9_The Curse of Awereness
Zac. Zac. Zac.
Lento ed inesorabile,
quello sforbiciare macabro riempiva l’altrimenti tombale silenzio
carico di tenebra e cupezza che opprimeva la stanza.
Le tende erano tutte tirate
in modo che tra di esse filtrasse a malapena un debole spiraglio della
luce solare dell’esterno, la quale proiettava sottili filamenti
dorati sul pavimento.
La penombra della camera rendeva a malapena distinguibili tra loro gli oggetti, ma al proprietario del locale bastava.
Quest’ultimo stava
placidamente inginocchiato sul materasso dell’immenso letto a
baldacchino che occupava tutta la parte centrale della parete alla
destra della porta, con indosso solo un vestito bianco più
simile ad una camicia da notte che ad altro.
L’abito era di una
misura più grande di quella che portava, difatti la scollatura
dell’indumento gli pendeva sulla spalla sinistra, lasciandola
scoperta.
La cosa, tuttavia, pareva non solo non preoccuparlo, ma essergli addirittura totalmente indifferente.
Tutto ciò che si
limitava a fare era continuare a tagliuzzare un pupazzo di pezza che
stringeva con la mano sinistra. Nella destra impugnava un paio di
forbici affilate ed appuntite che - benché la luce nella stanza
fosse esigua - riuscivano ad assumere un riflesso sinistro lungo la
lama.
In silenzio, mutilava
tranquillo la sua povera vittima priva di vita, mentre col pensiero
vagava alla deriva nei ricordi di tantissimo tempo addietro.
Il piccolo Vincent Nightray
stava pensando a suo fratello Gilbert, dal quale si era
involontariamente separato viaggiando attraverso il tempo per uscire
dall’Abisso.
Sapeva bene in che
condizioni l’aveva lasciato - ferito gravemente ed incosciente,
moribondo - perciò si chiedeva dove potesse essere finito e si
augurava che qualcuno l’avesse trovato e gli avesse prestato
aiuto prima che fosse troppo tardi.
Se fosse morto non sapeva come avrebbe reagito, addirittura si chiedeva senza di lui avesse ancora senso continuare a vivere.
Sarebbe stata solamente
colpa sua se fosse accaduta una simile disgrazia e non se lo sarebbe
mai perdonato: nel momento in cui aveva avuto più bisogno di lui
non gli era stato accanto.
Gilbert aveva fatto
così tanto per lui quand’erano più piccoli che il
solo pensiero che morisse senza che lui avesse potuto fare niente per
salvarlo lo considerava un tradimento nei suoi confronti.
Scosse la testa, cercando
di allontanare quel mesto pensiero: si sentiva dilaniare il petto da
una fitta lancinante di tristezza e dolore al solo prendere remotamente
in considerazione la possibilità che una disgrazia del genere accadesse.
Voleva ricongiungersi con
lui: era il suo unico desiderio, tutto ciò che aspettava giorno
dopo giorno, senza mai riuscire a veder realizzato il suo sogno di
veder aprire la porta della sua camera e scorgere Gilbert in piedi
sulla soglia anziché una delle tante cameriere dei Nightray.
La sua era come una maledizione, quella della consapevolezza:
sapeva bene di essere coinvolto con ciò che era accaduto loro e
ciò gli apriva immensi e profondi squarci di tristezza
nell’animo.
Con espressione triste e
vuota ripensava a lui, a tutto ciò che Gilbert aveva fatto per
lui nella loro infanzia e si augurava che tornasse presto da lui.
In quei momenti avrebbe dato qualunque cosa pur di riaverlo.
La sua mente si distrasse dal ricordo del fratello maggiore per concentrarsi sul bambolotto che aveva in mano.
I suoi occhi si
corrugarono, assumendo un’espressione aggressiva. Modificò
la presa sulle forbici, impugnandole a mo’ di pugnale, quindi
l’abbatté con ferocia sul torace della bambola.
Quest’ultima era
abbigliata con un lungo abito rosa chiaro ed aveva i capelli castani
lunghi e sciolti. Le squarciò il ventre, riversando
l’imbottitura sul lenzuolo con soddisfazione.
Quella bambola
l’aveva presa appositamente perché gli ricordava Alice.
Così facendo poteva sfogarsi su di lei.
La tristezza che
l’assaliva sempre più spesso sovente si trasformava in una
ferocia impressionante, fuori del comune, che trovava la sua valvola di
fuoriuscita proprio in atti del genere.
Era quel senso
d’impotenza e tristezza che lo ricolmava ogni volta che si
concentrava troppo sui suoi ricordi di un passato lontano e tutto
sommato felice, benché drammatico.
«Gilbert...» mormorò, mentre estraeva le forbici e le utilizzava per decapitare il pupazzo.
«Ci rivedremo,
vero...?» domandò con voce minata di malinconia e
speranza, fissando la bambola con la testa mozzata, come se avesse
potuto fornirgli la risposta.
«Perché... non è stata colpa mia, Gil...».
Angolino autrice
Cadenza settimanale precisissima °O° *yes, we can!*
Non me la sento di giudicare questo
capitolo, visto che l'ho scritto sul momento, trasportata
dall'Ispirazione. Spero solo che sia decente >////<
Ringrazio GMadHattressFromUnderground per la recensione allo scorso capitolo e coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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