Babylon
(seguito di "A Divine Love")
7- Che cos'è l'amore?
Quella
notte, appena chiuse gli occhi, Ayame precipitò in uno degli
incubi
peggiori della sua vita. Precipitava e precipitava in un abisso senza
fine, passando davanti a volti conosciuti e deformati. Hyoga, Kanon,
Shion, Proteo. E tutti avevano gli occhi grigi. Come lui. Occhi che
la guardavano cadere, maligni e impietosi, con ghigni che deturpavano
quelli che lei aveva sempre visto come volti belli e piacevoli.
Ridevano
di lei, che non era più niente, che non poteva
più fare niente. Non
poteva andare avanti, perchè la dea l'aveva abbandonata,
né tornare
indietro, perchè quella dea l'aveva cambiata per sempre.
Infine
arrivò il fondo dell'abisso, e con esso di nuovo quegli
occhi grigi,
enormi, terrificanti. Là in fondo c'era Mikyo ad aspettarla,
con la
bocca spalancata in una risata perfida che l'avrebbe inghiottita,
condannandola al buio.
Sì
svegliò urlando, il volto bagnato di lacrime e sudore, il
cuore
impazzito e quella sensazione di vuoto opprimente come non lo era mai
stata.
La
luce della luna invadeva la sua stanza, calda e benevola, e lo
sciabordio del mare suonava per lei una ninna nanna dolce, che
però
non sarebbe riuscita a darle il riposo che cercava.
Come
la notte precedente, Ayame scese dal letto e uscì sul
terrazzo,
nella speranza che il panorama riuscisse a cancellare le ultime
immagini di quell'incubo che le erano rimaste in mente.
Il
promontorio dove aveva visto Kanon la sera prima era deserto, la luce
della luna proiettava le lunghe ombre delle antiche macerie fin sulla
parete della Terza Casa. Eppure non le sembrarono ombre inquietanti,
al contrario le davano una certa sicurezza, quella sicurezza che solo
i posti speciali riescono a dare.
Shion
sicuramente non avrebbe approvato un'altra sua fuga notturna, cosa
che le diede un ulteriore motivo per pensare seriamente di uscire
dalla Tredicesima e tornare là, al sicuro tra le colonne in
rovina e
i capitelli coperti di muschio.
Qualcuno
bussò alla porta, interrompendo l'elaborazione del suo piano
di
fuga. Dall'altra parte della porta Ayame trovò Shion, in
camicia da
notte e chioma spettinata, che la fissava serio e le spense il mezzo
sorriso che stava per nascerle sul volto.
“Ho
sentito urlare” disse il Gran Sacerdote. “Stai
bene?”
Ayame
non rispose subito. Nonostante fosse proprio minima, la
preoccupazione del Celebrante per lei la sorprese.
“Sì”
rispose infine. “È stato solo un brutto
sogno”
“Bene.
È meglio se torni a dormire, allora”
“Ci
proverò”
Shion
fece un cenno minimo col capo, poi si allontanò lungo il
corridoio
per tornare nella sua stanza.
Richiusasi
la porta alle spalle, Ayame decise di mettere da parte i piani di
fuga per quella notte, come minimo gesto di gratitudine nei confronti
della minima apprensione che Shion aveva dimostrato nei suoi
confronti.
Tuttavia
non tornò a dormire. Non voleva ripiombare nell'abisso di
quell'incubo. Perchè sapeva che sarebbe ritornato, che non
l'avrebbe
lasciata in pace neanche per una notte da quella in avanti.
Tornò
sul terrazzo e si sedette sulla balaustra, con la schiena appoggiata
al muro del palazzo, ad ammirare il panorama intorno, per
imprimerselo bene nella mente e rievocarlo quando l'abisso sarebbe
tornato a farle visita.
Quando,
la mattina successiva, la solita ragazzina venne a portarle la
colazione, Ayame era già vestita e pronta per uscire.
“Ho
un messaggio per voi da parte del Cavaliere Shaka” le disse
la
bambina, dopo averle dato il vassoio. “Vuole che vi facciate
trovare tra un'ora davanti al fioraio del villaggio”
“Il
fioraio?” domandò Ayame, pensando che fosse un
luogo un po' strano
per quello che avrebbero fatto. Di conseguenza le venne in mente che
non aveva la minima idea di cosa Shaka le avrebbe fatto fare.
“Esatto,
davanti all'entrata del villaggio, tra un'ora”
“D'accordo
ehm... come ti chiami?”
“Selene”
“D'accordo,
Selene, grazie dell'informazione. Io comunque mi chiamo Ayame e ti
pregherei di darmi del tu, visto che non ho molti anni più
di te”
“Oh,
va bene. Allora ciao!”
Selene
scappò via esattamente come il giorno prima, sotto il
sorriso
divertito di Ayame.
Posò
il vassoio e iniziò a mangiare, con più appetito
rispetto alla
mattina precedente e con un'involontaria fretta. L'idea del suo
incontro con Shaka era riuscita ad elettrizzarla e sembrò
dare un
senso alla sua giornata e, soprattutto, al suo soggiorno ad Atene.
Era partita con l'aspettativa di dover stare al Grande Tempio ad
aspettare passiva l'evolversi degli eventi e, al massimo, di dover
nascondersi durante un attacco da parte di questo nuovo nemico.
Invece, da quella stessa mattina, con l'aiuto di Shaka, avrebbe
provato a tornare quella di un tempo, anche solo in parte.
L'impazienza,
alla fine, la portò ad abbandonare la sua mela mangiata a
metà sul
vassoio e a precipitarsi giù verso il villaggio. Sarebbe
sicuramente
arrivata con largo anticipo, ma meglio che in ritardo.
Il
richiamo di Galatea la bloccò all'altezza dell'Undicesima
Casa. La
Sacerdotessa sbucò dalle colonne del tempio e la raggiunse.
“Dove
vai così di corsa?” le chiese incuriosita.
“Al
villaggio. Shaka mi ha dato appuntamento lì per iniziare le
nostre... sedute di recupero poteri”
“Bene,
ottimo” esclamò Galatea soddisfatta.
“Psiche?”
“E'
scesa poco fa con Aphrodite, andavano ad allenarsi all'arena”
“E
tu che fai?”
Galatea
rispose con un'alzata di spalle.
“Vieni
con me?” le propose allora Ayame. Così avrebbe
avuto qualcuno a
farle compagnia durante l'attesa.
La
Sacerdotessa accettò di buon grado e, insieme, le due
ragazze
continuarono la discesa verso Rodorio.
Nonostante
fosse mattino presto, il villaggio era già nel pieno delle
sue
attività. Al mercato si contrattavano i prezzi delle merci,
i
bambini scorrazzavano per le strade, le donne spettegolavano e gli
uomini si davano di gomito al loro passaggio.
“Direi
che la materia prima non manca, qui” commentò
Ayame, una volta che
due giovani guerrieri del Santuario le ebbero sorpassate.
“Notato
qualcuno di interessante, Galatea?”
“Oh
no, no-no, assolutamente no. A me non... interessa nessuno”
rispose
la Sacerdotessa, gesticolando e scuotendo la testa più del
dovuto.
“Io
invece direi di sì” ribattè, infatti,
Ayame. Prese sotto braccio
l'amica e abbassò il tono della voce con fare cospiratorio.
“Allora,
chi è il fortunato?”
“Nessuno,
davvero” insistette Galatea. “Sono qui da neanche
due giorni,
dammi il tempo di guardarmi intorno”
Ayame
non sembrò molto convinta dalla risposta della Sacerdotessa,
ma
lasciò correre, sicura che prima o poi avrebbe scoperto
qualcosa.
Arrivarono
davanti alla bottega del fioraio con una ventina di minuti di
anticipo, ma anche Shaka aveva deciso di scendere un po' prima e le
due ragazze dovettero attenderlo solo per dieci minuti scarsi.
“Mi
fa piacere vederti già qui. Pensavo di essere in anticipo...
tanto
meglio! Avremo più tempo a disposizione. Volete scusarmi un
attimo?”
Le
superò per entrare nel negozietto, dove andò
direttamente a parlare
col proprietario. Nel mentre qualcuno di inaspettato varcò
l'altra
soglia della bottega. Kanon fece giusto un rapido cenno a Shaka per
salutarlo, quindi percorse rapido il vano nel negozio per uscire dal
retro, dove Ayame e Galatea erano rimaste in attesa. Le due ragazze
si allontanarono per lasciarlo passare e Ayame accennò un
saluto
alzando la mano. Kanon si limitò a guardarla con la solita
espressione indecifrabile, quindi proseguì.
“Che
maleducato!” commentò Galatea.
“Chissà
dove sarà stato?” si chiese invece Ayame. Non
l'aveva più visto
da quando Shion l'aveva gentilmente mandato a cercare informazioni
sugli Angeli alla biblioteca di Atene.
“In
biblioteca” rispose infatti Shaka, tornato con una cassetta
di
legno dalla bottega.
“Fino
ad ora? È partito ieri” si stupì la
ragazza, ma il Cavaliere
parve non scomporsi.
“Si
vede che aveva tanto da leggere. Se sei pronta, cominciamo. Galatea,
grazie, ma qui non è necessaria la tua presenza.
Perché non vai
all'arena?”
Sulle
prima la Sacerdotessa non seppe cosa rispondere. Non sapeva se
sentirsi offesa o semplicemente accettare il consiglio di Shaka.
Tuttavia non era un tipo permaloso come Psiche e sapeva che il
Cavaliere non voleva assolutamente essere scortese. Semplicemente
aveva bisogno di stare da solo con Ayame per fare il suo compito.
Galatea
annuì, salutò e si diresse senza fretta verso
l'arena.
“Non
è stato molto carino, da parte tua” fece notare
Ayame a Shaka,
dopo che Galatea era scomparsa all'angolo di un vicolo.
“Posso
assicurarti che ha capito alla perfezione le mie intenzioni”
ribattè il Cavaliere serenamente.
Si
incamminò quindi lungo il villaggio, con Ayame dietro.
Camminarono
per alcuni minuti in silenzio, che venne rotto dalla ragazza dopo
alcuni minuti.
“Volevo
ringraziarti per quello che hai fatto per me, a Tokyo”
“Era
il minimo” sembrò giustificarsi Shaka, sempre con
un tono
serafico. “La missione che Zeus ci ha affidato era di
proteggerti e
abbiamo fallito. Dovevo rimediare in qualche modo e lo sto ancora
facendo”
“Quindi
l'hai fatto solo per la missione che Zeus vi ha affidato”
“No,
a dire il vero” confessò lui. “L'ho
fatto anche perché c'erano
delle persone che stavano soffrendo per le tue condizioni”
Ayame
sorrise, soddisfatta della spiegazione. Le sorse poi spontanea
un'altra domanda.
“Pensi
che potrò mai tornare quella di un tempo?”
Shaka
a quel punto si fermò. Erano in mezzo ad un incrocio, le due
strade
formavano un piccola piazzetta deserta, con al centro un albero
d'ulivo protetto da una bassa ringhiera e circondato da una panca di
pietra ad anello.
Il
Cavaliere posò la cassetta sulla panca e si rivolse ad Ayame.
“Mettiamola
così: farò ogni cosa in mio potere per farti
tornare quella di un
tempo, se non una dea migliore”
“Grande!”
“Ma
voglio la tua parola che farai qualsiasi cosa ti chiederò e
con il
massimo impegno” fu la precisa richiesta di Shaka.
“Assolutamente”
rispose Ayame risoluta.
“Ottimo!
Possiamo cominciare”
Shaka
invitò Ayame a sedersi sulla panca vicino a lui, quindi
aprì la
misteriosa cassetta che si era portato appresso. Conteneva una
dozzina di boccioli di rosa che ancora dovevano sbocciare.
Ayame
rivolse uno sguardo perplesso al suo mentore.
“Ho
dovuto implorare Aphrodite di concedermi questi boccioli. Sono le
rose più belle che esistano, ideali per te”
spiegò il Cavaliere,
senza però soddisfare Ayame.
“E
io cosa dovrei farci?” domandò infatti, scettica.
“Per
prima cosa, voglio che rispondi a questa domanda: che cos'è
l'amore?”
La
richiesta spiazzò la ragazza, che quasi si
vergognò di non avere
una risposta pronta da dargli. Shaka, però, non
mostrò il minimo
segno di impazienza.
“L'amore
è... insomma... “
“Non
avere fretta di rispondermi. Pensaci bene”
Ayame
dovette ammettere di non averci mai pensato. Quando pensava
all'amore, le veniva in mente Hyoga e come risposta le bastava. Ma
quello era l'amore per lei, non l'amore in generale. Quello
è quando
due persone si vogliono talmente bene da pensare di non poter
esistere l'una senza l'altra, perché solo l'esistenza
dell'altro
sembra dare loro...
“...
vita”
“Come?”
domandò Shaka, anche se aveva perfettamente capito.
“L'amore
è vita” ripetè Ayame con più
convinzione.
“Esatto,
Ayame, ed è molto importante che tu lo sappia.
Perché tu sei la dea
dell'Amore ed è fondamentale che tu sia cosciente di
ciò che sei,
per poter tornare quello che eri. Mi segui?”
“Penso
di sì”
“Bene.
Se quindi tu sei la dea dell'Amore e l'amore è vita...
“ Shaka
indicò Ayame perché concludesse lei il sillogismo.
“Allora
io sono vita?” terminò infatti lei.
“Precisamente!
E puoi dare vita. Questo è il nostro punto di
partenza”
Shaka
prese un bocciolo dalla cassetta e lo porse alla ragazza, che lo
accettò ancora incerta su cosa avrebbe dovuto farci.
“Voglio
che provi a farlo sbocciare semplicemente tenendolo in mano”
Ayame
aggrottò la fronte, scettica sul fatto che far fiorire un
bocciolo
di rosa potesse restituirle i suoi poteri.
“E
ricordati la promessa. Farai tutto quello che ti dico e con il
massimo impegno. A partire da ora”
Detto
questo, Shaka richiuse la cassetta e se la mise sottobraccio mentre
si alzava dalla panca.
“Scusa,
dove stai andando adesso?” gli chiese Ayame, sconcertata da
tutta
quella situazione.
“È
la mia ora di meditazione, ma tu resta pure qui, se vuoi, non sei
obbligata a seguirmi. Tornerò per vedere i tuoi
progressi”
Ayame
non riuscì a ribattere in tempo, potè solo
restare a guardare la
schiena di Shaka che si allontanava e spariva dietro l'angolo di uno
dei vicoli. Non poteva credere che l'aveva lasciata sola, in una
piazzetta deserta, all'ombra di un ulivo rachitico con un bocciolo da
far fiorire col pensiero.
Tuttavia
aveva fatto una promessa e non voleva deludere Shaka. Prese un
respiro profondo e si portò il fiore davanti agli occhi,
iniziando a
fissarlo intensamente. Il mal di testa la fece aspettare solo pochi
minuti, prima di andarle a martellare il cranio.
Seppur
con riluttanza, Galatea eseguì il velato ordine impartitole
da Shaka
e si diresse verso l'arena dei combattimenti. Per ritardare il
momento dell'arrivo, procedette col passo più lento che
riuscì a
tenere, soffermandosi di quando in quando ad osservare qualcuno dei
resti del Tempio.
Stare
lontana da Ayame o da Psiche la faceva sentire scoperta e
vulnerabile, un pesce fuor d'acqua in quel mondo tanto diverso da
quello in cui era nata e a cui ancora non era abituata. Memore del
motivo per cui aveva supplicato Ayame di portarla con sé ad
Atene,
però, Galatea si disse che quella poteva essere una buona
occasione
per mantenere il suo proposito. Preso un respiro profondo,
coprì con
passo deciso gli ultimi metri che la separavano dall'ingresso
nell'arena.
La
accolsero il clangore delle spade che cozzavano tra loro miste alle
grida dei combattenti e alle incitazioni dei loro maestri. Quel
giorno erano Camus e Aiolia a dividersi lo stadio. Il suo ospite
stava seguendo in silenzio l'allenamento dei suoi allievi, ma Galatea
capì dallo sguardo del Cavaliere che neanche il loro minimo
errore
sfuggiva al suo occhio.
La
Sacerdotessa prese posto a metà delle gradinate e si mise ad
osservare distrattamente i vari gruppi di allenamento. Dopo qualche
minuto, vide Camus interrompere un duello con la spada tra due
allievi e mostrare ad uno di loro il corretto movimento del polso per
disarmare l'avversario. Galatea rimase incantata a fissarlo per quei
lunghi istanti che il Cavaliere impiegò ad eseguire il
movimento e
un sospiro le uscì spontaneo dalle labbra, accompagnato da
un
battito un po' troppo forte nel petto. Subito si riscosse e
tornò a
far vagare lo sguardo, che sembrava però calamitato verso
Camus. Di
nuovo lo vide intercettare un pugnale lanciato maldestramente,
correggere la posizione dei piedi di un'allieva, rimproverarne un
altro per aver attaccato alle spalle il compagno.
“Basta,
è ridicolo” commentò ad alta voce
mentre si alzava per andarsene,
ma il richiamo di Milo la bloccò solo dopo un gradone.
“Già
vai via? Volevo scambiare due chiacchiere”
Galatea
rimase sorpresa dalla richiesta, ma decise di restare.
“No,
stavo...cercando un po' d'ombra” s'inventò sul
momento, indicando
una zona ombreggiata poco distante. Si diresse là insieme a
Milo, il
quale poi si sedette sul gradone sotto al suo.
“Complimenti
per la colazione, comunque” esordì lui, pensando
di farle piacere,
ma l'espressione interdetta di Galatea lo obbligò a
spiegarsi.
“Vedi,
ogni tanto...cioè, molto spesso, vado a fare colazione da
Camus. Lui
è un mago delle colazioni, sai? Stamattina, però,
ha gentilmente
condiviso con me quella che gli hai lasciato. Devo dire che non sei
male neanche tu”
“Oh,
beh, grazie” pigolò la Sacerdotessa, cercando di
nascondere
l'imbarazzo. Aveva preparato quella colazione per farsi perdonare la
sua assenza a cena, ma doveva essere solo una cosa per Camus, non per
chiunque. Chissà se aveva anche letto il bigliettino che
aveva
lasciato sul tavolo vicino alla crostata?
“Figurati!”
ribattè Milo, risvegliandola dai suoi timori adolescenziali.
“Allora, che mi sai dire della tua amica Psiche?”
“In
che senso?” chiese Galatea, che non pensava che per due
chiacchiere il
Cavaliere
intendesse parlare di Psiche.
“Sì,
insomma, che tipo è, cosa le piace fare, il suo colore
preferito,
con quanti ragazzi è uscita...le solite cose”
spiegò Milo con
leggerezza.
La
Sacerdotessa rimase interdetta qualche istante prima di rispondere.
“Ecco,
io non saprei... la conosco solo da un paio di mesi e di questo non
mi ha mai parlato. In effetti, Psiche non è un tipo di molte
parole,
a meno che non ti voglia dare l'estremo saluto”
“Strano”
constatò Milo. “Io me la ricordo quando era una
bambina e si
allenava con Aphrodite. Era una piccola peste, sempre in movimento e
a fare casino, specialmente quando ero nei dintorni. Pensavo
addirittura che avesse una cotta per me ma, nel caso, deve esserle
passata”
“Esatto,
sono rinsavita, fortunatamente”
Milo
e Galatea si voltarono contemporaneamente per incrociare lo sguardo
severo di Psiche che li osservava dall'alto della gradinata.
La
Sacerdotessa scese verso di loro e si fermò vicino a
Galatea, che
subito abbassò gli occhi. L'espressione della compagna aveva
l'inspiegabile potere di farla sentire in imbarazzo.
Quanto
a Milo, accennò un saluto alzando la mano, ma Psiche lo
ignorò e si
rivolse a Galatea.
“Hai
voglia di allenarti? Aiolia ci lascia un po' di spazio”
La
bionda balbettò qualche parola senza senso, prima di
accettare
l'offerta e rincorrere Psiche giù per i gradoni e attraverso
l'arena. Il suo passo era così svelto che dovette correre
per
raggiungerla. Passarono tra i vari gruppi di allievi, ignorando le
loro occhiate interessate e le proteste di Aiolia riguardo al fatto
che erano motivo di distrazione, e si fermarono una volta raggiunto
il deposito delle armi. Psiche iniziò ad indossare le
protezioni,
subito imitata da Galatea, in un silenzio teso che fu la prima a
rompere.
“Ti
sarei grata se non facessi più di me il tuo argomento di
conversazione con Milo” disse fredda Psiche, senza smettere
di
vestirsi.
“Mi
dispiace, sono stata colta alla sprovvista. Non ho detto niente,
comunque. Non so niente di te che possa interessargli”
“Meglio
così” commentò infine Psiche,
lasciandosi sfuggire un mezzo
sorriso. “E stagli alla larga, potrebbe ripiegare su di te e,
sinceramente, non è il tuo tipo”
“No,
decisamente no” confermò Galatea, non riuscendo ad
evitare di
lanciare un'occhiata furtiva verso Camus.
Una
volta finito di vestirsi, scelsero le armi per il combattimento
–
Psiche una scure, Galatea una spada ad una mano – e si
posizionarono nello spiazzo lasciato libero per loro.
Dopo
qualche scambio di riscaldamento, diedero inizio al vero duello.
Psiche dimostrò la grinta di sempre, ma Galatea oppose la
resistenza
e la determinazione giuste a far si che lo scontro procedesse in
perfetta parità. Dopo non molto tempo, nell'arena presero a
riecheggiare le urla di Camus e Aiolia che tentavano di riportare
l'attenzione dei loro allievi sull'allenamento.
Le
due Sacerdotesse continuarono comunque a combattere, finché
alle
orecchie di Galatea non giunse l'urlo allarmato di Milo.
“Camus,
ATTENTO!”
La
bionda ebbe giusto pochi attimi per vedere i due pugnali volare
dritti verso la schiena del Cavaliere dell'Undicesima Casa,
dopodiché
fu il suo istinto ad agire. Erse la barriera d'avorio giusto in tempo
per bloccare una delle due lame a pochi centimetri dal dorso di
Camus. L'altra venne deviata da una rosa di Psiche e cadde a terra
poco distante.
Il
silenzio cadde su tutto lo stadio, congelando il tempo.
Camus,
che al richiamo di Milo si era accucciato a terra, osservava attonito
la lama del pugnale che spuntava dalla cupola d'avorio che lo aveva
protetto. Il Cavaliere dello Scorpione raggiunse il compagno quasi
contemporaneamente ad Aiolia. Entrambi facevano vagare lo sguardo da
Camus alla cupola d'avorio alla rosa, cercando di dare un ordine a
quella marea di avvenimenti succedutisi nell'arco di pochi istanti,
finché, sempre insieme, non rivolsero la loro attenzione a
Galatea.
Sul loro volto era disegnata una sorpresa quasi incredula.
Nel
frattempo, Camus era uscito da sotto il guscio. Milo gli fu subito
appresso.
“Ehi,
amico, stai bene?”
Il
compagno annuì, quindi seguì lo sguardo del
Cavaliere dello
Scorpione e andò ad incrociare quello limpido di Galatea,
che subito
lo distolse, approfittando dei richiami provenienti da dietro le
spalle dei due guerrieri.
“Maestro,
perdonaci!” si prostrò in fretta uno degli allievi
di Camus,
seguito a ruota da un compagno. “Ci sono sfuggite di mano
mentre
provavamo a disarmarci e..:”
“Va
bene così” li interruppe Camus lapidario. I due
ragazzi rimasero
qualche secondo a bocca aperta. Probabilmente si aspettavano qualche
sorta di punizione per il tentato omicidio.
“Direi
che per oggi può bastare” decretò
allora Camus, rivolto anche
agli altri suoi allievi.
I
due colpevoli se la diedero velocemente a gambe, forse temendo un
repentino cambio di idea del maestro.
Aiolia,
invece, spronò i suoi a continuare l'allenamento.
“Direi
che può bastare anche per noi” disse Psiche,
muovendo i primi
passi verso il deposito delle armi.
Galatea
la seguì a ruota, ma Camus la bloccò prendendola
deciso per un
polso. Alla Sacerdotessa morì in bocca qualsiasi parola
avesse
voluto dire, e non solo per quanto gelida fosse la mano del
Cavaliere. La sensazione di freddo, però, scomparve quasi
subito e
Camus ne sembrò sorpreso.
“Grazie”
disse poi il Cavaliere, una volta ripresosi. “Ti devo la
vita”
“Sì...cioè,
no...voglio dire...devo andare”
Galatea
balbettò ancora qualche scusa mentre si liberava dalla presa
di
Camus per correre dietro a Psiche e si costrinse a non voltarsi mai.
Eccomi qui!
Tempo di "meditazione" per Ayame, chissà se
riuscirà a far sbocciare la rosa. E intanto Cavalieri e
Sacerdotesse cominciano a guardarsi intorno :) sono previste
scintille! Appena ho un attimo risponderò alle recensioni,
ad ogni modo grazie a tutti quelli che seguono la storia!