Da qualche
parte nell’oscurità delle lussureggianti foreste
mesoamericane, un’antica tomba veniva violata.
L’incoscienza di un atto tanto empio aveva riportato alla
luce un male sopito da centinaia di anni.
Numerose vittime sarebbero state mietute prima che il
sacrilegio fosse stato ripagato.
I gemiti ed i colpi di un attento allenamento riverberavano
tra le travi lignee della palestra dell’orfanotrofio. Il
sudore sgorgava da sotto la maschera e gocciolava sulle tavole del
pavimento. Un attimo di sosta, la seduta era stata intensa quella
mattina. Per quei pochi secondi nello stanzone risuonò
soltanto un respiro affannoso. Quella quiete surreale era tuttavia
destinata a ricevere una brusca interruzione: un anomalo eco
disturbò l’udito dell’atleta, che tese
le orecchie in ascolto. Un sibilo penetrante si insinuò
nella sala, avvolgendo ogni cosa in un’incerta atmosfera di
mistero. King provò un brivido accapponargli la pelle,
quando quel suono minaccioso mutò in voce mostruosa e cupa,
sentita soltanto nei suoi peggiori incubi. Il wrestler
scattò in piedi gridando: “Chi sei?! Che diavolo
vuoi da me?!”. Una voce mormorò qualcosa di simile
ad una risposta, ma pronunciata in una lingua sconosciuta. Ad un tratto
i pesanti battenti dell’ingresso furono letteralmente
scaraventati via da un potente folata di vento gelido. Sebbene fosse
pieno giorno, oltre il portale le tenebre avvinghiavano tutto in
un’impenetrabile nebbia nera. Due occhi porpora
s’accesero nel buio, gli stessi che illuminavano le terribili
visioni del lottatore dal viso felino. Egli indietreggiò di
qualche passo, infine si posizionò in guardia, ringhiando
ferocemente. Dall’entrata presero a strisciare sinuosi
serpenti. Un mastodontico essere infernale, dalla pelle verdastra e
avvolto in drappi dalla foggia azteca, si distingueva appena davanti al
manto oscuro. Quando i contorni dell’imponente sagoma furono
sufficientemente delineati, il guerriero giaguaro ammutolì
esterrefatto nel riconoscervi le sembianze dell’antica
divinità scolpita nella parete di roccia del tempio
amazzonico in cui si era imbattuto moltissimo tempo prima.
I suoi passi graffiavano il pavimento con gli affilati
artigli corvini, ogni suo respiro si condensava in una nuvola di vapore
bollente, il suo sguardo inespressivo e magnetico scrutava
l’astante, mai interrotto dal battere di palpebre. King
assistette sconcertato all’ingresso in scena di
quell’orrida creatura, completamente paralizzato da cotanto
spettacolo. Il mostro sollevò un braccio, spalancando la
mano. Di colpo il Messicano venne sospinto da un’invisibile
forza tra le grinfie del misterioso visitatore, che lo
afferrò per il collo mantenendolo sospeso a mezzo metro da
terra. Soffocato dalla morsa, ogni tentativo di divincolarsi fu vano,
mentre le energie erano progressivamente estirpate dal corpo inerme del
malcapitato. Quando l’angelo incappucciato era ormai pronto a
calare la propria falce sulla gola del glorioso lottatore, questi
rivolse un ultimo pensiero alla grande famiglia di fanciulli che gli
aveva donato anni di pura gioia e, versando una lacrima incandescente,
cedette infine alla stretta, perdendo i sensi. Il dio
scaraventò al suolo il corpo esanime della vittima e
voltandogli le spalle svanì nel nulla, reimmergendosi nella
coltre tenebrosa da cui era sorto.
Nella palestra piombò ancora il silenzio, pesante
come un macigno.
Uditi gli strani rumori, qualcuno accorse al luogo della
singolare aggressione. Si trattava del ventiquattrenne cresciuto in
orfanotrofio, che nonostante la sua giovane età, da qualche
tempo aiutava il suo mentore a mandare avanti l’istituto.
Appena mise piede in aula fu colto da un tuffo al cuore, vedendo lo
stato pietoso in cui versava il suo eroe. Di corsa lo raggiunse e
s’accovacciò al suo fianco, premurandosi di
sostenergli il capo. Grandi ematomi emergevano alla base del volto
animale. Un rantolo quasi impercettibile fu esalato dalla bocca,
incorniciata da fiotti di sangue. “King, parla, dì
qualcosa!” implorò disperato il giovane orfano.
Qualche verso inarticolato precedette le parole destinate a rimanere
marchiate a fuoco nella memoria del loro ascoltatore: “Sei tu
… ricordo ancora come fosse ieri il giorno in cui ti
accogliemmo. Eri disorientato e scosso, ogni tuo piccolo gesto
dimostrava la tua fragilità. Da allora sei cresciuto molto,
hai saputo badare a te stesso e ai tuoi piccoli compagni, divenendo col
tempo uno dei miei più validi collaboratori. Il mio tempo
sta per scadere …” un colpo di tosse accompagnato
da rivoli vermigli interruppe per un attimo il discorso
“Promettimi che ti prenderai cura dell’orfanotrofio
al posto mio, promettimelo!”. Sopraffatto dal pianto, il
ragazzo abbracciò affettuosamente il lottatore,
sussurrandogli all’orecchio: “Non temere, non
tradirei mai la tua fiducia. Conta su di me”. Una piacevole
sensazione di sollievo pervase il fisico distrutto di King. Mentre le
lacrime dell’orfano bagnavano la pelliccia maculata della
maschera, un gelido, estremo respiro abbandonò assieme al
suo stesso slancio vitale, il corpo stremato della leggenda del ring.
La sua schiena si inarcò in un ultimo spasmo muscolare, gli
occhi felini rimasero innaturalmente spalancati, così come
le fauci, le membra, prive di forze, scivolarono dal torace sino a
terra. Il corpo di colui, che un tempo aveva infiammato le arene di
tutto il mondo con le sue strabilianti capacità di
combattente, giaceva ora immobile tra le braccia amorevoli del giovane
erede. Dopo una vita di battaglie, King aveva dovuto arrendersi,
rassegnandosi all’oblio eterno.
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