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Autore: Halley Silver Comet    29/08/2011    6 recensioni
Si addentrò all’interno della stanza avanzando lentamente, come se sentisse che, se si fosse mosso con maggiore rapidità, quella ragazza sarebbe scomparsa. L’interesse che lo muoveva verso di lei, d’altra parte, era del tutto nuovo e sconosciuto, così diverso da quello che solitamente lo animava quando incontrava una bella fanciulla: questa volta, infatti, avrebbe voluto unicamente sapere qualcosa di più sul suo conto, a cominciare dal nome.
La giovane, però, dal canto suo, non si era ancora resa conto di nulla, tanto era concentrata a trafficare con matite, squadre e gomme cambiando continuamente utensile, tracciando, misurando, cancellando o semplicemente valutando se la punta di grafite fosse ben appuntita, mentre Gianni, ormai solo a qualche passo di distanza, si era accorto di aver smesso di respirare e di avere la salivazione praticamente ridotta a zero, anche se la cosa più sorprendente per lui fu avvertire che la nausea si stava attenuando.
Giunto accanto al tavolino, buttò uno sguardo sul foglio che teneva in mano la ragazza e rimase sorpreso da ciò che vi trovò raffigurato, perché era l’ultima cosa alla quale avrebbe pensato.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gianni, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Stella del Sud - Atto III





Parte Seconda - Atto Terzo



Mostrasi si’ piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender non la può chi no la prova;


Dante Alighieri, Vita Nova, Cap. XXVI, vv. 9-11


M
ancavano solo pochi minuti a mezzogiorno, quando Rami si accorse che, per il resto della mattinata, non era previsto l’arrivo di altri ospiti.
“Perfetto, vorrà dire che terminerò la revisione dei fatturati del mese scorso” pensò, prima di chiamare un collega a sostituirlo al banco della reception e dirigersi verso il suo ufficio, continuando per tutto il tragitto a prendere appunti sul suo taccuino personale, giacché erano proprio l’avere sempre tutto sotto controllo e il non lasciare nulla al caso i punti cardine della sua professionalità, anche se, negli ultimi tempi, le cose non stavano andando come avrebbe voluto.
A quella constatazione, il concierge sospirò sconsolato, aprendo la porta del suo ufficio ed entrandovi, posando subito l’agendina sulla scrivania e alzando poi lo sguardo in direzione della finestra, vicino a cui scorse sua sorella, intenta a guardare il cielo, pensierosa.
«Sei davvero ridicola a credere che quello si ricorderà di te» l’apostrofò, acido. Poiché la ragazza non l’aveva sentito arrivare, sobbalzò.
«Rami! Mi hai fatto prendere un colpo!» lo rimproverò subito lei, stizzita, ma il fratello non si scompose, riservandole in risposta una fugace occhiata beffarda, prima di accomodarsi sulla sua poltrona sotto il suo sguardo irritato. Poi, quella scosse la testa e tornò a guardare fuori.
Lanciandole un’occhiata torva, il ragazzo aprì il suo portatile e scosse la testa, incapace di comprendere l’ostinazione della sorella: come aveva potuto cedere alle parole lusinghiere di quell’idiota bugiardo e credere che sarebbe tornato, o le avrebbe fatto avere sue notizie? Un tale donnaiolo poteva solo essere paragonato ad un marinaio: ogni terra aveva il suo porto ed ogni porto aveva la sua ragazza. Perciò, da quando aveva lasciato l’Egitto, chissà quante altre donne erano già entrate nel suo letto…
«Invece di perdere tempo alla finestra, vai a dare il cambio a Jamila. Le sue quattro ore sono scadute da un pezzo!» le ordinò, a quel punto, il giovane, perentorio, scacciando quei fastidiosi pensieri dalla testa, ma quella non si lasciò abbattere dal suo tono e si girò verso di lui, regalandogli un sorriso radioso.
«Vado!» rispose, con entusiasmo.
Il concierge la guardò andar via e poi tornò a smanettare con il computer, sbuffando pesantemente ed appoggiando il mento contro il pugno chiuso, risoluto a trovare il modo di far uscire Aida dal mondo fatato in cui viveva: invaghirsi di un seduttore depravato come quello? Che assurdità!
***

Una mattina di metà ottobre, approfittando del fatto che ad Alessandria il caldo aveva cominciato a diminuire, Rami si era fatto preparare da Jamila un infuso al karkadè, quando fu chiamato in tutta fretta da uno dei suoi assistenti.
Allora, sorpreso, lasciò la tazza fumante sul bancone del bar e, mentre seguiva il ragazzo nella hall, venne a sapere che era appena arrivata una donna che doveva assolutamente parlare con lui, cosa che lo stupì ancora di più, visto che non aveva proprio idea di chi potesse essere e, soprattutto, cosa avesse da dirgli di tanto urgente.
Tuttavia, il concierge decise di non perdere tempo nel farsi domande e si affrettò a raggiungere la misteriosa visitatrice, trovandola girata di spalle ad ammirare i vasi con le orchidee.
Incerto su quale potesse essere l’approccio migliore, il giovane, allora, si schiarì la voce per annunciare il suo arrivo: «Buongiorno, signorina. Posso fare qualcosa per lei?» esordì.
Subito, la nuova venuta si girò e, senza un attimo esitazione, gli chiese: «È lei Rami al-Nassar?»
«Ecco, sì... sono io» rispose lui, squadrandola con diffidenza. Aveva qualcosa di familiare ed era certo di averla già vista da qualche parte, ma… dove?
«Quindi, sua sorella deve essere Aida al-Nassar» continuò la ragazza, sicura di sé.
«Sì, è così» affermò il giovane, socchiudendo appena gli occhi. «Ora potrei sapere, però, con chi ho l’onore di parlare?» aggiunse, spazientito, desideroso di capire qualcosa di quella situazione.
A quel punto, la donna si tolse gli occhiali da sole, svelando due profondi occhi grigi, e si ravviò il caschetto bruno.
«Mary Anne Darland, sono qui per conto dello studio legale Woodrow di Londra» spiegò, con tono risoluto. «Mi risulta che suo padre sia stato incarcerato qualche anno fa, dopo un sommario processo. È corretto?»
Nell’udire quelle parole, Rami assunse un’espressione di sincero stupore.
«Ma come fa a..?» cercò di chiedere, ma venne interrotto subito dall’altra, che riprese: «Fonti attendibili dimostrano che l’avvocato della difesa era corrotto, pertanto il processo non è stato altro che una farsa».
«Miss Darland, mi potrebbe cortesemente spiegare come fa ad essere al corrente di queste informazioni?» le chiese, allora, il giovane, sempre più attonito e inquieto. «Dovrebbero essere riservate».
L’avvocata, però, non sembrò per niente turbata da quell’affermazione, anzi, si chinò per afferrare la valigetta che aveva poggiato a terra e, nel rialzarsi, decretò, severa: «Signor al-Nassar, infatti sarebbe opportuno continuare la nostra conversazione in un luogo più consono alla riservatezza di ciò che devo comunicarle. Inoltre, sarebbe opportuno che anche sua sorella assistesse al nostro colloquio».
Aggrottando le sopracciglia, non osando contraddire quella donna che sembrava davvero sapere il fatto suo, Rami fece immediatamente chiamare Aida e condusse Mary Anne in ufficio.
Nel vederla, la fanciulla, al contrario del fratello, la riconobbe immediatamente come una delle ragazze che faceva parte della comitiva di Giancarlo, ma non disse nulla, poiché preferì prima verificare il motivo di quella visita inattesa, che, comunque, non tardò ad essere svelato.
Infatti, poco tempo dopo, Mary Anne riuscì ad esporre una sintesi perfetta dei punti oscuri del processo contro Abul al-Nassar, precisando che era riuscita ad ottenere le autorizzazioni per consultare il fascicolo del processo e che aveva trovato abbastanza materiale per far riaprire il caso e cercare così di ottenere un verdetto più giusto, offrendosi, per giunta, come nuovo avvocato della difesa.
Aida, che aveva ascoltato ogni parola con estrema attenzione, sempre più meravigliata ogni minuto che passava, non appena Mary Anne ebbe finito, intervenne: «Miss Darland, noi non sappiamo che cosa dire... Sarebbe meraviglioso se nostro padre fosse scarcerato. Tuttavia» aggiunse, lanciando prima un’occhiata furtiva a Rami, «mi lasci dire, parlandole anche a nome di mio fratello, che non sappiamo davvero spiegarci come lei possa essere al corrente di tutto questo».
«Già, perché non ci dice cosa c’entra in questa storia?» chiese quello a sua volta, incrociando le braccia sul petto e guardandola in modo ostile. «Senza contare che dovremmo parlare anche del suo compenso, no?»
L’avvocata li guardò entrambi, inarcando leggermente un sopracciglio, come se avesse il presentimento che la stessero prendendo in giro.
«Volete davvero farmi credere che non vi ha detto niente?» domandò, senza scomporsi.
«Chi?» replicò Aida, perplessa.
Mary Anne, allora, sospirò e scosse la testa, ma si guardò bene dal rispondere, limitandosi a prendere la sua valigetta e ad aprirla per estrarne due pacchetti: una scatolina cubica e un’altra che aveva tutta l’aria d’essere un tubo portadocumenti.
«Questo è per Samir al-Nassar» disse, porgendo il primo a Rami. «E questo, invece, è per lei, signorina Aida» concluse consegnandole il secondo.
«Da parte di chi?» insistette lei, confusa.
«Lo apra e lo scoprirà» fece l’altra, risoluta, sistemandosi meglio sulla poltrona e accavallando le gambe.
A quel punto, avendo intuito che, proseguendo in quel modo, non avrebbe cavato un ragno dal buco, sotto lo sguardo incuriosito di Rami, la fanciulla si decise a scartare il pacco, ritrovandosi in mano un sottile cilindro di carta avvolto da uno strato di cellophane. Sempre più ansiosa di sapere cosa fosse, strappò via la plastica e, quando ebbe srotolato il foglio, ebbe un leggero giramento di testa.
«Non è possibile…» sussurrò.
«In fondo, non era così difficile da capire, non trova?» commentò, invece, l’avvocata, con un sorrisetto ironico.
Osservando la reazione della sorella, anche Rami mise in ordine i tasselli ed improvvisamente si ricordò dove aveva visto prima quella donna.
«Questo significa che gli hai parlato della situazione di papà!» esclamò, boccheggiando e riservando alla sorella uno sguardo truce. «Tu… tu…»
Tuttavia, Aida lo ignorò, trovando molto più costruttivo interagire con Mary Anne.
«Miss Darland, mi dica la verità: è stata pagata per seguire la causa di mio padre?»
«Intende sapere se la mia parcella è stata saldata?» domandò quella, avendo intuito dove volesse arrivare Aida, che, infatti, annuì decisa, cominciando ad arrotolare nuovamente il foglio per evitare che si sciupasse.
«No, non ho intenzione di percepire nemmeno un centesimo per questa causa» spiegò, a quel punto, l’altra, con enfasi, come se ne valesse della sua integrità morale. «Qui è la giustizia che reclama! È una vergogna che esistano avvocati senza un minimo di coscienza…»
Quando, molto, molto tempo dopo, Mary Anne riuscì a mettere il punto alla sua arringa contro i colleghi privi di scrupoli ed ebbe esposto le tappe preliminari del processo, i due fratelli presero accordi con lei, prima che si congedasse da loro dicendo che il volo per Heatrow era imminente.

Una volta soli, Rami fissò a lungo la sorella e, infine, le disse: «Non credere che abbia cambiato idea sul suo conto. Ci vuole ben altro per dissuadermi dal crederlo in cattiva fede».
Tuttavia, Aida era troppo contenta che lui si fosse ricordato di lei e di Samir per permettere al fratello di rovinarle la giornata così, sorridendogli, gli domandò: «Hai detto qualcosa, per caso?»
Il fratello, sicuro che avesse sentito benissimo, la guardò minaccioso, ma poi se ne andò, borbottando qualcosa di cui la giovane non si curò, presa com’era dalla certezza di essere ancora nei pensieri di Giancarlo.
Poi, la ragazza tornò in ufficio e sistemò la scatolina di Samir sul ripiano di mezzo della libreria, così che, appena tornato da scuola, potesse vederla subito; poi riprese il suo regalo e lo srotolò per ammirarlo ancora una volta: era esattamente come l’aveva descritta.
Sul terzo ordine non ci sono solo timpani, ma anche archetti alternati”: era, infatti, la versione del 1725 della facciata del Collegio di Propaganda Fide di Borromini.

«Non ci posso credere!» esclamò Samir, non appena ebbe aperto il suo pacco. «I nuovi anelli d’attacco del P.P.B! Ma questi sono usciti solo negli Stati Uniti... se l’è ricordato!»
Seduta ad uno dei tavolini della veranda che dava sul golfo, Aida guardava sorridente il bambino che saltellava, su di giri, mentre Rami, invece, li scrutava entrambi con un’espressione davvero contrariata.
«Vi siete lasciati comprare con poco da uno che crede che con i soldi si possa ottenere tutto» insinuò, velenoso.
«Ti prego, non ricominciare…» lo supplicò la ragazza, rabbrividendo al solo ricordo dell’energica lavata di testa che l’altro aveva fatto a Jamila soltanto perché le aveva permesso di parlare con Giancarlo.
Il fratello, allora, scosse la testa con vigore, come per sottolineare la propria ostinazione nel pensar male del biondo.
«Possibile che tu non capisca che sei solo una novità per lui? Si sarà stancato di assaggiare i soliti slavati dolcetti alla vaniglia, così gli è venuta voglia di un bel cioccolatino!» berciò, sbattendo un pugno sul tavolo. «Ti considera solo un degno bottino, una piccola schiava egiziana e, ricordati: quelle come te saranno sempre considerate inferiori, frivoli ninnoli da intrattenimento. Una volta soddisfatto il suo perverso desiderio, ti abbandonerà e chi si è visto, si è visto!»
Aida, però, non mutò espressione, decisa a non dargliela vinta, ma, al tempo stesso, consapevole di quanto fosse testardo: ci sarebbe voluto del bello e del buono, infatti, per fargli cambiare idea su Giancarlo, ma lei non si sarebbe certo arresa con facilità.
«E se non fosse come dici? Le occasioni di mettermi le mani addosso non gli sono mancate, eppure non l’ha mai fatto» gli fece notare, a quel punto, piccata.
«Sei proprio ingenua! Prima si è voluto guadagnare la tua fiducia, evidentemente. È stato astuto!» ribatté Rami, sempre più adirato. «Non vuoi darmi ascolto e troncare qui la cosa? Bene, allora non venire a piangere da me, dopo che ti avrà usata e buttata via come un oggetto vecchio! Cosa ti aspetti da uno che ha come unico scopo quello di saltarti addosso come un animale in calore?!»
«Rami, adesso basta!» sbottò Aida, estremamente disgustata da quell’assoluta mancanza di rispetto nei confronti di Giancarlo; cercò, però, di non alzare troppo la voce per evitare di far sentire a Samir, che giocava lì accanto, cosa stava dicendo il fratello maggiore.
«Non ti vergogni a rivolgerti con queste parole offensive a chi non c’è e non può dire niente a sua discolpa?» continuò, rimproverandolo. «E poi, per quale motivo dovrebbe continuare a pensare a me, se può divertirsi con tutte le ragazze che vuole e persino più belle della sottoscritta?»
L’altro la fissò ad occhi socchiusi e le sibilò, inferocito: «Perché continui a difenderlo? No, aspetta, non dirmelo... ti sei presa una cotta per lui!»
La ragazza, nel sentire quelle parole, distolse lo sguardo, sentendosi avvampare, poiché non voleva che i suoi sentimenti fossero giudicati in quella maniera, tuttavia, il fratello se ne accorse e riprese, sempre più adirato: «E magari, speri anche che possa ricambiare i tuoi sentimenti! Come ti ha raggirata? Promettendoti di farti diventare la sua amante prediletta, per caso?»
Aida, però, non si lasciò scalfire e, infastidita da quel comportamento così ottuso, replicò: «Tu non puoi capire, Rami. O, forse, non vuoi».
Questa risposta lo urtò terribilmente il giovane che, senza indugiare oltre, si alzò con uno scatto e lasciò la veranda, biascicando improperi sia verso di lei che verso il suo spasimante.
«Io sì, invece» sussurrò, invece, impercettibilmente Aida, con lo sguardo fisso sul golfo di Alessandria.

«Come facciamo a ringraziare Giancarlo per quello che ci ha regalato?» domandò all’improvviso Samir, mentre la ragazza lo aiutava a prepararsi per andare a letto, ma lei si fermò a fissarlo, ritenendo che, in effetti, sarebbe stato educato farlo.
«Un modo lo troveremo. Su, ora mettiti giù e dormi, va bene? Domani c’è scuola» gli disse, dopo averci riflettuto su un po’.
«Dada, ma perché Rami dice tutte quelle cose brutte a Giancarlo? A me piace, mi sono divertito con lui. Non è cattivo come il fidanzato che tu non vuoi».
La ragazza gli sorrise debolmente e, sospirando, rispose: «Rami pensa di sapere sempre tutto e non sa perdonare chi ha fatto degli errori, senza rendersi conto di essere proprio lui il primo a farli».
«Quindi anche i grandi sbagliano?» chiese, allora, Samir, meravigliato.
«Certamente, a volte, persino più dei bambini!» replicò la sorella, prima di fargli cenno di mettersi giù per farsi coprire.
«Però possono essere perdonati? Tu e Rami mi perdonate sempre tutto, quando sbaglio» continuò il bambino, con una buffa espressione pensierosa sul volto.
Questa volta, Aida sorrise più serenamente e, dopo avergli accarezzato la testa, replicò: «Dipende, se c’è un pentimento sincero, non vedo perché non dare una seconda possibilità. Ora, però, dormi, d’accordo? Abbiamo chiacchierato abbastanza per stasera».
Il bambino, allora, sbadigliò ed annuì, accoccolandosi su un lato e stringendo a sé il suo peluche a forma di scimmia: «Buonanotte, Dada».
«Buonanotte, Samir» gli rispose l’altra, chinandosi su di lui e posandogli un bacio sui capelli.
Poi, spense la luce ed uscì dalla stanza in punta di piedi, intenzionata a dirigersi in veranda per ritagliarsi un po’ di tempo per sé, giacché sentiva il bisogno stare in compagnia esclusivamente dei suoi pensieri. Aveva già messo un piede fuori, quando si sentì chiamare: «Dada! Non ci crederai!»
Voltandosi, scorse Jamila che arrivava di gran carriera verso di lei e, senza nemmeno aspettare che le fosse più vicina, le chiese, leggermente infastidita: «Si può sapere che cosa ti prende?»
«Non puoi nemmeno immaginare…» fece l’altra, bloccandosi davanti a lei per riprendere fiato.
Aida aggrottò appena la fronte, perplessa.
«Cosa?»
Tuttavia, l’amica non rispose subito, prendendosi altro tempo per fare qualche respiro profondo.
«Oh, insomma, Jamila, che cosa c’è?!» sbottò, alla fine, spazientita.
«C’è il biondino al telefono... vuole parlarti!»
Non aspettandosi una risposta simile, la fanciulla rimase imbambolata per qualche secondo, per poi ridestarsi e fiondarsi a prendere la chiamata.
«A quanto sembra, ha scelto di fare la difficile» commentò, invece, sottovoce Jamila, sogghignando divertita.

Una volta entrata in ufficio, Aida chiuse dietro di sé la porta e si accomodò sulla poltrona del fratello, sentendo il cuore che le batteva all’impazzata: stava provando un misto di emozioni troppo ingarbugliato poter essere sbrogliato e compreso, poiché ancora non sapeva con certezza cosa provava verso di lui. L’unica cosa che sapeva era che sicuramente non si trattava di una semplice simpatia.
Decisa a calmarsi, allora, inspirò a fondo e, dopo aver appoggiato lentamente la cornetta all’orecchio, parlò, per poi sentirsi rispondere, immediatamente: «Masah el kheir».
Riconobbe subito quella voce, così calda e gioviale, e sorrise, piacevolmente colpita da quell’approccio originale.
«Buonasera a te. Sai che il tuo accento è davvero buono?» disse, divertita.
«Trovi? Sono solo agli inizi, sai? Si può sempre migliorare» fece, però, lui, con sicurezza.
«Oh, non ne dubito» ribatté lei, rendendosi conto di averlo fatto con tono più canzonatorio di quello che avrebbe voluto e sentendosi avvampare per questo.
Per fortuna, Giancarlo non la considerò una provocazione e proseguì: «Piaciuto il regalo?»
La fanciulla sentì che cominciava ad essere meno tesa e si appoggiò allo schienale della poltrona, prima di rispondere: «Molto. Credo di aver cominciato a capire perché hai detto che ami le sorprese».
«Sì, ma solo quelle che riescono bene. Anche a Samir è piaciuto?»
«Assolutamente. È letteralmente impazzito, era certo che ti saresti ricordato di lui!»
Approfittando di quell’affermazione, l’altro la stuzzicò, cantilenante: «Perché, tu ne hai dubitato, forse?»
«Be’, sai già che credo solo a quello che verifico di persona» rispose lei, pronta, ringraziando che lui non fosse lì a vedere il suo imbarazzo.
«In realtà, non credo ti mancheranno le cose da verificare. Ho solo iniziato a mantenere la mia promessa».
«Allora, aspetterò».
Ci fu una breve pausa di silenzio, poi il giovane riprese: «A proposito, hai un indirizzo e-mail? Non essendo un fan dei social network, temo dovremmo accontentarci di posta elettronica e cellulare, quando non potremo sentirci via telefono».
Nell’udire quella bizzarra richiesta, Aida aggrottò la fronte, attonita e perplessa per quella rivelazione.
«So bene che sarà un modo di comunicare un po’ freddo e distaccato, ma trovo che sia perfetto per garantire la mia ri-educazione riguardo al corteggiamento».
«Ah!» esclamò lei, sorpresa per l’uso della parola corteggiamento. «Ehm... sì, va bene, come vuoi, per me non ci sono problemi» balbettò, prima di rimanere qualche secondo in silenzio, incerta su cosa dire.
 «Grazie per quello che hai fatto per mio padre, comunque».
«Io non ho fatto niente, devi ringraziare Mary Anne: non hai visto come è felice di occuparsi di un caso vero, anziché della solita diatriba tra assicurazioni?» si schermì Giancarlo, tradendo anche un certo divertimento.
«Miss Darland mi ha detto che non l’hai pagata per seguire la causa. Almeno per questo accetta il mio grazie».
A quest’ultima affermazione, però, il giovane non rispose, così lei ebbe il presentimento che sapesse che lei non avrebbe mai accettato, se lui avesse pagato al posto del fratello, anche se ne aveva davvero bisogno, considerando la disastrosa situazione del padre.
Poco dopo, per fortuna, il biondo riprese la conversazione, cambiando del tutto argomento, scambiandosi rapidamente tutti i contatti necessari prima di salutarsi.
«Allora, a presto?» chiese, infine, la ragazza, quasi sussurrando, staccando il post-it su cui si era appuntata tutto e pensando a dove nasconderlo, affinché non capitasse tra le mani di Rami.
«Già senti la mia mancanza, gioia?» replicò, allora, il giovane, in perfetto stile Gianni Tornatore.
Tuttavia, Aida non si fece cogliere impreparata e non si lasciò disorientare tanto facilmente.
«Non più di quanto tu senta la mia» rispose, sicura, accennando anche un’inflessione divertita e non sapendo che, in realtà, lui stava gongolando beato per quanto udito, né che erano proprio quei brillanti e sottili confronti ad alimentare l’alchimia che si era innescata tra loro due.
«Se tu lo vorrai, a presto» concluse poco dopo lui, più dolcemente.
«Tesbah ala kheir» lo salutò, a quel punto, la fanciulla, curiosa di mettere alla prova la sua conoscenza dell’arabo.
«Buonanotte a te, Aida. E non scordarti di salutare Samir da parte mia!».
Aida sorrise: Giancarlo aveva risposto correttamente.
***

Marcello Tornatore e sua moglie Beatrice erano seduti al tavolo della sala da pranzo, intenti a consumare la prima colazione, lui impegnato a leggere il giornale, lei in attesa che il suo tè verde aromatizzato al bergamotto si raffreddasse.
Madonna Beatrice, come l’aveva prontamente ribattezzata la servitù, per via delle sue origini fiorentine, era davvero una bella donna, con quei lunghi, ondulati capelli ramati, gli occhi blu e le labbra rosee e delicate; aveva anche uno spiccato temperamento artistico, e sapeva essere tanto mite, quanto ferma e decisa.
Accanto a lei, invece, Sor Marcello, nonostante avesse raggiunto i cinquanta, mostrava ancora i segni di quell’innegabile bellezza che, in gioventù, aveva fatto sospirare molte ragazze: fisico statuario, lineamenti eleganti e occhi tendenti al verde chiaro, un’ombra di barba e capelli ancora biondi. Uomo pratico e di poche cerimonie, non aveva mai prestato troppa attenzione ai vincoli imposti dal proprio status sociale, preferendo improntare la propria vita in base agli antichi e inviolabili valori. Perciò il fatto che la sorte, invece, gli avesse dato un figlio, che aveva fatto del pressappochismo il suo credo, rappresentava il suo più grande motivo di rammarico.
Per questo, marito e moglie si ritrovavano spesso a discutere della pessima condotta di Gianni e così fecero anche quella mattina.
«Da quando è tornato da quella vacanza, si comporta in maniera strana. Secondo me, sta tramando qualcosa…» esordì l’uomo, mettendo da parte il giornale.
«Ti riferisci al nostro Pulcino?» temporeggiò l’altra, scegliendo con cura una fetta di pane tostato dal cestino di stoffa che aveva davanti.
Marcello si voltò immediatamente nella sua direzione e la fissò inarcando appena un sopracciglio, come se si sentisse preso in giro.
«Secondo te? Comunque, per favore, smettila di chiamarlo così: l’unica cosa seria che ha è il nome, ereditato dal nonno» le fece notare, irritato. «Sai, a volte penso che sia davvero un bene che mio padre non possa sapere cosa sta combinando il nipote…»
«Son sicura che non sta facendo niente di male. Non hai notato, forse, che non rincasa più all’alba, che ha smesso di fumare e ha anche ripreso a studiare per gli esami?» replicò Beatrice, tradendo una certa soddisfazione, iniziando a spalmare la marmellata di albicocche sulla fetta di pane.
«Ti ha ingaggiato per fargli pubblicità, per caso?» replicò, però, acidamente l’altro.
La donna sospirò: «Suvvia, Marcello! Ha perfino chiesto aiuto ad Emiliano e ora sta seguendo le su’ direttive per recuperare al meglio il tempo perso!»
«Mi stai forse dicendo che è tornato amico di Emiliano... Corsini…?»
L’uomo, stralunato, non riusciva a credere alle sue orecchie.
«Oh, sì!» confermò la moglie, entusiasta, poggiando la fetta di pane su un piattino.
«Finalmente, ha lasciato perdere quell’idiota del figlio di Colonna?» continuò l’altro.
«Già. Non trovi che sia un bel passo in avanti?»
Marcello osservò la moglie di sbieco, poco convinto, così lei continuò, dolcemente: «Non hai visto che è più sereno? Non ci giurerei, ma secondo me potrebbe essersi innamorato».
Tale affermazione fu il massimo che il marito potesse tollerare, infatti, inarcò marcatamente un sopracciglio e sbottò: «Questa te la sei inventata or ora di sana pianta! Tuo figlio è troppo impegnato a vedere solo se stesso e quelle svergognate che gli ronzano perennemente intorno, per accorgersi che là fuori ci sono tante brave ragazze. Non credo che avremo mai il piacere di vederlo sistemato con una donna che possa essere chiamata tale».
«Suvvia!» replicò subito Beatrice, scuotendo la testa. «Secondo me gl’è successo qualcosa di bello che ancora non c’ha raccontato».
«Finché non lo vedrò, non ci crederò» sentenziò l’altro, irremovibile. «Anche tuo fratello dava il meglio di sé, quando doveva svelare tutti gli altarini delle sue bravate!»
«Be’, l’è innegabile che Guido abbia fatto spesso il bischero e che tutt’ora non si comporti troppo bene, ma...»
«Non è Guido, è Giuda. Non aveva nemmeno finito di promettere di prendersi le sue responsabilità, che tuo padre ha dovuto svendere la vostra proprietà all’Argentario e la casa vicino a Santa Maria del Fiore, per saldare i debiti di gioco di quella sanguisuga! Inoltre, come se non bastasse» aggiunse Marcello, rabbrividendo al solo ricordo, «ti stava per vendere a quel bastardo schifoso di Conrado de Navarra!»
La moglie sospirò per la seconda volta, alzando gli occhi al cielo.
«Oh, ma non c’è riuscito, visto che un aitante e fascinoso giovane l’è intervenuto in tempo» gli sussurrò poi, teneramente, sperando di rabbonirlo, ma, purtroppo il tentativo non ebbe l’effetto sperato, perché l’altro, poco dopo, proseguì la sua accesa orazione.
«E poi, Tiberio mi ha proprio seccato con quel suo continuo sottolineare che ragazza virtuosa sia Claudia, copia esatta di nostra madre».
A questo punto, la donna, memore delle angherie che le aveva riservato la suocera ogni volta che aveva potuto, cambiò repentinamente espressione.
«Oh, tu sa’ che fortuna!» commentò, sarcastica e il marito, che condivideva pienamente quel punto di vista, rincarò la dose.
«Sai qual è la cosa peggiore? Che, secondo loro, è un vanto. Come il fatto che si sia fidanzata con il rampollo dei Boulanger. Da quando è successo, mio fratello e sua moglie sono diventati ancora più insopportabili, dato che si augurano che Giancarlo sposi al più presto la figlia degli Odescalchi».
E, poco dopo, disgustato, aggiunse: «Sono davvero ridicoli!»
«In effetti, tra la Maria Chiara e la Claudia non so davvero chi debba star più lontana dal mi’ figliolo» concordò la moglie, sdegnata, zuccherando il proprio tè con troppa foga. «Comunque, l’è piacevole vedere come il tu’ fratello e la su’ moglie non abbian perso il vizio d’impicciarsi dei nostr’affari».
«Le sane abitudini non vanno mai perse» fece Marcello, ironico, infastidito anche solo a nominare i suoi parenti, verso i quali non nutriva la benché minima stima e non approvando che, dall’alto della loro villa ad Albano Laziale1, si sentissero in dovere di fare commenti su suo figlio. A suo tempo, infatti, lo aveva già abbastanza schifato il matrimonio d’interesse tra il fratello Tiberio e la ricca Ortensia Torlonia, spingendolo, addirittura, a decidere di non sposarsi, ignaro di ciò che aveva in serbo il destino per lui.
D’altra parte, allora, anche l’appena diciottenne Beatrice, giunta nella Capitale poco dopo la morte di suo padre e ospite di una zia e di una cugina tutt’altro che generose, era convinta che la sua vita sarebbe stata costellata solo dall’infelicità, prima di essere costretta a ricredersi la sera che il suo dissoluto e libertino fratello aveva avuto la prodezza di trascinarla ad uno dei ricevimenti ai quali era solito imbucarsi, cui, eccezionalmente, erano presenti, in rappresentanza della famiglia, Tiberio, la sua neoconsorte e il suo giovanissimo fratello minore Marcello.
Era stata una festa come tante, con molta musica e tanti discorsi futili, una perfetta vetrina di tutta la sedicente buona borghesia romana, quindi un evento che, agli occhi del minore dei due fratelli, si annunciava persino più noioso degli altri. Si stava appunto allontanando dall’ennesima fanciulla che aveva cercato, invano, di attaccare bottone con lui, quando era accaduto l’inatteso: era letteralmente rimasto stregato dalle iridi blu zaffiro della ragazza che, maldestramente, lo aveva appena fatto cadere per terra, finendo curiosamente tra le sue braccia, mentre scappava da un corteggiatore un po’ troppo insistente.
Dal canto suo, quella fanciulla, abituata a cucirsi i vestiti da sola e a discorrere per ore di letteratura e opere d’arte, era rimasta a sua volta rapita dal fascino misterioso di quel giovane, il più bell’uomo che avesse mai visto, a tratti così burbero e severo, a tratti così gentile e delicato.
Tuttavia, a distruggere l’idillio, ci aveva pensato Madama Claudia, la Matrona, che non voleva assolutamente che il ribelle figlio minore, avendo ormai passato i venticinque anni, sposasse una fanciulla senza dote, poiché, anche se i Tornatore non erano nobili, potevano comunque considerarsi molto ricchi e di antica stirpe. Ciò che, però, non aveva messo in conto era che a Marcello piacesse quella giovane bambola e così, era riuscito a prevalere su di lei, forte dell’appoggio del padre Giancarlo, sposando, nonostante le proteste fatte anche il giorno del matrimonio, l’unica donna che avrebbe mai potuto renderlo felice.

Beatrice, cominciò a sorbire il tè e, nel riappoggiare la tazza sul piattino, provocò un tintinnio di ceramica, che si propagò nella mente dell’uomo, distogliendolo dai suoi pensieri e portandolo a guardare nuovamente la moglie che, approfittando del momento di quiete, gli sussurrò, affranta: «Comunque, Marcello, ti prego, cerca d’esser più comprensivo con Giancarlo... pensa che ti vergogni di lui, sai?»
Nel sentire ciò, Marcello si voltò in direzione della finestra aperta e, per qualche secondo, contemplò il cielo.
«Sai bene che non è così, ma non posso comunque far finta di approvare il suo comportamento scellerato» mormorò, infine. «Non so davvero dove ho sbagliato con lui…»
La donna, allora, gli poggiò una mano sulla sua e, rivolgendogli un’occhiata rassicurante, cercò di confortarlo: «Non hai sbagliato nulla, l’è solo che...»
Tuttavia, non riuscì a finire la frase, giacché, proprio in quel momento, il ragazzo fece la sua comparsa.
«Buongiorno, mamma» esordì, entrando nella sala con alcuni libri e quaderni in mano. «Buongiorno... papà».
«Buongiorno, caro» gli rispose la madre, sorridendogli.
Marcello, invece, gli scoccò uno sguardo severo, per poi riprendere immediatamente il suo quotidiano e sparire dietro la prima pagina, emettendo un grugnito a mo’ di saluto.
«Ti fermi a fare colazione con noi, Pul… Giancarlo?» chiese, a quel punto, la donna, lanciando uno sguardo al Quotidiano seduto al suo fianco.
«No, grazie, mamma, vado di corsa. Questa mattina ho la lezione di economia finanziaria alle nove in punto, perciò devo scappare».
Beatrice annuì, sempre sorridendo, mentre la Prima Pagina continuava nel suo mutismo, e Giancarlo fece finta di niente, abituato all’atteggiamento ostile del padre.
«Sarà meglio che vada» annunciò, dando una scorsa veloce al cellulare. «Buona giornata!»
Si era appena voltato, quando la madre, lasciando che un sorrisetto furbo si affacciasse sul suo volto, lo richiamò, con tono apparentemente casuale: «Stai controllando i tuoi impegni, caro, oppure aspetti una chiamata da Emiliano?»
Il figlio si fermò immediatamente e si voltò verso di lei.
«No, non ce n’è bisogno, ci siamo già messi d’accordo» replicò, distrattamente, alzando le spalle.
«Però, deve essere comunque una cosa importante» insistette Beatrice.
«Sì, certo» rispose il giovane, continuando a scorrere l’indice sul touch-screen del suo i-Phone.
«Importante quanto una… ragazza?» avanzò lei, continuando il suo interrogatorio.
«Eh?» fece l’altro, trasalendo, e facendo quasi cadere i libri che teneva sotto il braccio.
«Caro, ho notato che se’ un pochino assente in quest’ultimo periodo e il babbo ed io siamo un po’ preoccupati».
«Parla per te!» replicò, asciutto, il Quotidiano, increspandosi appena.
La moglie chiuse gli occhi e, dopo aver preso un bel respiro, decise di ignorarlo e continuare la sua indagine: «Tuttavia, e credo che sarebbe meno preoccupante, se ci fosse di mezzo una fanciulla...»
A quel punto, Giancarlo corrugò la fronte e si sedette al tavolo, appoggiando i libri ed il cellulare da una parte ed afferrando una fetta di pane tostato dal cestino con la mano libera, convenendo che, se doveva davvero rivelare tutto ai suoi genitori, era meglio farlo a stomaco pieno.
«Ecco, a dire il vero, ho conosciuto una ragazza che...» cominciò a raccontare, dopo aver inghiottito un paio di bocconi.
Tuttavia, non riuscì a finire, perché il Quotidiano scoppiò in una risata di scherno: «Una? E da quando avresti ammesso il concetto di singola unità, nel tuo sistema numerico?»
«Marcello, fallo parlare!» intervenne la donna, prendendo le parti del figlio e rivolgendosi, subito dopo, proprio a lui.
«Caro, per te l’è davvero così importante?» gli chiese, gentile.
«Sì, molto» rispose lui, esibendo un sorriso che aveva un che di imbarazzato.
«Allora perché non ce la fai conoscere?»
Il ragazzo stava per rispondere affermativamente, quando un “no” secco riecheggiò nella sala così si ritrovò a guardare alternativamente sua madre e la Prima Pagina.
«Perché no, Marcello?» si stizzì la consorte.
In risposta, l’uomo abbassò lentamente il giornale e la guardò severamente.
«Non ho tempo da perdere con le mignotte con le quali si intrattiene» rispose, secco spostando lo sguardo su Giancarlo e facendogli un cenno con il capo. «E ti posso assicurare che, finché in questa casa ci sarò io, queste mura non saranno spettatrici di alcuna oscenità!»
Beatrice lo guardò ironica, inarcando un sopracciglio, disapprovando certi termini con il quali si era espresso il marito, trovandolo un controsenso: se stava rimproverando il figlio, doveva almeno dargli il buon esempio!
«Come puoi dire questo, se non l’hai nemmeno mai vista?» protestò, invece, il giovane, buttando il resto del pane tostato sul tavolo. «Ti assicuro che non è come le altre... Se non vuoi dare a me un’altra possibilità, almeno offrila a lei, che non merita un tuo giudizio così severo e, soprattutto, così sbagliato prima ancora di averti conosciuto!»
Dopo tali parole, Marcello lo squadrò attentamente, rimanendo alquanto sorpreso nel notare che sul volto del figlio, al posto della consueta e apatica accidia e di quel suo solito sorrisetto da schiaffi, c’era un espressione decisa e appassionata.
«Perché insisti tanto per farcela conoscere? Finora hai fatto i tuoi disgustosi comodi tacitamente, come è negli accordi: fuori di qui puoi fare tutte le nefandezze di questo mondo, purché tua madre ed io non ne veniamo a sapere niente» gli ricordò, assottigliando lo sguardo, sospettoso. «Cosa ti spinge adesso a volerci rendere partecipi della tua miserabile vita?»
Il ragazzo incassò le offese, consapevole di essersele in gran parte meritate, ma non si lasciò intimidire e replicò, con veemenza: «Quando la conoscerete, capirete. E, comunque, sarebbe opportuno che cominciaste al più presto a prendere confidenza con quella che, spero, potrebbe essere la vostra futura nuora».
Beatrice spalancò gli occhi per la sorpresa e trattenne il fiato, mentre Marcello ebbe la reazione peggiore, poichè sapendo che, invertendo l’ordine degli addendi, il risultato non cambia, arrivò ad un’univoca conclusione: suo figlio si era fatto incastrare.
Per questo, si mise lentamente in piedi e dardeggiò il giovane con uno sguardo assassino: «Ah, ora ho capito, delinquente perverso! Sapevo che, prima o poi, sarebbe finita così!» esclamò, alzando il tono della voce.
«No, aspetta, non è come credi tu!» si affrettò a smentire Giancarlo, diventato scarlatto, dopo aver intuito a cosa stava pensando il padre. «È vero, c’è anche un bambino di mezzo, ma ha otto anni... ed è suo fratello!»
L’uomo lo guardò, scettico, anche se dovette ammettere che non aveva mai visto il figlio così sicuro e, allo stesso tempo, così imbarazzato.
«Ti prego, dammi fiducia, almeno per questa volta. Dammi l’opportunità di dimostrarti che tengo davvero ad Aida e a Samir…»
Marcello, allora, espirò molto lentamente e appoggiò le mani sul tavolo.
«Aida? È così che si chiama?»
«Sì. Samir, invece, è il suo fratellino. Poi ne ha anche uno più grande, Rami, al quale però non sono affatto simpatico».
«E posso immaginare il perché!» commentò l’altro, facendo una smorfia.
Per tutto il tempo, Beatrice osservò entrambi, rimanendo sempre in silenzio e lasciando che fosse il marito a fare le domande più opportune.
«Quando e, soprattutto, dove l’hai conosciuta?»
«Mentre ero in vacanza, ad Alessandria» rispose il ragazzo, senza staccare gli occhi da quelli del padre. «Studia Belle Arti e lavora insieme a suo fratello per pagarsi gli studi. Fa la cameriera, è un lavoro di tutto rispetto, non trovi?» precisò, prima che il padre giungesse a qualche altra conclusione affrettata.
L’uomo, allora, tenendo i palmi saldamente aderenti al tavolo, si rizzò in tutta la sua altezza e lo guardò severamente. Anche se non sapeva se gli stava davvero raccontando la verità, doveva ammettere che era una storia troppo limpida e credibile per essere frutto della fantasia del figlio, per quanto fervida; inoltre, nel caso avesse mentito, prima o poi la verità sarebbe comunque venuta fuori. C’era da dire, però, che, quel nome gli aveva subito fatto riaffiorare alla mente qualcosa che a lui era nostalgicamente noto, attirando positivamente la sua attenzione.
Nel frattempo, il giovane era rimasto in silenzio, in penosa attesa di conoscere la risposta.
«E va bene» sospirò Marcello, dopo secondi che parvero infiniti, «conosceremo questa misteriosa ragazza, fautrice dell’illuminazione sulla via di Damasco! Tuttavia, sappi che ti tengo d’occhio» lo redarguì alla fine, pronunciando quest’ultima frase molto lentamente.
Giancarlo annuì, con fare consapevole, poi si alzò, recuperò i libri e, dopo essersi scambiato un’ultima occhiata con i genitori, li salutò e si diresse verso la porta.
Rimasta sola con lui, Beatrice si avvicinò al marito e cominciò a dargli affettuose pacchette sulla spalla, sussurrandogli dolcemente: «E son sicura che sa quel che fa».
«Me lo auguro» borbottò lui, in risposta, recuperando il giornale e rimettendosi seduto. «Altrimenti, preparati a diventare vedova e a venire a piangermi al cimitero».
La donna sospirò, lasciandosi comunque scappare un sorriso.
«Oh, non essere così disfattista e catastrofico!» esclamò, rimproverandolo scherzosamente.
«In effetti, ci sarebbe una prospettiva migliore: venire a trovare me a Rebibbia e tuo figlio al Verano2» ribatté lui.
A quel punto, lei scosse la testa e, finalmente, cominciò a sorseggiare il suo tè, ormai completamente freddo.
***

Test Chi-Quadrato, T di Student, intervalli di confidenza... statisticamente parlando, quante probabilità aveva di passare l’esame?
Voltando pagina, Giancarlo smise di tamburellare ritmicamente la matita contro il libro e buttò giù sul foglio una formula matematica, alla quale fece seguire una nutrita schiera di passaggi e calcoli algebrici, che si conclusero con un esiguo numero decimale. Allora, si fermò, fissò le cifre, e, per un attimo, smise perfino di respirare, cercando febbrilmente il risultato dell’esercizio nelle appendici del volume che aveva fra le mani. Nel vedere che corrispondevano, sorrise, soddisfatto, prima di tornare a concentrarsi sul problema, risoluto a concluderlo nel passaggio successivo. E fu proprio quello che fece, confrontando poi quanto ottenuto con la soluzione data, che coincideva perfettamente: l’ipotesi poteva essere rifiutata.
Compiaciuto, il giovane depennò l’esercizio dalla lista e, stiracchiandosi, appoggiò la schiena contro lo schienale della poltrona di Marcello. Quando ne aveva occasione, infatti, andava spesso a studiare nella stanza che il padre aveva attrezzato come studio, poiché aveva una scrivania molto più comoda della sua, oltre ad essere un ambiente deliziosamente caldo e accogliente che, per giunta, permetteva di godere dalla balconata di una fantastica visuale sul parco della villa.
Per qualche secondo ancora, Giancarlo tornò ad ammirare il piccolo successo raggiunto, dopo di che scorse gli altri esercizi da fare e ne scelse un altro, visto che la possibilità di superare bene l’esame di statistica era direttamente proporzionale alla cura che ci metteva nel prepararlo e quell’ostacolo del terzo anno di economia doveva essere oltrepassato.
Tuttavia, doveva ammettere che, con la matematica non aveva mai avuto un buon rapporto: da adolescente infatti, non aveva fatto altro che architettare piani sempre più stravaganti per saltare le lezioni private di algebra, procurando non pochi guai all’anziano maggiordomo e subendo innumerevoli lavate di testa da parte del padre, impotente di fronte al fatto che odiava quella materia quasi quanto preferiva uscire con le sue ragazze.
A quel ricordo così poco piacevole, il suo sorriso si convertì all’istante in una smorfia di disappunto, poiché quel periodo gli sembrava molto lontano ed estraneo, come se non fosse stato lui il protagonista di quelle scorribande.
Tuttavia, subito dopo, poco intenzionato a perdere tempo con quei fastidiosi aneddoti, scosse la testa, riportando la mente sugli esercizi, e stava proprio per iniziare una nuova gincana numerica, quando qualcuno bussò alla porta.
«Avanti!» fece, alzando la testa.
Subito, entrò una donna ben piazzata e dai folti capelli corvini, che richiuse immediatamente e malamente la porta dietro di sé, come se fosse stata inseguita.
«Cosa è successo, Annetta?» domandò il ragazzo, preoccupato.
La governante, allora, fece una smorfia seccata, prima di rispondere: «Una disgrazia, ecco cosa! Sono appena arrivati la prima donna e quel damerino del suo fidanzato e vogliono parlarti».
Avendo intuito da quegli epiteti che si stava riferendo alla cugina e ad Olivier, il giovane si alzò e sospirò: «Falli accomodare».
Tuttavia, la donna, che aveva una bassa considerazione di Claudia, non si mostrò d’accordo con quella decisione: «Ricordati che non sei tenuto a riceverli: stai studiando ed è molto più importante questo che ascoltare le loro chiacchiere inutili!»
Giancarlo corrugò la fronte e aprì la bocca per ribattere, ma non riuscì a dire nulla, perché, prima che potesse farlo, Annetta scosse la testa e proseguì: «Ho capito, ma cerca di mandarli via presto, d’accordo?»
E, dopo aver detto questo, senza aspettare una risposta, spalancò la porta e attese che i visitatori entrassero. Claudia avanzò immediatamente, sfoggiando un abito di velluto color malva, reggendo con la mano destra un paio di guanti di nappa leggera e con il braccio sinistro una preziosa borsetta abbinata alle décolletées in pelle di camoscio che indossava; i capelli, invece, erano stati minuziosamente acconciati in splendidi boccoli che scendevano sinuosi da un lato del volto. Subito dietro di lei, comparve Olivier, rigorosamente azzimato in un sopraffino completo blu e bianco che gli cadeva perfettamente, mettendo in risalto la sua figura aggraziata.
«Merci, madame» fece ad Annetta, che, invece, fece una frettolosa, rigida riverenza e lanciò un’occhiataccia alla ragazza, per poi uscire, sbattendo leggermente la porta dietro di sé.
«Personale sempre molto scortese e inefficiente, noto» commentò Claudia, accomodandosi, senza chiedere il permesso su una delle poltroncine, subito imitata dal fidanzato.
«In realtà, Annetta è la migliore governante che potessimo avere» notò Giancarlo, con una punta di irritazione. «Piuttosto, come mai siete qui?»
«Ci intratterremo a Roma solo per qualche ora, siamo venuti perché mi sono resa conto che la moda parisienne di quest’anno non mi soddisfa. Madame Morue ha dato un ricevimento e non posso assolutamente presentarmi con un vestito simile a quello che ha preparato per quella manche de balai della figlia. È ancora convinta che la sua Ottilie sarebbe perfetta come futura Madame Boulanger e non perde occasione per mettermi in difficoltà» spiegò subito Claudia, visibilmente scocciata.
Sentendo quelle parole, Olivier indugiò di nascosto sulla figura della fidanzata, pensando evidentemente allo scampato pericolo, poiché, nonostante fosse superba e altezzosa, fisicamente non aveva nulla da criticarle.
«Che affronto imperdonabile!» esclamò, allora, il biondo, ironico, attirando immediatamente l’attenzione dell’amico, che lo guardò accigliato, mentre Claudia, invece, lo scrutò con gli occhi ridotti a due fessure, prima che il suo sguardo cadesse sui libri aperti sulla scrivania.
«Cosa stavi facendo?» chiese, guardandoli incuriosita.
«Stavo studiando statistica» rispose Giancarlo, con noncuranza, lasciando i due sbigottiti.
«Statistica? Tu sei allergico alla matematica!» strillò subito la ragazza con voce acuta, osservando il cugino con occhi spiritati.
«Risolverò con un antistaminico, oppure con una bella dose di cortisone» replicò l’altro, con leggera strafottenza, cominciando a irritarsi.
«Hai ripreso a studiare?» riprovò Olivier, scettico. A quel punto il giovane, facendo appello a tutta la pazienza che aveva e cercando di non essere troppo scortese, ribatté: «Avete bisogno di certificato timbrato e firmato dal rettore per esserne convinti, per caso? Sì, ho ricominciato a frequentare i corsi».
Claudia assottigliò lo sguardo, stranamente risoluta a non indagare oltre sull’improvviso interesse che il cugino stava ostentando verso quella materia per lui così ostica.
«Comunque, ancora non mi avete detto perché siete venuti» riprese Giancarlo, appoggiandosi contro la scrivania e incrociando le braccia, desideroso di arrivare quanto prima al dunque.
«Oh, vedi, Olivier ed io abbiamo avuto un’idea per festeggiare adeguatamente la sua vittoria al Bocuse d’Or» cominciò Claudia, contenta che le si desse l’attenzione che desiderava. «Avevamo intenzione di organizzare il tutto tra qualche settimana, sai, il tempo di liberarci dagli ultimi inviti... ma l’idea ci è venuta all’improvviso così, trovandoci nei paraggi, abbiamo deciso di venirtene a parlare di persona!»
Vedendo che il cugino, però, si limitava a fissarla con un sopracciglio alzato, senza dimostrare interesse verso ciò che stava dicendo, la ragazza proseguì: «Stavamo pensando di fare qualcosa di particolare… una settimana a Bora Bora a goderci il sole estivo, mentre qui è pieno inverno!»
A quel punto, tacque, soddisfatta, in attesa della risposta di Giancarlo, come se pensasse di meritare un premio solo per aver avuto un’idea del genere. Tuttavia, il biondo non fu dello stesso avviso, come si affrettò a mettere in chiaro.
«Non credo di poter partecipare, è periodo di esami e non posso muovermi» spiegò, con tono grave.
«Che cosa?!» strillò l’altra, con voce acuta.
«Ho l’esame di statistica, in quei giorni, perciò non posso muovermi» ripeté, allora, il ragazzo, scandendo bene le parole, come se sospettasse che la cugina fosse diventata sorda tutto d’un tratto.
«E non puoi telefonare a Palombelli e far spostare l’appello? Appena sentirà che sei tu, non ti negherà niente» gli suggerì subito lei.
«Ma sei impazzita o cosa?! Spostare l’appello per una vacanza? È assurdo, Claudia! Non sono solo io a dover affrontare quest’esame!»
In quel momento, Olivier aprì la bocca per dire qualcosa, ma la sua fidanzata lo precedette: «Non ti riconosco più, sei così... diverso. Immagino che questo tuo cambiamento dalla notte al giorno sia stato orchestrato da lei».
Giancarlo si concentrò sul ripiano più alto della libreria che aveva di fronte, dedicandosi all’inventario dei volumi lì sistemati, invece di rispondere, non avendo la benché minima intenzione di mettersi a discutere con la ragazza di cose che non la riguardavano.
«Come temevo…» commentò quella, dopo avergli riservato un’occhiata carica di risentimento. «Se le cose stanno così, fai pure quello che vuoi, allora, ma spero che, prima o poi, tu riesca a rinsavire».
Poi tacque per qualche secondo, ma, poiché la gelosia nei confronti del cugino era più forte di lei, non riuscì a trattenersi ancora e sbottò: «Dovresti smetterla di andare dietro a quella piccola sguattera, non merita le tue attenzioni!»
Il ragazzo, però, continuò a rimanere in silenzio, deciso a non alimentare oltre una discussione che trovava insensata: sapeva che Claudia amava profondamente e sinceramente il fidanzato, ma era anche consapevole del fatto che quella relazione non le impediva comunque di sopire l’insano e morboso attaccamento che aveva sviluppato verso di lui, giacché, se fosse stato per lei, avrebbe voluto per sé sia l’uno che l’altro.
Finché Giancarlo si era divertito, conscia che le altre fossero solo insignificanti passatempi, era riuscita a controllarsi, accettando perfino l’idea che lui sposasse Maria Chiara, sapendo che non sarebbe stato un problema condividerlo con la sua migliore amica. Tuttavia, ciò non sarebbe stato più possibile, se il ragazzo, invece, si fosse interessato ad un'altra e il fatto che il biondo, appunto, si fosse invaghito di una barbara3 di umili natali, per Claudia, rappresentava il peggiore degli affronti.
«Ma petite fleur, va bene così. Non credo che dovremmo reputarla un’offesa, d’altra parte Gianni rifiuta per un serio motivo, non è vero, mon ami?» fece a quel punto Olivier, scoccando all’altro un’occhiata eloquente e prendendo la fidanzata per una mano.
Intuendo che l’amico desiderava, giustamente, togliere il disturbo al più presto, il biondo gli rispose, con un sorriso sghembo: «A quanto pare, mon ami».
L’atmosfera, a quel punto, era diventata piuttosto pesante così, non avendo altro da aggiungere, il giovane francese sospirò: «Bene, ora che abbiamo chiarito le cose, mi pare il momento di andare, Paris ci aspetta».
Subito, si alzarono entrambi e lui offrì il braccio alla ragazza, che lo accettò con grazia impostata, senza mai smettere di scrutare il cugino con rabbia mista a indignazione.
«Au revoir, Gianni. In bocca al lupo per tutto!» lo salutò, allora, Olivier, impaziente di togliere le tende.
«Quella servetta scialba e selvaggia non ti merita» sussurrò, invece, Claudia, poco prima di voltarsi e andarsene.
«I pregiudizi sono sempre un limite» le rispose Giancarlo, senza guardarla, «perché giudicare male gli altri non ti rende una persona migliore».
A quelle parole, l’altra si arrestò sulla soglia, senza tuttavia aggiungere altro; rimase semplicemente immobile per qualche secondo, per poi uscire in tutta fretta, seguita prontamente dal suo ragazzo.

Una volta solo, Giancarlo si riaccomodò alla scrivania, per nulla toccato dagli infantili capricci della cugina: la principessa Claudia doveva rassegnarsi al fatto che non tutti fossero disposti a venerarla e a pendere dalle sue labbra. Inoltre, ciò che pretendeva in particolare da lui, oltre ad essere egoistico e scabroso, andava anche contro i suoi sentimenti e desideri. Infatti, per quanto potesse volerle bene, ciò che provava per lei non era nemmeno paragonabile a quello che nutriva per Aida.
A lui non importava affatto che non fosse ricca e che non trasudasse leziosa e seducente femminilità da ogni grado delle sue curve, poiché aveva una grazia e una dolcezza che non era riuscito a trovare in nessun’altra donna. E, infatti, solo a pensarla, il giovane sentì il suo animo farsi più sereno e nella sua mente cominciò a maturare la decisione di dare uno scossone a quella situazione fin troppo statica. D’altra parte, se era vero che i suoi genitori avevano acconsentito a conoscerla, lui non si era ancora deciso a riferirlo alla diretta interessata, per paura di ricevere un rifiuto. Tuttavia, non avrebbe potuto andare avanti in quel modo in eterno, allora, approfittando del fatto che la concentrazione era ormai svanita, chiuse il libro con un colpo secco e controllò l’orario. Non era tanto presto, soprattutto considerando il fuso orario con l’Egitto, perciò il ragazzo prese il telefono e cominciò a comporre un numero.
A quel punto, restava solo una persona con cui mettere in chiaro le cose: Rami al-Nassar, quella volta, avrebbe dovuto ascoltare tutto quello che aveva da dirgli.
***

Quando il telefono squillò, Aida si precipitò a rispondere, sotto lo sguardo torbido di Rami, sempre più meravigliato dalla costanza con cui l’italiano si faceva sentire. Per essere solo una sciocca infatuazione, quella storia stava durando da troppo tempo, anche se doveva ammettere che, fino a quel momento, Giancarlo aveva rispettato tutto quello che aveva promesso alla sorella. Ogni sera, infatti, la ragazza metteva da parte la stanchezza derivata dal lavoro extra che aveva accettato per fare un favore al fratello, per parlare con il suo spasimante lontano e, se era lei a chiamarlo, la volta successiva era il ragazzo a fare la prima mossa e viceversa.
Per giunta, quella sera, la fanciulla rispose con un entusiasmo simile a quello mostrato dalle fidanzate dei militari al fronte, quando ricevevano una lettera da parte del proprio amato, perché era una di quelle persone che riescono ancora ad emozionarsi per le piccole cose.
Rami, perciò, scosse la testa nel vedere un simile comportamento, riprendendo a seguire il telegiornale, che stava annunciando proprio in quel momento che un assassino era stato appena condotto in carcere e sarebbe stato presto sottoposto ad un processo. Immediatamente, riaffiorò in lui lo sgomento provato quando dalla medesima fonte aveva appreso ciò che era successo a suo padre: non avrebbe mai potuto dimenticare l’ansia e l’angoscia provate in quei momenti e negli otto anni successivi. Tuttavia, considerando le ultime notizie che aveva ricevuto in merito, sembrava proprio che la situazione sarebbe migliorata e che l’uomo stato fuori entro otto mesi: quell’avvocata inglese aveva fatto un miracolo!
Perciò, nonostante per lui Tornatore rimanesse un idiota, il giovane dovette ammettere che aveva fatto qualcosa di veramente utile, anche se, con molta probabilità, era stato mosso da un unico scopo ben preciso: sua sorella.
«Ah!»
In quel momento, l’esclamazione di assoluta delusione della ragazza allarmò Rami, il quale sussultò sul divano e le rivolse immediatamente uno sguardo preoccupato osservando l’espressione triste sul suo volto. Quali oscenità le stava dicendo quell’essere?
Insospettito e deciso a prendere il telefono per rispondere per le rime a quel dongiovanni da strapazzo, si alzò e si avvicinò alla sorella, ma, inaspettatamente, non dovette nemmeno aprire bocca per avere ciò che voleva..
«Stasera non vuole parlare con me, ma con te» gli spiegò lei, guardandolo torva.
«Con me?» ripeté meccanicamente il concierge.
Aida annuì, abbastanza infastidita prima di allontanarsi, contrariata. Dal canto suo, Rami fissò per parecchi istanti e con aria interrogativa la cornetta, come se potesse rivelargli perché mai Giancarlo Tornatore volesse parlare con lui, anziché fare il solito galletto gaudente con la sorella.

Quando il concierge uscì dall’ufficio, tre quarti d’ora più tardi, aveva un’aria meditabonda.
Aida e Jamila stavano parlottando a bassa voce nell’ingresso, riposandosi dalla stressante giornata di lavoro, giacché, nonostante fosse gennaio avanzato, i clienti non erano certo pochi. Samir, invece, picchiettava pigramente la stilo sullo schermo della console, sbadigliando, con le palpebre sul punto di chiudersi, segno che non sarebbe rimasto sveglio ancora a lungo.
Quando si accorse della comparsa di Rami, però, le due ragazze smisero immediatamente di parlare, in attesa che riferisse loro qualcosa.
«Allora?» lo incalzò poco dopo Aida, che non riusciva a mettere a tacere la curiosità e si aspettava una seria motivazione al rifiuto di Giancarlo di parlare con lei.
«Ha detto che deve parlarmi di persona di cose importanti e che vorrebbe che tu conoscessi i suoi genitori».
Non avendo messo nemmeno lontanamente in conto questa ipotesi, la ragazza spalancò gli occhi, esterrefatta.
«Il biondino strafigo fa sul serio, Dada» commentò, invece, Jamila con un sogghigno, accomodandosi meglio sul divano. «A quanto pare, l’hai proprio steso!»
A quel commento, l’altra la guardò, ma non riuscì a spiccicare mezza parola, incapace di emettere anche solo monosillabi.
Il fratello guardò la sua fidanzata in tralice, poi proseguì: «Gli piacerebbe che andassimo tutti e tre a Roma l’ultima settimana di febbraio».
«E noi ci andremo, vero?» intervenne Samir, che nel frattempo si era ridestato del tutto.
Rami trasalì, non aspettandosi che anche lui avrebbe partecipato alla conversazione.
«Samir, ma non stavi dormendo?!» sbottò.
«Andiamo da Giancarlo, vero, Rami? Dai, ti prego-ti prego!» lo supplicò il bambino, saltellandogli tutt’intorno.
«E tu... cosa gli hai detto?» chiese Aida, allora, sulle spine, ritrovando la capacità di parlare.
«Già, cosa gli hai detto?» le fece eco Jamila, squadrando sospettosa il ragazzo.
«Eh, cosa gli ho detto… che ci andiamo!» sbuffò lui, infastidito dal fatto che gli stessero tutti addosso. «Tuttavia, ho accettato solo perché sono mesi che il mio amico Domenico mi chiede di andare da lui, per aiutarlo a risolvere alcuni problemi che ha con l’hotel che gestisce a Piazza Barberini» precisò subito dopo. «Inoltre, non ci fermeremo più di due giorni».
«Ti sei sprecato!» commentò la fidanzata, incrociando le braccia e facendo una smorfia di disapprovazione.
Samir, felice per quella novità, si attaccò subito ad una gamba del fratello grande ed esultò: «Grazie, Rami, grazie!»
«Sul serio, Rami... grazie» ripeté Aida, ancora un po’ stordita dagli ultimi eventi.
«I tuoi fratelli sono dalla parte del biondino, mio caro» gli fece notare Jamila, facendo schioccare la lingua.
Il ragazzo emise in risposta un grugnito di disappunto, staccandosi Samir di dosso e mettendolo sul divano: «Non riesco proprio a capire perché tu stia perdendo il tuo tempo con quello» sbuffò, rivolto alla sorella. «Mi pare che tu abbia già un pretendente di tutto rispetto!»
La fanciulla aprì la bocca per replicare, ma l’amica la precedette.
«Ancora insisti, Rami? Mohammed non va bene per Aida, lo sai che non ha alcun interesse verso di lei e che la sposerebbe solo per amicizia verso di te!» esclamò, furibonda. «E poi, ha più di quarant’anni, è scontroso e non parla nemmeno sotto tortura, praticamente è una mummia! Questa bella ragazza merita un corteggiatore giovane, affascinante e con una buona prestanza fisica, che possa farle tutte le coccole che merita» concluse, riservando all’amica un’occhiata maliziosa.
Le ultime parole, però, ebbero il potere di far avvampare Aida, che, istintivamente, abbassò subito lo sguardo.
«Dada, stai bene?» le chiese immediatamente il fratellino, preoccupato, prendendole una mano, e lei gli sorrise, annuendo.
«Sì, Samir, non preoccuparti».
«Figurati, quello non vede l’ora di fare una cosa del genere!» replicò, invece, Rami, spazientito. «Voglio proprio vedere cosa ha in mente Tornatore, ma, se pensa che con me avrà vita facile, si sbaglia di grosso!»
La giovane avvertì dentro di sé una confusione, un miscuglio di emozioni che non aveva mai provato prima: esattamente, cosa c’era ad attenderla?
Per saperlo, però, non poteva fare altro che aspettare, poiché, prima o poi, quel mese e mezzo sarebbe passato e, allora, tutti i misteri sarebbero stati svelati.
***

Rami osservava con fare interessato il raffinato arredamento esposto nel salotto in cui li aveva fatti accomodare una burbera governante, contemplando, in particolare, il pavimento.
«Tappeti della migliore fattura persiana!» esclamò, interessato. «Inoltre, presumo che questo sia quel marmo di Carraia tanto prezioso che nomini sempre».
Carrara” lo corresse mentalmente la sorella che, faticando a gestire l’ansia per l’imminente incontro con i genitori di Giancarlo, non aveva neanche osato alzare gli occhi su tutta quell’opulenza. Figurarsi fare congetture sulla provenienza dei materiali e degli oggetti d’arredo!
Tuttavia, non soddisfatto per via dell’indifferenza della ragazza, l’altro insistette: «Sai, credo che ti converrebbe proprio sposarlo. Male che vada, potresti sempre chiedere il divorzio dopo qualche mese... Scommetto che potremmo vivere tranquillamente tutti e tre, per un anno intero, con un solo assegno mensile!»
A tale considerazione, Aida sobbalzò e fulminò il fratello con lo sguardo, indignata.
«Rami! Sei disgustoso! Perché mi devi sempre far vergognare per quello che dici?» replicò poi, indispettita da tanta strafottenza.
Dal canto suo, lui, per nulla intimidito dal rimprovero della fanciulla, sogghignò.
«Forse hai ragione, questi snob occidentali non potrebbero mai ammettere una schiava africana alla loro corte, meno che mai lasciarti avvicinare al loro rampollo, perché non faresti altro che insudiciare il loro nome. Sono convinto che, in realtà, hanno già deciso chi dovrà sposare quel riccastro viziato…» commentò, gesticolando con fare sprezzante. «In fondo, lo sai anche benissimo tu che ti hanno fatta venire qui solo per umiliarti!»
«Oh, ma noi non siamo così cattivi!» replicò una voce profonda alle loro spalle. «E nemmeno così attaccati ad arcaiche e obsolete convenzioni; però, devo ammettere che hai fatto bene a chiamare quel mascalzone riccastro viziato».
Immediatamente, i tre fratelli si voltarono nella direzione da cui era arrivato il suono e videro un uomo di bella presenza e dal portamento elegante che avanzava verso di loro.
«Mia moglie e mio figlio saranno qui a momenti, ma credo che, almeno tra di noi, possiamo cominciare a presentarci… Marcello Tornatore, piacere di conoscervi» fece l’uomo, tendendo loro garbatamente la mano. «Immagino voi siate Rami, Samir e... Aida» aggiunse, soffermandosi a guardarla per qualche secondo.
Lei annuì lentamente, in leggera soggezione, giacché aveva capito chi era prima ancora che si presentasse grazie alla grande somiglianza con il figlio. Certo, le iridi di Marcello erano verde chiaro, il volto non imberbe e nel fisico dimostrava un più maturo e accentuato vigore, ma, fondamentalmente, erano uguali.
Rami, invece, era ammutolito, spiazzato da quel faccia a faccia immediato e inatteso con il padrone di casa, anche perché sapeva con certezza che l’uomo aveva sentito tutto quello che aveva detto. In quel momento, per una volta, il ragazzo si ritrovò a biasimare la sua bocca larga.
«Tu sei il papà di Giancarlo?» domandò, allora, Samir, avvicinandosi a Marcello.
Quel confidenziale intervento, però, richiamò prontamente sia Aida che Rami, i quali si riebbero malamente dallo stato catalettico in cui erano caduti.
«Samir... che modi sono!» lo sgridò la sorella.
«No, non c’è bisogno di rimproverarlo, non ha fatto niente di male. È solo un bambino» replicò pacatamente l’uomo, prima di rivolgersi direttamente a lui. «Sì, sono io. Mio figlio mi ha raccontato che sei un appassionato di beyblade».
«Oh, sì, mi piace tanto giocarci!» esclamò il piccolo, spalancando gli occhi per l’entusiasmo. «Spero un giorno di diventare un campione, proprio come Giancarlo».
Incurvando lievemente le labbra, Marcello gli scarmigliò affettuosamente i capelli e lo incoraggiò: «Sono certo che puoi puntare molto più in alto e diventare perfino più bravo!»
A tali parole, il bimbo sorrise, raggiante e stava per aggiungere qualcosa, quando, fecero il loro ingresso Beatrice e Giancarlo.
Rami, scorgendo la donna, strabuzzò gli occhi, perché aveva immaginato la madre del giovane come una vecchia e rinsecchita megera, invece, si era ritrovato davanti una giovane donna affascinante, davvero simile alla Primavera di quel tale che piaceva tanto alla sorella... come si chiamava? Ponticelli, forse?
Aida, da parte sua, sentì il proprio cuore sussultare quando rivide il ragazzo: aveva un aspetto decisamente più fresco e riposato, perché i mesi di vita regolare dovevano aver sortito il loro effetto, ma, per il resto, aveva gli stessi capelli biondi con quei buffi ciuffetti ribelli, gli stessi occhi blu magnetici, lo stesso fisico slanciato e tonico.
Nello scorgerlo, Samir, invece, non perse tempo e gli saltò subito in braccio.
«Ecco il mio sfidante preferito! Allora, che cosa mi racconti?» lo salutò il biondo, facendogli fare una piccola giravolta.
A quel punto, Beatrice si avvicinò al marito e agli ospiti, rivolgendosi direttamente a loro: «Benvenuti, cari! Siamo molto contenti che abbiate accettato il nostro invito».
Poi, strinse gentilmente la mano alla fanciulla e poi al giovane, il quale, però, si dimostrò assai restio a lasciare la presa.
«Grazie a voi» rispose educatamente Aida per tutti, cercando di esprimere tutta la sua riconoscenza.
La donna rimase a guardarla un po’, sorridendo amabilmente, ma, subito dopo, arrivarono Giancarlo e Samir e l’attenzione di Beatrice fu catturata immediatamente dal bambino.
«Oh, ma l’è così piccino! Posso prenderlo in braccio?» chiese, all’indirizzo dei due fratelli.
Aida aveva appena aperto la bocca per replicare, quando fu anticipata da Rami, che si affannò subito a rispondere: «Certamente... se a lei fa piacere!»
Così, avendo ricevuto il permesso, la donna lo carezzò con lo sguardo e gli domandò: «Samir, vorresti venire un po’ con la Beatrice?»
Il bambino la fissò per qualche secondo, poi, fidandosi del suo atteggiamento dolce e materno, annuì.
A quel punto, il figlio le passò con cautela il bimbo, come se stessero maneggiando chissà che antico e prezioso cimelio; quando poi il ragazzo fu libero, si avvicinò ai due fratelli.
«Grazie di aver accettato» fece al giovane, prima di girarsi subito verso la fanciulla e sciogliersi istantaneamente: «Sono contento che tu sia qui…».
In risposta, Aida assunse un’espressione tanto lieta quanto imbarazzata e si limitò a sorridere. Allora Marcello, che non si era perso nulla delle reazioni di lei, né tanto meno di quelle di Giancarlo, istintivamente cercò con lo sguardo la moglie, che, con una sincronia simbiotica, fece lo stesso con di lui: era dunque quella la ragazza che aveva mandato in brodo di giuggiole il loro scapestrato figlio?

Al contrario di quello che aveva immaginato Rami, Beatrice e Marcello si dimostrarono molto benevoli con tutti e tre e, superato l’imbarazzo iniziale, dovuto alla pessima figura che aveva fatto al suo arrivo, il ragazzo riuscì anche ad impostare un fluente discorso con il padrone di casa, rimanendo seriamente colpito dalla vastità di argomenti che sapeva trattare in modo molto approfondito, senza inciampare nella saccenteria. Beatrice, invece, si divertì a coccolare il piccolo Samir come un figlio, discutendo contemporaneamente con la ragazza e informandosi sulle sue preferenze artistiche e sugli studi che le accomunavano.
Non erano passate nemmeno due ore che già Aida e Rami, con grande sorpresa, erano arrivati alla stessa conclusione: Marcello e Beatrice erano davvero strani per essere dei ricchi borghesi abituati alla vita di società in una città così grande. Infatti, nonostante fosse molto evidente che i due coniugi appartenevano alla Roma bene, non erano costruiti né affettati. Tuttavia, se da una parte i fratelli maggiori erano rimasti abbastanza interdetti da quella rivelazione, dall’altra, Samir si era immediatamente adagiato nel clima armonioso aleggiante a Villa Aurelia, come se gli fosse stato familiare da sempre: era sereno tra le braccia della donna, percepita come una madre.
Durante la cena, infatti, Giancarlo aveva lasciato che i suoi genitori gestissero la situazione come meglio credevano, affidandosi alla loro esperienza e sapendo che non avrebbero mai fatto nulla per mettere a disagio gli ospiti, prendendo sì e no qualche boccone e dedicandosi, quindi, esclusivamente ad ammirare la sua Aida, la quale aveva risposto ai suoi sguardi incantati accennando timidi sorrisi.
Ovviamente, Marcello non si era perso una virgola nemmeno di questo, ma, come sempre, non lo aveva dato a vedere.
Una volta terminato il pasto, i tre vennero fatti accomodare in soggiorno e, a quel punto Samir cominciò a dare segni di cedimento, sbadigliando e lasciando che, ogni tanto, gli si chiudessero le palpebre; il viaggio era stato lungo e su un bambino così piccolo la stanchezza stava prendendo facilmente il sopravvento.
Allora, il biondo si decise a chiedere a Rami un colloquio privato, staccandosi, anche se di malavoglia, dalla fanciulla e affidandola alla compagnia dei suoi genitori, prima di condurre l’altro in un salottino un po’ appartato e ammobiliato in stile impero con tonalità verde e oro; dal soffitto, pendeva un lampadario in cristalli di Boemia, che tracciava sul muro sottili giochi di luce policroma.
Dopo aver fatto entrare il suo ospite, Giancarlo richiuse la porta dietro di sé e lo invitò ad accomodarsi su un divanetto accanto al camino, mentre lui prese posto su quello di fronte.
«Desideri bere qualcosa?» gli chiese, mentre si sistemava meglio.
A quella richiesta, Rami aggrottò la fronte, stupito.
«Cos’è, un modo per farmi vedere come si trattano gli ospiti, per caso?»
Il biondo fece una smorfietta divertita e replicò: «Be’, aggredirli non è certamente molto educato».
L’altro socchiuse appena gli occhi, ma scosse la testa e decise di andare avanti: «Dunque, cosa devi dirmi di così importante da farmi correre a Roma e da non poter aspettare che papà esca di prigione?»
Giancarlo, a quel punto, spostò lo sguardo sul pavimento, in cerca delle parole più giuste per dire ciò che voleva, ma alla fine, per scaricare la tensione, si alzò dalla poltrona, avvicinandosi alla finestra e scrutando il buio del giardino.
«Non lo immagini?»
«In parte» rispose immediatamente il suo interlocutore. Poi fece una piccola pausa e aggiunse: «Quali sono le tue intenzioni con lei?»
A quella domanda, il giovane si voltò immediatamente, contento di poter entrare subito in argomento senza fare inutili giri di parole: «Bene, vedo che ti piace andare subito al sodo».
«Tornatore, mia sorella non è interessata a farti da concubina nel tuo harem» lo incalzò subito Rami, fissandolo severamente. «Ha sognato una vita semplice fin da bambina, con un lavoro che abbia a che fare con i suoi artisti, una famiglia salda con dei figli ed un marito che la rispetti e che le voglia bene. Ma, per realizzare tutto questo, non le servirà la tua misericordiosa mano».
Inasprito da quell’ultimo comento, il biondo inarcò un sopracciglio e commentò: «Dovresti sapere che Aida non si lascerebbe mai comprare. Se fosse stato così, non mi sarebbe interessata».
Sorpreso da una tale risposta, Rami si alzò a sua volta e si avvicinò a lui finché non fu solo a qualche passo di distanza.
«Cosa vuoi che ti dica, allora?»
«Nulla, tu devi solo starmi ad ascoltare e, questa volta, per davvero» affermò Giancarlo, allontanandosi da lui e iniziando a passeggiare su e giù per la stanza. Deciso a dire tutto quello che sentiva all’altro, si concesse qualche secondo per ordinare le idee, quindi prese un respiro e cominciò: «Al contrario di Aida, fino a qualche mese fa, io non avevo la più pallida idea di che cosa avrei fatto della mia vita. Non sapevo cosa avrei fatto da grande, l’unica cosa di cui ero certo era che non sarei mai stato all’altezza di mio padre, e non avevo nemmeno alcuna intenzione di sposarmi, per quanto mia cugina si fosse adoperata per trovarmi un’adorabile mogliettina, degna del nostro status».
Rami, però, non disse niente, rimanendo immobile nella sua posizione limitandosi a seguirlo con lo sguardo.
«Ero solo un gretto, apatico, menefreghista e materialista. Non volevo avere preoccupazioni o pensare al futuro ed ero soddisfatto dalla realizzazione istantanea di ogni capriccio che mi passasse per la testa. Se volevo una cosa, la prendevo. Così, semplicemente: detto, fatto!» esclamò, schioccando le dita. «E con le ragazze non ero diverso: se me ne piaceva una o anche più, facevo di tutto per portarmele a letto, senza tanti scrupoli. D’altra parte, a loro non interessava chi o come fossi, l’importante era che le ricompensassi bene. Non ne vado fiero, ma questa è la verità, la stessa che ho già raccontato ad Aida».
A quel punto, ritornò sui suoi passi e si avvicinò nuovamente al ragazzo, guardandolo con estrema fermezza.
«Vedi, al-Nassar, quando mi hai inveito contro, avresti potuto avere ragione su quello che le avrei fatto, se… tua sorella non fosse stata quello che è».
Alle orecchie di Rami, tale frase dovette sembrare poco meno di uno scioglilingua, giacché inclinò la testa da una parte e lo scrutò perplesso, ma Giancarlo non vi badò e, senza esitazione, proseguì: «È stata la grazia di tua sorella, così pura e lontana dalle cose meschine di questo mondo, a farmi capire quanto stessi sbagliando e il suo carisma è stato un vero e proprio dono4 per me, ricevuto affinché prendessi coscienza di quello che ero diventato. Perché aspirare ad averla solo per una notte, quando avrebbe potuto illuminare tutta la mia vita? Potrà sembrarti una stupida e banale frase fatta, ma Aida è la mia luce e vorrei averla sempre con me. Io…» a quel punto fece una pausa, prima di arrivare al punto più importante del suo discorso. «Vorrei chiederle di diventare la mia fidanzata e, quindi, di sposarmi. Per quanto intensamente la possa desiderare, non potrò mai avere la sua dolcezza, se non sarà lei a concedermela: questa volta, infatti, volere qualcosa non basterà per ottenerla. Per questo ti chiedo di concedermi l’opportunità di chiederle che cosa ne pensa».
Aveva detto tutto questo senza mostrare alcun tipo di insicurezza, non vacillando neppure per un istante, ispirato da un sentimento che, fino a qualche prima, aveva deriso e considerato una debole favola per gli stolti: l’amore non esiste, c’è solo l’appagamento degli istinti. Tuttavia, questo era stato prima di conoscere Aida...
«Infatti, è con lei che devi parlare» replicò Rami, dopo aver riflettuto per diversi secondi.
Giancarlo sollevò lo sguardo su di lui, distogliendo l’attenzione dai suoi pensieri che, come sempre, convergevano sulla giovane.
«Intendo dire che approvo il fatto che debba essere Aida a decidere» aggiunse l’altro, cominciando a passeggiare avanti ed indietro a sua volta. «Anch’io ho i miei torti: sono stato egoista con mia sorella, volevo solo che rimanesse accanto a me e a Samir. Non mi importava che dovesse rinunciare alla sua felicità, che dovesse sposare un uomo che non la ama, perché volevo solo che non si allontanasse da noi, dalla sua famiglia. Sono stato un pessimo fratello e ora tu hai tutto il diritto di prenderti la tua vendetta».
«Non mi interessa la vendetta, non ci trovo più nulla di appagante nel vedere soffrire i nemici» affermò il biondo, mesto, appena l’altro finì di parlare.
Colpito da quelle parole, Rami, girò la testa verso di lui e si arrestò di colpo, fissandolo attentamente, prima di riprendere a camminare.
«Ero talmente accecato da ciò che volevo io che non ho voluto vedere quanto sinceramente fossi interessato a lei» ammise, dopo qualche secondo. «In fondo, credo che tu abbia il diritto di chiederle tutto quello che vuoi. Se anche lei ti ama, non posso impedirti di entrare nella sua vita».
Tuttavia, Giancarlo non aveva nemmeno finito di meravigliarsi per una tale affermazione, che l’altro tornò a guardarlo severamente e aggiunse: «Tornatore, solo una cosa, da uomo a uomo: se mia sorella dovesse dirti di sì, vedi di raffreddare la tua tempra focosa e di tenere le mani al loro posto. Vacci piano con lei e comportati come il gentiluomo che dici di essere».
«Certo che, quando ti fissi, non c’è modo di farti cambiare idea, eh! Ti risulta che le abbia mai fatto qualcosa di male?» ribatté quello arrossendo leggermente.
«No, finora no, ma non dimenticarlo» precisò Rami. «Per colpa mia, Aida non ha mai avuto un fidanzato, dato che non le ho mai permesso di cercarlo, perché troppo impegnato a propinarle pretendenti più vecchi di lei. Perciò, tu vedi di fare le cose con delicatezza e di ricordarti sempre la sua situazione».
Il biondo, allora, sospirò, arruffandosi i capelli, in evidente imbarazzo.
«Sinceramente, non vorrei mai metterla a disagio o in difficoltà» mormorò.
«Se così non dovesse essere, sappi che non sarò indulgente con te».
«Be’, in questo caso, credo che dovrai metterti in fila, al-Nassar, perché, se non dovessi rigare dritto, il primo a farmelo scontare sarebbe mio padre».
A quel punto, i due giovani si guardarono e Rami lasciò che sulle sue labbra affiorasse un sorriso sornione.
«Non penso che avrai problemi a dichiararti, perché la parlantina non ti manca di certo. Il discorso che hai fatto prima è stato molto, come dire... toccante. Peccato che non dovessi convincere me a sposarti».
Giancarlo inarcò un sopracciglio e, con una smorfietta ironica, commentò: «Oh, ma sarebbe stato inutile, perché tra di noi non funzionerebbe: sei troppo serio e scorbutico!»
«E tu sei un irritante saltimbanco!» replicò l’altro, irritato, fissandolo torvo, subito pienamente ricambiato: la maturità che avevano dimostrato fino a quel momento sembrava già essersi dileguata.
Trascorse qualche istante di silenzio, poi, stancamente, Rami sospirò, per affermare subito dopo: «Si è fatto tardi e dobbiamo andare, però prima vorrei ringraziare i tuoi genitori per l’ospitalità».
Il giovane annuì e lo invitò a seguirlo fuori dalla stanza, ma, di punto in bianco, quello lo fermò, prendendolo per un braccio e puntandogli negli occhi uno sguardo a metà tra il severo ed il malinconico.
«Ti sto concedendo di prenderti una delle cose più belle e preziose che ho. Cerca di compensare le mie mancanze verso di lei, Giancarlo».
Esterrefatto da quella rivelazione, il ragazzo ci mise qualche istante per annuire e manifestare all’altro il massimo grado di riconoscenza che sentiva di dovergli esprimere.
«Lo so. E, credimi, se accetterà la mia proposta, farò di tutto per renderla felice, Rami».
***

Beatrice invitò i ragazzi a tornare anche l’indomani, prima che lasciassero la Capitale alla volta di Alessandria, e l’entusiasmo di Samir, al quale erano piaciuti molto entrambi i coniugi, non lasciò possibilità di appello ai due fratelli maggiori, che non poterono fare altro che accettare.
Quando per gli ospiti arrivò l’ora di andar via, Giancarlo li accompagnò di persona alla porta e il bambino lo salutò con un bacetto affettuoso sulla guancia, tuttavia Rami non permise che la sorella gli riservasse lo stesso trattamento, anche se il giovane non si perse certo d’animo e augurò la buonanotte alla ragazza con il tono più passionale di cui era capace, suscitando un grugnito contrariato da parte del ragazzo.
Ciononostante, Aida ignorò quell’intromissione, rispondendo al giovane con la sua solita dolcezza e, qualche minuto più tardi, i tre si congedarono definitivamente, scendendo la scalinata elicoidale in travertino verso il taxi che era arrivato a prenderli.
Rimasto solo, il giovane rimase a guardare per qualche istante il punto in cui lei era scomparsa, per poi sospirare e decidersi, finalmente, a rientrare. Tuttavia, mentre era diretto in camera sua, con tutte le intenzioni di prendersi un po’ di tempo per lasciarsi cullare dalla gioia di aver rivisto la ragazza dopo mesi, si sentì richiamare a gran voce.
«Dove credi di andare? Non pensare di potertela svignare così facilmente! Dobbiamo parlare!».
«E di cosa?» fece lui, vago, voltandosi verso il padre, che lo fissava ad occhi socchiusi, con le mani ben piantate sui fianchi.
«Dell’aumento del livello del Tevere in seguito alle piogge invernali» rispose quello, ironico.
«Davvero? Eppure, ultimamente, non sta piovendo molto…» replicò con strafottente facezia Giancarlo che, ancora su di giri per la giornata appena trascorsa, non riuscì a dire qualcosa di più serio.
Tuttavia, Marcello non sembrò apprezzare particolarmente quella trovata di spirito, perché, dopo avergli riservato un’occhiataccia, lo redarguì: «Non osare prendermi per i fondelli, maleducato! Anche se so da chi tu abbia preso questo atteggiamento, dato che io ho cercato, invano, di importi un po’ di buone maniere. Di cosa vuoi che si debba parlare, secondo te?»
«Non possiamo farlo domani, papà?» suggerì il figlio, anche se, conoscendo il genitore, sapeva di nutrire speranze piuttosto vane che potesse cambiare idea.
Infatti, quello non tardò a replicare, secco: «Tra due minuti nel mio studio. E ti conviene venirci di tua sponte, altrimenti ti ci porterò io... trascinandoti per le orecchie!»

Non potendo declinare un invito così gentile, Giancarlo si arrese all’evidenza e, dopo essere entrato nello studio del padre, si andò a sedere sul divano porpora damascato, accanto a sua madre, già lì ad aspettarli.
Intanto, Marcello si aggirava per la stanza come un leone in gabbia, con un’espressione seria, le mani incrociate dietro la schiena, come se fosse alle prese con una teoria che non riusciva ad accettare. Poi, di punto in bianco, si arrestò davanti al figlio e, dopo averlo squadrato a lungo, esordì, duro: «Sul serio Aida non è incinta?»
«Non so più come dirtelo... no! Durante quei tre giorni non l’ho nemmeno sfiorata! E poi, se fosse come dici tu, non credi che sarebbe evidente, a quest’ora?» sbuffò il ragazzo, il cui viso era ormai in tinta con la tappezzeria del sofà. «Perché ti ostini a non volermi credere?»
L’uomo, allora, si protese verso il figlio e scandì, molto lentamente: «Perché mi sembra molto strano che tu possa interessarti ad una ragazza del genere. Sinceramente, credevo che avrei conosciuto un prototipo di “Barbie avventura alla piramide di Cheope”».
«Oh, Marcello, non fare queste battute!» lo riprese immediatamente la moglie che, all’uscita del marito, aveva trattenuto a stento un sorriso.
Quello, però, si voltò verso di lei ed aggiunse, serio: «Non sono battute, Beatrice. Non puoi certo negare che quella è una ragazza normale».
La donna non rispose, girandosi verso il figlio che, dal canto suo, socchiuse appena gli occhi, giacché il padre aveva aggravato quell’aggettivo con un’inflessione che non era riuscito a decifrare.
«E dove sarebbe il problema, scusa? Io la trovo eccezionale. E, comunque, ormai Rami mi ha dato il permesso di chiederle di sposarmi».
A quel punto, Marcello si tirò su e lo squadrò, tra lo scettico e lo sprezzante.
«Tu vorresti… sposarla
Al ragazzo, però, non piacque affatto l’enfasi negativa che c’era in quella domanda e cominciò ad inquietarsi.
«Certamente» ribatté, irritato. «Io voglio che diventi mia moglie».
A quel punto, ci fu qualche istante di silenzio assoluto, durante il quale l’uomo studiò attentamente il figlio, senza tradire alcuna particolare espressione e Giancarlo sostenne quello sguardo inquisitorio con grande dignità, non lasciandosi prevaricare, nemmeno quando il padre riprese a stuzzicarlo: «Sicuro di aver scelto bene? Hai capito con che tipo di ragazza vorresti condividere la tua vita?»
Dopo quell’ennesima insinuazione, il giovane non riuscì più a trattenersi e si alzò in piedi, sbottando: «Quindi, è vero: sei convinto che Aida non sia al nostro livello. Davvero credi che non vada bene per me solo perché ha la pelle scura e non appartiene ad una famiglia altolocata?»
Tuttavia, con sua grande sorpresa, tali parole non sortirono alcun effetto su Marcello, che si limitò a guardarlo di sottecchi.
«Sai, mi sono sempre chiesto se ci fossi o ci facessi e, finalmente, ho capito che ci sei. Oppure, lo fai apposta per farmi schiattare» lo apostrofò. «Infilati bene in quella zucca vuota che non sto dicendo che Aida non va bene per te, ma l’esatto contrario: sei tu che non vai bene per lei».
«C-Cosa?» balbettò, allora, il giovane, sbigottito.
«Ora che ho avuto modo di conoscerla, mi sono reso conto che si tratta di una persona vera, con dei sentimenti! Niente a che fare né con Maria Chiara, che è tanto cara ai tuoi zii, né con le puttane che...»
«Certo che, Marcello, potresti anche parlare in maniera più pulita!» intervenne la moglie, interrompendolo a metà frase, indignata dalla piega che stava per prendere la conversazione. «Rimproveri nostro figlio, ma anche tu l’hai le tu’ pecche!»
«A volte, Beatrice, solo certe parole rendono bene l’idea» ribatté, però, l’uomo, sicuro. «Comunque sia, stavo dicendo che Aida non è certo come le poco di buono che era o è abituato a frequentare. Effettivamente, che sia solo passato è da accertarsi».
Nell’udire le ultime parole, Giancarlo si risentì della diffidenza che continuava a dimostrargli il padre e non tardò a far valere le proprie ragioni: «Io non sono più quello di una volta, sono cambiato, papà! E voglio sposare Aida perché ne sono seriamente innamorato!» esclamò, deciso. Tuttavia, ancora una volta, Marcello rimase del tutto indifferente, per poi replicare con sorprendente rapidità.
«Hai mai pensato che, magari, lei potrebbe non volerti sposare? Dai per scontate troppe cose, Giancarlo. Perché dovrebbe rovinarsi con uno come te, quando può avere un ragazzo come si deve? Ricordati che è una testa pensante e non si farà manovrare come le altre» considerò l’uomo, fermandosi un attimo per conferire più enfasi a quanto espresso. «Non è un’oca che si esprime a monosillabi... cosa se ne deve fare di uno che la sposerebbe solo per esibirla come un trofeo, tradendola di continuo con la prima scema che gli si concederebbe senza ritegno?»
A quel punto, il ragazzo, adirato per quell’insistente mancanza di fiducia da parte del genitore, scattò in piedi, digrignando i denti e fissando l’altro con gli occhi ridotti a due fessure.
«Già, hai proprio ragione, la esibirei come un trofeo!» ringhiò. «E sai il motivo? Perché è stata l’unica alla quale sono piaciuto per quello che sono, che ha provato a migliorarmi senza stravolgermi. Che tu lo voglia o no, ti garantisco che le chiederò di sposarmi, perché deve sapere quello che provo per lei!»
Tuttavia, nemmeno questa appassionata dichiarazione ebbe il potere di smuovere Marcello Tornatore, il quale non fece una piega, né, a maggior ragione, si lasciò minimamente commuovere.
«A parole sembri molto bravo... ora, però, voglio proprio vedere se saprai tradurle in pratica: se quella ragazza dovesse follemente dirti di sì, ricordati ciò che sto per dirti» lo ammonì l’uomo, subito dopo. «Quei ragazzi non meritano di essere presi in giro. Rami sarà quel che sarà, ma si è fatto in quattro per non far mancare nulla ai suoi fratelli, mentre Aida ha fatto da madre a Samir, nonostante non fosse altro che una ragazzina, e quel bambino ha per te un’ammirazione spropositata. Rendi felice quella fanciulla e, quindi, la sua famiglia, e avrai la mia benedizione. Azzardati, invece, a farla soffrire e neanche l’invocazione di tutti i santi in ordine alfabetico potrà esserti di aiuto: come ti ho messo al mondo, così ti ci toglierò».
«Bene, benissimo!» replicò freddamente il giovane. «Staremo a vedere come andrà a finire!»
Poi, non essendo disposto a trascorrere un secondo di più a farsi insultare in quella maniera, girò i tacchi e fece per uscire, ma il padre lo richiamò immediatamente: «Fermo là! Non ho ancora finito».
«Cos’altro c’è?» sbuffò Giancarlo, irritato, voltandosi appena.
«Ormai ci hai messo in mezzo, pertanto dovrai sottostare alle nostre regole: se Aida dovesse decidere di assecondare le tue pazzie, sappi che esigerò un fidanzamento tradizionale. Non semplicemente in bianco, dovrà essere trasparente. Mi pare che tu ti sia divertito abbastanza, o sbaglio?»
«Forse ti stupirà, ma il tuo stupido figlio c’era già arrivato da solo!» affermò, però, l’altro con spavalda ironia, mentre lasciava lo studio e i suoi genitori, furente ed indignato.

«C’è rimasto davvero male, non ti sembra d’esser stato un po’ troppo duro?» avanzò Beatrice, quando la porta si richiuse e lei e il marito rimasero soli. Nonostante fosse consapevole del perché l’uomo aveva adottato un simile comportamento, non riuscì a trattenere le sue preoccupazioni.
Marcello, però, non rispose subito, perché prima si affacciò fuori dalla porta per controllare che non ci fosse nessuno e poi la richiuse, avvicinandosi a lei.
«Stai scherzando?! Proprio adesso che stiamo ottenendo qualcosa di buono? Dobbiamo battere il ferro finché è caldo, perché, finalmente, si è deciso a comportarsi da uomo!» esclamò, visibilmente soddisfatto. Quella sera aveva dovuto recitare la parte del cattivo a fin di bene, poiché era convinto che suo figlio andasse un po’ scosso, nonostante avesse capito quanto fosse preso da Aida fin dal primo sguardo che le aveva riservato quando l’aveva rivista.
«Sono davvero fiero di lui... anche se non è ancora arrivato il momento di dirglielo» aggiunse, poco dopo.
Beatrice, allora, corrugò appena la fronte, non del tutto convinta.
«E quando lo farai? L’è stato bravo e merita il nostro sostegno!»
In risposta, l’uomo si limitò a sorriderle lievemente, con l’aria di chi la sa lunga.
«Tempo al tempo, prima voglio vedere come andrà a finire. Speriamo, piuttosto, che il polletto riesca a dire tutto a quella ragazza».
«Tu dagli fiducia e aspetta» gli sussurrò la donna, abbracciandolo teneramente. «Il che t’ho a dire, l’Aida mi garba, trovo che sia una ragazza assennata. Spero solo che sia seriamente interessata al nostro Pulcino. Tu che ne pensi?»
«Ma come!» esclamò l’altro, sorpreso. «Sei una donna e non hai colto ciò che avranno hanno capito anche i muri?»
«Cosa, Marcello?»
Lui sospirò e, finalmente, si concesse di addolcire un po’ la propria espressione, commentando con tono d’approvazione: «Giancarlo e Aida si attraggono come due calamite».
«E, allora, prima o poi, si avvicineranno» commentò lei, saggiamente. «Per noi, non l’è forse stato lo stesso?»
«Veramente, la prima volta che ci siamo incontrati, sei stata tu ad essermi caduta addosso!» precisò il marito.
«Certo, ma deve esserti piaciuto abbastanza, visto che non accennavi a farmi rialzare!»
Marcello fissò di sbieco la moglie che gli sorrideva complice e, prudentemente, decise di non aggiungere altro.
***

Quando, il mattino seguente, Rami annunciò ai suoi fratelli che li avrebbe raggiunti a Villa Aurelia solo in un secondo momento, poiché prima aveva alcuni affari da sbrigare con Domenico, sia Samir che Aida tirarono un sospiro di sollievo.
Appena i due arrivarono, Marcello ordinò al figlio di portare il piccolo nelle sue stanze per farlo giocare, oltre che con il beyblade, anche con la sua nutrita collezione di videogiochi, perché, almeno per una volta, fosse un bambino vero ad adoperarli. Il giovane, allora, ancora indispettito per l’alterco della sera precedente, gli borbottò in risposta che aveva già avuto un’idea simile, poi chiese ad Aida se le andava di accompagnarli, proposta che lei accettò subito di buon grado.
Così, mentre Giancarlo e Samir se ne stavano sdraiati su un tappeto, intenti a montare i pezzi dei bey o ad interessarsi ad una delle numerose console presenti nella stanza, la giovane, che si era accomodata su un confortevole divanetto di pelle, ebbe modo di guardarsi discretamente un po’ intorno.
Dopo essere arrivata alla conclusione che quell’ambiente era esageratamente grande per essere utilizzato solo come sala-giochi, la ragazza non osò neppure pensare a quante altre camere avesse a disposizione il giovane solo per sé; dopotutto, ogni cosa, in quella villa, emanava classe e lusso, senza contare che gli stessi Marcello e Beatrice, per quanto avessero fatto di tutto per metterla a suo agio, dimostravano di possedere una raffinatezza innata.
Intristita da quei pensieri, si soffermò, allora, a guardare Giancarlo che, come sempre, era vestito con tanta ricercatezza da sembrare appena uscito da una boutique, un’ulteriore conferma di quanta distanza ci fosse tra di loro che la fece sospirare, affranta. Infatti, nonostante fossero stati tutti molto gentili con lei e con i suoi fratelli, si ritrovò a pensare che forse, Rami aveva ragione: i due coniugi non le avrebbero mai permesso di frequentare il loro rampollo, anche se, in fin dei conti, il problema non si poneva, in realtà, più di tanto, poiché il giovane, fino a quel momento, era stato molto evasivo. Nulla aveva lasciato intendere, infatti, che avesse serie intenzioni nei suoi confronti.
A quel punto, sorridendo mestamente, la ragazza si ritrovò a scrutare il fratellino che, invece, sembrava felice come una pasqua, con la magra consolazione che, almeno per lui, tutto quello era soltanto un ingenuo divertimento. Tutt’a un tratto, però, con la coda dell’occhio, Aida notò che il ragazzo aveva cambiato posizione: aveva una gamba stesa e l’altra piegata, sul cui ginocchio aveva poggiato il corrispettivo gomito, per poterla guardare e studiare con vivo interesse.
«Perché mi guardi così? C’è qualcosa che non va?» gli chiese subito lei, un po’ a disagio.
«Oh, no, anzi...» fece lui, sorridendo appena e inclinando la testa da un lato. «Lo so, è da maleducati fissare la gente in questo modo, ma mi piace farlo e non credo di voler cambiare atteggiamento».
A quella risposta, Aida distolse immediatamente lo sguardo, imbarazzata, poiché ancora non si era abituata alla sua insolente disinvoltura e, d’altra parte, forse, non lo sarebbe mai stata.
Il giovane, allora, fece per alzarsi ed aggiungere qualcos’altro, quando Samir lasciò il joystick che teneva in mano ed esclamò: «Giancarlo, lo sai che  in aeroporto abbiamo visto Julius e Nero5
«Ah, avete visto Caesar?» replicò l’altro, vagamente sorpreso.
«Sì, forse stavano partendo per raggiungere gli altri Excalibur, perché tra un po’ ci sono i campionati!» spiegò il piccolo.
«Ah, già. Oramai sono fuori dal giro e ho perso dimestichezza con i periodi dei tornei» mormorò il giovane, ma quello non parve farci caso.
«Secondo me perderanno, però, perché non sono molto bravi».
«Sai, da quel poco che ho visto, di talento ne hanno...» cominciò il biondo, incerto. «Comunque, ammetto che sono stati più in gamba di noi solo per il fatto di aver costituito subito una squadra».
«Sì, ma non sanno giocare... Non mi piacciono, eravate più bravi voi!» replicò il bambino, intestardendosi.
«È passato tanto tempo e i beyblade hanno una nuova tecnologia: non si può fare il paragone» constatò pacatamente Giancarlo, ma Samir, per nulla d’accordo con lui, insistette: «Io dico che tu sei più bravo di Julius!»
Non volendo indispettirlo, il ragazzo rifletté accuratamente su cosa dire, prima di aprire bocca di nuovo.
«Be’, se devo dire proprio tutto...» cominciò poi, lentamente, «non so se, effettivamente, sono stato più bravo di lui. Di sicuro, però, sono più bello e affascinante!» concluse, passandosi una mano in mezzo ai capelli, con seducente noncuranza, esibendo il suo più spietato sorriso ai feromoni.
A quell’uscita, Aida non riuscì a trattenere un sorriso divertito e ad intromettersi: «Immagino che il tuo secondo nome sia Modestia, giusto?»
Sorpreso da una tale prontezza, il ragazzo la guardò per alcuni secondi, per poi aiutare Samir a rimettersi in piedi e, quindi, alzarsi a sua volta.
«Be’, in realtà, sono queste le occasioni nelle quali mi rendo conto di quanto, in passato, sia stato arrogante e spaccone» considerò poi, meditabondo.
Sorridendo ancora, la ragazza, allora, scosse la testa e aprì la bocca per replicare, ma venne interrotta da qualcuno che bussava alla porta.
«Cara, pensavo di far servire il pranzo tra un’ora... l’è troppo tardi, forse?» esordì Beatrice, entrando con discrezione nella stanza e rivolgendosi direttamente a lei.
«Oh, no, affatto. Sarebbe perfetto, visto che, secondo Rami, dovremmo essere in aeroporto per le sei e mezza» rispose lei, sperando di aver coniugato adeguatamente tutti i verbi, poiché non voleva fare una figuraccia. Tuttavia, poiché la donna aveva annuito, riservandole un’espressione dolce, la fanciulla lo prese come buon segno.
«Con l’Annetta abbiamo deciso di fare una cosetta semplice, ma spero vi piaccia» proseguì, allora, l’altra, stringendo le spalle.
«Non si preoccupi, signora» la rassicurò Aida, «sono certa che sarà ottimo, come ieri sera».
A quel punto, Beatrice sorrise e spostò lo sguardo su Samir, il quale le si avvicinò e, dopo aver dondolato sul posto, le chiese, con una vocina sottile: «Posso avere un bicchiere d’acqua, per favore?»
La donna, sorpresa, spalancò gli occhi e, subito, gli rispose: «Ma certo, Samir!»
Poi, alzò lo sguardo sul figlio e, corrugando la fronte, lo rimproverò: «Giancarlo, con i bambini ci vuole attenzione, perché non gl’hai chiesto se aveva sete?»
Il ragazzo sbiancò immediatamente, per poi voltarsi verso la ragazza, mortificato: «Io... mi dispiace, Aida, non...»
«Oh, ma non è successo niente!» si affrettò a replicare lei, a disagio per quel piccolo equivoco. «La colpa è anche mia, avrei...» cominciò, ma si interruppe dopo poche parole, vedendo la donna che prendeva in braccio il fratellino.
«Vieni qui, Samir, ora la Beatrice ti porta a bere» gli disse quella, riservandogli un’occhiata piena di dolcezza.
La rapidità con cui si era mossa, però, insospettì non poco la ragazza, che ebbe il presentimento che la donna stesse cogliendo l’occasione per lasciarli da soli.
«Cari, noi vi aspettiamo di là. Mi raccomando, Pulcino, non arrivare tardi, altrimenti farai inquietare il babbo» raccomandò, poi, Beatrice, sorridendo serafica, prima di uscire dalla stanza assieme a Samir, a lei teneramente aggrappato.
Nell’udire quell’epiteto così particolare, Aida si riscosse dalle sue congetture e, dapprima, credette che la donna si fosse riferita ancora al fratello, poi, però, realizzò che così non era e voltò la testa verso Giancarlo, diventato bordeaux.
«Pulcino?» ripeté, divertita.
«Ah, ehm… ecco… sì…» farfugliò lui, incerto, arruffandosi ancora di più i capelli, in evidente imbarazzo. «Sai, secondo mia madre, sono ancora il bambino biondino, basso e timido di un tempo».
«Tu... basso e… timido?» domandò, allora, la fanciulla, esterrefatta. «Stai dicendo sul serio, o mi stai prendendo in giro?»
«Che cosa c’è di strano?» si risentì il ragazzo, spostando lo sguardo sul muro per evitare di guardarla in faccia. «Quando sono piccoli, è normale che i bambini siano timidi come lo ero io».
«In effetti, quello che non è normale è l’exploit che hai fatto dopo!» continuò a punzecchiarlo Aida, abbandonandosi subito dopo ad una fragorosa risata. «Guardati, ora sei tutto l’opposto: altissimo e disinvolto! L’unica cosa che deve esserti rimasta uguale sono i tuoi begli occhi!»
Tale osservazione, però, ebbe il potere di invertire i ruoli: Aida, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto, richiuse subito la bocca, mentre Giancarlo, invece, lasciando affiorare un sorriso birichino sulle sue labbra, ridivenne immediatamente padrone di sé. Infatti, si spostò immediatamente con un gesto elegante la frangia da un lato, ben scoprendo le iridi cobalto, e si avvicinò lentamente alla ragazza, squadrandola interessato.
«E così ti piacciono i miei occhi… allora, ammetti che qualcosa di me ti attrae…» mormorò.
Riservandogli un’occhiata di sottecchi, la ragazza capì di aver parlato troppo, ma sapeva anche di non potersi rimangiare quanto detto, giacché avrebbe finito solo per confermare quanto aveva espresso. Così, poiché non voleva ancora concedere al giovane troppi vantaggi, decise che la cosa migliore da fare sarebbe stata proprio ribadire il concetto, anche se in modo più velato.
«Il colore è simile a quello del nostro mare, una sfumatura di blu che mi piace molto» replicò, tranquillamente, certa di non aver detto una bugia, bensì solo taciuto una parte della verità.
Dopo tale risposta, Giancarlo si portò le mani sui fianchi e la fissò intensamente, mentre lei cercava di mostrarsi più calma di quanto fosse in realtà, percependo in quel confronto appena concluso una forte carica magnetica e alchemica.
«Sai difenderti bene ed io so riconoscere quando perdo» commentò lui, seriamente soddisfatto, senza staccarle gli occhi di dosso. Poi, all’improvviso, si voltò e si diresse verso la finestra, scrutando pensieroso ciò che c’era all’esterno.
«Questo dimostra che sei una persona d’onore, anche se non ho mai avuto dubbi in proposito» replicò dolcemente la ragazza, avvicinandosi a lui e cominciando a sentirsi più rilassata, anche se dovette ammettere con se stessa che quegli intriganti scambi di battute non le dispiacevano affatto. 
«Peccato che tu sia l’unica a pensare una cosa del genere…» sospirò, allora, il giovane, mostrandole un’espressione amareggiata.
Tale reazione la lasciò talmente perplessa e intristita, che non riuscì ad evitare di chiedergli spiegazioni: «Perché dici così?»
«Tutti credono che io sappia solo prendere per i fondelli la gente, in primis mio padre» le sussurrò lui in risposta, lasciando vagare lo sguardo sul giardino. A quelle parole, però, la ragazza scosse la testa, contrariata.
«Io, invece, trovo che somigli molto a tuo padre e non solo fisicamente» ribatté, convinta. «Credimi, Giancarlo, siete più simili di quanto vogliate ammettere».
Sorpreso, l’altro si voltò repentinamente verso di lei, scrutandola con scetticismo.
«Ma se non facciamo altro che litigare perché non mi sopporta!» replicò a sua volta, corrugando la fronte. «Ha smesso di considerarmi, da quando non sono più un bambino».
Aida, però, manifestò ancora una volta il suo disaccordo: «Secondo me, avete solo smesso di parlarvi sinceramente e di capirvi, ma vi basterà ricominciare a farlo, per tornare come eravate un tempo» insistette.
Tuttavia, avendo avuto l’impressione di aver detto più di quanto avrebbe dovuto, si affrettò a precisare: «Non fraintendermi, non voglio fare quella che arriva all’improvviso e risolve i problemi, ti ho detto soltanto quello che ho capito da persona esterna. Anzi, scusami per essermi intromessa».
«Ma no, figurati, hai solo espresso il tuo parere» le mormorò, però, il biondo, pensieroso, mostrandosi tutt’altro che contrariato per il suo intervento.

A quel punto, nessuno disse nulla, finché non fu Giancarlo, dopo diversi minuti, ad interrompere il silenzio: «La verità è che non mi sentivo alla sua altezza e, forse, ho cominciato a comportarmi da irresponsabile e superficiale anche per attirare la sua attenzione. Nel modo sbagliato, ovviamente... che idiota che sono stato!»
La ragazza, però, non rispose, poiché sentiva di aver parlato anche troppo; ciononostante, gli strinse comunque una mano, per fargli sentire il suo appoggio, mentre cercava un argomento di conversazione che potesse distrarlo dai suoi turbamenti interiori.
«Allora, vuoi finalmente fare meno il misterioso e dirmi come è andato l’esame di statistica?» gli chiese, tutto ad un tratto, ricordandosi che, nonostante le avesse detto di essere andato a darlo, non le aveva fornito ulteriori particolari.
Fortunatamente, il tentativo andò a buon fine, perché Giancarlo sembrò subito più rilassato e le rispose, con un sorriso: «Il mistero accresce la curiosità, non trovi? Comunque, è andato bene».
Attese qualche secondo e poi si chinò, sussurrandole qualcosa nell’orecchio.
«Direi che è andato più che bene, sei stato molto bravo!» esclamò lei, annuendo soddisfatta, quando si scostò. A sua volta compiaciuto dall’entusiasmo che gli aveva riservato, il ragazzo le ammiccò e tornò a guardare fuori, subito imitato da Aida, che rimase colpita dal sole di mezzogiorno che inondava di luce il parco di Villa Aurelia e dalle chiome dei suoi maestosi pini marittimi, tra cui si intravedevano scorci della Città Eterna.
«L’unica cosa che mi dispiace di questo viaggio è che Rami non abbia voluto farci rimanere più giorni, perché mi sarebbe piaciuto visitare Roma» sospirò la fanciulla, ispirata da quella visuale.
«Ci saranno altre occasioni, non preoccuparti. A me piacerebbe molto che tornassi, ti farei vedere tutto quello che desideri» le rispose, allora, il giovane, guardandola in maniera talmente dolce, che la fanciulla non poté fare a meno di sorridere.
«Chi può dire che non ci sarà!» fece, alzando le spalle.
«Be’, per ora ti posso portare sulla terrazza dell’ufficio di papà, se vuoi. Da lì si vede quasi tutto, è come se fosse una cartolina dal vero. Andiamo, dai!» esclamò lui, entusiasta, rinsaldando la presa sulla mano di lei e conducendola con delicatezza fuori dalla stanza.

«Ma… è spettacolare!» esclamò Aida, senza fiato per lo stupore, non appena uscì sulla terrazza. Giancarlo aveva detto la verità: quel panorama era davvero migliore della più riuscita cartolina cartacea, giacché non c’era un solo particolare che non valesse la pena d’esser ammirato, a partire dalla mole candida del Vittoriano che si erigeva imponente sullo sfondo, fino alla cupola michelangiolesca, che dominava centralmente la scena, incastrata alla perfezione tra i profili dei palazzi, mentre, dal lato opposto, anche Trinità dei Monti reclamava la sua importanza.
Affinando la vista, la ragazza riuscì anche a scorgere la sagoma di quasi tutti i più importanti monumenti della città, riconoscibili da un particolare dell’architettura o dal colore del rivestimento: era come se, in quel momento, tutta Roma fosse ai suoi piedi.
Così, rapita da ciò che i suoi occhi non avrebbero potuto vedere di nuovo tanto facilmente, la fanciulla osservò un silenzio di estatica meraviglia, concentrandosi nell’imprimere nella sua mente quel meraviglioso ricordo, per poterlo conservare e richiamare a sé quando più ne avrebbe avuto il desiderio.
Davanti a tanto entusiasmo, il biondo, a sua volta, non poté fare a meno di tacere, appoggiandosi con discrezione al parapetto per contemplare il genuino stupore e l’incontenibile contentezza che trapelavano dall’espressione di lei.
«Immagino sia così che concludevi il tuo rituale di corteggiamento. Non c’è da stupirsi che cadessero tutte tra le tue braccia, dopo aver mostrato loro una tale meraviglia!» commentò improvvisamente Aida, ancora traboccante di gioia, senza smettere di guardare il paesaggio.
Quell’osservazione, però, fece comparire una sottile ruga sulla fronte del giovane, che, infatti, ripeté, perplesso: «Rituale di corteggiamento?»
«Sì, certo, quello che seguivi con le altre ragazze» gli spiegò lei, accigliata, voltandosi verso di lui. «Non è forse vero che le portavi qui, per mandarle in estasi con questa visuale stupenda?»
A quell’uscita, l’altro la fissò per qualche istante, per poi scoppiare a ridere.
«Estasi? No, no, nessuna di loro aveva una sensibilità così profonda per poter apprezzare una tale bellezza... In realtà, sei la prima alla quale mostro tutto questo».
Nell’udire una simile affermazione, la fanciulla inclinò appena la testa da un lato, confusa, ed insistette: «La prima di quest’anno, vorrai dire».
«No, la prima e basta» confermò Giancarlo. «Gli accordi con mio padre erano chiari: nessuna ragazza da me frequentata avrebbe dovuto varcare il cancello di casa. Altrimenti mi avrebbe disconosciuto e l’intera impresa sarebbe passata a Gerardo Marini, suo socio e migliore amico. Che poi, tra l’altro, è anche il mio padrino».
Tutte quelle rivelazioni stupirono ancor di più la ragazza, che, rimasta senza parole, continuò a fissarlo inebetita: sembrava proprio che, ormai, il giovane avesse abbandonato le risate e stesse facendo sul serio.
«Inoltre, come ti ho già detto, con te sto improvvisando, seguendo semplicemente l’ispirazione, senza alcun rituale predefinito» aggiunse lui, ormai a meno di un passo da lei, gli occhi saldamente fissi nei suoi. «Tu non devi essere trattata come una delle tante, perché con te deve essere tutto diverso».
Proprio in quel momento si alzò un sottile venticello e lei, presa com’era a cercare di capire dove volesse arrivare, si ritrovò inconsapevolmente a rabbrividire e, quando lo notò, il giovane si affrettò a scusarsi: «Oh, già, che imbecille, tu non sei abituata a questi climi e io ti ho fatta uscire senza cappotto!» borbottò.
Subito dopo, sfilò il proprio golf di cachemire, per poi poggiarglielo sulle spalle e la ragazza, sotto quell’indumento ancora imbevuto del profumo e del calore di lui, rabbrividì per la seconda volta.
«Ma ora sarai tu a sentire freddo...» obiettò, imbarazzata.
Tuttavia, l’altro scosse appena la testa, incurante del vento gelido di febbraio e, allora, Aida si soffermò a studiarlo per qualche istante, non riuscendo, però, a cogliere sul suo volto nemmeno il più piccolo segno di millanteria. A quel punto, avendo avuto la conferma che si trattava di un gesto fatto con il cuore e non per farsi bello ai suoi occhi, gli diede le spalle e gli sussurrò: «Abbracciami».
A quell’invito, il ragazzo sbatté le palpebre e non si mosse, sicuro di non aver capito bene, perciò lei ripeté, più decisa: «Abbracciami. Hai paura che venga a saperlo Rami, forse? È solo per evitare che tu prenda troppo freddo!»
Non del tutto convinto, lui esitò ancora un attimo, poi, però, cedette a quella tentazione e cinse delicatamente la vita della ragazza, in attesa che si sistemasse alla distanza che preferisse. Con sua grande sorpresa, Aida scelse di stringersi quanto più possibile e, sentendola aderire contro di sé, il biondo smise all’istante di avvertire qualsiasi gelo, percependo le membra illanguidirsi e il suo stomaco contrarsi spasmodicamente. Infatti, anche se non era la prima volta che abbracciava una ragazza, avvertì che le sue viscere non erano mai state così in tumulto e che non si era mai sentito completamente succube di un piacere che lo rendeva quasi mansueto, pur amplificando, al tempo stesso, le sue percezioni.
«Scommetto che con le altre ragazze non facevi tutti questi complimenti!» esclamò l’altra, prendendolo un po’ in giro.
«Cosa? Ah... Ecco, io non…» farfugliò lui, ancora troppo stordito per dire qualcosa di sensato.
«Giancarlo, se esternare fisicamente i tuoi sentimenti fa parte della tua personalità, con me non devi comportarti in altro modo. Una carezza o un abbraccio non sono offensivi, se l’intento è sinceramente affettuoso» gli sussurrò, allora, Aida, lasciandosi cullare dal suo profumo e dal suo tepore.
Nel sentirla così fiduciosamente abbandonata tra le sue braccia, il ragazzo capì quello che voleva dire e, finalmente, si rilassò anche lui, stringendosi maggiormente a lei e appoggiandole leggermente la testa su una spalla.
Trascorsero qualche istante in silenzio, poi, Aida gli chiese: «Va meglio, ora?»
A quella domanda, Giancarlo trattenne il fiato, perché sapeva perfettamente che non andava affatto meglio, anzi, dopo quel contatto, il suo cuore aveva preso ad agitarsi, rabbioso, suggerendogli le parole che avrebbe dovuto dirle e che, invece, erano ferme in gola: infatti, avrebbe dovuto confessarle che era la cosa più bella che gli fosse mai capitata, un miracolo che si era preso cura della sua anima già condannata, insegnandogli a godere di un piacere buono e positivo e ad allontanarsi dalla libidine e dalla concupiscenza che lo stavano dilaniando.
Alla fine, dopo aver preso un bel respiro, decise che non aveva più senso rinviare e, così, si preparò a dirle tutto: «Aida, c’è una cosa che devo chiederti…»
«Che cosa, Giancarlo?»
Non volendo indugiare oltre, il biondo la prese per i fianchi e la voltò con delicatezza nella sua direzione, perché potesse guardarlo negli occhi.
«Si tratta di una cosa importante» affermò, deciso.
«Ti ascolto» lo incoraggiò, allora, la fanciulla, sorridendogli e permettendogli di tenerla stretta senza sollevare obiezioni.
«Ecco, tu vorresti…» cominciò lui. Tuttavia, si arrestò subito dopo, poiché, tutto d’un tratto, dichiararsi non gli sembrava più una buona idea.
Davvero avrebbe fatto bene a dirle ogni cosa? Aida avrebbe davvero continuato ad essere la sua balia? Oppure, magari, al posto di un ragazzino che bruciava dal desiderio di baciare le sue labbra salvifiche, come era lui, avrebbe preferito un uomo maturo? A volte, era capitato che qualche ragazza con un minimo di pudore l’avesse rifiutato, ma non ne aveva fatto un dramma, perché ce ne erano state tante altre. Invece, Aida era unica e, in quel momento, sentì di aver raggiunto la consapevolezza che non avrebbe potuto accettare di essere respinto.
«Tu vorresti… ti piacerebbe…» riprovò, prendendo tempo, riducendo tuttavia con lenta evidenza l’esigua distanza frapposta tra di loro.
«Sì?» sussurrò l’altra, in attesa e il giovane poté quasi sentire il suo volto sfiorare il proprio: era così vicina, così raggiungibile, eppure così lontana...
«Ti piacerebbe… rientrare? Sai, comincia a fare freddo e credo che ci stiano cercando».
A quelle parole, Aida si allontanò bruscamente da lui, aggrottando la fronte, incredula ed intristita e Gianni vide affiorare sul suo volto l’ultima cosa che avrebbe voluto: la delusione.
«Sì, hai ragione» rispose lei, asciutta; poi, si tolse con estrema rapidità il golf e glielo mise malamente in mano, prima di aggiungere, irritata: «Non mi serve più».
Poi, senza dire altro, si allontanò in tutta fretta e tutto ciò che riuscì a fare il ragazzo, incapace di fermarla, fu seguirla con lo sguardo, incrociando quello del proprio riflesso, che lo fissava dal vetro del balcone con aria di sufficienza.
“E tu saresti quello virile e passionale? Come no... la verità è che sei solo un codardo!”
Codardo, l’insulto che più aborriva.
Sospirando sconfitto, Gianni, allora, abbassò la testa, consapevole di meritare quell’improperio così veritierio.
***

Al momento dei saluti, tutti notarono che Aida e Gianni non si guardavano nemmeno in faccia, lasciando che fossero l’indifferenza di lei e l’aria colpevole di lui a parlare per loro.
Sorpresi da quell’improvviso cambiamento, Marcello e Beatrice si lanciarono un’occhiata obliqua e anche Rami parve abbastanza perplesso, poiché era impossibile non notare la completa assenza di sorrisi e giochi di sguardi che c’erano stati tra i due fino a quella mattina.
«Qui sarete sempre i benvenuti!» fece la donna che, facendo finta di niente, continuò a fare gli onori di casa. «Non è vero, Marcello?»
«Certamente» replicò lui, «ci ha fatto davvero piacere conoscervi. Se vorrete tornare, noi saremo sempre felici di riavervi come ospiti».
«E noi vi ringraziamo per l’accoglienza» rispose garbatamente Rami.
«Oh, sì, siete stati davvero molto gentili con tutti noi» confermò Aida, esternando la sua riconoscenza ai due coniugi, ma continuando ad ignorare la presenza del giovane.
Samir, da parte sua, salutò affettuosamente sia Beatrice che Marcello, il quale non si sottrasse all’abbraccio e al bacione sonoro del bimbo, ed infine si rivolse a salutare il ragazzo.
«Perché tu e Dada non vi parlate dal pranzo?» gli chiese ingenuamente, anche se sottovoce.
L’altro, allora, sospirò, assumendo un’espressione sconsolata.
«Perché ho sbagliato e lei non vuole perdonarmi» replicò a sua volta, sempre bisbigliando.
«E perché non le chiedi scusa? Lei perdona chi lo fa» gli suggerì il bambino, semplicemente, con quella logica tipica della sua età. Quel consiglio, giunto dall’ultima persona che mai pensava avrebbe potuto aiutarlo in quel momento, permise al biondo di intravedere uno spiraglio di luce nelle tenebre.
«Hai ragione, dovrei» ammise, sorridendo lievemente al piccolo e arruffandogli i capelli.
«Andiamo, Samir» si intromise, però, la sorella, severa, prendendo il fratellino in braccio e continuando a fare finta che il ragazzo non esistesse, «si è fatta l’ora di andare».
Di fronte a quell’insistente indifferenza, Gianni avvertì un nuovo, più tremendo, lancinante dolore all’altezza del petto, perché ormai era chiaro che Aida lo stava abbandonando, anche se la cosa peggiore era che lui glielo stava lasciando fare. Infatti, non riuscì ad emettere nemmeno una sillaba, mentre guardava la fanciulla imboccare la scalinata di travertino con passo fermo, senza voltarsi indietro nemmeno una volta, seguita da un alquanto sconvolto Rami.
Non passò nemmeno una manciata di istanti, che presto scomparvero alla sua vista tutti e tre.

«Si può sapere che cosa le hai fatto?!» ringhiò Marcello, minaccioso, non appena gli ospiti se ne furono andati. «Non mi dire che le hai messo le mani addosso o che hai tentato di coinvolgerla nelle tue sconcerie, perché questa volta io ti…» iniziò, senza, però, riuscire a finire la frase.
«Ti giuro che non le ho fatto niente!», replicò il giovane, con la reattività di un ghiro in letargo, strascicando le parole. «Non le ho fatto, né detto... niente».
Marcello, allora, sollevò appena le sopracciglia e squadrò il figlio, commentando: «Dunque, alla fine, non ci sei riuscito…»
L’altro si limitò ad alzare le spalle, mentre Beatrice, preoccupata, guardava alternativamente il marito ed il figlio.
«Pulcino, che cosa è successo?» chiese, infine, avvicinandosi al giovane ed accarezzandogli una guancia, ormai esangue.
«Non ha trovato il coraggio di dichiararsi ad Aida» le spiegò, allora, l’uomo, che, dopo aver serrato le braccia contro il petto, tornò a rivolgersi a Giancarlo: «In poche parole, l’hai fatta scomodare solo per costringerla a venire a prendersi l’umidità di Roma. Si può sapere dov’è finita la tua irritante spavalderia?»
«Temevo che mi avrebbe respinto… Sarebbe stato un dolore troppo grande e non avrei potuto sopportarlo. Ne sarei sicuramente morto» pigolò il ragazzo, proprio come un pulcino spaurito.
Di fronte ad una dichiarazione del genere, Beatrice sorrise, intenerita, scambiandosi un’occhiata con Marcello, il quale, subito dopo, chiuse per qualche istante gli occhi per non essere costretto ad alzarli al cielo.
«Ti sei immedesimato nella tragedia di Antonio e Cleopatra, per caso? In effetti, istrionico come sei, avresti potuto fare benissimo l’attore drammatico!» notò, poi scuotendo la testa.
Il ragazzo, però, non diede l’impressione di aver prestato attenzione alle sue parole, perché perseverò nel suo silenzio vegetativo, continuando a fissare il mattonato.
«Ascoltami bene» esordì, a quel punto, il padre, assumendo un tono tra il serio e l’indulgente, «ti sto rimproverando perché voglio farti capire che non si va avanti né con i dubbi, né con i timori, perché un vero uomo sa fare tesoro anche delle sconfitte. Se posso darti un consiglio, perciò, cerca di capire bene ciò che cosa vuoi: se quella ragazza non ti interessa, lasciala in pace e consentile di trovarsi qualcuno che la meriti; se, invece, per te è importante, dimostrale quanto tieni a lei».
«Io sono davvero innamorato di Aida e non voglio nemmeno pensare all’eventualità che finisca tra le braccia di un altro uomo!» replicò, subito, l’altro, deciso, mostrando un debole tentativo di ripresa.
Tale reazione fu sufficiente a rincuorare Marcello che, subito, mise una mano sulla spalla del figlio, stringendola affettuosamente.
«Allora, non gettare via questa opportunità» sentenziò, con dolcezza. «In fondo, Piazza Barberini non è all’altro capo del mondo, non trovi?»
«Il babbo ha ragione, caro» affermò a sua volta Beatrice, decisa, dandogli un’ultima carezza. «Se l’Aida ti piace, non devi aver paura di dirle cche provi».
A quel punto, dopo essersi scambiati un’ultima occhiata, i genitori rientrarono in casa, lasciandolo a meditare sulla veranda, perché potesse fare la sua scelta in completa autonomia.
Il giovane sospirò, affranto, poiché sentiva che la paura di veder andare in frantumi la prospettiva di una vita insieme alla sua Aida stava prevalendo su tutto il resto. Era come se fosse regredito al periodo in cui preferiva adagiarsi nella mediocrità per timore di non riuscire, piuttosto che mettercela tutta per riuscire in ciò che desiderava. Tuttavia, suo padre aveva ragione: non avrebbe dovuto sacrificare un’occasione importante come quella, poiché sapeva che, se non si fosse dichiarato ad Aida, se ne sarebbe pentito per tutta la vita.
Dopo essere giunto a quella conclusione, il biondo scosse vigorosamente la testa e fece per rientrare a sua volta in casa, ma, proprio nel momento, un piccolo bagliore, rifulgente sotto il sole del primo pomeriggio, attirò la sua attenzione, suggerendogli così quale fosse la mossa giusta da fare.

«Rami, mi compri quel dolce ghiacciato che fanno qui, in Italia?»
«Intendi il gelato, Samir?» gli rispose il fratello maggiore, alzando appena la testa dal cellulare.
«Sì, sì, quello!» esclamò il bambino, annuendo con vigore mentre chiudeva la sua console.
«Ma stiamo per partire e fa un freddo polare… come ti vengono certe fantasie?!» replicò, però, l’altro, scocciato, agitandosi nervosamente sul divano, ma in quel momento Aida, che se ne stava a gambe e braccia incrociate poco lontano, si voltò immediatamente verso di lui e gli riservò un’occhiata obliqua.
«Rami, per favore, assecondalo! Quando avrà di nuovo l’occasione di assaggiarne uno fatto come si deve?» aggiunse, mettendo su un cipiglio severo.
«Aida, siamo in partenza!» insistette quello, scandendo ogni sillaba e gesticolando inquieto. La sorella, però, non si lasciò convincere e, sbuffando, ribatté: «Come sei pesante! Le valigie sono pronte, per di più Domenico ha detto che ci accompagnerà lui a Fiumicino, perché non dovresti concederglielo, allora?»
Dopo una tale risposta, il ragazzo sentì di non avere più scusanti, anche se tentennò ancora qualche secondo, incerto sul da farsi, prima che l’espressione supplice di Samir lo spingesse ad accettare.
«E va bene! Aida, tu ne vuoi uno? Sai, anche per te potrebbe essere difficile tornare qui a breve» la stuzzicò il fratello, lasciandosi sfuggire un ghigno divertito, mentre lei lo inceneriva con uno sguardo di fuoco: aveva vinto e Giancarlo si era tirato indietro, che bisogno c’era di infierire?
«No, grazie, non mi va!» sbottò quella, voltando la testa e mettendosi ad osservare ostinatamente la parete di fronte.
Meravigliato da una tale reazione, il giovane aggrottò appena la fronte e la guardò di sottecchi, per poi prendere Samir per mano e condurlo fuori dalla hall. Tuttavia, prima di uscire in strada, si voltò e la richiamò: «Aida?»
«Sì, Rami?» gli rispose lei, senza guardarlo.
«Smettila di pensare a lui. I suoi genitori sono delle gran brave persone, ma quello ci ha preso in giro tutti quanti e, per poco, non ci sono cascato anch’io».
La ragazza, però, non gli diede la soddisfazione di una risposta ed aspettò che entrambi i suoi fratelli si furono allontanati, prima di girare nuovamente il capo in direzione della porta e guardarsi intorno, notando come fossero diversi gli alberghi di lusso di Roma da quelli di Alessandria, sia nell’arredamento che nello stile, e tale differenza la portò a rivalutare ancora una volta quella che c’era tra lei e Giancarlo, facendola sospirare.
A quel punto, si accomodò meglio su divano ocra, raggomitolandosi su se stessa e cominciando a lisciarsi una ciocca dei suoi lunghi capelli, cercando di farsi coraggio come aveva sempre fatto nei momenti di sconforto, in cui si era ritrovata sola.
Come era potuta essere così ingenua da sperare in una moderna favola a lieto fine? Giancarlo le voleva bene e la rispettava, ma non l’amava, anzi, aveva rinunciato persino a baciarla, ferendola nel suo orgoglio di donna: sapeva di non essere né una modella, né tantomeno un’attrice, ma davvero lui, in vita sua, aveva baciato solo sosia di Scarlett Johansson?
Stizzita e amareggiata dal ricordo di quel bacio mancato, sbuffò e si affossò ancor di più tra i cuscini del sofà, sentendosi meno in colpa per averlo piantato in asso ed ignorato, reagendo in maniera infantile a quel diniego.
Perché il lieto fine doveva esistere solo per gli altri? Oppure nei film e nei romanzi che leggeva Jamila? Non che fosse un’amante del romanticismo infarcito di svenevolezze, ma tra quello e il niente c’erano diversi livelli intermedi e a lei sarebbe bastata solo una promessa di fedeltà da parte di lui.
In quel momento, i suoi pensieri andarono proprio all’amica che, certamente, sarebbe stata alquanto delusa dalle nuove notizie e, magari, l’avrebbe perfino rimproverata, in maniera scherzosa, ricordandole quanto poco sapesse farci coi ragazzi. Forse la sua colpa era essere stata se stessa? Eppure, era stato lo stesso Giancarlo a confessarle di essere stato colpito dalla sua spontaneità, anche se, visto come si era comportato, probabilmente quello che le aveva detto non aveva mai avuto valore.
Affranta da quelle considerazioni sempre più fosche, Aida sospirò di nuovo e, improvvisamente, avvertì che qualcuno le aveva posato accanto qualcosa. Istantaneamente, abbassò la testa e, quando si rese conto che era uno dei suoi fermagli, si portò subito una mano ai capelli, accorgendosi di averlo smarrito un’altra volta.
«Avete già fatto? Comunque, grazie, Rami, dove l’hai trovato? Sono proprio una pasticciona, l’ho perso di nuovo e…»
«Ritrovarlo e riconsegnartelo sta diventando un’abitudine. Se ciò mi consente di continuare ad interagire con te, dovresti perderlo più spesso».
Nell’udire quella voce, che non si aspettava di certo, Aida sobbalzò ed alzò di scatto la testa, rimanendo quasi pietrificata.
«Giancarlo! C-Che cosa ci fai qui?» balbettò, mettendosi in piedi con molta difficoltà.
«Un motivo è quello» le rispose lui, indicando il fermaglio, «l’altro, invece, è che non posso permetterti di partire, senza averti chiesto la cosa più importante... per noi». Poi, le si avvicinò e, dopo appena un attimo di incertezza, le prese con delicatezza le mani e le tenne con fermezza tra le sue. La guardò negli occhi per qualche istante, scrutandola con lo stesso sguardo malinconico che le aveva riservato quando era andato a cercarla per dirle tutta la verità e, di fronte a quell’espressione, l’amarezza di Aida si attenuò parecchio.
«So di averti deluso e ti prego di perdonarmi. Avrei dovuto chiedertelo stamattina, ma ho temuto un tuo netto rifiuto» le mormorò poi, dispiaciuto.
«Come puoi conoscere la risposta, senza aver prima fatto la domanda?» ribatté cupamente lei, convinta che, a prescindere da tutto, dovesse esserle concessa la possibilità di rispondere in prima persona.
«Lo so, hai ragione» sospirò lui, scuotendo la testa, «ma non ho mai tenuto a nessun’altra come tengo a te e... non mi sono saputo comportare».
A quel punto, fece una piccola pausa, mentre la giovane, metabolizzando le parole che gli aveva appena sentito dire, si sentì avvampare, piacevolmente colpita, ma non ebbe nemmeno il tempo di rispondere, che lui proseguì: «Aida, io non sarò né perfetto, né tantomeno un cavaliere senza macchia e senza paura, ma sicuramente quello che provo per te è un sentimento sincero…»
«Be’, a dire il vero, dovresti lasciar decidere me...» notò lei, piegando la testa da una parte e soffermandosi a guardarlo ad occhi socchiusi, «perché sono io che devo scegliere, tu non sai cosa potrei volere».
Nel sentire queste parole, l’animo di Giancarlo si rasserenò e, finalmente, il ragazzo si decise a buttare fuori tutto quello che aveva tenuto dentro di sé troppo a lungo, così, dopo aver preso un bel respiro, parlò: «Scusami se te lo chiedo in termini un po’ antichi e, per giunta, in maniera così diretta, ma non c’è tempo per un discorso: mia dolce Aida, vorresti farmi l’onore di diventare la mia fidanzata, nonché la mia futura sposa…?»
Sorpresa ed incredula di aver appena ricevuto una proposta di matrimonio da Giancarlo Tornatore, il latin lover per antonomasia, la ragazza deglutì, sicura di non aver mai sentito il cuore batterle tanto forte.
«Ovviamente, non devi rispondermi subito, pensaci pure quanto vuoi. Devi decidere in piena libertà, non voglio che ti senta costretta» aggiunse lui, accarezzandole una guancia.
Aida, però, continuò a non rispondere, fissandolo a bocca semi-aperta e, nonostante si sentisse scoppiare dalla felicità, si rese subito conto che non era una decisione da prendere a cuor leggero, perché lo conosceva solo da pochi mesi e, sapeva che il trasporto, la gioia e il piacevole scombussolamento che provava ogni volta che lo aveva davanti sarebbero potuti non bastare a garantire una relazione duratura.
«D-Davvero posso pensarci?» chiese, infine, riuscendo a recuperare l’uso della parola.
«Sì, certo, prenditi tutto il tempo che desideri. Anche se noi continueremo a sentirci, mi darai la tua risposta solo quando ne sarai sicura, va bene?»
«Va bene» confermò lei in un sussurro, lasciando affiorare sulle sue labbra un dolce sorriso.
A quel punto, lui si soffermò a contemplarla e decise di assecondare l’istinto che lo invitava a chinarsi per darle un bacio sulla guancia, ma, purtroppo, le sue labbra arrivarono solo a sfiorarle la pelle, poiché Rami e Samir fecero il loro ritorno con un tempismo quanto mai dannoso.
«Che cosa state facendo?!» gracidò il giovane che, pur avendo usato un plurale, in realtà, si stava riferendo solo al biondo.
Giancarlo, allora, si tirò su, permettendo ad Aida di discostarsi leggermente da lui ed entrambi si voltarono verso un contrariato Rami e un incuriosito Samir, che stava leccando con gusto un mega-cono al cioccolato e fiordilatte.
«Tornatore, che cosa stai combinando?» riprovò, allora, il ragazzo, sospettoso, linciandolo con lo sguardo. Tuttavia, l’altro non si fece intimidire e restò accanto alla fanciulla, che rispose al suo posto.
«Mi ha appena chiesto di sposarlo» fece, infatti, lei, riprendendo a guardare il suo innamorato.
«E tu che cosa gli hai risposto, Dada?» domandò, allora, Samir, curioso ed entusiasta, che non avrebbe mai potuto immaginare che la sorella, un giorno, avrebbe sposato un campione del suo sport preferito.
«Che ci penserà» replicò Giancarlo, girandosi verso la ragazza per lanciarle un sorrisetto complice.
Davanti a quella scenetta, che sembrava messa su a posta per mandarlo su tutte le furie, Rami fu tentato di ribattere, ma, poi, rendendosi conto che sarebbe stato inutile, sospirò, rassegnato. D’altra parte, Giancarlo aveva dimostrato di aver mantenuto la parola e la sorella aveva un’espressione così dolce da non lasciare dubbi: Dada aveva trovato il suo Blaue Reiter6.
«Rami, andiamo fuori! Il gelato mi sta colando, e si sporcherà tutto il tappeto!» piagnucolò improvvisamente Samir, trascinandosi dietro il fratello grande prima che potesse anche solo capire cosa stesse succedendo e, divertiti da quell’intermezzo, Aida e Giancarlo risero.
«Non mi stancherò mai di dire che il tuo fratellino è troppo intelligente!» osservò lui, trattenendo palesemente un sogghigno ai danni di Rami.
«Oh, lo so. Per fortuna, c’é anche lui» confermò la giovane, alzando le spalle; poi, tornò a guardarlo, senza sciogliere la presa che aveva su di lui e aggiunse: «Ora ne sono convinta: con me stai decisamente improvvisando».
«Be’, meglio, no? Te l’ho detto più di una volta: sono un amante delle sorprese» ribatté lui, dandole un colpetto sul naso e strappandole un sorriso, mentre lei, dopo aver alzato una mano verso il volto di lui, cominciò ad accarezzargli i capelli, prima di scendere lungo la guancia; Giancarlo, nel sentire quel tocco, chiuse gli occhi e si perse nel suo calore, esercitando una leggera pressione sul palmo di lei, così da carpire ogni piacevolezza di quelle effusioni.

Rimasero così fino al momento in cui furono costretti a salutarsi definitivamente. A quel punto, il ragazzo, dopo aver dato una mano con le valigie, rimase a guardare i tre fratelli che si accomodavano in auto e, prima di salire, Aida si voltò un’ultima volta per salutarlo così lui ne approfittò per soffiare un bacio nella sua direzione. Con sua somma sorpresa, però, la ragazza ricambiò senza indugio, regalandogli un sorriso triste e lasciandogli una sensazione di vuoto che il giovane sapeva sarebbe stata difficile da colmare.
Anche dopo che furono spariti oltre la piazza, Giancarlo attese in piedi qualche altro minuto, poi, come riscuotendosi dalla malinconia che lo aveva attanagliato, si cacciò le mani nelle tasche del cappotto di panno blu e scese lungo Via del Tritone, nel buio della sera dell’inverno romano.
Era arrivato a circa metà del viale, quando passò accanto a lui una coppia ridente e spensierata. Non aveva fatto caso se fossero belli o riccamente abbigliati - probabilmente non erano né l’una né l’altra cosa -, perché si era concentrato su un unico particolare: si stavano tenendo per mano. In quel momento, avvertì che non vi era nulla di speciale nella sua vicenda, che era solo un ragazzo come tanti che doveva sottostare alle due massime e opposte leggi che muovono l’Universo e fu quello l’attimo nel quale prese coscienza di aver sempre voluto ignorare una verità insindacabile: Morte e Amore rendono tutti uguali.




***
Gli eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità.
***

[N.d.A.]
1. Albano Laziale: piccolo paese nei dintorni di Roma; fa parte dei famosi Castelli Romani;
2. Rebibbia... Verano: rispettivamente, uno dei carceri di Roma ed il cimitero monumentale della Capitale;
3. barbara: il termine viene usato nella sua accezione più originale e dispregiativa. Nel mondo greco antico, i barbari non erano considerati sempicemente stranieri, bensì esseri selvaggi e primitivi, che si opponevano agli esponenti della civiltà, autoreputatisi superiori per cultura ed intelletto;
4. Grazia... carisma... dono: questi termini sono legati etimologicamente e semanticamente; hanno valenza di climax, per sottolineare l’enfasi crescente nel discorso;
5. Julius e Nero: Julius Caesar è il membro italiano, nonché capitano, degli Excalibur e Nero (che compare solo nel manga) è suo fratello; nell’adattamento italiano è rimasto il nome della versione americana, vale a dire Julian Konzern, ma io mi rifiuto di usare due lemmi di origine sassone per un personaggio che dovrebbe essere italiano, perciò ho lasciato i nomi della versione giapponese, se non altro, più “latineggianti” nel suono;
6. Dada... Blaue Reiter: il gioco di parole è abbastanza articolato. Sia Dada (conosciuto anche come Dadaismo) che Der Blaue Reiter sono due movimenti artistici degli inizi del 1900; Dada fa riferimento al soprannome di Aida e Der Blaue Reiter significa, letteralmente, Il Cavaliere Azzurro. Il collegamento del tutto è la passione della ragazza per la storia dell’arte. 
  
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