Quando il sette e nove di quella mattina
divenne un sette
e trentadue, Amelia maledì Trenitalia, i quindici minuti di
ritardo taroccati che segnalava e tutti quelli che riuscirono a
precederla sul primo vagone.
Si gettò sul primo sedile che
le capitò a
tiro, appoggiò la testa contro il finestrino ed
alzò il
volume del suo i-pod finchè la musica non fu talmente alta
da
impedire l'accesso ai suoi timpani a ogni altra voce, rumore, perfino
al respiro di chiunque avrebbe di lì a poco preso posto
accanto
a lei. Per fortuna, nessuno ebbe per cinque minuti l'ardire di farlo.
Cinque minuti dopo, intravide l'Avvocato
nella folla che
premeva per salire sul treno. Le venne automaticamente da chiudere gli
occhi, strizzando le palpebre fino a sigillarle.
« Si vede che fai finta »
sentì poco dopo, da una voce che conosceva fin troppo bene.
« Non è aria »
rispose stancamente, senza neanche voltarsi.
« Lo vedo. Non ti sei accorta
neanche del... »
« AMELIA! »
squittì un'altra voce, questa volta di donna.
Alzò gli occhi al cielo,
infastidita. «
Dio santo, Sara, lo sai quanto sia fastidioso sentir urlare qualcuno
alle sette... »
Sara non la prese neanche in
considerazione. «
Ma tu non... tu non... »
Si scostò per far passare un uomo nel corridoio, senza
però distrarsi neanche un secondo dalla visione che l'aveva
sconvolta.
Fu allora che Amelia si rese conto di
aver scaraventato la borsa su un sedile che neanche esisteva, quando
era salita sul treno.
Perchè quello era l'unico
sedile disaccoppiato in tutto il vagone.
« Avete intenzione di gridare
al miracolo? O di strapparvi i capelli come preficae? »
« Taci! »
urlarono in due. «
Dov'é? »
sbraitarono insieme.
« L'avrà ucciso un
raggio di sole »
sentenziò l'Avvocato, prima di scuotere la testa,
scocciato. «
Dovrò anche stare in piedi, per colpa vostra, maledette. »
« Oh, quanto mi dispiace »
bofonchiò Amelia, mentre tentava, inutilmente, di far
riprendere Sara dallo shock.
« Oh, fai bene a non dolertene
troppo, perchè non resterò in piedi. »
Scostò delicatamente Sara, fino a sospingerla verso
Nilla. «
Ti ha tenuto un posto. »
Poi, guardò Amelia
sogghignando. «
Strega, spero tu conosca un sortilegio che renda i corpi più
leggeri... »
« Non ti... »
Prima che finisse la frase, si
ritrovò l'Avvocato seduto sulle cosce. «
Dovremo proporli a Trenitalia, questi sedili. Non ho mai provato niente
di più comodo. »
« Che cazzo...? »
« Taci, tesoro. »
In quell'istante, Amelia si
ritrovò talmente
incazzata da non saper neanche da che insulto cominciare. Tacque
davvero, appoggiandosi a sua volta contro la schiena dell'Avvocato e
chiudendo gli occhi. Si stupì non poco, quando si rese conto
di
non aver nemmeno voglia di conficcargli le unghie nella schiena, o di
fargli il solletico, o di strangolarlo.
E si addormentò in quella
posizione, mentre il
treno si fermava ancora, meravigliandosi non poco di quanto riuscisse a
rilassare le membra, abbandonando il nervosismo di quella
mattina.
Quando lui la svegliò prima
di scendere, lo
ripagò con un saluto veloce e con il solito cipiglio
arrabbiato
e infastidito: si chiese se fosse stata abbastanza da abile da
dissimulare tutto quello che le frullava per la testa, per poi
scacciare da sola quei pensieri, rapita dalla visione di qualche goccia
di pioggia che si stava abbattendo sui vetri.
Anche la busta gialla era bagnata,
quella mattina. C'erano dei polpastrelli umidi sulla carta, e nei fogli
al suo interno c'erano delle sbavature imprecise, come se l'autore
fosse andato troppo di fretta perfino per trattare la sua opera con
cura.
Forse anche quell'uomo misterioso si era
svegliato troppo tardi, inciampando nei suoi passi. Forse aveva perso
il treno.
« Come sei pallida stamattina,
tesoro. »
« Come sei fastidioso stamani,
sembri Marelli. »
« Simpatica, pallida ma
simpatica come un calcio nelle palle »
fece Marelli, entrando. « Qualche manoscritto interessante,
Vampira? »
Forse
aveva perso il treno.
« Niente per cui valga la pena
investire. »
« Li avrai cestinati tutti,
gentile come sei. Sei una
succhiasangue, spremi quella povera gente e poi... »
Forse
aveva perso il treno.
« Se vogliono pubblicare
boiate adolescenziali, hanno sbagliato casa editrice. Abbiamo
già troppi Babi
e Step in circolazione, non fomentiamo l'idiozia. »
« Quanto mi arrapi quando fai
così... »
« Fuori, Marelli. »
« Se non fossi accondiscendente e affettuosa come una
donna mestruata, ti controllerei i canini. Sicura di non aver morso
qualcuno? »
Il
Vampiro aveva perso il treno.
E
Amelia sbiancò per davvero. «
Fuori! »
urlò, scagliando un portapenne contro la porta, per poi
lanciarsi sul telefono.
« Fréd... ce l'ho. »
« Cosa, il mio stinco? E' da
quando me lo hai amputato stamani che... »
« No, cretino. L'autore! »
strillò eccitata.
Fréd imprecò in
quattro o cinque lingue diverse. «
Sarebbe? »
scandì piano, con un filo di voce.
« Te lo dico dopo. Vengo da te
appena torno, aspettami! »
« Non mi volevi morto, stamani?
»
« Mi serve un testimone per le
mie nozze, Fréd. E tu sei l'unico che non si
scomporrà quando mi sposerò in reggiseno e
mutande. Di seta bianca, ovviamente, sono così... pura »
sghignazzò.
« Sul serio ne sei ancora
convinta? Amelia, sei da rinchiudere. »
« Ci tengo a semplificare le pratiche, lo sai. »
« Lucy, non esci con un uomo
da... »
Da quel momento in poi, Fréd
sentì solo il tu
tu tu con cui la cornetta si era premurata di salutarlo.
La cornetta, non di certo Lucy, che l'aveva maledetto dall'altro capo
del telefono con parole talmente educate da far impallidire anche
Marelli, tre uffici più in là.
« Tesoro, hai bisogno di
qualcosa? Una camomilla, della cioccolata, un assorbente, sesso? »
« Vattene. Sono talmente
eccitata che... »
« Perfetto, cominciamo? »
Questa volta la spillatrice lo
colpì in pieno viso. E se ne andò, davvero.
Quando Amelia arrivò da
Fréd, la porta era già aperta e un odore
irresistibile volteggiava nell'aria, tanto che le pareva di vederlo.
Seguì quella scia di piacere, mentre varcava la soglia,
andò avanti col naso all'insù finchè
non fu di fronte al forno, ad occhieggiare con desiderio ciò
che c'era al suo interno. Fréd la trovò
inginocchiata di fronte al vetro, con lo sguardo adorante e le narici
tese.
« E' lei? »
chiese semplicemente.
« Lì c'è
la crema, lì le fragole. E' lei, sì. »
« Hai un favore da chiedermi?
Devo comprarti i preservativi, un test di gravidanza, una pomatina per
la favina, qualunque cosa di cui ti vergogni? Devo rigare una macchina,
fare un colpo in banca, uccidere qualc...? »
« Amelia, sei talmente fuori
di testa che le opzioni sono due: o sei sicura di aver trovato l'Autore
con la A maiuscola, o hai fatto sesso »
rispose a malincuore.
« La prima,
Frééééééééd!
E' lui! E comunque, dove l'avresti trovata quella camicia da giocatore
di briscola? »
« Lui chi? »
sputò astioso, ignorando volutamente l'ultima parte del
discorso.
« Fréd, tu di certo
non hai fatto sesso nè hai bisogno di preservativi.
Perché quella faccia? Hai perso 61 a 59? »
« Mi sono svegliato
così. Anzi, mi hai
svegliato così. »
Si strinse nelle spalle, cercando di capire cosa diamine avesse di
sbagliato quella camicia.
« Pronto per lo scoop? O stai
ancora pensando che avresti fatto meglio a giocare il re di picche? »
Tirò fuori la pastafrolla dal forno, attenta a non
distruggerla. « E' il Vampiro! »
Per la prima volta, Fréd si
sentì più felice di lei. Scoppiò a
ridere incontrollatamente, lasciò che i suoi lineamenti
tirati si allargassero in smorfie di puro piacere, perse ogni contegno
di fronte alla faccia sempre più sconvolta della sua Lucy.
« E, di grazia, qual
è stato l'indizio fondamentale che ti ha convinto? »
domandò senza riuscire a smettere di ridere.
« Beh, Marelli mi... oh, che
diamine, che cazzo hai da ridere? Una
mano fortunata? Hai mangiato tutti i carichi del tuo vicino di casa?
»
« Lucy, il Vampiro ogni
mattina prende il tuo treno
» rispose come
se fosse la cosa più ovvia del mondo. E anche la
più liberante. Quasi salvifica. « Oh certo, se poi
è Marelli a darti questi indizi... »
Il sorriso di Amelia si spense in un
istante, come tutte le volte in cui qualcun altro aveva ragione, e
quella ragione non la rendeva felice. E lo stesso fece anche il suo -
per quei dannati effetti collaterali che dovevano per forza scaturire
dall'amore non ricambiato. Dipendeva anche emotivamente da lei, adesso.
Avrebbe sbattuto la testa contro il muro fino a romperlo.
« Dai, Lucy... vieni qui... »
Lei non si mosse, evidentemente
incazzata come una iena per essersi illusa troppo. E Fréd
diventò se possibile ancora più triste, sapendo
di aver sfigurato quel sorriso che amava più del suo
pianoforte. E allora fu lui ad andarle incontro, ad abbracciarla,
sentendosi in colpa per non sapere chi fosse quel cazzo di Autore
maledetto. Glielo voleva presentare lui, voleva renderla felice,
voleva... cazzate. Lui
la voleva per sè, e basta. Al massimo, le avrebbe concesso
una notte di fuoco con lui, così, per essere magnanimo. O
no, a ripensarci nemmeno quella.
Amelia si staccò senza
provare nemmeno a dissimulare la tensione con una risata. «
Hai una faccia atroce, Fréd. Si intona alla camicia. E
comunque, sembra sia colpa tua. »
Lo
è, si disse lui, senza riuscire a pentirsi per
non averla svegliata.
« Voglio dire, era
così ovvio... Come farebbe ad arrivare lì prima
di me, se neanche scende alla mia fermata? Quanto sono
stupida... »
realizzò, contrariata.
« Può capitare
anche a te, a quanto pare. »
« Non ti ci abituare. »
Si interruppe un secondo, per poi riprendere un altro discorso senza
neanche avvertire. «
E ripensandoci, ce l'hai
sempre. Non la camicia, per fortuna, la faccia. E no, non sei brutto,
non fare quella smorfia. Hai la faccia da... scontento, ecco. »
Provò a smuovergli un labbro con il dito, per vedere se
acquistava un aspetto migliore. Poi, la ritirò come
scottata. « E comunque sei uno stronzo! »
« Solo perché il
mio fiuto da investigatore è lievemente più
sviluppato del tuo? »
« Di certo non il gusto nel
vestire. » Non
era mai stata così arrabbiata, mentre ricopriva di crema la
pastafrolla, aggredendola con cucchiaiate sempre più
violente. Anche perché Fréd gliel'aveva detto: i
dolci vanno fatti con cura, altrimenti vengono brutti. Oh, in
realtà gliel'aveva detto tipo vent'anni prima, quando ancora
'brutti' si diceva 'butti'
e sua madre non sapeva che scuse inventarsi per tenerlo
fuori dai piedi, mentre armeggiava ai fornelli. Ma ad Amelia piaceva
crederci ancora, soprattutto perché la rilassava, mentre
cucinava per non pianificare omicidi e pensare agli ingredienti di una
torta piuttosto che ai componenti di una bomba artigianale. Poi, si
fermò di nuovo.
« Certo che sei proprio un
artista »
sputò di punto in bianco, dopo averlo fissato in cagnesco
per una manciata di minuti.
« Lo dici come se fosse
un'atrocità. »
« Lo è »
rispose senza battere ciglio.
« Ma sentila. E
perché mai, di grazia? »
Non ci pensò neanche un
attimo. « Voi artisti
siete così... incompleti. » Fréd perse
un
battito. «
Pessimisti, perennemente
insoddisfatti... gorgoglianti, sì. Siete pentole a
pressione,
tanto borbottate. Mai niente che vi vada bene, sempre alla ricerca di
quel qualcosa in più.. cazzo, neanche Schroeder era
così
fanatico con Beethoven. »
« Eppure Lucy lo amava
» sibilò con una punta di risentimento - e una
di speranza
per la risposta che sarebbe arrivata.
« Lucy amava la sua Nemesi, mi
pare ovvio. Lo amava
perché erano complementari, lo amava perché
voleva
sentirsi completa. »
« Solo tu puoi arrivare a
concepire una cosa simile... »
« Pensaci, Fréd.
Nell'arte non c'è niente di determinato, si è necessariamente insoddisfatti.
Chi farebbe musica, se la perfezione fosse già stata
raggiunta?
Chi dipingerebbe, se una fotografia potesse davvero cogliere l'essenza
delle cose, o un quadro impressionista essere davvero quanto di
più vicino alla realtà possa esistere? Per un
artista,
tutto manca di qualcosa. »
« Non capisco dove tu voglia
arrivare. »
« Ti manca qualcosa,
Fréd. »
« A me non... »
Ridacchiò. « Ma non
lo vedi? Hai sempre qualcosa da ridire! »
« Dovevo nascere ingegnere,
per essere felice?
Secondo il tuo ragionamento non dovrebbe esistere neanche il progresso,
Lucy. »
« Sei l'unico artista
scemo che conosco. Sei
anche l'unico artista che conosco, a dire il vero, ma poco importa. Chi
si affida ai numeri sa di rasentare la perfezione. Sa di avvicinarsi il
più possibile al miglior risultato, e sa anche che ci
sarà sempre qualcuno disposto a proseguire il suo lavoro, a
limarlo, a renderlo più buono. Chi crea e progetta non
può non sentirsi bene, se lavora nel modo giusto, non come
chi
si rifa a qualcosa che già esiste, e che teme di rovinare.
»
« Tu selezioni manoscritti per
una casa editrice,
Amelia! Che diamine ne sai di come funzionano i numeri e chi li usa?
»
« Fréd, hai idea di
quanti bei lavori abbia
dovuto cestinare, facendo calcoli sulla quantità di persone
interessata dall'argomento, sulla difficoltà del linguaggio
e
dei temi trattati, e su chissà quante altre variabili?
»
Fréd scosse ripetutamente la
testa. «
Continuo a non capire cosa c'entri questo con me. »
« Ti manca una donna
» sparò lei con il tatto di un elefante. «
Ti stai inacidendo come yogurt avariato, e tocca a me sopportarti ogni
volta che ti lamenti di questo o di quello. E tocca a me bocciarti le
camicie inguardabili, per inciso. »
« Ma io non... »
« Taci, artista » lo
rimbrottò lei, mentre si incastrava con il braccio nella
fodera rotta del cappotto.
« E a te non manca un uomo?
» Fréd
alzò la voce, nel tentativo di bloccarla nella sua corsa
verso
la porta. E fu in quell'esatto istante che si sentì quasi
morire, realizzando quanto poco disinteressato fosse stato in
quell'uscita disperata.
E Amelia in effetti si fermò,
ad un passo
dall'attaccapanni. « Io sono una donna, Fréd
»
esordì con una naturalezza capace quasi di far
spavento. «
Ho un cervello funzionante, del sano istinto di sopravvivenza ed una
non trascurabile capacità di adattamento alla presenza di
saltuarie teste di cazzo nella mia imprevedibile esistenza. Ah, e anche
un paio di tette. »
« Cosa c'entrano le tue tette?
» chiese lui
allibito, fermando per un momento il flusso di pensieri imbizzarriti
che lo logoravano.
Amelia scrollò le spalle,
fissandosi il seno. «
Il giorno in cui scoprirò cosa voi uomini ci trovate di
così tanto stupefacente sarà un gran giorno:
imparerò a vivere col sorriso idiota che avete ogni volta in
cui
un paio di capezzoli vi sfiora il naso. Pretendo di rinascere uomo, un
giorno o l'altro, se basta così poco per essere felici.
»
Richiuse la porta dietro di
sè, e lui non
poté fare a meno che cercarla in strada non appena fu scesa
al
piano terra ed uscita dall'edificio. «
Sei un'artista anche tu, Amelia! » urlò con quanto
fiato aveva in corpo.
Lei lo guardò sorridendo. Mosse
appena le labbra, e lui non capì alcunché.
La vide sparire dietro l'angolo, nel
passo svelto che
aveva sempre e che mai avrebbe abbandonato - la infastidiva camminare
lentamente, gliel'aveva ripetuto un'infinità di volte. Il
suo
sguardo vagò poi su una madre esasperata da un bambino
urlante,
su un cane e poi sull'uomo che lo teneva al guinzaglio, su un gatto
sinuosamente furtivo e sulla ragazza che lo fissava sovrappensiero.
E poi, li chiuse tutti fuori da casa
sua. Li lasciò
esplodere in una bolla effimera, relegandoli allo status di ricordo
impalpabile e passeggero.
Si ritrovò ad insistere quasi
violentemente sulla
maniglia di ottone, si ritrovò perfino ad imprecarle contro,
eppure quella dannata finestra non ne voleva sapere di sigillarsi per
bene. Quel
vetro cacofonico e traballante l'aveva sempre lasciato,
quell'angusto spiraglio
aperto per lei.
Per lei che gli inviò un
messaggio, un attimo dopo.
Non
credere che mi sia dimenticata della torta: portala da me, che ceniamo
insieme. Vieni alle otto, e sii puntuale come me.
Ah, ho sillabato 'quella camicia fa
schifo', mentre me ne andavo. E poi te l'ho sempre detto, che non sai
giocare a briscola.