
Si separarono, e la strinse a sé senza dire una parola.
-Scusami. Non avrei dovuto chiedertelo, dal momento che nemmeno io lo
so- stretta fra le braccia di Allen, quelle parole le arrivarono come
da una dimensione fastidiosa e lontana. In quell’istante
più che mai avrebbe voluto scordare ogni cosa esterna e
rimanere sola con quella pacificante sensazione di felicità.
-Non scusarti. E’ che ancora non ce la faccio a…-
sussurrò, ma si interruppe. Non riusciva a fare cosa? A
rendere conto del suo passato? A superare quella paura che si era
impadronita di lei quando avrebbe dovuto salire tutto a galla? Avrebbe
tanto voluto non averla, eppure non riusciva a levarsela dalla mente,
intuendone solo molto vagamente il motivo.
-Lo so. Va tutto bene- mormorò Allen, appoggiandole le
labbra sui capelli. Hoshi si stupì di come si sentisse bene
in quel momento, di come ogni problema, ogni odio ed ogni rabbia
fossero svaniti come polvere dalla sua anima.
-Si- bisbigliò in risposta. Finchè le cose
fossero andate a quel modo, non poteva che andare tutto bene,
pensò chiudendo gli occhi.
-Aster- la chiamò lui dopo un po’. Buffo come
suonasse incerto quando usava il suo vero nome, pensò. In
effetti, pareva strano anche a lei: erano secoli che nessuno la
chiamava così.
Una fitta allo stomaco le ricordò chi fosse stato il primo a
farlo, ma la ragazza la scacciò con rabbia.
Perché doveva sempre intromettersi nei suoi pensieri?
-Dimmi-
-Tu non hai paura?- Hoshi emise uno sbuffo di esasperazione.
-Cos’è, la serata delle domande impossibili?-
rispose acida, senza rendersi nemmeno conto di essere scattata sulla
difensiva. Allen non disse niente, ma lo sentì irrigidirsi e
sospirò.
-Scusa. Te l’ho detto, non ci sono abituata-
mormorò.
Ci fu solo silenzio, fino a quando non si decise a parlare di nuovo.
-Io… ho paura, Allen- disse pianissimo, rendendosi conto di
averlo ammesso per la prima volta anche con se stessa.
-Ho paura di queste tenebre. Voglio che finiscano, ma so che sono
destinata a caderci comunque- la sua voce si affievolì
ulteriormente. Allen le accarezzò i capelli,
attorcigliandosi una ciocca attorno a un dito. Erano cresciuti, adesso
arrivavano una buona spanna sotto le spalle, candidi come una cascata
di ghiaccio.
-Finiranno- mormorò, ma la sua voce non era più
sicura come prima. Hoshi riuscì a sentire la sua paura da
quell’unica parola.
Anche lui rischiava di essere inghiottito
dall’oscurità. Tendeva a dimenticarlo un
po’ troppo spesso, si rimproverò.
-Lo sai? Non c’è mai quando siamo insieme- disse
con un mezzo sorriso, sbirciando sopra la spalla del ragazzo. Si
riferiva all’ombra del Quattordicesimo. Allen sorrise a sua
volta.
-Non lo dici per rincuorarmi?- chiese. Lei lo guardò
interdetta –certo che no. Piuttosto che dire una cosa simile
per finta starei zitta, mi pare ovvio- disse decisa, aspettando che le
spiegasse il perché di quella domanda.
-Non sopporto come mi guardano- disse con un sospiro secco
–gli altri. Come se sul mio capo pendesse una sentenza di
morte- la sua voce si fece diversa dal solito tono rassicurante, era
frustrata, dura, amareggiata. Hoshi sentì come se Allen
stesse per la prima volta dicendo realmente cosa pensava dietro a
quella maschera sorridente che indossava sempre per non far preoccupare
gli altri.
-Non sono granchè nel decifrare i rapporti umani- disse
–ma credo che lo facciano perché sono preoccupati
per te- era la risposta più ovvia ad un problema del genere,
eppure si odiò per avergliela data.
Lei stessa sapeva benissimo che quelle parole non significavano niente.
-Tu non lo fai. Non sei preoccupata?- domandò Allen in tono
di sfida. La ragazza non ci badò: decise che
finchè gli fosse servito per buttar fuori tutto
ciò che non aveva mai espresso, avrebbe sopportato di tutto.
-Certo che lo sono- rispose decisa come sempre –ma io so come
ci si sente. Per questo non lo faccio. Per chi non lo sa è
più difficile, credo- aggiunse.
-Sembra che per loro io non sia più lo stesso di prima. Mi
sento come un estraneo di cui nessuno si fida-
-Questo non è vero- quelle parole le sfuggirono di bocca
prima che potesse controllarsi, innescate dallo sfogo di Allen. Il
ragazzo la guardò senza dire niente, e Hoshi lo
fissò di rimando dritto negli occhi, senza distogliere lo
sguardo nemmeno per un istante –io mi fido. Quella cosa non
sei tu. Potrà anche possederti e divorarti, ma non sei tu.
Non lo penso, e non lo penserò mai- disse con enfasi.
Allen la strinse a sé con più forza, e Hoshi
ricambiò l’abbraccio. Lo sentiva fragile, e non
l’avrebbe lasciato andare a fondo in quel buio senza lottare
assieme a lui.
Osservandolo in silenzio, erigendo barriere fra sé e tutti
loro, aveva visto benissimo che Allen lottava con tutti, ma che nessuno
lottava realmente con lui.
-Grazie- rispose dopo un po’, senza allentare la presa
–io… io credo sia per questo. Non avevo mai detto
queste cose a nessuno- mormorò. Il cuore di Hoshi fece una
serie di capriole, malgrado la serietà della conversazione.
Rimasero in quella stanza tutta la notte, senza chiudere occhio.
Si conobbero forse ad un livello ancora più profondo di
quello delle confidenze più segrete; le tenebre che li
avvolgevano si fusero e loro si incontrarono in esse, illuminandole con
la loro luce maledetta dalla vita.
All’alba, Allen fece per andarsene, quando, appena ebbe messo
la mano sulla maniglia della porta, Hoshi lo afferrò per una
manica, gli occhi bassi.
Il ragazzo le prese la mano, guardandola dolcemente.
-Tutto bene?- era più un modo per darle
l’occasione di parlare, più che per chiederle
realmente conto della situazione.
Entrambi dubitavano che potesse andare meglio, in quel momento.
-Ecco, Allen, io…- balbettò lei incerta, senza
sollevare gli occhi dal pavimento. La voce le tremava, poi
d’improvviso alzò il viso e lo guardò
con un’espressione a metà fra la decisione e la
paura.
-Io… non lo so, non so perché stia succedendo-
sussurrò, tormentandosi i capelli con la mano libera
–so solo che c’è una cosa che
anch’io non ho mai detto a nessuno, e che vorrei dire a te.
Però devi farmi una promessa- aggiunse precipitosamente, gli
occhi lucidi e le guance arrossate. Allen si avvicinò a lei
e le sfiorò la fronte con un bacio, appoggiandovi poi sopra
la sua e fissandola negli occhi.
-Tutto quello che vuoi- disse.
-Devi credermi. Promettimi che crederai a quello che ti dico, qualsiasi
cosa possa succedere- la ragazza si morse un labbro, ma una lacrima le
sfuggì ugualmente dagli occhi scuri.
La baciò dolcemente e a lungo, finchè non la
sentì rilassarsi, poi si staccò e le
mormorò a fior di labbra –credo soltanto a te-.
Hoshi sentiva che era quello l’essenziale. Si fidava di
Allen, ma lui doveva crederle, o quello che erano riusciti a trovare
sarebbe potuto facilmente sparire nel nulla per una sola parola di
troppo.
Non avrebbe sopportato di perderlo.
Non dopo aver capito.
Era vero, non sapeva né il motivo né le
conseguenze che ciò che stava succedendo avrebbe potuto
avere, ma era perfettamente conscia di cosa stesse succedendo.
Passò le braccia attorno al collo di Allen e
avvicinò le labbra al suo orecchio. Era sicura che il
ragazzo potesse sentire i battiti del suo cuore, da tanto che erano
forti.
“Hai paura?” la voce di Jerry le risuonò
in testa anche in quel momento.
“No, di questo no” pensò sicura,
chiudendo gli occhi.
-Ti amo- sussurrò.
Non sapeva quando la sua mente avesse fatto il passo definitivo che
l’aveva portata a capirlo, ma ne era perfettamente certa.
Poco importavano i motivi, alla fine, e poco importava il fatto che
stesse accadendo tutto all’improvviso. Aveva aspettato fin
troppo, immobile in un gelo che le aveva portato solo dolore e buio.
Adesso era ansiosa di immergersi totalmente in quella luce, non
importava per quanto sarebbe durata.
Sentì la risposta di Allen, sentì
l’emozione nella sua voce e intuì che la sua
doveva aver suonato in un modo simile.
Non importava quanto a lungo sarebbe durata quella luce, no,
purchè ci fosse in quel preciso istante.
Note dell'Autrice:
E all'alba della mia partenza per l'Irlanda, eccovi un nuovo
sdolcinatissimo capitolo in cui non succede un'emerita cippa di niente!
Ma gli sviluppi arriveranno, tanti e tutti insieme, dovete solo avere
pazienza. Siccome con questo caldo boia mi sono presa una congestione
non posso stare molto a commentare... se avete osservazioni scrivetele
nei commenti e vi risponderò appena mi riprendo!
Rispondiamo ai commenti:
DarkAngel_oF_DarkNess:
sono troppo contenta quando leggo i commenti di qualcuno a cui piace la
mia fanfiction *__* spero che continui a seguirla anche nella sua lenta
evoluzione (con tutti i colpi di scena che ho in mente dovrò
rileggerla tutta prima di postare ogni successivo capitolo..!) :)
Sherly:
ooooh, adesso ci siamo u.u questo capitolo bello sentimentale credo che
ti piacerà (spero!) ;) il "capitanessa ovvio" mi
è uscito dal cuore, vista la situazione... Lina
avrà il suo sviluppo come tutti gli altri personaggi...
aspetta e vedrai! ;D
Baci a tutti!! Fatemi trovare qualche commento quando torno
>____<
Bethan
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