Stella del Sud - Atto III
Parte Seconda -
Atto Terzo
“Mostrasi
si’ piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender non la può chi no la prova;”
Dante Alighieri, Vita Nova, Cap.
XXVI, vv. 9-11
Mancavano
solo pochi minuti a mezzogiorno, quando Rami si accorse che, per il
resto della mattinata, non era previsto l’arrivo di altri
ospiti.
“Perfetto, vorrà dire che terminerò la
revisione
dei fatturati del mese scorso” pensò, prima di
chiamare un
collega a sostituirlo al banco della reception e dirigersi verso il suo
ufficio, continuando per tutto il tragitto a prendere appunti sul suo
taccuino personale, giacché erano proprio l’avere
sempre
tutto sotto controllo e il non lasciare nulla al caso i punti cardine
della sua professionalità, anche se, negli ultimi tempi, le
cose
non stavano andando come avrebbe voluto.
A quella constatazione, il concierge sospirò sconsolato,
aprendo
la porta del suo ufficio ed entrandovi, posando subito l’agendina
sulla scrivania e alzando poi lo sguardo in direzione della finestra,
vicino a cui scorse sua sorella, intenta a guardare il cielo,
pensierosa.
«Sei davvero ridicola a credere che quello si
ricorderà di te» l’apostrofò,
acido. Poiché la ragazza non l’aveva sentito
arrivare, sobbalzò.
«Rami! Mi hai fatto prendere un colpo!» lo
rimproverò subito lei, stizzita, ma il fratello non si
scompose, riservandole in risposta una fugace occhiata beffarda, prima
di accomodarsi sulla sua poltrona sotto il suo sguardo irritato. Poi,
quella scosse la testa e tornò a guardare fuori.
Lanciandole un’occhiata torva, il ragazzo aprì il
suo portatile e scosse la testa, incapace di comprendere
l’ostinazione della sorella: come aveva potuto cedere alle
parole lusinghiere di quell’idiota bugiardo e credere che
sarebbe tornato, o le avrebbe fatto avere sue notizie? Un tale
donnaiolo poteva solo essere paragonato ad un marinaio: ogni terra
aveva il suo porto ed ogni porto aveva la sua ragazza.
Perciò, da quando aveva lasciato l’Egitto,
chissà quante altre donne erano già entrate nel
suo letto…
«Invece di perdere tempo alla finestra, vai a dare il cambio
a Jamila. Le sue quattro ore sono scadute da un pezzo!» le
ordinò, a quel punto, il giovane, perentorio, scacciando
quei fastidiosi pensieri dalla testa, ma quella non si
lasciò abbattere dal suo tono e si girò verso di
lui, regalandogli un sorriso radioso.
«Vado!» rispose, con entusiasmo.
Il concierge la guardò andar via e poi tornò a
smanettare con il computer, sbuffando pesantemente ed appoggiando il
mento contro il pugno chiuso, risoluto a trovare il modo di far uscire
Aida dal mondo fatato in cui viveva: invaghirsi di un seduttore
depravato come quello? Che assurdità!
***
Una mattina di metà ottobre, approfittando del fatto che ad
Alessandria il caldo aveva cominciato a diminuire, Rami si era fatto
preparare da Jamila un infuso al karkadè, quando fu chiamato
in tutta fretta da uno dei suoi assistenti.
Allora, sorpreso, lasciò la tazza fumante sul bancone del
bar e, mentre seguiva il ragazzo nella hall, venne a sapere che era
appena arrivata una donna che doveva assolutamente parlare con lui,
cosa che lo stupì ancora di più, visto che non
aveva proprio idea di chi potesse essere e, soprattutto, cosa avesse da
dirgli di tanto urgente.
Tuttavia, il concierge decise di non perdere tempo nel farsi domande e
si affrettò a raggiungere la misteriosa visitatrice,
trovandola girata di spalle ad ammirare i vasi con le orchidee.
Incerto su quale potesse essere l’approccio migliore, il
giovane, allora, si schiarì la voce per annunciare il suo
arrivo: «Buongiorno, signorina. Posso fare qualcosa per
lei?» esordì.
Subito, la nuova venuta si girò e, senza un attimo
esitazione, gli chiese: «È lei Rami
al-Nassar?»
«Ecco, sì... sono io» rispose lui,
squadrandola con diffidenza. Aveva qualcosa di familiare ed era certo
di averla già vista da qualche parte, ma… dove?
«Quindi, sua sorella deve essere Aida al-Nassar»
continuò la ragazza, sicura di sé.
«Sì, è così»
affermò il giovane, socchiudendo appena gli occhi.
«Ora potrei sapere, però, con chi ho
l’onore di parlare?» aggiunse, spazientito,
desideroso di capire qualcosa di quella situazione.
A quel punto, la donna si tolse gli occhiali da sole, svelando due
profondi occhi grigi, e si ravviò il caschetto bruno.
«Mary Anne Darland, sono qui per conto dello studio legale
Woodrow di Londra» spiegò, con tono risoluto.
«Mi risulta che suo padre sia stato incarcerato qualche anno
fa, dopo un sommario processo. È corretto?»
Nell’udire quelle parole, Rami assunse
un’espressione di sincero stupore.
«Ma come fa a..?» cercò di chiedere, ma
venne interrotto subito dall’altra, che riprese:
«Fonti attendibili dimostrano che l’avvocato della
difesa era corrotto, pertanto il processo non è stato altro
che una farsa».
«Miss Darland, mi potrebbe cortesemente spiegare come fa ad
essere al corrente di queste informazioni?» le chiese,
allora, il giovane, sempre più attonito e inquieto.
«Dovrebbero essere riservate».
L’avvocata, però, non sembrò per niente
turbata da quell’affermazione, anzi, si chinò per
afferrare la valigetta che aveva poggiato a terra e, nel rialzarsi,
decretò, severa: «Signor al-Nassar, infatti
sarebbe opportuno continuare la nostra conversazione in un luogo
più consono alla riservatezza di ciò che devo
comunicarle. Inoltre, sarebbe opportuno che anche sua sorella
assistesse al nostro colloquio».
Aggrottando le sopracciglia, non osando contraddire quella donna che
sembrava davvero sapere il fatto suo, Rami fece immediatamente chiamare
Aida e condusse Mary Anne in ufficio.
Nel vederla, la fanciulla, al contrario del fratello, la riconobbe
immediatamente come una delle ragazze che faceva parte della comitiva
di Giancarlo, ma non disse nulla, poiché preferì
prima verificare il motivo di quella visita inattesa, che, comunque,
non tardò ad essere svelato.
Infatti, poco tempo dopo, Mary Anne riuscì ad esporre una
sintesi perfetta dei punti oscuri del processo contro Abul al-Nassar,
precisando che era riuscita ad ottenere le autorizzazioni per
consultare il fascicolo del processo e che aveva trovato abbastanza
materiale per far riaprire il caso e cercare così di
ottenere un verdetto più giusto, offrendosi, per giunta,
come nuovo avvocato della difesa.
Aida, che aveva ascoltato ogni parola con estrema attenzione, sempre
più meravigliata ogni minuto che passava, non appena Mary
Anne ebbe finito, intervenne: «Miss Darland, noi non sappiamo
che cosa dire... Sarebbe meraviglioso se nostro padre fosse scarcerato.
Tuttavia» aggiunse, lanciando prima un’occhiata
furtiva a Rami, «mi lasci dire, parlandole anche a nome di
mio fratello, che non sappiamo davvero spiegarci come lei possa essere
al corrente di tutto questo».
«Già, perché non ci dice cosa
c’entra in questa storia?» chiese quello a sua
volta, incrociando le braccia sul petto e guardandola in modo ostile.
«Senza contare che dovremmo parlare anche del suo compenso,
no?»
L’avvocata li guardò entrambi, inarcando
leggermente un sopracciglio, come se avesse il presentimento che la
stessero prendendo in giro.
«Volete davvero farmi credere che non vi ha detto
niente?» domandò, senza scomporsi.
«Chi?» replicò Aida, perplessa.
Mary Anne, allora, sospirò e scosse la testa, ma si
guardò bene dal rispondere, limitandosi a prendere la sua
valigetta e ad aprirla per estrarne due pacchetti: una scatolina cubica
e un’altra che aveva tutta l’aria
d’essere un tubo portadocumenti.
«Questo è per Samir al-Nassar» disse,
porgendo il primo a Rami. «E questo, invece, è per
lei, signorina Aida» concluse consegnandole il secondo.
«Da parte di chi?» insistette lei, confusa.
«Lo apra e lo scoprirà» fece
l’altra, risoluta, sistemandosi meglio sulla poltrona e
accavallando le gambe.
A quel punto, avendo intuito che, proseguendo in quel modo, non avrebbe
cavato un ragno dal buco, sotto lo sguardo incuriosito di Rami, la
fanciulla si decise a scartare il pacco, ritrovandosi in mano un
sottile cilindro di carta avvolto da uno strato di cellophane. Sempre
più ansiosa di sapere cosa fosse, strappò via la
plastica e, quando ebbe srotolato il foglio, ebbe un leggero giramento
di testa.
«Non è possibile…»
sussurrò.
«In fondo, non era così difficile da capire, non
trova?» commentò, invece, l’avvocata,
con un sorrisetto ironico.
Osservando la reazione della sorella, anche Rami mise in ordine i
tasselli ed improvvisamente si ricordò dove aveva visto
prima quella donna.
«Questo significa che gli hai parlato della situazione di
papà!» esclamò, boccheggiando e
riservando alla sorella uno sguardo truce. «Tu…
tu…»
Tuttavia, Aida lo ignorò, trovando molto più
costruttivo interagire con Mary Anne.
«Miss Darland, mi dica la verità: è
stata pagata per seguire la causa di mio padre?»
«Intende sapere se la mia parcella è stata
saldata?» domandò quella, avendo intuito dove
volesse arrivare Aida, che, infatti, annuì decisa,
cominciando ad arrotolare nuovamente il foglio per evitare che si
sciupasse.
«No, non ho intenzione di percepire nemmeno un centesimo per
questa causa» spiegò, a quel punto,
l’altra, con enfasi, come se ne valesse della sua
integrità morale. «Qui è la giustizia
che reclama! È una vergogna che esistano avvocati senza un
minimo di coscienza…»
Quando, molto, molto tempo dopo, Mary Anne riuscì a mettere
il punto alla sua arringa contro i colleghi privi di scrupoli ed ebbe
esposto le tappe preliminari del processo, i due fratelli presero
accordi con lei, prima che si congedasse da loro dicendo che il volo
per Heatrow era imminente.
Una volta soli, Rami fissò a lungo la sorella e, infine, le
disse: «Non credere che abbia cambiato idea sul suo conto. Ci
vuole ben altro per dissuadermi dal crederlo in cattiva fede».
Tuttavia, Aida era troppo contenta che lui si fosse ricordato di lei e
di Samir per permettere al fratello di rovinarle la giornata
così, sorridendogli, gli domandò: «Hai
detto qualcosa, per caso?»
Il fratello, sicuro che avesse sentito benissimo, la guardò
minaccioso, ma poi se ne andò, borbottando qualcosa di cui la
giovane non si curò, presa com’era dalla certezza
di essere ancora nei pensieri di Giancarlo.
Poi, la ragazza tornò in ufficio e sistemò la
scatolina di Samir sul ripiano di mezzo della libreria, così
che, appena tornato da scuola, potesse vederla subito; poi riprese il
suo regalo e lo srotolò per ammirarlo ancora una volta: era
esattamente come l’aveva descritta.
“Sul terzo
ordine non ci sono solo timpani, ma anche archetti alternati”:
era, infatti, la versione del 1725 della facciata del Collegio di
Propaganda Fide di Borromini.
«Non ci posso credere!» esclamò Samir,
non appena ebbe aperto il suo pacco. «I nuovi anelli
d’attacco del P.P.B! Ma questi sono usciti solo negli Stati
Uniti... se l’è ricordato!»
Seduta ad uno dei tavolini della veranda che dava sul golfo, Aida
guardava sorridente il bambino che saltellava, su di giri, mentre Rami,
invece, li scrutava entrambi con un’espressione
davvero contrariata.
«Vi siete lasciati comprare con poco da uno che crede che con
i soldi si possa ottenere tutto» insinuò,
velenoso.
«Ti prego, non ricominciare…» lo
supplicò la ragazza, rabbrividendo al solo ricordo
dell’energica lavata di testa che l’altro aveva
fatto a Jamila soltanto perché le aveva permesso di parlare
con Giancarlo.
Il fratello, allora, scosse la testa con vigore, come per sottolineare
la propria ostinazione nel pensar male del biondo.
«Possibile che tu non capisca che sei solo una novità
per lui? Si sarà stancato di assaggiare i soliti slavati
dolcetti alla vaniglia, così gli è venuta voglia
di un bel cioccolatino!» berciò, sbattendo un
pugno sul tavolo. «Ti considera solo un degno bottino, una
piccola schiava egiziana e, ricordati: quelle come te saranno sempre
considerate inferiori, frivoli ninnoli da intrattenimento. Una volta
soddisfatto il suo perverso desiderio, ti abbandonerà e chi
si è visto, si è visto!»
Aida, però, non mutò espressione, decisa a non
dargliela
vinta, ma, al tempo stesso, consapevole di quanto fosse testardo:
ci sarebbe voluto del bello e del buono, infatti, per fargli cambiare
idea su Giancarlo, ma lei non si sarebbe certo arresa con
facilità.
«E se non fosse come dici? Le occasioni di mettermi le mani
addosso non gli sono mancate, eppure non l’ha mai
fatto» gli fece notare, a quel punto, piccata.
«Sei proprio ingenua! Prima si è voluto guadagnare
la tua fiducia, evidentemente. È stato astuto!»
ribatté Rami, sempre più adirato. «Non
vuoi darmi ascolto e troncare qui la cosa? Bene, allora non venire a
piangere da me, dopo che ti avrà usata e buttata via come un
oggetto vecchio! Cosa ti aspetti da uno che ha come unico scopo quello
di saltarti addosso come un animale in calore?!»
«Rami, adesso basta!» sbottò Aida,
estremamente disgustata da quell’assoluta mancanza di
rispetto nei confronti di Giancarlo; cercò, però,
di non alzare troppo la voce per evitare di far sentire a Samir, che
giocava lì accanto, cosa stava dicendo il fratello maggiore.
«Non ti vergogni a rivolgerti con queste parole offensive a
chi non c’è e non può dire niente a sua
discolpa?» continuò, rimproverandolo. «E
poi, per quale motivo dovrebbe continuare a pensare a me, se
può divertirsi con tutte le ragazze che vuole e persino
più belle della sottoscritta?»
L’altro la fissò ad occhi socchiusi e le
sibilò, inferocito: «Perché continui a
difenderlo? No, aspetta, non dirmelo... ti sei presa una cotta per
lui!»
La ragazza, nel sentire quelle parole, distolse lo sguardo, sentendosi
avvampare, poiché non voleva che i suoi sentimenti fossero
giudicati in quella maniera, tuttavia, il fratello se ne accorse e
riprese, sempre più adirato: «E magari, speri
anche che possa ricambiare i tuoi sentimenti! Come ti ha raggirata?
Promettendoti di farti diventare la sua amante prediletta, per
caso?»
Aida, però, non si lasciò scalfire e, infastidita
da quel comportamento così ottuso, replicò:
«Tu non puoi capire, Rami. O, forse, non vuoi».
Questa risposta lo urtò terribilmente il giovane che, senza
indugiare oltre, si alzò con uno scatto e lasciò
la veranda, biascicando improperi sia verso di lei che verso il suo
spasimante.
«Io sì, invece» sussurrò,
invece, impercettibilmente Aida, con lo sguardo fisso sul golfo di
Alessandria.
«Come facciamo a ringraziare Giancarlo per quello che ci ha
regalato?» domandò all’improvviso Samir,
mentre la ragazza lo aiutava a prepararsi per andare a letto, ma lei si
fermò a fissarlo, ritenendo che, in effetti, sarebbe stato
educato farlo.
«Un modo lo troveremo. Su, ora mettiti giù e
dormi, va bene? Domani c’è scuola» gli
disse, dopo averci riflettuto su un po’.
«Dada, ma perché Rami dice tutte quelle cose
brutte a Giancarlo? A me piace, mi sono divertito con lui. Non
è cattivo come il fidanzato che tu non vuoi».
La ragazza gli sorrise debolmente e, sospirando, rispose:
«Rami pensa di sapere sempre tutto e non sa perdonare chi ha
fatto degli errori, senza rendersi conto di essere proprio lui il primo
a farli».
«Quindi anche i grandi sbagliano?» chiese, allora,
Samir, meravigliato.
«Certamente, a volte, persino più dei
bambini!» replicò la sorella, prima di fargli
cenno di mettersi giù per farsi coprire.
«Però possono essere perdonati? Tu e Rami mi
perdonate sempre tutto, quando sbaglio» continuò
il bambino, con una buffa espressione pensierosa sul volto.
Questa volta, Aida sorrise più serenamente e, dopo avergli
accarezzato la testa, replicò: «Dipende, se
c’è un pentimento sincero, non vedo
perché non dare una seconda possibilità. Ora,
però, dormi, d’accordo? Abbiamo chiacchierato
abbastanza per stasera».
Il bambino, allora, sbadigliò ed annuì,
accoccolandosi su un lato e stringendo a sé il suo peluche a
forma di scimmia: «Buonanotte, Dada».
«Buonanotte, Samir» gli rispose l’altra,
chinandosi su di lui e posandogli un bacio sui capelli.
Poi, spense la luce ed uscì dalla stanza in punta di piedi,
intenzionata a dirigersi in veranda per ritagliarsi un po’ di
tempo per sé, giacché sentiva il bisogno stare in
compagnia esclusivamente dei suoi pensieri. Aveva già messo
un piede fuori, quando si sentì chiamare: «Dada!
Non ci crederai!»
Voltandosi, scorse Jamila che arrivava di gran carriera verso di lei e,
senza nemmeno aspettare che le fosse più vicina, le chiese,
leggermente infastidita: «Si può sapere che cosa
ti prende?»
«Non puoi nemmeno immaginare…» fece
l’altra, bloccandosi davanti a lei per riprendere fiato.
Aida aggrottò appena la fronte, perplessa.
«Cosa?»
Tuttavia, l’amica non rispose subito, prendendosi altro tempo
per fare qualche respiro profondo.
«Oh, insomma, Jamila, che cosa
c’è?!» sbottò, alla fine,
spazientita.
«C’è il biondino al telefono... vuole
parlarti!»
Non aspettandosi una risposta simile, la fanciulla rimase imbambolata
per qualche secondo, per poi ridestarsi e fiondarsi a prendere la
chiamata.
«A quanto sembra, ha scelto di fare la difficile»
commentò, invece, sottovoce Jamila, sogghignando divertita.
Una volta entrata in ufficio, Aida chiuse dietro di sé la
porta e si accomodò sulla poltrona del fratello, sentendo il
cuore che le batteva all’impazzata: stava provando un misto
di emozioni troppo ingarbugliato poter essere sbrogliato e compreso,
poiché ancora non sapeva con certezza cosa provava verso di
lui. L’unica cosa che sapeva era che sicuramente non si
trattava di una semplice simpatia.
Decisa a calmarsi, allora, inspirò a fondo e, dopo aver
appoggiato lentamente la cornetta all’orecchio,
parlò, per poi sentirsi rispondere, immediatamente:
«Masah el kheir».
Riconobbe subito quella voce, così calda e gioviale, e
sorrise, piacevolmente colpita da quell’approccio originale.
«Buonasera a te. Sai che il tuo accento è davvero
buono?» disse, divertita.
«Trovi? Sono solo agli inizi, sai? Si può sempre
migliorare» fece, però, lui, con sicurezza.
«Oh, non ne dubito» ribatté lei,
rendendosi conto di averlo fatto con tono più canzonatorio
di quello che avrebbe voluto e sentendosi avvampare per questo.
Per fortuna, Giancarlo non la considerò una provocazione e
proseguì: «Piaciuto il regalo?»
La fanciulla sentì che cominciava ad essere meno tesa e si
appoggiò allo schienale della poltrona, prima di rispondere:
«Molto. Credo di aver cominciato a capire perché
hai detto che ami le sorprese».
«Sì, ma solo quelle che riescono bene. Anche a
Samir è piaciuto?»
«Assolutamente. È letteralmente impazzito, era
certo che ti saresti ricordato di lui!»
Approfittando di quell’affermazione, l’altro la
stuzzicò, cantilenante: «Perché, tu ne
hai dubitato, forse?»
«Be’, sai già che credo solo a quello
che verifico di persona» rispose lei, pronta, ringraziando
che lui non fosse lì a vedere il suo imbarazzo.
«In realtà, non credo ti mancheranno le cose da
verificare. Ho solo iniziato a mantenere la mia promessa».
«Allora, aspetterò».
Ci fu una breve pausa di silenzio, poi il giovane riprese: «A
proposito, hai un indirizzo e-mail? Non essendo un fan dei social
network, temo dovremmo accontentarci di posta elettronica e cellulare,
quando non potremo sentirci via telefono».
Nell’udire quella bizzarra richiesta, Aida
aggrottò la fronte, attonita e perplessa per quella
rivelazione.
«So bene che sarà un modo di comunicare un
po’ freddo e distaccato, ma trovo che sia perfetto per
garantire la mia ri-educazione riguardo al corteggiamento».
«Ah!» esclamò lei, sorpresa per
l’uso della parola corteggiamento.
«Ehm... sì, va bene, come vuoi, per me non ci sono
problemi» balbettò, prima di rimanere qualche
secondo in silenzio, incerta su cosa dire.
«Grazie per quello che hai fatto per mio padre,
comunque».
«Io non ho fatto niente, devi ringraziare Mary Anne: non hai
visto come è felice di occuparsi di un caso vero,
anziché della solita diatriba tra assicurazioni?»
si schermì Giancarlo, tradendo anche un certo divertimento.
«Miss Darland mi ha detto che non l’hai pagata per
seguire la causa. Almeno per questo accetta il mio grazie».
A quest’ultima affermazione, però, il giovane non
rispose, così lei ebbe il presentimento che sapesse che lei
non avrebbe mai accettato, se lui avesse pagato al posto del fratello,
anche se ne aveva davvero bisogno, considerando la disastrosa
situazione del padre.
Poco dopo, per fortuna, il biondo riprese la conversazione, cambiando
del tutto argomento, scambiandosi rapidamente tutti i contatti
necessari prima di salutarsi.
«Allora, a presto?» chiese, infine, la ragazza,
quasi sussurrando, staccando il post-it su cui si era appuntata tutto e
pensando a dove nasconderlo, affinché non capitasse tra le
mani di Rami.
«Già senti la mia mancanza, gioia?»
replicò, allora, il giovane, in perfetto stile Gianni
Tornatore.
Tuttavia, Aida non si fece cogliere impreparata e non si
lasciò disorientare tanto facilmente.
«Non più di quanto tu senta la mia»
rispose, sicura, accennando anche un’inflessione divertita e
non sapendo che, in realtà, lui stava gongolando beato per
quanto udito, né che erano proprio quei brillanti e sottili
confronti ad alimentare l’alchimia che si era innescata tra
loro due.
«Se tu lo vorrai, a presto» concluse poco dopo lui,
più dolcemente.
«Tesbah ala
kheir» lo salutò, a quel punto, la
fanciulla, curiosa di mettere alla prova la sua conoscenza
dell’arabo.
«Buonanotte a te, Aida. E non scordarti di salutare Samir da
parte mia!».
Aida sorrise: Giancarlo aveva risposto correttamente.
***
Marcello
Tornatore e sua moglie Beatrice erano seduti al tavolo della sala da
pranzo, intenti a consumare la prima colazione, lui impegnato a leggere
il giornale, lei in attesa che il suo tè verde aromatizzato
al bergamotto si raffreddasse.
Madonna
Beatrice, come l’aveva prontamente ribattezzata la
servitù, per via delle sue origini fiorentine, era davvero
una bella donna, con quei lunghi, ondulati capelli ramati, gli occhi
blu e le labbra rosee e delicate; aveva anche uno spiccato temperamento
artistico, e sapeva essere tanto mite, quanto ferma e decisa.
Accanto a lei, invece, Sor
Marcello, nonostante avesse raggiunto i cinquanta, mostrava ancora i
segni di quell’innegabile bellezza che, in
gioventù, aveva fatto sospirare molte ragazze: fisico
statuario, lineamenti eleganti e occhi tendenti al verde chiaro,
un’ombra di barba e capelli ancora biondi. Uomo pratico e di
poche cerimonie, non aveva mai prestato troppa attenzione ai vincoli
imposti dal proprio status sociale, preferendo improntare la propria
vita in base agli antichi e inviolabili valori. Perciò il
fatto che la sorte, invece, gli avesse dato un figlio, che aveva fatto
del pressappochismo il suo credo, rappresentava il suo più
grande motivo di rammarico.
Per questo, marito e moglie si ritrovavano spesso a discutere della
pessima condotta di Gianni e così fecero anche quella
mattina.
«Da quando è tornato da quella vacanza, si
comporta in maniera strana. Secondo me, sta tramando
qualcosa…» esordì l’uomo,
mettendo da parte il giornale.
«Ti riferisci
al nostro Pulcino?»
temporeggiò l’altra, scegliendo con cura una fetta
di pane tostato dal cestino di stoffa che aveva davanti.
Marcello si voltò immediatamente nella sua direzione e la
fissò inarcando appena un sopracciglio, come se si sentisse
preso in giro.
«Secondo te? Comunque, per favore, smettila di chiamarlo
così: l’unica cosa seria che ha è il
nome, ereditato dal nonno» le fece notare, irritato.
«Sai, a volte penso che sia davvero un bene che mio padre non
possa sapere cosa sta combinando il nipote…»
«Son sicura
che non sta facendo
niente di male. Non hai notato, forse, che non rincasa più
all’alba, che
ha smesso di fumare e ha anche
ripreso a studiare per gli esami?» replicò
Beatrice, tradendo una certa soddisfazione, iniziando a spalmare la
marmellata di albicocche sulla fetta di pane.
«Ti ha ingaggiato per fargli pubblicità, per
caso?» replicò, però, acidamente
l’altro.
La donna sospirò: «Suvvia, Marcello! Ha perfino chiesto aiuto ad
Emiliano e ora sta seguendo le su’
direttive per recuperare
al meglio il tempo perso!»
«Mi stai forse dicendo che è tornato amico di
Emiliano... Corsini…?»
L’uomo, stralunato, non riusciva a credere alle sue orecchie.
«Oh, sì!» confermò la moglie,
entusiasta, poggiando la fetta di pane su un piattino.
«Finalmente, ha lasciato perdere quell’idiota del
figlio di Colonna?» continuò l’altro.
«Già.
Non trovi che
sia un bel passo in avanti?»
Marcello osservò la moglie di sbieco, poco convinto,
così lei continuò, dolcemente: «Non hai
visto che
è più sereno? Non ci giurerei, ma secondo me potrebbe
essersi innamorato».
Tale affermazione fu il massimo che il marito potesse tollerare,
infatti, inarcò marcatamente un sopracciglio e
sbottò: «Questa te la sei inventata or ora di sana
pianta! Tuo figlio è troppo impegnato a vedere solo se
stesso e quelle svergognate che gli ronzano perennemente intorno, per
accorgersi che là fuori ci sono tante brave ragazze. Non
credo che avremo mai il piacere di vederlo sistemato con una donna che
possa essere chiamata tale».
«Suvvia!» replicò subito Beatrice,
scuotendo la testa. «Secondo
me gl’è successo
qualcosa di
bello che
ancora non
c’ha raccontato».
«Finché non lo vedrò, non ci
crederò» sentenziò l’altro,
irremovibile. «Anche tuo fratello dava il meglio di
sé, quando doveva svelare tutti gli altarini delle sue
bravate!»
«Be’, l’è
innegabile
che Guido
abbia fatto spesso il bischero
e che tutt’ora non si comporti
troppo bene, ma...»
«Non è Guido, è Giuda. Non aveva
nemmeno finito di promettere di prendersi le sue
responsabilità, che tuo padre ha dovuto svendere la vostra
proprietà all’Argentario e la casa vicino a Santa
Maria del Fiore, per saldare i debiti di gioco di quella sanguisuga!
Inoltre, come se non bastasse» aggiunse Marcello,
rabbrividendo al solo ricordo, «ti stava per vendere a quel bastardo schifoso
di Conrado de Navarra!»
La moglie sospirò per la seconda volta, alzando gli occhi al
cielo.
«Oh, ma non c’è riuscito, visto che un aitante e fascinoso giovane
l’è
intervenuto in tempo» gli
sussurrò poi, teneramente, sperando di rabbonirlo, ma,
purtroppo il tentativo non ebbe l’effetto sperato,
perché l’altro, poco dopo, proseguì la
sua accesa orazione.
«E poi, Tiberio mi ha proprio seccato con quel suo continuo
sottolineare che ragazza virtuosa sia Claudia, copia esatta di nostra
madre».
A questo punto, la donna, memore delle angherie che le aveva riservato
la suocera ogni volta che aveva potuto, cambiò
repentinamente espressione.
«Oh, tu sa’
che
fortuna!» commentò, sarcastica e il marito, che
condivideva pienamente quel punto di vista, rincarò la dose.
«Sai qual è la cosa peggiore? Che, secondo loro,
è un vanto. Come il fatto che si sia fidanzata con il
rampollo dei Boulanger. Da quando è successo, mio fratello e
sua moglie sono diventati ancora più insopportabili, dato
che si augurano che Giancarlo sposi al più presto la figlia
degli Odescalchi».
E, poco dopo, disgustato, aggiunse: «Sono davvero
ridicoli!»
«In effetti, tra la
Maria Chiara
e la
Claudia non so davvero chi
debba star
più lontana dal mi’
figliolo» concordò la moglie, sdegnata,
zuccherando il proprio tè con troppa foga.
«Comunque, l’è
piacevole vedere come il tu’
fratello e la su’
moglie non abbian perso il vizio d’impicciarsi
dei nostr’affari».
«Le sane abitudini non vanno mai perse» fece
Marcello, ironico, infastidito anche solo a nominare i suoi parenti,
verso i quali non nutriva la benché minima stima e non
approvando che, dall’alto della loro villa ad Albano
Laziale1, si
sentissero in dovere di fare commenti su suo figlio. A suo
tempo, infatti, lo aveva già abbastanza schifato il
matrimonio d’interesse tra il fratello Tiberio e la ricca
Ortensia Torlonia, spingendolo, addirittura, a decidere di non
sposarsi, ignaro di ciò che aveva in serbo il destino per
lui.
D’altra parte, allora, anche l’appena diciottenne
Beatrice, giunta nella Capitale poco dopo la morte di suo padre e
ospite di una zia e di una cugina tutt’altro che generose,
era convinta che la sua vita sarebbe stata costellata solo
dall’infelicità, prima di essere costretta a
ricredersi la sera che il suo dissoluto e libertino fratello aveva
avuto la prodezza di trascinarla ad uno dei ricevimenti ai quali era
solito imbucarsi, cui, eccezionalmente, erano presenti, in
rappresentanza della famiglia, Tiberio, la sua neoconsorte e il suo
giovanissimo fratello minore Marcello.
Era stata una festa come tante, con molta musica e tanti discorsi
futili, una perfetta vetrina di tutta la sedicente buona borghesia
romana, quindi un evento che, agli occhi del minore dei due fratelli,
si annunciava persino più noioso degli altri. Si stava
appunto allontanando dall’ennesima fanciulla che aveva
cercato, invano, di attaccare bottone con lui, quando era
accaduto l’inatteso: era letteralmente rimasto
stregato dalle iridi blu zaffiro della ragazza che, maldestramente, lo
aveva appena fatto cadere per terra, finendo curiosamente tra le sue
braccia, mentre scappava da un corteggiatore un po’ troppo
insistente.
Dal canto suo, quella fanciulla, abituata a cucirsi i vestiti da sola e
a discorrere per ore di letteratura e opere d’arte, era
rimasta a sua volta rapita dal fascino misterioso di quel giovane, il
più bell’uomo che avesse mai visto, a tratti
così burbero e severo, a tratti così gentile e
delicato.
Tuttavia, a distruggere l’idillio, ci aveva pensato Madama
Claudia, la Matrona, che non voleva assolutamente che il ribelle figlio
minore, avendo ormai passato i venticinque anni, sposasse una fanciulla
senza dote, poiché, anche se i Tornatore non erano nobili,
potevano comunque considerarsi molto ricchi e di antica stirpe.
Ciò che, però, non aveva messo in conto era che a
Marcello piacesse quella giovane bambola e così, era
riuscito a prevalere su di lei, forte dell’appoggio del padre
Giancarlo, sposando, nonostante le proteste fatte anche il giorno del
matrimonio, l’unica donna che avrebbe mai potuto renderlo
felice.
Beatrice, cominciò a sorbire il tè e, nel
riappoggiare la tazza sul piattino, provocò un tintinnio di
ceramica, che si propagò nella mente dell’uomo,
distogliendolo dai suoi pensieri e portandolo a guardare nuovamente la
moglie che, approfittando del momento di quiete, gli
sussurrò, affranta: «Comunque, Marcello, ti prego, cerca
d’esser più comprensivo
con Giancarlo... pensa che
ti vergogni
di lui, sai?»
Nel sentire ciò, Marcello si voltò in direzione
della finestra aperta e, per qualche secondo, contemplò il
cielo.
«Sai bene che non è così, ma non posso
comunque far finta di approvare il suo comportamento
scellerato» mormorò, infine. «Non so
davvero dove ho sbagliato con lui…»
La donna, allora, gli poggiò una mano sulla sua e,
rivolgendogli un’occhiata rassicurante, cercò di
confortarlo: «Non hai sbagliato nulla, l’è
solo che...»
Tuttavia, non riuscì a finire la frase, giacché,
proprio in quel momento, il ragazzo fece la sua comparsa.
«Buongiorno, mamma» esordì, entrando
nella sala con alcuni libri e quaderni in mano.
«Buongiorno... papà».
«Buongiorno,
caro»
gli rispose la madre, sorridendogli.
Marcello, invece, gli scoccò uno sguardo severo, per poi
riprendere immediatamente il suo quotidiano e sparire dietro la prima
pagina, emettendo un grugnito a mo’ di saluto.
«Ti fermi a fare colazione
con noi, Pul… Giancarlo?»
chiese, a quel punto, la donna, lanciando uno sguardo al Quotidiano
seduto al suo fianco.
«No, grazie, mamma, vado di corsa. Questa mattina ho la
lezione di economia finanziaria alle nove in punto, perciò
devo scappare».
Beatrice annuì, sempre sorridendo, mentre la Prima Pagina
continuava nel suo mutismo, e Giancarlo fece finta di niente, abituato
all’atteggiamento ostile del padre.
«Sarà meglio che vada»
annunciò, dando una scorsa veloce al cellulare.
«Buona giornata!»
Si era appena voltato, quando la madre, lasciando che un sorrisetto
furbo si affacciasse sul suo volto, lo richiamò, con tono
apparentemente casuale: «Stai controllando i tuoi
impegni, caro,
oppure aspetti una chiamata
da Emiliano?»
Il figlio si fermò immediatamente e si voltò
verso di lei.
«No, non ce n’è bisogno, ci siamo
già messi d’accordo» replicò,
distrattamente, alzando le spalle.
«Però, deve essere comunque una cosa
importante» insistette Beatrice.
«Sì, certo» rispose il giovane,
continuando a scorrere l’indice sul touch-screen del suo
i-Phone.
«Importante quanto una… ragazza?»
avanzò lei, continuando il suo interrogatorio.
«Eh?» fece l’altro, trasalendo, e facendo
quasi cadere i libri che teneva sotto il braccio.
«Caro,
ho notato che
se’
un pochino
assente in quest’ultimo periodo e il babbo ed io siamo un
po’ preoccupati».
«Parla per te!» replicò, asciutto, il
Quotidiano, increspandosi appena.
La moglie chiuse gli occhi e, dopo aver preso un bel respiro, decise di
ignorarlo e continuare la sua indagine: «Tuttavia, e credo che
sarebbe meno preoccupante,
se ci fosse di mezzo una fanciulla...»
A quel punto, Giancarlo corrugò la fronte e si sedette al
tavolo, appoggiando i libri ed il cellulare da una parte ed afferrando
una fetta di pane tostato dal cestino con la mano libera, convenendo
che, se doveva davvero rivelare tutto ai suoi genitori, era meglio
farlo a stomaco pieno.
«Ecco, a dire il vero, ho conosciuto una ragazza
che...» cominciò a raccontare, dopo aver
inghiottito un paio di bocconi.
Tuttavia, non riuscì a finire, perché il
Quotidiano scoppiò in una risata di scherno: «Una?
E da quando avresti ammesso il concetto di singola unità,
nel tuo sistema numerico?»
«Marcello,
fallo parlare!» intervenne la donna, prendendo le parti del
figlio e rivolgendosi, subito dopo, proprio a lui.
«Caro,
per te l’è davvero così
importante?» gli chiese, gentile.
«Sì, molto» rispose lui, esibendo un
sorriso che aveva un che di imbarazzato.
«Allora perché
non ce la fai conoscere?»
Il ragazzo stava per rispondere affermativamente, quando un
“no” secco riecheggiò nella sala
così si ritrovò a guardare alternativamente sua
madre e la Prima Pagina.
«Perché
no, Marcello?»
si stizzì la consorte.
In risposta, l’uomo abbassò lentamente il giornale
e la guardò severamente.
«Non ho tempo da perdere con le mignotte con le
quali si intrattiene» rispose, secco spostando lo sguardo su
Giancarlo e facendogli un cenno con il capo. «E ti posso
assicurare che, finché in questa casa ci sarò io,
queste mura non saranno spettatrici di alcuna
oscenità!»
Beatrice lo guardò ironica, inarcando un sopracciglio,
disapprovando certi termini con il quali si era espresso il marito,
trovandolo un controsenso: se stava rimproverando il figlio, doveva
almeno dargli il buon esempio!
«Come puoi dire questo, se non l’hai nemmeno mai
vista?» protestò, invece, il giovane, buttando il
resto del pane tostato sul tavolo. «Ti assicuro che non
è come le altre... Se non vuoi dare a me un’altra
possibilità, almeno offrila a lei, che non merita un tuo
giudizio così severo e, soprattutto,
così sbagliato prima ancora di averti conosciuto!»
Dopo tali parole, Marcello lo squadrò attentamente,
rimanendo alquanto sorpreso nel notare che sul volto del figlio, al
posto della consueta e apatica accidia e di quel suo solito sorrisetto
da schiaffi, c’era un espressione decisa e appassionata.
«Perché insisti tanto per farcela conoscere?
Finora hai fatto i tuoi disgustosi comodi tacitamente, come
è negli accordi: fuori di qui puoi fare tutte le nefandezze
di questo mondo, purché tua madre ed io non ne veniamo a
sapere niente» gli ricordò, assottigliando lo
sguardo, sospettoso. «Cosa ti spinge adesso a volerci rendere
partecipi della tua miserabile vita?»
Il ragazzo incassò le offese, consapevole di essersele in
gran parte meritate, ma non si lasciò intimidire e
replicò, con veemenza: «Quando la conoscerete,
capirete. E, comunque, sarebbe opportuno che cominciaste al
più presto a prendere confidenza con quella che, spero,
potrebbe essere la vostra futura nuora».
Beatrice spalancò gli occhi per la sorpresa e trattenne il
fiato, mentre Marcello ebbe la reazione peggiore, poichè
sapendo
che, invertendo l’ordine degli addendi, il risultato non
cambia, arrivò ad un’univoca conclusione: suo
figlio si era fatto incastrare.
Per questo, si mise lentamente in piedi e dardeggiò il
giovane con uno sguardo assassino: «Ah, ora ho capito,
delinquente perverso! Sapevo che, prima o poi, sarebbe finita
così!» esclamò, alzando il tono della
voce.
«No, aspetta, non è come credi tu!» si
affrettò a smentire Giancarlo, diventato scarlatto, dopo
aver intuito a cosa stava pensando il padre. «È
vero, c’è anche un bambino di mezzo, ma ha otto
anni... ed è suo fratello!»
L’uomo lo guardò, scettico, anche se dovette
ammettere che non aveva mai visto il figlio così sicuro e,
allo stesso tempo, così imbarazzato.
«Ti prego, dammi fiducia, almeno per questa volta. Dammi
l’opportunità di dimostrarti che tengo davvero ad
Aida e a Samir…»
Marcello, allora, espirò molto lentamente e
appoggiò le mani sul tavolo.
«Aida? È così che si chiama?»
«Sì. Samir, invece, è il suo
fratellino. Poi ne ha anche uno più grande, Rami, al quale
però non sono affatto simpatico».
«E posso immaginare il perché!»
commentò l’altro, facendo una smorfia.
Per tutto il tempo, Beatrice osservò entrambi, rimanendo
sempre in silenzio e lasciando che fosse il marito a fare le domande
più opportune.
«Quando e, soprattutto, dove l’hai
conosciuta?»
«Mentre ero in vacanza, ad Alessandria» rispose il
ragazzo, senza staccare gli occhi da quelli del padre.
«Studia Belle Arti e lavora insieme a suo fratello per
pagarsi gli studi. Fa la cameriera, è un lavoro di tutto
rispetto, non trovi?» precisò, prima che il padre
giungesse a qualche altra conclusione affrettata.
L’uomo, allora, tenendo i palmi saldamente aderenti al
tavolo, si rizzò in tutta la sua altezza e lo
guardò severamente. Anche se non sapeva se gli stava davvero
raccontando la verità, doveva ammettere che era una storia
troppo limpida e credibile per essere frutto della fantasia del figlio,
per quanto fervida; inoltre, nel caso avesse mentito, prima o poi la
verità sarebbe comunque venuta fuori. C’era da
dire, però, che, quel nome gli aveva subito fatto
riaffiorare alla mente qualcosa che a lui era nostalgicamente noto,
attirando positivamente la sua attenzione.
Nel frattempo, il giovane era rimasto in silenzio, in penosa attesa di
conoscere la risposta.
«E va bene» sospirò Marcello, dopo
secondi che parvero infiniti, «conosceremo questa misteriosa
ragazza, fautrice dell’illuminazione sulla via di Damasco!
Tuttavia, sappi che ti tengo d’occhio» lo
redarguì alla fine, pronunciando quest’ultima
frase molto lentamente.
Giancarlo annuì, con fare consapevole, poi si
alzò, recuperò i libri e, dopo essersi scambiato
un’ultima occhiata con i genitori, li salutò e si
diresse verso la porta.
Rimasta sola con lui, Beatrice si avvicinò al marito e
cominciò a dargli affettuose pacchette sulla spalla,
sussurrandogli dolcemente: «E son sicura che sa quel che fa».
«Me lo auguro» borbottò lui, in
risposta, recuperando il giornale e rimettendosi seduto.
«Altrimenti, preparati a diventare vedova e a venire a
piangermi al cimitero».
La donna sospirò, lasciandosi comunque scappare un sorriso.
«Oh, non essere così
disfattista e catastrofico!»
esclamò, rimproverandolo scherzosamente.
«In effetti, ci sarebbe una prospettiva migliore: venire a
trovare me a Rebibbia e tuo figlio al Verano2»
ribatté lui.
A quel punto, lei scosse la testa e, finalmente, cominciò a
sorseggiare il suo tè, ormai completamente freddo.
***
Test Chi-Quadrato, T di Student, intervalli di confidenza...
statisticamente parlando, quante probabilità aveva di
passare l’esame?
Voltando pagina, Giancarlo smise di tamburellare ritmicamente la matita
contro il libro e buttò giù sul foglio una
formula matematica, alla quale fece seguire una nutrita schiera di
passaggi e calcoli algebrici, che si conclusero con un esiguo numero
decimale. Allora, si fermò, fissò le cifre, e,
per un attimo, smise perfino di respirare, cercando febbrilmente il
risultato dell’esercizio nelle appendici del volume che aveva
fra le mani. Nel vedere che corrispondevano, sorrise, soddisfatto,
prima di tornare a concentrarsi sul problema, risoluto a concluderlo
nel passaggio successivo. E fu proprio quello che fece, confrontando
poi quanto ottenuto con la soluzione data, che coincideva
perfettamente: l’ipotesi poteva essere rifiutata.
Compiaciuto, il giovane depennò l’esercizio dalla
lista e, stiracchiandosi, appoggiò la schiena contro lo
schienale della poltrona di Marcello. Quando ne aveva occasione,
infatti, andava spesso a studiare nella stanza che il padre aveva
attrezzato come studio, poiché aveva una scrivania molto
più comoda della sua, oltre ad essere un ambiente
deliziosamente caldo e accogliente che, per giunta, permetteva di
godere dalla balconata di una fantastica visuale sul parco della villa.
Per qualche secondo ancora, Giancarlo tornò ad ammirare il
piccolo successo raggiunto, dopo di che scorse gli altri esercizi da
fare e ne scelse un altro, visto che la possibilità di
superare bene l’esame di statistica era direttamente
proporzionale alla cura che ci metteva nel prepararlo e
quell’ostacolo del terzo anno di economia doveva essere
oltrepassato.
Tuttavia, doveva ammettere che, con la matematica non aveva mai avuto
un buon rapporto: da adolescente infatti, non aveva fatto altro che
architettare piani sempre più stravaganti per saltare le
lezioni private di algebra, procurando non pochi guai
all’anziano maggiordomo e subendo innumerevoli lavate di
testa da parte del padre, impotente di fronte al fatto che odiava
quella materia quasi quanto preferiva uscire con le sue ragazze.
A quel ricordo così poco piacevole, il suo sorriso si
convertì all’istante in una smorfia di disappunto,
poiché quel periodo gli sembrava molto lontano ed estraneo,
come se non fosse stato lui il protagonista di quelle scorribande.
Tuttavia, subito dopo, poco intenzionato a perdere tempo con quei
fastidiosi aneddoti, scosse la testa, riportando la mente sugli
esercizi, e stava proprio per iniziare una nuova gincana numerica,
quando qualcuno bussò alla porta.
«Avanti!» fece, alzando la testa.
Subito, entrò una donna ben piazzata e dai folti capelli
corvini, che richiuse immediatamente e malamente la porta dietro di
sé, come se fosse stata inseguita.
«Cosa è successo, Annetta?»
domandò il ragazzo, preoccupato.
La governante, allora, fece una smorfia seccata, prima di rispondere:
«Una disgrazia, ecco cosa! Sono appena arrivati la prima
donna e quel damerino del suo fidanzato e vogliono parlarti».
Avendo intuito da quegli epiteti che si stava riferendo alla cugina e
ad Olivier, il giovane si alzò e sospirò:
«Falli accomodare».
Tuttavia, la donna, che aveva una bassa considerazione di Claudia, non
si mostrò d’accordo con quella decisione:
«Ricordati che non sei tenuto a riceverli: stai studiando ed
è molto più importante questo che ascoltare le
loro chiacchiere inutili!»
Giancarlo corrugò la fronte e aprì la bocca per
ribattere, ma non riuscì a dire nulla, perché,
prima che potesse farlo, Annetta scosse la testa e proseguì:
«Ho capito, ma cerca di mandarli via presto,
d’accordo?»
E, dopo aver detto questo, senza aspettare una risposta,
spalancò la porta e attese che i visitatori entrassero.
Claudia avanzò immediatamente, sfoggiando un abito di
velluto color malva, reggendo con la mano destra un paio di guanti di
nappa leggera e con il braccio sinistro una preziosa borsetta abbinata
alle décolletées
in pelle di camoscio che
indossava; i capelli, invece, erano stati minuziosamente acconciati in
splendidi boccoli che scendevano sinuosi da un lato del volto. Subito
dietro di lei, comparve Olivier, rigorosamente azzimato in un
sopraffino completo blu e bianco che gli cadeva perfettamente, mettendo
in risalto la sua figura aggraziata.
«Merci,
madame»
fece ad Annetta, che, invece, fece
una frettolosa, rigida riverenza e lanciò
un’occhiataccia alla ragazza, per poi uscire, sbattendo
leggermente la porta dietro di sé.
«Personale sempre molto scortese e inefficiente,
noto» commentò Claudia, accomodandosi, senza
chiedere il permesso su una delle poltroncine, subito imitata dal
fidanzato.
«In realtà, Annetta è la migliore
governante che potessimo avere» notò Giancarlo,
con una punta di irritazione. «Piuttosto, come mai siete
qui?»
«Ci intratterremo a Roma solo per qualche ora, siamo venuti
perché mi sono resa conto che la moda parisienne di
quest’anno non mi soddisfa. Madame Morue ha
dato un
ricevimento e non posso assolutamente presentarmi con un vestito simile
a quello che ha preparato per quella manche de balai
della figlia.
È ancora convinta che la sua Ottilie sarebbe perfetta come
futura Madame
Boulanger e non perde occasione per mettermi in
difficoltà» spiegò subito Claudia,
visibilmente scocciata.
Sentendo quelle parole, Olivier indugiò di nascosto sulla
figura della fidanzata, pensando evidentemente allo scampato pericolo,
poiché, nonostante fosse superba e altezzosa, fisicamente
non aveva nulla da criticarle.
«Che affronto imperdonabile!» esclamò,
allora, il biondo, ironico, attirando immediatamente
l’attenzione dell’amico, che lo guardò
accigliato, mentre Claudia, invece, lo scrutò con gli occhi
ridotti a due fessure, prima che il suo sguardo cadesse sui libri
aperti sulla scrivania.
«Cosa stavi facendo?» chiese, guardandoli
incuriosita.
«Stavo studiando statistica» rispose Giancarlo, con
noncuranza, lasciando i due sbigottiti.
«Statistica? Tu sei allergico alla matematica!»
strillò subito la ragazza con voce acuta, osservando il
cugino con occhi spiritati.
«Risolverò con un antistaminico, oppure con una
bella dose di cortisone» replicò
l’altro, con leggera strafottenza, cominciando a irritarsi.
«Hai ripreso a studiare?» riprovò
Olivier, scettico. A quel punto il giovane, facendo appello a tutta la
pazienza che aveva e cercando di non essere troppo scortese,
ribatté: «Avete bisogno di certificato timbrato e
firmato dal rettore per esserne convinti, per caso? Sì, ho
ricominciato a frequentare i corsi».
Claudia assottigliò lo sguardo, stranamente risoluta a non
indagare oltre sull’improvviso interesse che il cugino stava
ostentando verso quella materia per lui così ostica.
«Comunque, ancora non mi avete detto perché siete
venuti» riprese Giancarlo, appoggiandosi contro la scrivania
e incrociando le braccia, desideroso di arrivare quanto prima al dunque.
«Oh, vedi, Olivier ed io abbiamo avuto un’idea per
festeggiare adeguatamente la sua vittoria al Bocuse
d’Or» cominciò Claudia,
contenta che le
si desse l’attenzione che desiderava. «Avevamo
intenzione di organizzare il tutto tra qualche settimana, sai, il tempo
di liberarci dagli ultimi inviti... ma l’idea ci è
venuta all’improvviso così, trovandoci nei
paraggi, abbiamo deciso di venirtene a parlare di persona!»
Vedendo che il cugino, però, si limitava a fissarla con un
sopracciglio alzato, senza dimostrare interesse verso ciò
che stava dicendo, la ragazza proseguì: «Stavamo
pensando di fare qualcosa di particolare… una settimana a
Bora Bora a goderci il sole estivo, mentre qui è pieno
inverno!»
A quel punto, tacque, soddisfatta, in attesa della risposta di
Giancarlo, come se pensasse di meritare un premio solo per aver avuto
un’idea del genere. Tuttavia, il biondo non fu dello stesso
avviso, come si affrettò a mettere in chiaro.
«Non credo di poter partecipare, è periodo di
esami e non posso muovermi» spiegò, con tono grave.
«Che cosa?!» strillò l’altra,
con voce acuta.
«Ho l’esame di statistica, in quei giorni,
perciò non posso muovermi» ripeté,
allora, il ragazzo, scandendo bene le parole, come se sospettasse che
la cugina fosse diventata sorda tutto d’un tratto.
«E non puoi telefonare a Palombelli e far spostare
l’appello? Appena sentirà che sei tu, non ti
negherà niente» gli suggerì subito lei.
«Ma sei impazzita o cosa?! Spostare l’appello per
una vacanza? È assurdo, Claudia! Non sono solo io a dover
affrontare quest’esame!»
In quel momento, Olivier aprì la bocca per dire qualcosa, ma
la sua fidanzata lo precedette: «Non ti riconosco
più, sei così... diverso. Immagino che questo tuo
cambiamento dalla notte al giorno sia stato orchestrato da
lei».
Giancarlo si concentrò sul ripiano più alto della
libreria che aveva di fronte, dedicandosi all’inventario dei
volumi lì sistemati, invece di rispondere, non avendo la
benché minima intenzione di mettersi a discutere con la
ragazza di cose che non la riguardavano.
«Come temevo…» commentò
quella, dopo avergli riservato un’occhiata carica di
risentimento. «Se le cose stanno così, fai pure
quello che vuoi, allora, ma spero che, prima o poi, tu riesca a
rinsavire».
Poi tacque per qualche secondo, ma, poiché la gelosia nei
confronti del cugino era più forte di lei, non
riuscì a trattenersi ancora e sbottò:
«Dovresti smetterla di andare dietro a quella piccola
sguattera, non merita le tue attenzioni!»
Il ragazzo, però, continuò a rimanere in
silenzio, deciso a non alimentare oltre una discussione che trovava
insensata: sapeva che Claudia amava profondamente e sinceramente il
fidanzato, ma era anche consapevole del fatto che quella relazione non
le impediva comunque di sopire l’insano e morboso
attaccamento che aveva sviluppato verso di lui, giacché, se
fosse stato per lei, avrebbe voluto per sé sia
l’uno che l’altro.
Finché Giancarlo si era divertito, conscia che le altre
fossero solo insignificanti passatempi, era riuscita a controllarsi,
accettando perfino l’idea che lui sposasse Maria Chiara,
sapendo che non sarebbe stato un problema condividerlo con la
sua
migliore amica. Tuttavia, ciò non sarebbe stato
più possibile, se il ragazzo, invece, si fosse interessato
ad un'altra e il fatto che il biondo, appunto, si fosse invaghito di
una barbara3 di umili
natali, per Claudia, rappresentava il peggiore
degli affronti.
«Ma petite
fleur, va bene così. Non credo che
dovremmo reputarla un’offesa, d’altra parte Gianni
rifiuta per un serio motivo, non è vero, mon ami?»
fece a quel punto Olivier, scoccando all’altro
un’occhiata eloquente e prendendo la fidanzata per una mano.
Intuendo che l’amico desiderava, giustamente, togliere il
disturbo al più presto, il biondo gli rispose, con un
sorriso sghembo: «A quanto pare, mon ami».
L’atmosfera, a quel punto, era diventata piuttosto pesante
così, non avendo altro da aggiungere, il giovane francese
sospirò: «Bene, ora che abbiamo chiarito le cose,
mi pare il momento di andare, Paris
ci aspetta».
Subito, si alzarono entrambi e lui offrì il braccio alla
ragazza, che lo accettò con grazia impostata, senza mai
smettere di scrutare il cugino con rabbia mista a indignazione.
«Au revoir,
Gianni. In bocca al lupo per tutto!» lo
salutò, allora, Olivier, impaziente di togliere le tende.
«Quella servetta scialba e selvaggia non ti merita»
sussurrò, invece, Claudia, poco prima di voltarsi e
andarsene.
«I pregiudizi sono sempre un limite» le rispose
Giancarlo, senza guardarla, «perché giudicare male
gli altri non ti rende una persona migliore».
A quelle parole, l’altra si arrestò sulla soglia,
senza tuttavia aggiungere altro; rimase semplicemente immobile per
qualche secondo, per poi uscire in tutta fretta, seguita prontamente
dal suo ragazzo.
Una volta solo, Giancarlo si riaccomodò alla scrivania, per
nulla toccato dagli infantili capricci della cugina: la principessa
Claudia doveva rassegnarsi al fatto che non tutti fossero disposti a
venerarla e a pendere dalle sue labbra. Inoltre, ciò che
pretendeva in particolare da lui, oltre ad essere egoistico e scabroso,
andava anche contro i suoi sentimenti e desideri. Infatti, per quanto
potesse volerle bene, ciò che provava per lei non era
nemmeno paragonabile a quello che nutriva per Aida.
A lui non importava affatto che non fosse ricca e che non trasudasse
leziosa e seducente femminilità da ogni grado delle sue
curve, poiché aveva una grazia e una dolcezza che non era
riuscito a trovare in nessun’altra donna. E, infatti, solo a
pensarla, il giovane sentì il suo animo farsi più
sereno e nella sua mente cominciò a maturare la decisione di
dare uno scossone a quella situazione fin troppo statica.
D’altra parte, se era vero che i suoi genitori avevano
acconsentito a conoscerla, lui non si era ancora deciso a riferirlo
alla diretta interessata, per paura di ricevere un rifiuto. Tuttavia,
non avrebbe potuto andare avanti in quel modo in eterno, allora,
approfittando del fatto che la concentrazione era ormai svanita, chiuse
il libro con un colpo secco e controllò l’orario.
Non era tanto presto, soprattutto considerando il fuso orario con
l’Egitto, perciò il ragazzo prese il telefono e
cominciò a comporre un numero.
A quel punto, restava solo una persona con cui mettere in chiaro le
cose: Rami al-Nassar, quella volta, avrebbe dovuto ascoltare tutto
quello che aveva da dirgli.
***
Quando il telefono squillò, Aida si precipitò a
rispondere, sotto lo sguardo torbido di Rami, sempre più
meravigliato dalla costanza con cui l’italiano si faceva
sentire. Per essere solo una sciocca infatuazione, quella storia stava
durando da troppo tempo, anche se doveva ammettere che, fino a quel
momento, Giancarlo aveva rispettato tutto quello che aveva promesso
alla sorella. Ogni sera, infatti, la ragazza metteva da parte la
stanchezza derivata dal lavoro extra che aveva accettato per fare un
favore al fratello, per parlare con il suo spasimante lontano e, se era
lei a chiamarlo, la volta successiva era il ragazzo a fare la prima
mossa e viceversa.
Per giunta, quella sera, la fanciulla rispose con un entusiasmo simile
a quello mostrato dalle fidanzate dei militari al fronte, quando
ricevevano una lettera da parte del proprio amato, perché
era una di quelle persone che riescono ancora ad emozionarsi per le
piccole cose.
Rami, perciò, scosse la testa nel vedere un simile
comportamento, riprendendo a seguire il telegiornale, che stava
annunciando proprio in quel momento che un assassino era stato appena
condotto in carcere e sarebbe stato presto sottoposto ad un processo.
Immediatamente, riaffiorò in lui lo sgomento provato quando
dalla medesima fonte aveva appreso ciò che era successo a
suo padre: non avrebbe mai potuto dimenticare l’ansia e
l’angoscia provate in quei momenti e negli otto anni
successivi. Tuttavia, considerando le ultime notizie che aveva ricevuto
in merito, sembrava proprio che la situazione sarebbe migliorata e che
l’uomo stato fuori entro otto mesi: quell’avvocata
inglese aveva fatto un miracolo!
Perciò, nonostante per lui Tornatore rimanesse un idiota, il
giovane dovette ammettere che aveva fatto qualcosa di veramente utile,
anche se, con molta probabilità, era stato mosso da un unico
scopo ben preciso: sua sorella.
«Ah!»
In quel momento, l’esclamazione di assoluta delusione della
ragazza allarmò Rami, il quale sussultò sul
divano e le rivolse immediatamente uno sguardo preoccupato osservando
l’espressione triste sul suo volto. Quali oscenità
le stava dicendo quell’essere?
Insospettito e deciso a prendere il telefono per rispondere per le rime
a quel dongiovanni da strapazzo, si alzò e si
avvicinò alla sorella, ma, inaspettatamente, non dovette
nemmeno aprire bocca per avere ciò che voleva..
«Stasera non vuole parlare con me, ma con te» gli
spiegò lei, guardandolo torva.
«Con me?» ripeté meccanicamente il
concierge.
Aida annuì, abbastanza infastidita prima di allontanarsi,
contrariata. Dal canto suo, Rami fissò per parecchi istanti
e con aria interrogativa la cornetta, come se potesse rivelargli
perché mai Giancarlo Tornatore volesse parlare con lui,
anziché fare il solito galletto gaudente con la sorella.
Quando il concierge uscì dall’ufficio, tre quarti
d’ora più tardi, aveva un’aria
meditabonda.
Aida e Jamila stavano parlottando a bassa voce nell’ingresso,
riposandosi dalla stressante giornata di lavoro, giacché,
nonostante fosse gennaio avanzato, i clienti non erano certo pochi.
Samir, invece, picchiettava pigramente la stilo sullo schermo della
console, sbadigliando, con le palpebre sul punto di chiudersi, segno
che non sarebbe rimasto sveglio ancora a lungo.
Quando si accorse della comparsa di Rami, però, le due
ragazze smisero immediatamente di parlare, in attesa che riferisse loro
qualcosa.
«Allora?» lo incalzò poco dopo Aida, che
non riusciva a mettere a tacere la curiosità e si aspettava
una seria motivazione al rifiuto di Giancarlo di parlare con lei.
«Ha detto che deve parlarmi di persona di cose importanti e
che vorrebbe che tu conoscessi i suoi genitori».
Non avendo messo nemmeno lontanamente in conto questa ipotesi, la
ragazza spalancò gli occhi, esterrefatta.
«Il biondino strafigo
fa sul serio, Dada» commentò, invece, Jamila con
un sogghigno, accomodandosi meglio sul divano. «A quanto
pare, l’hai proprio steso!»
A quel commento, l’altra la guardò, ma non
riuscì a spiccicare mezza parola, incapace di emettere anche
solo monosillabi.
Il fratello guardò la sua fidanzata in tralice, poi
proseguì: «Gli piacerebbe che andassimo tutti e
tre a Roma l’ultima settimana di febbraio».
«E noi ci andremo, vero?» intervenne Samir, che nel
frattempo si era ridestato del tutto.
Rami trasalì, non aspettandosi che anche lui avrebbe
partecipato alla conversazione.
«Samir, ma non stavi dormendo?!» sbottò.
«Andiamo da Giancarlo, vero, Rami? Dai, ti prego-ti
prego!» lo supplicò il bambino, saltellandogli
tutt’intorno.
«E tu... cosa gli hai detto?» chiese Aida, allora,
sulle spine, ritrovando la capacità di parlare.
«Già, cosa gli hai detto?» le fece eco
Jamila, squadrando sospettosa il ragazzo.
«Eh, cosa gli ho detto… che ci andiamo!»
sbuffò lui, infastidito dal fatto che gli stessero tutti
addosso. «Tuttavia, ho accettato solo perché sono
mesi che il mio amico Domenico mi chiede di andare da lui, per aiutarlo
a risolvere alcuni problemi che ha con l’hotel che gestisce a
Piazza Barberini» precisò subito dopo.
«Inoltre, non ci fermeremo più di due
giorni».
«Ti sei sprecato!» commentò la
fidanzata, incrociando le braccia e facendo una smorfia di
disapprovazione.
Samir, felice per quella novità, si attaccò
subito ad una gamba del fratello grande ed esultò:
«Grazie, Rami, grazie!»
«Sul serio, Rami... grazie» ripeté Aida,
ancora un po’ stordita dagli ultimi eventi.
«I tuoi fratelli sono dalla parte del biondino, mio
caro» gli fece notare Jamila, facendo schioccare la lingua.
Il ragazzo emise in risposta un grugnito di disappunto, staccandosi
Samir di dosso e mettendolo sul divano: «Non riesco proprio a
capire perché tu stia perdendo il tuo tempo con
quello» sbuffò, rivolto alla sorella.
«Mi pare che tu abbia già un pretendente di tutto
rispetto!»
La fanciulla aprì la bocca per replicare, ma
l’amica la precedette.
«Ancora insisti, Rami? Mohammed non va bene per Aida, lo sai
che non ha alcun interesse verso di lei e che la sposerebbe solo per
amicizia verso di te!» esclamò, furibonda.
«E poi, ha più di quarant’anni,
è scontroso e non parla nemmeno sotto tortura, praticamente
è una mummia! Questa bella ragazza merita un corteggiatore
giovane, affascinante e con una buona prestanza fisica, che possa farle
tutte le coccole
che merita» concluse, riservando all’amica
un’occhiata maliziosa.
Le ultime parole, però, ebbero il potere di far avvampare
Aida, che, istintivamente, abbassò subito lo sguardo.
«Dada, stai bene?» le chiese immediatamente il
fratellino, preoccupato, prendendole una mano, e lei gli sorrise,
annuendo.
«Sì, Samir, non preoccuparti».
«Figurati, quello
non vede l’ora di fare una cosa del genere!»
replicò, invece, Rami, spazientito. «Voglio
proprio vedere cosa ha in mente Tornatore, ma, se pensa che con me
avrà vita facile, si sbaglia di grosso!»
La giovane avvertì dentro di sé una confusione,
un miscuglio di emozioni che non aveva mai provato prima: esattamente,
cosa c’era ad attenderla?
Per saperlo, però, non poteva fare altro che aspettare,
poiché, prima o poi, quel mese e mezzo sarebbe passato e,
allora, tutti i misteri sarebbero stati svelati.
***
Rami osservava con fare interessato il raffinato arredamento esposto
nel salotto in cui li aveva fatti accomodare una burbera governante,
contemplando, in particolare, il pavimento.
«Tappeti della migliore fattura persiana!»
esclamò, interessato. «Inoltre, presumo che questo
sia quel marmo di Carraia
tanto prezioso che nomini sempre».
“Carrara”
lo corresse mentalmente la sorella che, faticando a gestire
l’ansia per l’imminente incontro con i genitori di
Giancarlo, non aveva neanche osato alzare gli occhi su tutta
quell’opulenza. Figurarsi fare congetture sulla provenienza
dei materiali e degli oggetti d’arredo!
Tuttavia, non soddisfatto per via dell’indifferenza della
ragazza, l’altro insistette: «Sai, credo che ti
converrebbe proprio sposarlo. Male che vada, potresti sempre chiedere
il divorzio dopo qualche mese... Scommetto che potremmo vivere
tranquillamente tutti e tre, per un anno intero, con un solo assegno
mensile!»
A tale considerazione, Aida sobbalzò e fulminò il
fratello con lo sguardo, indignata.
«Rami! Sei disgustoso! Perché mi devi sempre far
vergognare per quello che dici?» replicò poi,
indispettita da tanta strafottenza.
Dal canto suo, lui, per nulla intimidito dal rimprovero della
fanciulla, sogghignò.
«Forse hai ragione, questi snob occidentali non potrebbero
mai ammettere una schiava africana alla loro corte, meno che mai
lasciarti avvicinare al loro rampollo, perché non faresti
altro che insudiciare il loro nome. Sono convinto che, in
realtà, hanno già deciso chi dovrà
sposare quel riccastro
viziato…» commentò,
gesticolando con fare sprezzante. «In fondo, lo sai anche
benissimo tu che ti hanno fatta venire qui solo per
umiliarti!»
«Oh, ma noi non siamo così cattivi!»
replicò una voce profonda alle loro spalle. «E
nemmeno così attaccati ad arcaiche e obsolete convenzioni;
però, devo ammettere che hai fatto bene a chiamare quel
mascalzone riccastro
viziato».
Immediatamente, i tre fratelli si voltarono nella direzione da cui era
arrivato il suono e videro un uomo di bella presenza e dal portamento
elegante che avanzava verso di loro.
«Mia moglie e mio figlio saranno qui a momenti, ma credo che,
almeno tra di noi, possiamo cominciare a presentarci…
Marcello Tornatore, piacere di conoscervi» fece
l’uomo, tendendo loro garbatamente la mano.
«Immagino voi siate Rami, Samir e... Aida»
aggiunse, soffermandosi a guardarla per qualche secondo.
Lei annuì lentamente, in leggera soggezione,
giacché aveva capito chi era prima ancora che si presentasse
grazie alla grande somiglianza con il figlio. Certo, le iridi di
Marcello erano verde
chiaro, il volto non imberbe e nel fisico dimostrava un più
maturo e accentuato vigore, ma, fondamentalmente, erano uguali.
Rami, invece, era ammutolito, spiazzato da quel faccia a faccia
immediato e inatteso con il padrone di casa, anche perché
sapeva con certezza che l’uomo aveva sentito tutto quello che
aveva detto. In quel momento, per una volta, il ragazzo si
ritrovò a biasimare la sua bocca larga.
«Tu sei il papà di Giancarlo?»
domandò, allora, Samir, avvicinandosi a Marcello.
Quel confidenziale intervento, però, richiamò
prontamente sia Aida che Rami, i quali si riebbero malamente dallo
stato catalettico in cui erano caduti.
«Samir... che modi sono!» lo sgridò la
sorella.
«No, non c’è bisogno di rimproverarlo,
non ha fatto niente di male. È solo un bambino»
replicò pacatamente l’uomo, prima di rivolgersi
direttamente a lui. «Sì, sono io. Mio figlio mi ha
raccontato che sei un appassionato di beyblade».
«Oh, sì, mi piace tanto giocarci!»
esclamò il piccolo, spalancando gli occhi per
l’entusiasmo. «Spero un giorno di diventare un
campione, proprio come Giancarlo».
Incurvando lievemente le labbra, Marcello gli scarmigliò
affettuosamente i capelli e lo incoraggiò: «Sono
certo che puoi puntare molto più in alto e diventare perfino
più bravo!»
A tali parole, il bimbo sorrise, raggiante e stava per aggiungere
qualcosa, quando, fecero il loro ingresso Beatrice e Giancarlo.
Rami, scorgendo la donna, strabuzzò gli occhi,
perché aveva immaginato la madre del giovane come una
vecchia e rinsecchita megera, invece, si era ritrovato davanti una
giovane donna affascinante, davvero simile alla Primavera di quel tale
che piaceva tanto alla sorella... come si chiamava? Ponticelli, forse?
Aida, da parte sua, sentì il proprio cuore sussultare quando
rivide il ragazzo: aveva un aspetto decisamente più fresco e
riposato, perché i mesi di vita regolare dovevano aver
sortito il loro effetto, ma, per il resto, aveva gli stessi capelli
biondi con quei buffi ciuffetti ribelli, gli stessi occhi blu
magnetici, lo stesso fisico slanciato e tonico.
Nello scorgerlo, Samir, invece, non perse tempo e gli saltò
subito in braccio.
«Ecco il mio sfidante preferito! Allora, che cosa mi
racconti?» lo salutò il biondo, facendogli fare
una piccola giravolta.
A quel punto, Beatrice si avvicinò al marito e agli ospiti,
rivolgendosi direttamente a loro: «Benvenuti, cari! Siamo molto contenti che abbiate accettato il nostro
invito».
Poi, strinse gentilmente la mano alla fanciulla e poi al giovane, il
quale, però, si dimostrò assai restio a lasciare
la presa.
«Grazie a voi» rispose educatamente Aida per tutti,
cercando di esprimere tutta la sua riconoscenza.
La donna rimase a guardarla un po’, sorridendo amabilmente,
ma, subito dopo, arrivarono Giancarlo e Samir e l’attenzione
di Beatrice fu catturata immediatamente dal bambino.
«Oh, ma l’è così piccino! Posso
prenderlo in braccio?» chiese, all’indirizzo dei
due fratelli.
Aida aveva appena aperto la bocca per replicare, quando fu anticipata
da Rami, che si affannò subito a rispondere:
«Certamente... se a lei fa piacere!»
Così, avendo ricevuto il permesso, la donna lo
carezzò con lo sguardo e gli domandò:
«Samir, vorresti venire un po’ con la
Beatrice?»
Il bambino la fissò per qualche secondo, poi, fidandosi del
suo atteggiamento dolce e materno, annuì.
A quel punto, il figlio le passò con cautela il bimbo, come
se stessero maneggiando chissà che antico e prezioso
cimelio; quando poi il ragazzo fu libero, si avvicinò ai due
fratelli.
«Grazie di aver accettato» fece al giovane, prima
di girarsi subito verso la fanciulla e sciogliersi istantaneamente:
«Sono contento che tu sia qui…».
In risposta, Aida assunse un’espressione tanto lieta quanto
imbarazzata e si limitò a sorridere. Allora Marcello, che
non si era perso nulla delle reazioni di lei, né tanto meno
di quelle di Giancarlo, istintivamente cercò con lo sguardo
la moglie, che, con una sincronia simbiotica, fece lo stesso con di
lui: era dunque quella la ragazza che aveva mandato in brodo di
giuggiole il loro scapestrato figlio?
Al contrario di quello che aveva immaginato Rami, Beatrice e Marcello
si dimostrarono molto benevoli con tutti e tre e, superato
l’imbarazzo iniziale, dovuto alla pessima figura che aveva
fatto al suo arrivo, il ragazzo riuscì anche ad impostare un
fluente discorso con il padrone di casa, rimanendo seriamente colpito
dalla vastità di argomenti che sapeva trattare in modo molto
approfondito, senza inciampare nella saccenteria. Beatrice, invece, si
divertì a coccolare il piccolo Samir come un figlio,
discutendo contemporaneamente con la ragazza e informandosi sulle sue
preferenze artistiche e sugli studi che le accomunavano.
Non erano passate nemmeno due ore che già Aida e Rami, con
grande sorpresa, erano arrivati alla stessa conclusione: Marcello e
Beatrice erano davvero strani per essere dei ricchi borghesi abituati
alla vita di società in una città così
grande. Infatti, nonostante fosse molto evidente che i due coniugi
appartenevano alla Roma bene, non erano costruiti né
affettati. Tuttavia, se da una parte i fratelli maggiori erano rimasti
abbastanza interdetti da quella rivelazione, dall’altra,
Samir si era immediatamente adagiato nel clima armonioso aleggiante a
Villa Aurelia, come se gli fosse stato familiare da sempre: era sereno
tra le braccia della donna, percepita come una madre.
Durante la cena, infatti, Giancarlo aveva lasciato che i suoi genitori
gestissero la situazione come meglio credevano, affidandosi alla loro
esperienza e sapendo che non avrebbero mai fatto nulla per mettere a
disagio gli ospiti, prendendo sì e no qualche boccone e
dedicandosi, quindi, esclusivamente ad ammirare la sua Aida, la quale
aveva risposto ai suoi sguardi incantati accennando timidi sorrisi.
Ovviamente, Marcello non si era perso una virgola nemmeno di questo,
ma, come sempre, non lo aveva dato a vedere.
Una volta terminato il pasto, i tre vennero fatti accomodare in
soggiorno e, a quel punto Samir cominciò a dare segni di
cedimento, sbadigliando e lasciando che, ogni tanto, gli si chiudessero
le palpebre; il viaggio era stato lungo e su un bambino così
piccolo la stanchezza stava prendendo facilmente il sopravvento.
Allora, il biondo si decise a chiedere a Rami un colloquio privato,
staccandosi, anche se di malavoglia, dalla fanciulla e affidandola alla
compagnia dei suoi genitori, prima di condurre l’altro in un
salottino un po’ appartato e ammobiliato in stile impero con
tonalità verde e oro; dal soffitto, pendeva un lampadario in
cristalli di Boemia, che tracciava sul muro sottili giochi di luce
policroma.
Dopo aver fatto entrare il suo ospite, Giancarlo richiuse la porta
dietro di sé e lo invitò ad accomodarsi su un
divanetto accanto al camino, mentre lui prese posto su quello di fronte.
«Desideri bere qualcosa?» gli chiese, mentre si
sistemava meglio.
A quella richiesta, Rami aggrottò la fronte, stupito.
«Cos’è, un modo per farmi vedere come si
trattano gli ospiti, per caso?»
Il biondo fece una smorfietta divertita e replicò:
«Be’, aggredirli non è certamente molto
educato».
L’altro socchiuse appena gli occhi, ma scosse la testa e
decise di andare avanti: «Dunque, cosa devi dirmi di
così importante da farmi correre a Roma e da non poter
aspettare che papà esca di prigione?»
Giancarlo, a quel punto, spostò lo sguardo sul pavimento, in
cerca delle parole più giuste per dire ciò che
voleva, ma alla fine, per scaricare la tensione, si alzò
dalla poltrona, avvicinandosi alla finestra e scrutando il buio del
giardino.
«Non lo immagini?»
«In parte» rispose immediatamente il suo
interlocutore. Poi fece una piccola pausa e aggiunse: «Quali
sono le tue intenzioni con lei?»
A quella domanda, il giovane si voltò immediatamente,
contento di poter entrare subito in argomento senza fare inutili giri
di parole: «Bene, vedo che ti piace andare subito al
sodo».
«Tornatore, mia sorella non è interessata a farti
da concubina nel tuo harem»
lo incalzò subito Rami, fissandolo severamente.
«Ha sognato una vita semplice fin da bambina, con un lavoro
che abbia a che fare con i suoi artisti, una famiglia salda con dei
figli ed un marito che la rispetti e che le voglia bene. Ma, per
realizzare tutto questo, non le servirà la tua
misericordiosa mano».
Inasprito da quell’ultimo comento, il biondo
inarcò un sopracciglio e commentò:
«Dovresti sapere che Aida non si lascerebbe mai comprare. Se
fosse stato così, non mi sarebbe interessata».
Sorpreso da una tale risposta, Rami si alzò a sua volta e si
avvicinò a lui finché non fu solo a qualche passo
di distanza.
«Cosa vuoi che ti dica, allora?»
«Nulla, tu devi solo starmi ad ascoltare e, questa volta, per
davvero» affermò Giancarlo, allontanandosi da lui
e iniziando a passeggiare su e giù per la stanza. Deciso a
dire tutto quello che sentiva all’altro, si concesse qualche
secondo per ordinare le idee, quindi prese un respiro e
cominciò: «Al contrario di Aida, fino a qualche
mese fa, io non avevo la più pallida idea di che cosa avrei
fatto della mia vita. Non sapevo cosa avrei fatto da grande,
l’unica cosa di cui ero certo era che non sarei mai stato
all’altezza di mio padre, e non avevo nemmeno alcuna
intenzione di sposarmi, per quanto mia cugina si fosse adoperata per
trovarmi un’adorabile mogliettina,
degna del nostro
status».
Rami, però, non disse niente, rimanendo immobile nella sua
posizione limitandosi a seguirlo con lo sguardo.
«Ero solo un gretto, apatico, menefreghista e materialista.
Non volevo avere preoccupazioni o pensare al futuro ed ero soddisfatto
dalla realizzazione istantanea di ogni capriccio che mi passasse per la
testa. Se volevo una cosa, la prendevo. Così, semplicemente:
detto, fatto!» esclamò, schioccando le dita.
«E con le ragazze non ero diverso: se me ne piaceva una o
anche più, facevo di tutto per portarmele a letto, senza
tanti scrupoli. D’altra parte, a loro non interessava chi o
come fossi, l’importante era che le ricompensassi bene. Non
ne vado fiero, ma questa è la verità, la stessa
che ho già raccontato ad Aida».
A quel punto, ritornò sui suoi passi e si
avvicinò nuovamente al ragazzo, guardandolo con estrema
fermezza.
«Vedi, al-Nassar, quando mi hai inveito contro, avresti
potuto avere ragione su quello che le avrei fatto, se… tua
sorella non fosse stata quello che è».
Alle orecchie di Rami, tale frase dovette sembrare poco meno di uno
scioglilingua, giacché inclinò la testa da una
parte e lo scrutò perplesso, ma Giancarlo non vi
badò e, senza esitazione, proseguì:
«È stata la grazia
di tua sorella, così pura e lontana dalle cose meschine di
questo mondo, a farmi capire quanto stessi sbagliando e il suo carisma
è stato un vero e proprio dono4
per me,
ricevuto affinché prendessi coscienza di quello che ero
diventato. Perché aspirare ad averla solo per una notte,
quando avrebbe potuto illuminare tutta la mia vita? Potrà
sembrarti una stupida e banale frase fatta, ma Aida
è la mia luce e vorrei averla sempre con me.
Io…» a quel punto fece una pausa, prima di
arrivare al punto più importante del suo discorso.
«Vorrei chiederle di diventare la mia fidanzata e, quindi, di
sposarmi. Per quanto intensamente la possa desiderare, non
potrò mai avere la sua dolcezza, se non sarà lei
a concedermela: questa volta, infatti, volere qualcosa non
basterà per ottenerla. Per questo ti chiedo di concedermi
l’opportunità di chiederle che cosa ne
pensa».
Aveva detto tutto questo senza mostrare alcun tipo di insicurezza, non
vacillando neppure per un istante, ispirato da un sentimento che, fino
a qualche prima, aveva deriso e considerato una debole favola per gli
stolti: l’amore
non esiste, c’è solo
l’appagamento degli istinti. Tuttavia, questo
era stato prima
di conoscere Aida...
«Infatti, è con lei che devi parlare»
replicò Rami, dopo aver riflettuto per diversi secondi.
Giancarlo sollevò lo sguardo su di lui, distogliendo
l’attenzione dai suoi pensieri che, come sempre, convergevano
sulla giovane.
«Intendo dire che approvo il fatto che debba essere Aida a
decidere» aggiunse l’altro, cominciando a
passeggiare avanti ed indietro a sua volta.
«Anch’io ho i miei torti: sono stato egoista con
mia sorella, volevo solo che rimanesse accanto a me e a Samir. Non mi
importava che dovesse rinunciare alla sua felicità, che
dovesse sposare un uomo che non la ama, perché volevo solo
che non si allontanasse da noi, dalla sua famiglia. Sono stato un
pessimo fratello e ora tu hai tutto il diritto di prenderti la tua
vendetta».
«Non mi interessa la vendetta, non ci trovo più
nulla di appagante nel vedere soffrire i nemici»
affermò il biondo, mesto, appena l’altro
finì di parlare.
Colpito da quelle parole, Rami, girò la testa verso di lui e
si arrestò di colpo, fissandolo attentamente, prima di
riprendere a camminare.
«Ero talmente accecato da ciò che volevo io che
non ho voluto vedere quanto sinceramente fossi interessato a
lei» ammise, dopo qualche secondo. «In fondo, credo
che tu abbia il diritto di chiederle tutto quello che vuoi. Se anche
lei ti ama, non posso impedirti di entrare nella sua vita».
Tuttavia, Giancarlo non aveva nemmeno finito di meravigliarsi per una
tale affermazione, che l’altro tornò a guardarlo
severamente e aggiunse: «Tornatore, solo una cosa, da uomo a
uomo: se mia sorella dovesse dirti di sì, vedi di
raffreddare la tua tempra focosa e di tenere le mani al loro posto.
Vacci piano con lei e comportati come il gentiluomo che dici di
essere».
«Certo che, quando ti fissi, non c’è
modo di farti cambiare idea, eh! Ti risulta che le abbia mai fatto
qualcosa di male?» ribatté quello arrossendo
leggermente.
«No, finora no, ma non dimenticarlo»
precisò Rami. «Per colpa mia, Aida non ha mai
avuto un fidanzato, dato che non le ho mai permesso di cercarlo,
perché troppo
impegnato a propinarle pretendenti più vecchi di lei.
Perciò, tu vedi di fare le cose con delicatezza e di
ricordarti sempre la sua situazione».
Il biondo, allora, sospirò, arruffandosi i capelli, in
evidente imbarazzo.
«Sinceramente, non vorrei mai metterla a disagio o in
difficoltà» mormorò.
«Se così non dovesse essere, sappi che non
sarò indulgente con te».
«Be’, in questo caso, credo che dovrai metterti in
fila, al-Nassar, perché, se non dovessi rigare dritto, il
primo a farmelo scontare sarebbe mio padre».
A quel punto, i due giovani si guardarono e Rami lasciò che
sulle sue labbra affiorasse un sorriso sornione.
«Non penso che avrai problemi a dichiararti,
perché la parlantina non ti manca di certo. Il discorso che
hai fatto prima è stato molto, come dire... toccante.
Peccato che non dovessi convincere me a sposarti».
Giancarlo inarcò un sopracciglio e, con una smorfietta
ironica, commentò: «Oh, ma sarebbe stato inutile,
perché tra di noi non funzionerebbe: sei troppo serio e
scorbutico!»
«E tu sei un irritante saltimbanco!»
replicò l’altro, irritato, fissandolo torvo,
subito pienamente ricambiato: la maturità che avevano
dimostrato fino a quel momento sembrava già essersi
dileguata.
Trascorse qualche istante di silenzio, poi, stancamente, Rami
sospirò, per affermare subito dopo: «Si
è fatto tardi e dobbiamo andare, però prima
vorrei ringraziare i tuoi genitori per
l’ospitalità».
Il giovane annuì e lo invitò a seguirlo fuori
dalla stanza, ma, di punto in bianco, quello lo fermò,
prendendolo per un braccio e puntandogli negli occhi uno sguardo a
metà tra il severo ed il malinconico.
«Ti sto concedendo di prenderti una delle cose più
belle e preziose che ho. Cerca di compensare le mie mancanze verso di
lei, Giancarlo».
Esterrefatto da quella rivelazione, il ragazzo ci mise qualche istante
per annuire e manifestare all’altro il massimo grado di
riconoscenza che sentiva di dovergli esprimere.
«Lo so. E, credimi, se accetterà la mia proposta,
farò di tutto per renderla felice, Rami».
***
Beatrice invitò i ragazzi a tornare anche
l’indomani, prima che lasciassero la Capitale alla volta di
Alessandria, e l’entusiasmo di Samir, al quale erano piaciuti
molto entrambi i coniugi, non lasciò possibilità
di appello ai due fratelli maggiori, che non poterono fare altro che
accettare.
Quando per gli ospiti arrivò l’ora di andar via,
Giancarlo li accompagnò di persona alla porta e il bambino
lo salutò con un bacetto affettuoso sulla guancia, tuttavia
Rami non permise che la sorella gli riservasse lo stesso trattamento,
anche se il giovane non si perse certo d’animo e
augurò la buonanotte alla ragazza con il tono più
passionale di cui era capace, suscitando un grugnito contrariato da
parte del ragazzo.
Ciononostante, Aida ignorò quell’intromissione,
rispondendo al giovane con la sua solita dolcezza e, qualche minuto
più tardi, i tre si congedarono definitivamente, scendendo
la scalinata elicoidale in travertino verso il taxi che era arrivato a
prenderli.
Rimasto solo, il giovane rimase a guardare per qualche istante il punto
in cui lei era scomparsa, per poi sospirare e decidersi, finalmente, a
rientrare. Tuttavia, mentre era diretto in camera sua, con tutte le
intenzioni di prendersi un po’ di tempo per lasciarsi cullare
dalla gioia di aver rivisto la ragazza dopo mesi, si sentì
richiamare a gran voce.
«Dove credi di andare? Non pensare di potertela svignare
così facilmente! Dobbiamo parlare!».
«E di cosa?» fece lui, vago, voltandosi verso il
padre, che lo fissava ad occhi socchiusi, con le mani ben piantate sui
fianchi.
«Dell’aumento del livello del Tevere in seguito
alle piogge invernali» rispose quello, ironico.
«Davvero? Eppure, ultimamente, non sta piovendo
molto…» replicò con strafottente
facezia Giancarlo che, ancora su di giri per la giornata appena
trascorsa, non riuscì a dire qualcosa di più
serio.
Tuttavia, Marcello non sembrò apprezzare particolarmente
quella trovata di spirito, perché, dopo avergli riservato
un’occhiataccia, lo redarguì: «Non osare
prendermi per i fondelli, maleducato! Anche se so da chi tu abbia preso
questo atteggiamento, dato che io ho cercato, invano, di importi un
po’ di buone maniere. Di cosa vuoi che si debba parlare,
secondo te?»
«Non possiamo farlo domani, papà?»
suggerì il figlio, anche se, conoscendo il genitore, sapeva
di nutrire speranze piuttosto vane che potesse cambiare idea.
Infatti, quello non tardò a replicare, secco: «Tra
due minuti nel mio studio. E ti conviene venirci di tua sponte,
altrimenti ti ci porterò io... trascinandoti per le
orecchie!»
Non potendo declinare un invito così gentile, Giancarlo si
arrese all’evidenza e, dopo essere entrato nello studio del
padre, si andò a sedere sul divano porpora damascato,
accanto a sua madre, già lì ad aspettarli.
Intanto, Marcello si aggirava per la stanza come un leone in gabbia,
con un’espressione seria, le mani incrociate dietro la
schiena, come se fosse alle prese con una teoria che non riusciva ad
accettare. Poi, di punto in bianco, si arrestò davanti al
figlio e, dopo averlo squadrato a lungo, esordì, duro:
«Sul serio Aida non è incinta?»
«Non so più come dirtelo... no! Durante quei tre
giorni non l’ho nemmeno sfiorata! E poi, se fosse come dici
tu, non credi che sarebbe evidente, a quest’ora?»
sbuffò il ragazzo, il cui viso era ormai in tinta con la
tappezzeria del sofà. «Perché ti ostini
a non volermi credere?»
L’uomo, allora, si protese verso il figlio e
scandì, molto lentamente: «Perché mi
sembra molto strano che tu possa interessarti ad una ragazza del
genere. Sinceramente, credevo che avrei conosciuto un prototipo di
“Barbie
avventura alla piramide di
Cheope”».
«Oh, Marcello, non fare queste battute!» lo riprese
immediatamente la moglie che, all’uscita del marito, aveva
trattenuto a stento un sorriso.
Quello, però, si voltò verso di lei ed aggiunse,
serio: «Non sono battute, Beatrice. Non puoi certo negare che
quella è una ragazza normale».
La donna non rispose, girandosi verso il figlio che, dal canto suo,
socchiuse appena gli occhi, giacché il padre aveva aggravato
quell’aggettivo con un’inflessione che non era
riuscito a decifrare.
«E dove sarebbe il problema, scusa? Io la trovo eccezionale.
E, comunque, ormai Rami mi ha dato il permesso di chiederle di
sposarmi».
A quel punto, Marcello si tirò su e lo squadrò,
tra lo scettico e lo sprezzante.
«Tu vorresti… sposarla?»
Al ragazzo, però, non piacque affatto l’enfasi
negativa che c’era in quella domanda e cominciò ad
inquietarsi.
«Certamente» ribatté, irritato.
«Io voglio che diventi mia moglie».
A quel punto, ci fu qualche istante di silenzio assoluto, durante il
quale l’uomo studiò attentamente il figlio, senza
tradire alcuna particolare espressione e Giancarlo sostenne quello
sguardo inquisitorio con grande dignità, non lasciandosi
prevaricare, nemmeno quando il padre riprese a stuzzicarlo:
«Sicuro di aver scelto bene? Hai capito con che tipo di
ragazza vorresti condividere la tua vita?»
Dopo quell’ennesima insinuazione, il giovane non
riuscì più a trattenersi e si alzò in
piedi, sbottando: «Quindi, è vero: sei convinto
che Aida non sia al nostro livello. Davvero credi che non vada bene per
me solo perché ha la pelle scura e non appartiene ad una
famiglia altolocata?»
Tuttavia, con sua grande sorpresa, tali parole non sortirono alcun
effetto su Marcello, che si limitò a guardarlo di sottecchi.
«Sai, mi sono sempre chiesto se ci fossi o ci facessi e,
finalmente, ho capito che ci sei. Oppure, lo fai apposta per farmi
schiattare»
lo apostrofò. «Infilati bene
in quella zucca vuota che non sto dicendo che Aida non va bene per te,
ma l’esatto contrario: sei tu che non vai bene per
lei».
«C-Cosa?» balbettò, allora, il giovane,
sbigottito.
«Ora che ho avuto modo di conoscerla, mi sono reso conto che
si tratta di una persona vera, con dei sentimenti! Niente a che fare
né con Maria Chiara, che è tanto cara ai tuoi
zii, né con le puttane
che...»
«Certo
che, Marcello, potresti anche parlare in
maniera
più pulita!» intervenne la moglie, interrompendolo
a metà frase, indignata dalla piega che stava per prendere
la conversazione. «Rimproveri nostro figlio, ma anche tu l’hai
le tu’
pecche!»
«A volte, Beatrice, solo certe parole rendono bene
l’idea» ribatté, però,
l’uomo, sicuro. «Comunque sia, stavo dicendo che
Aida non è certo come le poco di buono che era o
è abituato a frequentare. Effettivamente, che sia solo
passato è da accertarsi».
Nell’udire le ultime parole, Giancarlo si risentì
della diffidenza che continuava a dimostrargli il padre e non
tardò a far valere le proprie ragioni: «Io non
sono più quello di una volta, sono cambiato,
papà! E voglio sposare Aida perché ne sono
seriamente innamorato!» esclamò, deciso. Tuttavia,
ancora una volta, Marcello rimase del tutto indifferente, per poi
replicare con sorprendente rapidità.
«Hai mai pensato che, magari, lei potrebbe non volerti
sposare? Dai per scontate troppe cose, Giancarlo. Perché
dovrebbe rovinarsi con uno come te, quando può avere un
ragazzo come si deve? Ricordati che è una testa pensante e
non si farà manovrare come le altre»
considerò l’uomo, fermandosi un attimo per
conferire più enfasi a quanto espresso. «Non
è un’oca che si esprime a monosillabi... cosa se
ne deve fare di uno che la sposerebbe solo per esibirla come un trofeo,
tradendola di continuo con la prima scema che gli si concederebbe senza
ritegno?»
A quel punto, il ragazzo, adirato per quell’insistente
mancanza di fiducia da parte del genitore, scattò in piedi,
digrignando i denti e fissando l’altro con gli occhi ridotti
a due fessure.
«Già, hai proprio ragione, la esibirei come un
trofeo!» ringhiò. «E sai il motivo?
Perché è stata l’unica alla quale sono
piaciuto per quello che sono, che ha provato a migliorarmi senza
stravolgermi. Che tu lo voglia o no, ti garantisco che le
chiederò di sposarmi, perché deve sapere quello
che provo per lei!»
Tuttavia, nemmeno questa appassionata dichiarazione ebbe il potere di
smuovere Marcello Tornatore, il quale non fece una piega,
né, a maggior ragione, si lasciò minimamente
commuovere.
«A parole sembri molto bravo... ora, però, voglio
proprio vedere se saprai tradurle in pratica: se quella ragazza dovesse
follemente dirti di sì, ricordati ciò che sto per
dirti» lo ammonì l’uomo, subito dopo.
«Quei ragazzi non meritano di essere presi in giro. Rami
sarà quel che sarà, ma si è fatto in
quattro per non far mancare nulla ai suoi fratelli, mentre Aida ha
fatto da madre a Samir, nonostante non fosse altro che una ragazzina, e
quel bambino ha per te un’ammirazione spropositata. Rendi
felice quella fanciulla e, quindi, la sua famiglia, e avrai la mia
benedizione. Azzardati, invece, a farla soffrire e neanche
l’invocazione di tutti i santi in ordine alfabetico
potrà esserti di aiuto: come ti ho messo al mondo,
così ti ci toglierò».
«Bene, benissimo!» replicò freddamente
il giovane. «Staremo a vedere come andrà a
finire!»
Poi, non essendo disposto a trascorrere un secondo di più a
farsi insultare in quella maniera, girò i tacchi e fece per
uscire, ma il padre lo richiamò immediatamente:
«Fermo là! Non ho ancora finito».
«Cos’altro c’è?»
sbuffò Giancarlo, irritato, voltandosi appena.
«Ormai ci hai messo in mezzo, pertanto dovrai sottostare alle
nostre regole: se Aida dovesse decidere di assecondare le tue pazzie,
sappi che esigerò un fidanzamento tradizionale. Non
semplicemente in bianco, dovrà essere trasparente. Mi
pare
che tu ti sia divertito abbastanza, o sbaglio?»
«Forse ti stupirà, ma il tuo stupido figlio
c’era già arrivato da solo!»
affermò, però, l’altro con spavalda
ironia, mentre lasciava lo studio e i suoi genitori, furente ed
indignato.
«C’è
rimasto davvero male, non ti sembra
d’esser stato un po’ troppo duro?»
avanzò Beatrice, quando la porta si richiuse e lei e il
marito rimasero soli. Nonostante fosse consapevole del
perché l’uomo aveva adottato un simile
comportamento, non riuscì a trattenere le sue preoccupazioni.
Marcello, però, non rispose subito, perché prima
si affacciò fuori dalla porta per controllare che non ci
fosse nessuno e poi la richiuse, avvicinandosi a lei.
«Stai scherzando?! Proprio adesso che stiamo ottenendo
qualcosa di buono? Dobbiamo battere il ferro finché
è caldo, perché, finalmente, si è
deciso a comportarsi da uomo!» esclamò,
visibilmente soddisfatto. Quella sera aveva dovuto recitare la parte
del cattivo a fin di bene, poiché era convinto che suo
figlio andasse un po’ scosso, nonostante avesse capito quanto
fosse preso da Aida fin dal primo sguardo che le aveva riservato quando
l’aveva rivista.
«Sono davvero fiero di lui... anche se non è
ancora arrivato il momento di dirglielo» aggiunse, poco dopo.
Beatrice, allora, corrugò appena la fronte, non del tutto
convinta.
«E quando lo farai? L’è
stato bravo e
merita il nostro sostegno!»
In risposta, l’uomo si limitò a sorriderle
lievemente, con l’aria di chi la sa lunga.
«Tempo al tempo, prima voglio vedere come andrà a
finire. Speriamo, piuttosto, che il polletto riesca a
dire tutto a
quella ragazza».
«Tu dagli fiducia
e aspetta» gli
sussurrò la donna, abbracciandolo teneramente. «Il
che t’ho a dire, l’Aida mi
garba, trovo che
sia una
ragazza assennata. Spero solo che
sia seriamente interessata al nostro
Pulcino. Tu
che ne
pensi?»
«Ma come!» esclamò l’altro,
sorpreso. «Sei una donna e non hai colto ciò che
avranno hanno capito anche i muri?»
«Cosa,
Marcello?»
Lui sospirò e, finalmente, si concesse di addolcire un
po’ la propria espressione, commentando con tono
d’approvazione: «Giancarlo e Aida si attraggono
come due calamite».
«E, allora, prima o poi, si avvicineranno»
commentò lei, saggiamente. «Per noi, non
l’è
forse stato lo stesso?»
«Veramente, la prima volta che ci siamo incontrati, sei stata
tu ad essermi caduta addosso!» precisò il marito.
«Certo,
ma deve esserti piaciuto
abbastanza, visto che
non
accennavi a
farmi rialzare!»
Marcello fissò di sbieco la moglie che gli sorrideva
complice e, prudentemente, decise di non aggiungere altro.
***
Quando, il mattino seguente, Rami annunciò ai suoi fratelli
che li avrebbe raggiunti a Villa Aurelia solo in un secondo momento,
poiché prima aveva alcuni affari da sbrigare con Domenico,
sia Samir che Aida tirarono un sospiro di sollievo.
Appena i due arrivarono, Marcello ordinò al figlio di
portare il piccolo nelle sue stanze per farlo giocare, oltre che con il
beyblade, anche con la sua nutrita collezione di videogiochi,
perché, almeno per una volta, fosse un bambino vero ad
adoperarli. Il giovane, allora, ancora indispettito per
l’alterco della sera precedente, gli borbottò in
risposta che aveva già avuto un’idea simile, poi
chiese ad Aida se le andava di accompagnarli, proposta che lei
accettò subito di buon grado.
Così, mentre Giancarlo e Samir se ne stavano sdraiati su un
tappeto, intenti a montare i pezzi dei bey o ad interessarsi ad una
delle numerose console presenti nella stanza, la giovane, che si era
accomodata su un confortevole divanetto di pelle, ebbe modo di
guardarsi discretamente un po’ intorno.
Dopo essere arrivata alla conclusione che quell’ambiente era
esageratamente grande per essere utilizzato solo come sala-giochi, la
ragazza non osò neppure pensare a quante altre camere avesse
a disposizione il giovane solo per sé; dopotutto, ogni cosa,
in quella villa, emanava classe e lusso, senza contare che gli stessi
Marcello e Beatrice, per quanto avessero fatto di tutto per metterla a
suo agio, dimostravano di possedere una raffinatezza innata.
Intristita da quei pensieri, si soffermò, allora, a guardare
Giancarlo che, come sempre, era vestito con tanta ricercatezza da
sembrare appena uscito da una boutique, un’ulteriore conferma
di quanta distanza ci fosse tra di loro che la fece sospirare,
affranta. Infatti, nonostante fossero stati tutti molto gentili con lei
e con i suoi fratelli, si ritrovò a pensare che forse, Rami
aveva ragione: i due coniugi non le avrebbero mai permesso di
frequentare il loro rampollo, anche se, in fin dei conti, il problema
non si poneva, in realtà, più di tanto,
poiché il giovane, fino a quel momento, era stato molto
evasivo. Nulla aveva lasciato intendere, infatti, che avesse serie
intenzioni nei suoi confronti.
A quel punto, sorridendo mestamente, la ragazza si ritrovò a
scrutare il fratellino che, invece, sembrava felice come una pasqua,
con la magra consolazione che, almeno per lui, tutto quello era
soltanto un ingenuo divertimento. Tutt’a un tratto,
però, con la coda dell’occhio, Aida
notò che il ragazzo aveva cambiato posizione: aveva una
gamba stesa e l’altra piegata, sul cui ginocchio aveva
poggiato il corrispettivo gomito, per poterla guardare e studiare con
vivo interesse.
«Perché mi guardi così?
C’è qualcosa che non va?» gli chiese
subito lei, un po’ a disagio.
«Oh, no, anzi...» fece lui, sorridendo appena e
inclinando la testa da un lato. «Lo so, è da
maleducati fissare la gente in questo modo, ma mi piace farlo e non
credo di voler cambiare atteggiamento».
A quella risposta, Aida distolse immediatamente lo sguardo,
imbarazzata, poiché ancora non si era abituata alla sua
insolente disinvoltura e, d’altra parte, forse, non lo
sarebbe mai stata.
Il giovane, allora, fece per alzarsi ed aggiungere
qualcos’altro, quando Samir lasciò il joystick che
teneva in mano ed esclamò: «Giancarlo, lo sai
che in aeroporto abbiamo visto Julius e Nero5?»
«Ah, avete visto Caesar?» replicò
l’altro, vagamente sorpreso.
«Sì, forse stavano partendo per raggiungere gli
altri Excalibur, perché tra un po’ ci sono i
campionati!» spiegò il piccolo.
«Ah, già. Oramai sono fuori dal giro e ho perso
dimestichezza con i periodi dei tornei» mormorò il
giovane, ma quello non parve farci caso.
«Secondo me perderanno, però, perché
non sono molto bravi».
«Sai, da quel poco che ho visto, di talento ne
hanno...» cominciò il biondo, incerto.
«Comunque, ammetto che sono stati più in gamba di
noi solo per il fatto di aver costituito subito una squadra».
«Sì, ma non sanno giocare... Non mi piacciono,
eravate più bravi voi!» replicò il
bambino, intestardendosi.
«È passato tanto tempo e i beyblade hanno una
nuova tecnologia: non si può fare il paragone»
constatò pacatamente Giancarlo, ma Samir, per nulla
d’accordo con lui, insistette: «Io dico che tu sei
più bravo di Julius!»
Non volendo indispettirlo, il ragazzo rifletté accuratamente
su cosa dire, prima di aprire bocca di nuovo.
«Be’, se devo dire proprio tutto...»
cominciò poi, lentamente, «non so se,
effettivamente, sono stato più bravo di lui. Di sicuro,
però, sono più bello e affascinante!»
concluse, passandosi una mano in mezzo ai capelli, con seducente
noncuranza, esibendo il suo più spietato sorriso ai feromoni.
A quell’uscita, Aida non riuscì a trattenere un
sorriso divertito e ad intromettersi: «Immagino che il tuo
secondo nome sia Modestia, giusto?»
Sorpreso da una tale prontezza, il ragazzo la guardò per
alcuni secondi, per poi aiutare Samir a rimettersi in piedi e, quindi,
alzarsi a sua volta.
«Be’, in realtà, sono queste le
occasioni nelle quali mi rendo conto di quanto, in passato, sia stato
arrogante e spaccone» considerò poi, meditabondo.
Sorridendo ancora, la ragazza, allora, scosse la testa e
aprì la bocca per replicare, ma venne interrotta da qualcuno
che bussava alla porta.
«Cara,
pensavo di far servire il pranzo tra
un’ora... l’è
troppo tardi,
forse?» esordì Beatrice, entrando con discrezione
nella stanza e rivolgendosi direttamente a lei.
«Oh, no, affatto. Sarebbe perfetto, visto che, secondo Rami,
dovremmo essere in aeroporto per le sei e mezza» rispose lei,
sperando di aver coniugato adeguatamente tutti i verbi,
poiché non voleva fare una figuraccia. Tuttavia,
poiché la donna aveva annuito, riservandole
un’espressione dolce, la fanciulla lo prese come buon segno.
«Con
l’Annetta
abbiamo deciso
di fare una cosetta
semplice,
ma spero vi piaccia»
proseguì, allora,
l’altra, stringendo le spalle.
«Non si preoccupi, signora» la rassicurò
Aida, «sono certa che sarà ottimo, come ieri
sera».
A quel punto, Beatrice sorrise e spostò lo sguardo su Samir,
il quale le si avvicinò e, dopo aver dondolato sul posto, le
chiese, con una vocina sottile: «Posso avere un bicchiere
d’acqua, per favore?»
La donna, sorpresa, spalancò gli occhi e, subito, gli
rispose: «Ma certo,
Samir!»
Poi, alzò lo sguardo sul figlio e, corrugando la fronte, lo
rimproverò: «Giancarlo, con i bambini ci vuole
attenzione, perché
non gl’hai
chiesto se
aveva
sete?»
Il ragazzo sbiancò immediatamente, per poi voltarsi verso la
ragazza, mortificato: «Io... mi dispiace, Aida,
non...»
«Oh, ma non è successo niente!» si
affrettò a replicare lei, a disagio per quel piccolo
equivoco. «La colpa è anche mia,
avrei...» cominciò, ma si interruppe dopo poche
parole, vedendo la donna che prendeva in braccio il fratellino.
«Vieni qui, Samir, ora la
Beatrice ti porta a bere»
gli disse quella, riservandogli un’occhiata piena di
dolcezza.
La rapidità con cui si era mossa, però,
insospettì non poco la ragazza, che ebbe il
presentimento che la donna stesse cogliendo l’occasione per
lasciarli da soli.
«Cari,
noi vi aspettiamo di là. Mi raccomando,
Pulcino,
non arrivare tardi, altrimenti farai inquietare il
babbo» raccomandò, poi, Beatrice, sorridendo
serafica, prima di uscire dalla stanza assieme a Samir, a lei
teneramente aggrappato.
Nell’udire quell’epiteto così
particolare, Aida si riscosse dalle sue congetture e, dapprima,
credette che la donna si fosse riferita ancora al fratello, poi,
però, realizzò che così non era e
voltò la testa verso Giancarlo, diventato bordeaux.
«Pulcino?»
ripeté, divertita.
«Ah, ehm… ecco…
sì…» farfugliò lui, incerto,
arruffandosi ancora di più i capelli, in evidente imbarazzo.
«Sai, secondo mia madre, sono ancora il bambino biondino,
basso e timido di un tempo».
«Tu... basso e… timido?»
domandò, allora, la fanciulla, esterrefatta. «Stai
dicendo sul serio, o mi stai prendendo in giro?»
«Che cosa c’è di strano?» si
risentì il ragazzo, spostando lo sguardo sul muro per
evitare di guardarla in faccia. «Quando sono piccoli,
è normale che i bambini siano timidi come lo ero
io».
«In effetti, quello che non è normale è
l’exploit
che hai fatto dopo!» continuò
a punzecchiarlo Aida, abbandonandosi subito dopo ad una fragorosa
risata. «Guardati, ora sei tutto l’opposto:
altissimo e disinvolto! L’unica cosa che deve esserti rimasta
uguale sono i tuoi begli occhi!»
Tale osservazione, però, ebbe il potere di invertire i
ruoli: Aida, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto,
richiuse subito la bocca, mentre Giancarlo, invece, lasciando affiorare
un sorriso birichino sulle sue labbra, ridivenne immediatamente padrone
di sé. Infatti, si spostò immediatamente con un
gesto elegante la frangia da un lato, ben scoprendo le iridi cobalto, e
si avvicinò lentamente alla ragazza, squadrandola
interessato.
«E così ti piacciono i miei occhi…
allora, ammetti che qualcosa di me ti attrae…»
mormorò.
Riservandogli un’occhiata di sottecchi, la ragazza
capì di aver parlato troppo, ma sapeva anche di non potersi
rimangiare quanto detto, giacché avrebbe finito solo per
confermare quanto aveva espresso. Così, poiché
non voleva ancora concedere al giovane troppi vantaggi, decise che la
cosa migliore da fare sarebbe stata proprio ribadire il concetto, anche
se in modo più velato.
«Il colore è simile a quello del nostro mare, una
sfumatura di blu che mi piace molto» replicò,
tranquillamente, certa di non aver detto una bugia, bensì
solo taciuto una parte della verità.
Dopo tale risposta, Giancarlo si portò le mani sui fianchi e
la fissò intensamente, mentre lei cercava di mostrarsi
più calma di quanto fosse in realtà, percependo
in quel confronto appena concluso una forte carica magnetica e
alchemica.
«Sai difenderti bene ed io so riconoscere quando
perdo» commentò lui, seriamente soddisfatto, senza
staccarle gli occhi di dosso. Poi, all’improvviso, si
voltò e si diresse verso la finestra, scrutando pensieroso
ciò che c’era all’esterno.
«Questo dimostra che sei una persona d’onore, anche
se non ho mai avuto dubbi in proposito» replicò
dolcemente la ragazza, avvicinandosi a lui e cominciando a sentirsi
più rilassata, anche se dovette ammettere con se stessa che
quegli intriganti scambi di battute non le dispiacevano
affatto.
«Peccato che tu sia l’unica a pensare una cosa del
genere…» sospirò, allora, il giovane,
mostrandole un’espressione amareggiata.
Tale reazione la lasciò talmente perplessa e intristita, che
non riuscì ad evitare di chiedergli spiegazioni:
«Perché dici così?»
«Tutti credono che io sappia solo prendere per i fondelli la
gente, in primis mio padre» le sussurrò lui in
risposta, lasciando vagare lo sguardo sul giardino. A quelle parole,
però, la ragazza scosse la testa, contrariata.
«Io, invece, trovo che somigli molto a tuo padre e non solo
fisicamente» ribatté, convinta.
«Credimi, Giancarlo, siete più simili di quanto
vogliate ammettere».
Sorpreso, l’altro si voltò repentinamente verso di
lei, scrutandola con scetticismo.
«Ma se non facciamo altro che litigare perché non
mi sopporta!» replicò a sua volta, corrugando la
fronte. «Ha smesso di considerarmi, da quando non sono
più un bambino».
Aida, però, manifestò ancora una volta il suo
disaccordo: «Secondo me, avete solo smesso di parlarvi
sinceramente e di capirvi, ma vi basterà ricominciare a
farlo, per tornare come eravate un tempo» insistette.
Tuttavia, avendo avuto l’impressione di aver detto
più di quanto avrebbe dovuto, si affrettò a
precisare: «Non fraintendermi, non voglio fare quella che
arriva all’improvviso e risolve i problemi, ti ho detto
soltanto quello che ho capito da persona esterna. Anzi, scusami per
essermi intromessa».
«Ma no, figurati, hai solo espresso il tuo parere»
le mormorò, però, il biondo, pensieroso,
mostrandosi tutt’altro che contrariato per il suo intervento.
A quel punto, nessuno disse nulla,
finché non fu Giancarlo, dopo diversi minuti, ad
interrompere il silenzio: «La verità è
che non mi sentivo alla sua altezza e, forse, ho cominciato a
comportarmi da irresponsabile e superficiale anche per attirare la sua
attenzione. Nel modo sbagliato, ovviamente... che idiota che sono
stato!»
La ragazza, però, non rispose, poiché sentiva di
aver parlato anche troppo; ciononostante, gli strinse comunque una
mano, per fargli sentire il suo appoggio, mentre cercava un argomento
di conversazione che potesse distrarlo dai suoi turbamenti interiori.
«Allora, vuoi finalmente fare meno il misterioso e dirmi come
è andato l’esame di statistica?» gli
chiese, tutto ad un tratto, ricordandosi che, nonostante le avesse
detto di essere andato a darlo, non le aveva fornito ulteriori
particolari.
Fortunatamente, il tentativo andò a buon fine,
perché Giancarlo sembrò subito più
rilassato e le rispose, con un sorriso: «Il mistero accresce
la curiosità, non trovi? Comunque, è andato
bene».
Attese qualche secondo e poi si chinò, sussurrandole
qualcosa nell’orecchio.
«Direi che è andato più che bene, sei
stato molto bravo!» esclamò lei, annuendo
soddisfatta, quando si scostò. A sua volta compiaciuto
dall’entusiasmo che gli aveva riservato, il ragazzo le
ammiccò e tornò a guardare fuori, subito imitato
da Aida, che rimase colpita dal sole di mezzogiorno che inondava di
luce il parco di Villa Aurelia e dalle chiome dei suoi maestosi pini
marittimi, tra cui si intravedevano scorci della Città
Eterna.
«L’unica cosa che mi dispiace di questo viaggio
è che Rami non abbia voluto farci rimanere più
giorni, perché mi sarebbe piaciuto visitare Roma»
sospirò la fanciulla, ispirata da quella visuale.
«Ci saranno altre occasioni, non preoccuparti. A me
piacerebbe molto che tornassi, ti farei vedere tutto quello che
desideri» le rispose, allora, il giovane, guardandola in
maniera talmente dolce, che la fanciulla non poté fare a
meno di sorridere.
«Chi può dire che non ci
sarà!» fece, alzando le spalle.
«Be’, per ora ti posso portare sulla terrazza
dell’ufficio di papà, se vuoi. Da lì si
vede quasi tutto, è come se fosse una cartolina dal vero.
Andiamo, dai!» esclamò lui, entusiasta,
rinsaldando la presa sulla mano di lei e conducendola con delicatezza
fuori dalla stanza.
«Ma… è spettacolare!»
esclamò Aida, senza fiato per lo stupore, non appena
uscì sulla terrazza. Giancarlo aveva detto la
verità: quel panorama era davvero migliore della
più riuscita cartolina cartacea, giacché non
c’era un solo particolare che non valesse la pena
d’esser ammirato, a partire dalla mole candida del Vittoriano
che si erigeva imponente sullo sfondo, fino alla cupola
michelangiolesca, che dominava centralmente la scena, incastrata alla
perfezione tra i profili dei palazzi, mentre, dal lato opposto, anche
Trinità dei Monti reclamava la sua importanza.
Affinando la vista, la ragazza riuscì anche a scorgere la
sagoma di quasi tutti i più importanti monumenti della
città, riconoscibili da un particolare
dell’architettura o dal colore del rivestimento: era come se,
in quel momento, tutta Roma fosse ai suoi piedi.
Così, rapita da ciò che i suoi occhi non
avrebbero potuto vedere di nuovo tanto facilmente, la fanciulla
osservò un silenzio di estatica meraviglia, concentrandosi
nell’imprimere nella sua mente quel meraviglioso ricordo, per
poterlo conservare e richiamare a sé quando più
ne avrebbe avuto il desiderio.
Davanti a tanto entusiasmo, il biondo, a sua volta, non poté
fare a meno di tacere, appoggiandosi con discrezione al parapetto per
contemplare il genuino stupore e l’incontenibile contentezza
che trapelavano dall’espressione di lei.
«Immagino sia così che concludevi il tuo rituale
di corteggiamento. Non c’è da stupirsi che
cadessero tutte tra le tue braccia, dopo aver mostrato loro una tale
meraviglia!» commentò improvvisamente Aida, ancora
traboccante di gioia, senza smettere di guardare il paesaggio.
Quell’osservazione, però, fece comparire una
sottile ruga sulla fronte del giovane, che, infatti, ripeté,
perplesso: «Rituale di corteggiamento?»
«Sì, certo, quello che seguivi con le altre
ragazze» gli spiegò lei, accigliata, voltandosi
verso di lui. «Non è forse vero che le portavi
qui, per mandarle in estasi con questa visuale stupenda?»
A quell’uscita, l’altro la fissò per
qualche istante, per poi scoppiare a ridere.
«Estasi? No, no, nessuna di loro aveva una
sensibilità così profonda per poter apprezzare
una tale bellezza... In realtà, sei la prima alla quale
mostro tutto questo».
Nell’udire una simile affermazione, la fanciulla
inclinò appena la testa da un lato, confusa, ed insistette:
«La prima di quest’anno, vorrai dire».
«No, la prima e basta» confermò
Giancarlo. «Gli accordi con mio padre erano chiari: nessuna
ragazza da me frequentata avrebbe dovuto varcare il cancello di casa.
Altrimenti mi avrebbe disconosciuto e l’intera impresa
sarebbe passata a Gerardo Marini, suo socio e migliore amico. Che poi,
tra l’altro, è anche il mio padrino».
Tutte quelle rivelazioni stupirono ancor di più la ragazza,
che, rimasta senza parole, continuò a fissarlo inebetita:
sembrava proprio che, ormai, il giovane avesse abbandonato le risate e
stesse facendo sul serio.
«Inoltre, come ti ho già detto, con te sto
improvvisando, seguendo semplicemente l’ispirazione, senza
alcun rituale predefinito» aggiunse lui, ormai a meno di un
passo da lei, gli occhi saldamente fissi nei suoi. «Tu non
devi essere trattata come una delle tante, perché con te
deve essere tutto diverso».
Proprio in quel momento si alzò un sottile venticello e lei,
presa com’era a cercare di capire dove volesse arrivare, si
ritrovò inconsapevolmente a rabbrividire e, quando lo
notò, il giovane si affrettò a scusarsi:
«Oh, già, che imbecille, tu non sei abituata a
questi climi e io ti ho fatta uscire senza cappotto!»
borbottò.
Subito dopo, sfilò il proprio golf di cachemire, per poi
poggiarglielo sulle spalle e la ragazza, sotto
quell’indumento ancora imbevuto del profumo e del calore di
lui, rabbrividì per la seconda volta.
«Ma ora sarai tu a sentire freddo...»
obiettò, imbarazzata.
Tuttavia, l’altro scosse appena la testa, incurante del vento
gelido di febbraio e, allora, Aida si soffermò a studiarlo
per qualche istante, non riuscendo, però, a cogliere sul suo
volto nemmeno il più piccolo segno di millanteria. A quel
punto, avendo avuto la conferma che si trattava di un gesto fatto con
il cuore e non per farsi bello ai suoi occhi, gli diede le spalle e gli
sussurrò: «Abbracciami».
A quell’invito, il ragazzo sbatté le palpebre e
non si mosse, sicuro di non aver capito bene, perciò lei
ripeté, più decisa: «Abbracciami. Hai
paura che venga a saperlo Rami, forse? È solo per evitare
che tu prenda troppo freddo!»
Non del tutto convinto, lui esitò ancora un attimo, poi,
però, cedette a quella tentazione e cinse delicatamente la
vita della ragazza, in attesa che si sistemasse alla distanza che
preferisse. Con sua grande sorpresa, Aida scelse di stringersi quanto
più possibile e, sentendola aderire contro di sé,
il biondo smise all’istante di avvertire qualsiasi gelo,
percependo le membra illanguidirsi e il suo stomaco contrarsi
spasmodicamente. Infatti, anche se non era la prima volta che
abbracciava una ragazza, avvertì che le sue viscere non
erano mai state così in tumulto e che non si era mai sentito
completamente succube di un piacere che lo rendeva quasi mansueto, pur
amplificando, al tempo stesso, le sue percezioni.
«Scommetto che con le altre ragazze non facevi tutti questi
complimenti!» esclamò l’altra,
prendendolo un po’ in giro.
«Cosa? Ah... Ecco, io non…»
farfugliò lui, ancora troppo stordito per dire qualcosa di
sensato.
«Giancarlo, se esternare fisicamente i tuoi sentimenti fa
parte della tua personalità, con me non devi comportarti in
altro modo. Una carezza o un abbraccio non sono offensivi, se
l’intento è sinceramente affettuoso» gli
sussurrò, allora, Aida, lasciandosi cullare dal suo profumo
e dal suo tepore.
Nel sentirla così fiduciosamente abbandonata tra le sue
braccia, il ragazzo capì quello che voleva dire e,
finalmente, si rilassò anche lui, stringendosi maggiormente
a lei e appoggiandole leggermente la testa su una spalla.
Trascorsero qualche istante in silenzio, poi, Aida gli chiese:
«Va meglio, ora?»
A quella domanda, Giancarlo trattenne il fiato, perché
sapeva perfettamente che non andava affatto meglio, anzi, dopo quel
contatto, il suo cuore aveva preso ad agitarsi, rabbioso, suggerendogli
le parole che avrebbe dovuto dirle e che, invece, erano ferme in gola:
infatti, avrebbe dovuto confessarle che era la cosa più
bella che gli fosse mai capitata, un miracolo che si era preso cura
della sua anima già condannata, insegnandogli a godere di un
piacere buono e positivo e ad allontanarsi dalla libidine e dalla
concupiscenza che lo stavano dilaniando.
Alla fine, dopo aver preso un bel respiro, decise che non aveva
più senso rinviare e, così, si preparò
a dirle tutto: «Aida, c’è una cosa che
devo chiederti…»
«Che cosa, Giancarlo?»
Non volendo indugiare oltre, il biondo la prese per i fianchi e la
voltò con delicatezza nella sua direzione, perché
potesse guardarlo negli occhi.
«Si tratta di una cosa importante»
affermò, deciso.
«Ti ascolto» lo incoraggiò, allora, la
fanciulla, sorridendogli e permettendogli di tenerla stretta senza
sollevare obiezioni.
«Ecco, tu vorresti…» cominciò
lui. Tuttavia, si arrestò subito dopo, poiché,
tutto d’un tratto, dichiararsi non gli sembrava
più una buona idea.
Davvero avrebbe fatto bene a dirle ogni cosa? Aida avrebbe davvero
continuato ad essere la sua balia? Oppure, magari, al posto di un
ragazzino che bruciava dal desiderio di baciare le sue labbra
salvifiche, come era lui, avrebbe preferito un uomo maturo? A volte,
era capitato che qualche ragazza con un minimo di pudore
l’avesse rifiutato, ma non ne aveva fatto un dramma,
perché ce ne erano state tante altre. Invece, Aida era unica
e, in quel momento, sentì di aver raggiunto la
consapevolezza che non avrebbe potuto accettare di essere respinto.
«Tu vorresti… ti piacerebbe…»
riprovò, prendendo tempo, riducendo tuttavia con lenta
evidenza l’esigua distanza frapposta tra di loro.
«Sì?» sussurrò
l’altra, in attesa e il giovane poté quasi sentire
il suo volto sfiorare il proprio: era così vicina,
così raggiungibile, eppure così lontana...
«Ti piacerebbe… rientrare? Sai, comincia a fare
freddo e credo che ci stiano cercando».
A quelle parole, Aida si allontanò bruscamente da lui,
aggrottando la fronte, incredula ed intristita e Gianni vide affiorare
sul suo volto l’ultima cosa che avrebbe voluto: la delusione.
«Sì, hai ragione» rispose lei, asciutta;
poi, si tolse con estrema rapidità il golf e glielo mise
malamente in mano, prima di aggiungere, irritata: «Non mi
serve più».
Poi, senza dire altro, si allontanò in tutta fretta e tutto
ciò che riuscì a fare il ragazzo, incapace di
fermarla, fu seguirla con lo sguardo, incrociando quello del proprio
riflesso, che lo fissava dal vetro del balcone con aria di sufficienza.
“E
tu saresti quello virile e passionale? Come no... la
verità è che sei solo un codardo!”
Codardo,
l’insulto che più aborriva.
Sospirando sconfitto, Gianni, allora, abbassò la testa,
consapevole di meritare quell’improperio così
veritierio.
***
Al momento dei saluti, tutti notarono che Aida e Gianni non si
guardavano nemmeno in faccia, lasciando che fossero
l’indifferenza di lei e l’aria colpevole di lui a
parlare per loro.
Sorpresi da quell’improvviso cambiamento, Marcello e Beatrice
si lanciarono un’occhiata obliqua e anche Rami parve
abbastanza perplesso, poiché era impossibile non notare la
completa assenza di sorrisi e giochi di sguardi che c’erano
stati tra i due fino a quella mattina.
«Qui sarete sempre i benvenuti!» fece la donna che,
facendo finta di niente, continuò a fare gli onori di casa.
«Non è vero, Marcello?»
«Certamente» replicò lui, «ci
ha fatto davvero piacere conoscervi. Se vorrete tornare, noi saremo
sempre felici di riavervi come ospiti».
«E noi vi ringraziamo per l’accoglienza»
rispose garbatamente Rami.
«Oh, sì, siete stati davvero molto gentili con
tutti noi» confermò Aida, esternando la sua
riconoscenza ai due coniugi, ma continuando ad ignorare la presenza del
giovane.
Samir, da parte sua, salutò affettuosamente sia Beatrice che
Marcello, il quale non si sottrasse all’abbraccio e al
bacione sonoro del bimbo, ed infine si rivolse a salutare il ragazzo.
«Perché tu e Dada non vi parlate dal
pranzo?» gli chiese ingenuamente, anche se sottovoce.
L’altro, allora, sospirò, assumendo
un’espressione sconsolata.
«Perché ho sbagliato e lei non vuole
perdonarmi» replicò a sua volta, sempre
bisbigliando.
«E perché non le chiedi scusa? Lei perdona chi lo
fa» gli suggerì il bambino, semplicemente, con
quella logica tipica della sua età. Quel consiglio, giunto
dall’ultima persona che mai pensava avrebbe potuto aiutarlo
in quel momento, permise al biondo di intravedere uno
spiraglio di luce nelle tenebre.
«Hai ragione, dovrei» ammise, sorridendo lievemente
al piccolo e arruffandogli i capelli.
«Andiamo, Samir» si intromise, però, la
sorella, severa, prendendo il fratellino in braccio e continuando a
fare finta che il ragazzo non esistesse, «si è
fatta l’ora di andare».
Di fronte a quell’insistente indifferenza, Gianni
avvertì un nuovo, più tremendo, lancinante dolore
all’altezza del petto, perché ormai era chiaro che
Aida lo stava abbandonando, anche se la cosa peggiore era che lui
glielo stava lasciando fare. Infatti, non riuscì ad emettere
nemmeno una sillaba, mentre guardava la fanciulla imboccare la
scalinata di travertino con passo fermo, senza voltarsi indietro
nemmeno una volta, seguita da un alquanto sconvolto Rami.
Non passò nemmeno una manciata di istanti, che presto
scomparvero alla sua vista tutti e tre.
«Si può sapere che cosa le hai fatto?!»
ringhiò Marcello, minaccioso, non appena gli ospiti se ne
furono andati. «Non mi dire che le hai messo le mani addosso
o che hai tentato di coinvolgerla nelle tue sconcerie,
perché questa volta io ti…»
iniziò, senza, però, riuscire a finire la frase.
«Ti giuro che non le ho fatto niente!»,
replicò il giovane, con la reattività di un ghiro
in letargo, strascicando le parole. «Non le ho fatto,
né
detto... niente».
Marcello, allora, sollevò appena le sopracciglia e
squadrò il figlio, commentando: «Dunque, alla
fine, non ci sei riuscito…»
L’altro si limitò ad alzare le spalle, mentre
Beatrice, preoccupata, guardava alternativamente il marito ed il figlio.
«Pulcino,
che cosa è successo?»
chiese,
infine, avvicinandosi al giovane ed accarezzandogli una guancia, ormai
esangue.
«Non ha trovato il coraggio di dichiararsi ad Aida»
le spiegò, allora, l’uomo, che, dopo aver serrato
le braccia contro il petto, tornò a rivolgersi a Giancarlo:
«In poche parole, l’hai fatta scomodare solo per
costringerla a venire a prendersi l’umidità di
Roma. Si può sapere dov’è finita la tua
irritante spavalderia?»
«Temevo che mi avrebbe respinto… Sarebbe stato un
dolore troppo grande e non avrei potuto sopportarlo. Ne sarei
sicuramente morto» pigolò il ragazzo, proprio come
un pulcino spaurito.
Di fronte ad una dichiarazione del genere, Beatrice sorrise,
intenerita, scambiandosi un’occhiata con Marcello, il quale,
subito dopo, chiuse per qualche istante gli occhi per non essere
costretto ad alzarli al cielo.
«Ti sei immedesimato nella tragedia di Antonio e Cleopatra,
per caso? In effetti, istrionico come sei, avresti potuto fare
benissimo l’attore drammatico!» notò,
poi scuotendo la testa.
Il ragazzo, però, non diede l’impressione di aver
prestato attenzione alle sue parole, perché
perseverò nel suo silenzio vegetativo, continuando a fissare
il mattonato.
«Ascoltami bene» esordì, a quel punto,
il padre, assumendo un tono tra il serio e l’indulgente,
«ti sto rimproverando perché voglio farti capire
che non si va avanti né con i dubbi, né con i
timori, perché un vero uomo sa fare tesoro anche delle
sconfitte. Se posso darti un consiglio, perciò, cerca di
capire bene ciò che cosa vuoi: se quella ragazza non ti
interessa, lasciala in pace e consentile di trovarsi qualcuno che la
meriti; se, invece, per te è importante, dimostrale quanto
tieni a lei».
«Io sono davvero innamorato di Aida e non voglio nemmeno
pensare all’eventualità che finisca tra le braccia
di un altro uomo!» replicò, subito,
l’altro, deciso, mostrando un debole tentativo di ripresa.
Tale reazione fu sufficiente a rincuorare Marcello che, subito, mise
una mano sulla spalla del figlio, stringendola affettuosamente.
«Allora, non gettare via questa
opportunità» sentenziò, con dolcezza.
«In fondo, Piazza Barberini non è
all’altro capo del mondo, non trovi?»
«Il babbo ha ragione,
caro»
affermò a
sua volta Beatrice, decisa, dandogli un’ultima carezza.
«Se l’Aida
ti piace,
non devi aver paura di dirle
ciò
che
provi».
A quel punto, dopo essersi scambiati un’ultima
occhiata, i genitori rientrarono in casa, lasciandolo a meditare sulla
veranda, perché potesse fare la sua scelta in completa
autonomia.
Il giovane sospirò, affranto, poiché sentiva che
la paura di veder andare in frantumi la prospettiva di una vita insieme
alla sua Aida stava prevalendo su tutto il resto. Era come se fosse
regredito al periodo in cui preferiva adagiarsi nella
mediocrità per timore di non riuscire, piuttosto che
mettercela tutta per riuscire in ciò che desiderava.
Tuttavia, suo padre aveva ragione: non avrebbe dovuto sacrificare
un’occasione importante come quella, poiché sapeva
che, se non si fosse dichiarato ad Aida, se ne sarebbe pentito per
tutta la vita.
Dopo essere giunto a quella conclusione, il biondo scosse vigorosamente
la testa e fece per rientrare a sua volta in casa, ma, proprio nel
momento, un piccolo bagliore, rifulgente sotto il sole del primo
pomeriggio, attirò la sua attenzione, suggerendogli
così quale fosse la mossa giusta da fare.
«Rami, mi compri quel dolce ghiacciato che fanno qui, in
Italia?»
«Intendi il gelato, Samir?» gli rispose il fratello
maggiore, alzando appena la testa dal cellulare.
«Sì, sì, quello!»
esclamò il bambino, annuendo con vigore mentre chiudeva la
sua console.
«Ma stiamo per partire e fa un freddo polare… come
ti vengono certe fantasie?!» replicò,
però, l’altro, scocciato, agitandosi nervosamente
sul divano, ma in quel momento Aida, che se ne stava a gambe e braccia
incrociate poco lontano, si voltò immediatamente verso di
lui e gli riservò un’occhiata obliqua.
«Rami, per favore, assecondalo! Quando avrà di
nuovo l’occasione di assaggiarne uno fatto come si
deve?» aggiunse, mettendo su un cipiglio severo.
«Aida, siamo in partenza!» insistette quello,
scandendo ogni sillaba e gesticolando inquieto. La sorella, però,
non si lasciò convincere e, sbuffando, ribatté:
«Come sei pesante! Le valigie sono pronte, per di
più Domenico ha detto che ci accompagnerà lui a
Fiumicino, perché non dovresti concederglielo,
allora?»
Dopo una tale risposta, il ragazzo sentì di non avere
più scusanti, anche se tentennò ancora qualche
secondo, incerto sul da farsi, prima che l’espressione
supplice di Samir lo spingesse ad accettare.
«E va bene! Aida, tu ne vuoi uno? Sai, anche per te potrebbe
essere difficile tornare qui a breve» la stuzzicò
il fratello, lasciandosi sfuggire un ghigno divertito, mentre lei lo
inceneriva con uno sguardo di fuoco: aveva vinto e Giancarlo si era
tirato indietro, che bisogno c’era di infierire?
«No, grazie, non mi va!» sbottò quella,
voltando la testa e mettendosi ad osservare ostinatamente la parete di
fronte.
Meravigliato da una tale reazione, il giovane aggrottò
appena la fronte e la guardò di sottecchi, per poi prendere
Samir per mano e condurlo fuori dalla hall. Tuttavia, prima di uscire
in strada, si voltò e la richiamò:
«Aida?»
«Sì, Rami?» gli rispose lei, senza
guardarlo.
«Smettila di pensare a lui. I suoi genitori sono delle gran
brave persone, ma quello ci ha preso in giro tutti quanti e, per poco,
non ci sono cascato anch’io».
La ragazza, però, non gli diede la soddisfazione di una
risposta ed aspettò che entrambi i suoi fratelli si furono
allontanati, prima di girare nuovamente il capo in direzione della
porta e guardarsi intorno, notando come fossero diversi gli alberghi di
lusso di Roma da quelli di Alessandria, sia nell’arredamento
che nello stile, e tale differenza la portò a rivalutare
ancora una volta quella che c’era tra lei e Giancarlo,
facendola sospirare.
A quel punto, si accomodò meglio su divano ocra,
raggomitolandosi su se stessa e cominciando a lisciarsi una ciocca dei
suoi lunghi capelli, cercando di farsi coraggio come aveva sempre fatto
nei momenti di sconforto, in cui si era ritrovata sola.
Come era potuta essere così ingenua da sperare in una
moderna favola a lieto fine? Giancarlo le voleva bene e la rispettava,
ma non l’amava, anzi, aveva rinunciato persino a baciarla,
ferendola nel suo orgoglio di donna: sapeva di non essere né
una modella, né tantomeno un’attrice, ma davvero
lui, in vita sua, aveva baciato solo sosia di Scarlett Johansson?
Stizzita e amareggiata dal ricordo di quel bacio mancato,
sbuffò e si affossò ancor di più tra i
cuscini del sofà, sentendosi meno in colpa per averlo
piantato in asso ed ignorato, reagendo in maniera infantile a quel
diniego.
Perché il lieto fine doveva esistere solo per gli altri?
Oppure nei film e nei romanzi che leggeva Jamila? Non che fosse
un’amante del romanticismo infarcito di svenevolezze, ma tra
quello e il niente c’erano diversi livelli intermedi e a lei
sarebbe bastata solo una promessa di fedeltà da parte di lui.
In quel momento, i suoi pensieri andarono proprio all’amica
che, certamente, sarebbe stata alquanto delusa dalle nuove notizie e,
magari, l’avrebbe perfino rimproverata, in maniera scherzosa,
ricordandole quanto poco sapesse farci coi ragazzi. Forse la sua colpa
era essere stata se stessa? Eppure, era stato lo stesso Giancarlo a
confessarle di essere stato colpito dalla sua spontaneità,
anche se, visto come si era comportato, probabilmente quello che le
aveva detto non aveva mai avuto valore.
Affranta da quelle considerazioni sempre più fosche, Aida
sospirò di nuovo e, improvvisamente, avvertì che
qualcuno le aveva posato accanto qualcosa. Istantaneamente,
abbassò la testa e, quando si rese conto che era uno dei
suoi fermagli, si portò subito una mano ai capelli,
accorgendosi di averlo smarrito un’altra volta.
«Avete già fatto? Comunque, grazie, Rami, dove
l’hai trovato? Sono proprio una pasticciona, l’ho
perso di nuovo e…»
«Ritrovarlo e riconsegnartelo sta diventando
un’abitudine. Se ciò mi consente di continuare ad
interagire con te, dovresti perderlo più spesso».
Nell’udire quella voce, che non si aspettava di certo, Aida
sobbalzò ed alzò di scatto la testa, rimanendo
quasi pietrificata.
«Giancarlo! C-Che cosa ci fai qui?»
balbettò, mettendosi in piedi con molta
difficoltà.
«Un motivo è quello» le rispose lui,
indicando il fermaglio, «l’altro, invece,
è che non posso permetterti di partire, senza averti chiesto
la cosa più importante... per noi». Poi, le si
avvicinò e, dopo appena un attimo di incertezza, le prese
con delicatezza le mani e le tenne con fermezza tra le sue. La
guardò negli occhi per qualche istante, scrutandola con lo
stesso sguardo malinconico che le aveva riservato quando era andato a
cercarla per dirle tutta la verità e, di fronte a
quell’espressione, l’amarezza di Aida si
attenuò parecchio.
«So di averti deluso e ti prego di perdonarmi. Avrei dovuto
chiedertelo stamattina, ma ho temuto un tuo netto rifiuto» le
mormorò poi, dispiaciuto.
«Come puoi conoscere la risposta, senza aver prima fatto la
domanda?» ribatté cupamente lei, convinta che, a
prescindere da tutto, dovesse esserle concessa la
possibilità di rispondere in prima persona.
«Lo so, hai ragione» sospirò lui,
scuotendo la testa, «ma non ho mai tenuto a
nessun’altra come tengo a te e... non mi sono saputo
comportare».
A quel punto, fece una piccola pausa, mentre la giovane, metabolizzando
le parole che gli aveva appena sentito dire, si sentì
avvampare, piacevolmente colpita, ma non ebbe nemmeno il tempo di
rispondere, che lui proseguì: «Aida, io non
sarò né perfetto, né tantomeno un
cavaliere senza macchia e senza paura, ma sicuramente quello che provo
per te è un sentimento sincero…»
«Be’, a dire il vero, dovresti lasciar decidere
me...» notò lei, piegando la testa da una parte e
soffermandosi a guardarlo ad occhi socchiusi,
«perché sono io che devo scegliere, tu non sai
cosa potrei volere».
Nel sentire queste parole, l’animo di Giancarlo si
rasserenò e, finalmente, il ragazzo si decise a buttare
fuori tutto quello che aveva tenuto dentro di sé troppo a
lungo, così, dopo aver preso un bel respiro,
parlò: «Scusami se te lo chiedo in termini un
po’ antichi e, per giunta, in maniera così
diretta, ma non c’è tempo per un discorso: mia
dolce Aida, vorresti farmi l’onore di diventare la mia
fidanzata, nonché la mia futura sposa…?»
Sorpresa ed incredula di aver appena ricevuto una proposta di
matrimonio da Giancarlo Tornatore, il latin lover per antonomasia, la
ragazza deglutì, sicura di non aver mai sentito il cuore
batterle tanto forte.
«Ovviamente, non devi rispondermi subito, pensaci pure quanto
vuoi. Devi decidere in piena libertà, non voglio che ti
senta costretta» aggiunse lui, accarezzandole una guancia.
Aida, però, continuò a non rispondere, fissandolo
a bocca semi-aperta e, nonostante si sentisse scoppiare dalla
felicità, si rese subito conto che non era una decisione da
prendere a cuor leggero, perché lo conosceva solo da pochi
mesi e, sapeva che il trasporto, la gioia e il piacevole
scombussolamento che provava ogni volta che lo aveva davanti sarebbero
potuti non bastare a garantire una relazione duratura.
«D-Davvero posso pensarci?» chiese, infine,
riuscendo a recuperare l’uso della parola.
«Sì, certo, prenditi tutto il tempo che desideri.
Anche se noi continueremo a sentirci, mi darai la tua risposta solo
quando ne sarai sicura, va bene?»
«Va bene» confermò lei in un sussurro,
lasciando affiorare sulle sue labbra un dolce sorriso.
A quel punto, lui si soffermò a contemplarla e decise di
assecondare l’istinto che lo invitava a chinarsi per darle un
bacio sulla guancia, ma, purtroppo, le sue labbra arrivarono solo a
sfiorarle la pelle, poiché Rami e Samir fecero il loro
ritorno con un tempismo quanto mai dannoso.
«Che cosa state facendo?!» gracidò il
giovane che, pur avendo usato un plurale, in realtà, si
stava riferendo solo al biondo.
Giancarlo, allora, si tirò su, permettendo ad Aida di
discostarsi leggermente da lui ed entrambi si voltarono verso un
contrariato Rami e un incuriosito Samir, che stava leccando con gusto
un mega-cono al cioccolato e fiordilatte.
«Tornatore, che cosa stai combinando?»
riprovò, allora, il ragazzo, sospettoso, linciandolo con lo
sguardo. Tuttavia, l’altro non si fece intimidire e
restò accanto alla fanciulla, che rispose al suo posto.
«Mi ha appena chiesto di sposarlo» fece, infatti,
lei, riprendendo a guardare il suo innamorato.
«E tu che cosa gli hai risposto, Dada?»
domandò, allora, Samir, curioso ed entusiasta, che non
avrebbe mai potuto immaginare che la sorella, un giorno, avrebbe
sposato un campione del suo sport preferito.
«Che ci penserà» replicò
Giancarlo, girandosi verso la ragazza per lanciarle un sorrisetto
complice.
Davanti a quella scenetta, che sembrava messa su a posta per mandarlo
su tutte le furie, Rami fu tentato di ribattere, ma, poi, rendendosi
conto che sarebbe stato inutile, sospirò, rassegnato.
D’altra parte, Giancarlo aveva dimostrato di aver mantenuto
la parola e la sorella aveva un’espressione così
dolce da non lasciare dubbi: Dada aveva trovato il suo Blaue Reiter6.
«Rami, andiamo fuori! Il gelato mi sta colando, e si
sporcherà tutto il tappeto!» piagnucolò
improvvisamente Samir, trascinandosi dietro il fratello grande prima
che potesse anche solo capire cosa stesse succedendo e, divertiti da
quell’intermezzo, Aida e Giancarlo risero.
«Non mi stancherò mai di dire che il tuo
fratellino è troppo intelligente!»
osservò lui, trattenendo palesemente un sogghigno ai danni
di Rami.
«Oh, lo so. Per fortuna, c’é anche
lui»
confermò la giovane, alzando le spalle; poi,
tornò a guardarlo, senza sciogliere la presa che aveva su di
lui e aggiunse: «Ora ne sono convinta: con me stai
decisamente improvvisando».
«Be’, meglio, no? Te l’ho detto
più di una volta: sono un amante delle sorprese»
ribatté lui, dandole un colpetto sul naso e strappandole un
sorriso, mentre lei, dopo aver alzato una mano verso il volto di lui,
cominciò ad accarezzargli i capelli, prima di scendere lungo
la guancia; Giancarlo, nel sentire quel tocco, chiuse gli occhi e si
perse nel suo calore, esercitando una leggera pressione sul palmo di
lei, così da carpire ogni piacevolezza di quelle effusioni.
Rimasero così fino al momento in cui furono costretti a
salutarsi definitivamente. A quel punto, il ragazzo, dopo aver dato una
mano con le valigie, rimase a guardare i tre fratelli che si
accomodavano in auto e, prima di salire, Aida si voltò
un’ultima volta per salutarlo così lui ne
approfittò per soffiare un bacio nella sua direzione. Con
sua somma sorpresa, però, la ragazza ricambiò
senza indugio, regalandogli un sorriso triste e lasciandogli una
sensazione di vuoto che il giovane sapeva sarebbe stata difficile da
colmare.
Anche dopo che furono spariti oltre la piazza, Giancarlo attese in
piedi qualche altro minuto, poi, come riscuotendosi dalla malinconia
che lo aveva attanagliato, si cacciò le mani nelle tasche
del cappotto di panno blu e scese lungo Via del Tritone, nel buio della
sera dell’inverno romano.
Era arrivato a circa metà del viale, quando passò
accanto a lui una coppia ridente e spensierata. Non aveva fatto caso se
fossero belli o riccamente abbigliati - probabilmente non erano
né l’una né l’altra cosa -,
perché si era concentrato su un unico particolare: si
stavano tenendo per mano. In quel momento, avvertì che non
vi era nulla di speciale nella sua vicenda, che era solo un ragazzo
come tanti che doveva sottostare alle due massime e opposte leggi che
muovono l’Universo e fu quello l’attimo nel quale
prese coscienza di aver sempre voluto ignorare una verità
insindacabile: Morte e Amore rendono tutti uguali.
***
Gli eventi e i personaggi
narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni
riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è
puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti
dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB
Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly
per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione e
disponibilità.
***
[N.d.A.]
1. Albano Laziale:
piccolo paese nei dintorni di Roma; fa parte dei famosi Castelli Romani;
2. Rebibbia... Verano:
rispettivamente, uno dei carceri di Roma ed il cimitero monumentale
della Capitale;
3. barbara:
il termine viene usato nella sua accezione più originale e
dispregiativa. Nel mondo greco antico, i barbari non erano considerati
sempicemente stranieri, bensì esseri selvaggi e primitivi,
che si opponevano agli esponenti della civiltà,
autoreputatisi superiori per cultura ed intelletto;
4. Grazia... carisma...
dono: questi termini sono legati etimologicamente e
semanticamente; hanno valenza di climax, per sottolineare
l’enfasi crescente nel discorso;
5. Julius e Nero:
Julius Caesar è il membro italiano, nonché
capitano, degli Excalibur e Nero (che compare solo nel manga)
è suo fratello; nell’adattamento italiano
è rimasto il nome della versione americana, vale a dire
Julian Konzern, ma io mi rifiuto di usare due lemmi di origine sassone
per un personaggio che dovrebbe essere italiano, perciò ho
lasciato i nomi della versione giapponese, se non altro, più
“latineggianti” nel suono;
6. Dada... Blaue Reiter:
il gioco di parole è abbastanza articolato. Sia Dada
(conosciuto anche come Dadaismo) che Der Blaue Reiter
sono due
movimenti artistici degli inizi del 1900; Dada fa riferimento al
soprannome di Aida e Der Blaue Reiter significa, letteralmente, Il
Cavaliere Azzurro. Il collegamento del tutto è
la passione della ragazza per la storia dell’arte.
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