Sei a letto, grande
re. Sdraiato fra le tue coperte grottescamente ricche, perché non sei più in
grado di muoverti, ormai. Sei debole, sudato, pallidissimo, scavato. Ti guardo,
tu mi guardi, non dici nulla, nemmeno un gesto. So che tu avevi capito tutto
fin dall’inizio, fin da quella sera, in cui personalmente ti porsi il boccale
che ti avrebbe condannato. Tu bevesti voracemente, poi sentisti il tuo stomaco
urlare di dolore, e, come ora, mi guardasti. Mi guardasti, e fu come se tu mi
avessi detto “so cos’hai fatto. E so anche perché.”
Odio quando fai
così, odio sapere che non c’è modo di esserti superiore, ma soprattutto odio,
odio con tutto me stesso te. Te come re, come stratega, e come uomo. Ti odio
perché mentre ti accasciavi a terra mi sorridesti, ed io capii che stavi
pensando a lui anche in quel momento. Tu pensi sempre a lui, sempre e solo a
lui, tanto che il suo nome ormai ce lo hai riflesso negli occhi. Ma perché io
devo sempre essere il numero due, eh? Perché c’era lui, nel tuo cuore, e non
io?
Mi hai sempre
trattato con disprezzo, mi hai sempre fatto pesare la tua naturale superiorità,
mi hai sempre relegato in un angolo, e hai sempre fatto apparire penosi e
sciocchi i miei sforzi per essere degno almeno della tua stima. Ti guardavo da
lontano, perché tu non mi hai mai voluto vicino, e non hai mai voluto sapere
quanto avrei potuto darti. Io… ti avrei dato tanto, se solo tu me lo avessi
permesso. Avrei voluto darti il mio cuore, i miei sentimenti per te, avrei
cercato di renderti felice, sarei stato sincero e leale, con te. Invece tu
avevi lui, avevi lui e per te era come avere ogni tesoro del mondo, per questo
non ti importava nulla di me, né di nessun altro. La vostra gioia, oh sì, la
vostra inattaccabile felicità, era come una lama che strideva nella mia testa.
Peccato che, come hai visto la vostra gioia non era poi tanto inattaccabile, in
fondo. Lui è morto, e tu sei cambiato. Io ho sperato di poter finalmente avere
la mia occasione per starti vicino, per farti dimenticare il dolore, per farti
tornare a vivere, ma tu mi hai rifiutato di nuovo, mi hai ferito e mi hai umiliato,
mi hai allontanato come se fossi stato un lebbroso.
Io volevo solo che
tu mi considerassi, che almeno mi degnassi di uno sguardo, volevo sapere cosa
sono le tue mani, cosa sei quando levi la corona e diventi uomo, ed invece… i
tuoi uomini non sono mai riusciti a resistermi, mai, nessuno. Perché nessuno
resiste a Cassandro, nessuno resiste alla mia volontà di sedurre.
Nessuno tranne te.
Perché?
Io ti provocavo
sfacciatamente, tu facevi un mezzo sorriso e ti voltavi verso il tuo Efestione,
che ti era sempre vicino, e ti dimenticavi persino della mia esistenza, mi dici
se questo è giusto? Io ci ho provato, a non pensarci, e lo sai, ci ho provato e
ci ero riuscito, finalmente, ad un certo punto, quando avevo scoperto un uomo
che fosse come te, che fosse superbo e contraddittorio, che nascondesse in se i
segreti di mille nature diverse, che mi amasse e mi maltrattasse. Credevo
finalmente di aver trovato qualcosa per me, di essere riuscito a guadagnarmi un
po’ di gioia, un po’ d’amore.
E tu… tu me lo hai levato.
Me lo hai strappato e lo hai fatto uccidere, perché… perché non ti andava bene,
perché in fondo a te piaceva sapere che io soffrivo, e per nessun motivo al
mondo mi avresti concesso un po’ di felicità.
Abbiamo vissuto
questi anni inseguendoci a distanza, controllandoci senza mai perderci
d’occhio, giocando una partita alla pari che ti intrigava moltissimo. Ma io non
sono un giocattolo, Alessandro, e non mi lascio usare come passatempo. Ricordo
ancora il tuo viso ipocrita, quando venisti a dirmi che ti dispiaceva, per
Filota, che era stato tuo dovere farlo.
Mentivi.
Mentivi perché i
tuoi occhi bruciavano e ridevano, mi sfidavano e lanciavano i dadi per una
nuova partita.
Tu non avevi il
diritto di farmi tutto questo, Alessandro!
Hai giocato con me,
ti sei preso gioco dei miei sentimenti, mi hai avvilito in ogni modo, mi hai
deriso e mi hai messo in ginocchio, con la tua imbattibile superiorità, con il
tuo crederti divino, con il tuo esserlo. Forse io non sarò degno di te, grande
re, ma tu non dovevi farmi questo, non dovevi…
Ed è per questo che
ora sei qui, sdraiato, debilitato, agonizzante. M hai sottovalutato, mi hai
umiliato, mi hai spinto a farlo, è colpa tua! Tu l’hai voluto, tu l’hai
cercato, mi hai esasperato, me lo hai chiesto! È troppo tardi, ormai, per
parlare di qualsiasi cosa, ma tanto so che nemmeno ora mi degneresti si una tua
parola. Io per te sono e sarò sempre inferiore di un gradino, mai degno della
tua fiducia, e mai degno di te.
Ora non puoi
impedirmi di toccarti, se non altro, ma tanto ormai servirebbe a ben poco,
perciò sarò onesto, e mi accontenterò di sfiorarti il petto, di toccare quel
cuore che non è mai stato mio, e che per questo non sarà mai più di nessuno; e
il volto, le guance, solo per ricordare un’ultima volta ciò che non ho mai
avuto, ciò che tu mi hai sempre negato. Vorrei tanto che tu toccassi me, ma so
che non lo faresti mai, che non lo vuoi, perché di me non ti importa nulla.
Spero almeno di essere riuscito a guadagnarmi il tuo odio, ora che ti sto
uccidendo, ora che sto ponendo fine a tutti i tuoi sogni; perché la cosa che mi
ha fatto più male, in tutto questo tempo, è stata la tua indifferenza.
È tempo di andare,
adesso, è tempo di uscire da questa stanza e ricominciare a vivere, mentre tu
muori. Un ultimo sguardo, mio re, un’ultima illusione, e l’amarezza di sapere
che non ho vinto io nemmeno questa volta, che sei tu ad uscire vincitore sempre
e comunque, ora che sono io stesso ad offrirti la possibilità di tornare ad
abbracciare l’unica persona che hai sempre amato, l’unico che tu abbia mai
ritenuto davvero degno di te, e questo nonostante tutti i miei sforzi per
piacerti, per esserti gradito, per avere anche soltanto una maledetta goccia
della tua considerazione.
Addio, re
Alessandro, addio per sempre, forse. Anche se non ti potrò più vedere, in fondo
non mi privo poi di molto, visto che vederti era l’unica cosa che mi era
concesso di fare. Ed anche se non ti potrò più vedere, so bene, e lo sai anche
tu, che ti porterò sempre nel mio cuore, come una condanna, e che ti peserò,
ogni volta che incrocerò lo sguardo di un uomo qualunque, banale e normale come
tu non lo sei mai stato.
Vorrei soltanto che
tu sapessi che ti ho amato sinceramente, a mio modo.
Vorrei soltanto
dirti che c’ero anche io…
Io volevo solo che
tu guardassi me… che tu guardassi me…
***
Alessandro il
Grande morì presumibilmente nel luglio del 323 a.C. a Babilonia, in circostanze
ancora non molto chiare. Si parlò di una malattia, ma anche la strada del
complotto è sempre stata accreditata come estremamente verosimile, e va
segnalato che proprio Cassandro è da sempre additato come uno dei più probabili
candidati ad essere l’assassino, l’avvelenatore, per la precisione, del re
macedone, anche se le motivazioni sono presumibilmente da ricondurre a screzi
di tipo politico e personale. In conclusione, la matrice storica su cui la fic
è basata è solida e più che plausibile, ma la vicenda in sé è esclusivamente
frutto della mia fantasia, e non si rifà ad alcuna teoria.