con grande
richiesta del pubblico(?), ecco a voi, il settimo, attesissimo (?)
capitolo!!!
*lancio di
pomodori*
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7.
I signori clienti sono pregati di evitare di dar fuoco ai quadri
esposti,
grazie.
Rimasero
a
guardarsi per almeno due minuti, in silenzio. Evidentemente nessuno
sapeva cosa
fare. Da fuori dovevano sembrare degli idioti, sedici idioti che se ne
stavano
in cerchio a fissarsi l’un l’altro.
Forse
a questo
stava pensando Sesshomaru, perché si allontanò
immediatamente, dirigendosi da
tutt’altra parte rispetto al museo.
I
quindici
rimanenti guardarono prima la figura del demone che si incamminava
chissà dove
con calma serafica, poi a fissarsi di nuovo, almeno finché
Ayame e Shiori non
trascinarono via Rin, dicendo: “Andiamo a vedere dentro il
museo!”
Attraversarono
la strada di corsa e si fiondarono dentro l’ingresso, ad una
velocità tale che
per un pelo non finirono spiaccicate sopra la piramide più
piccola.
Rin,
per lo
spavento, si accasciò a terra, tremante:
“Che… cavolo… vi…
salta… in… testa?”
ansimò, a quattro zampe. “Vedi cosa succede ad
andarsene con un demone e un
mezzodemone?” chiese Ayame, strofinandosi le unghie sulla
maglietta azzurra per
poi rimirarne l’effetto.
“Non
è molto
corretto” puntualizzò Shiori:
“l’abbiamo trascinata noi qui.”
Ayame
sventolò
la mano come se volesse cacciare le veritiere e innocenti parole di
Shiori come
moscerini, tirò su Rin di peso e, come se fosse un
pupazzetto di stoffa, la
mise in posa davanti ad una delle fontane prossime alla piramide, in
modo da
prendere una foto che ritraesse sia lei che il palazzo intorno e, dopo
aver
trascinato anche Shiori nella stessa posizione, fece qualche passo
indietro ed
estrasse dallo zainetto la sua fedele Ermenegilda. Cioè la
macchina fotografica.
“Preparatevi
ad
un servizio fotografico!” le minacciò:
“Ho capacità di ben oltre un milione di
foto!”
“Allora,
chi
devi pedinare?” chiesero Kagura e Bankotsu
contemporaneamente, una a Naraku,
evidentemente interessato a Rin e Kikyo, l’altro a Jakotsu,
con intenti da non
precisare.
Naraku
scrollò
le spalle: “Non mi pare di aver dichiarato
alcunché.” Ma, a quell’affermazione,
Kagura non poté far altro che sbuffare: “Ti
conosco fin troppo bene, ogni volta
che delinei la tua preda fai di tutto per analizzarla.”
Spiegò, con l’aria di
chi ormai ci è abituato, e Naraku, per quella volta, dovette
arrendersi
all’evidenza. Ma, infondo, era o non era uno psicologo d’assalto?
“Buttiamo
a
morra?” propose, e Kagura annuì: “Se
vinco io seguiamo Rin.”
Uno,
due, tre!
“Si
prospetta
una lunga giornata.” Si lamentò Kagura:
“Ci tocca seguire la donna cadavere.”
E, quatti quatti si incamminarono verso il museo.
Jakotsu,
dal
canto suo, aveva candidamente spiegato che lui a Parigi non
c’era mai stato e
intendeva vedere il museo. Inutile dire che Suikotsu gli
controllò la febbre.
“Andiamo,
truppa, a scoprire le meraviglie del Louvre!”
gridò con voce grossa Jakotsu,
come un condottiero, usando il fermaglio del proprio codino a
mo’ spada,
puntandolo verso l’entrata.
I
due fratelli annuirono,
accondiscendenti, e si avviarono insieme al loro capitano
con l’aria felice di un cadavere imbalsamato con la
vinavil.
Dopo
tre
secondi, cioè quelli che bastavano al terzogenito Ben per
irrompere nel museo
con la forza di un uragano, Suikotsu e Bankotsu rimasero attoniti nel
constatare che Jakotsu era davvero
fomentato nel vedere le opere d’arte esposte: le rimirava
come un bambino
ammira il negozio dei dolciumi. Con la lingua di fuori, come i cani. O
forse
perché c’era Inuyasha nelle vicinanze.
Infatti,
il
povero mezzodemone, dopo aver scorto quella sottospecie di uomo
sfrecciare da
una parte all’altra del corridoio delle sculture
greco-romane, nei pressi
dell’entrata, in cerca di qualcosa di non meglio definibile,
decise di fare
dietrofront verso il reparto delle antichità orientali, se
non fosse per il
fatto che, appena girati i tacchi, si scontrò con Kikyo.
Si
guardarono,
interrogativi, per poi avviarsi per la stessa strada, senza spiccicare
parola.
Intanto,
nel
salone della scultura italiana, un gruppetto di due demoni e tre umani
non
faceva altro che scattare foto.
“Certo
che
Canova è proprio un genio.” Disse Kagome,
accucciandosi accanto all’opera
“Amore e Psiche” : “Come avrà
fatto a scolpire superfici così lisce?”
Sango
fece
spallucce: per lei le mentalità degli artisti erano come le
misteriose nebulose
stellari nel cosmo. Incomprensibili ma bellissime. Ma, se lei e Kagome
erano
ragazze quantomeno interessate, cosa ci facevano Miroku, che, lo
sapeva,
trovava l’arte inutile, Koga e Shippo a seguire la visita
accanto a loro?
“Ok.”
Disse
Shippo: “Facciamo un gioco.” I suoi compagni di
viaggio lo guardarono,
interrogativi, soprattutto Koga che, essendo un demone lupo, aveva
inquadrato
la kitsune come un pappamolle.
“Là”
e Shippo
indicò il muro: “è appeso un catalogo
con tutte le opere di questa stanza, e
chi trova per primo la terza statua in lista di ogni stanza vince dieci
sterline.”
Ah,
una
scommessa. Inutile dire che tutti si misero a cercare.
“Lo
schiavo
morente, Michelangelo!” esclamò Koga, indicando
prima il catalogo, poi la
scultura accanto a lui: “Questa era facile.”
Miroku,
dal
canto suo, era abbastanza scioccato: già lui era
lì solo perché la sua
Sango aveva tanto insistito, poi,
vedere degli adulti comportarsi come scolaretti in gita lo aveva
allibito.
Era
tanto
allucinato che non si accorse che il gruppo con cui era entrato era
già sparito
al primo piano, e si rese conto troppo tardi di aver scordato di
comprare la
piantina del museo.
Kikyo
era molto
silenziosa e Inuyasha temeva che avrebbe potuto infastidirla con
qualche
domanda banale, del tipo “sei mai stata a Parigi” o
“allora, ti piace il
Louvre”, perciò si limitò a camminare
verso il piano superiore, facendo finta
di camminare da solo, non che fosse poi così difficile, dato
che la sua
accompagnatrice equivaleva alla macabra presenza di uno sventurato
spettro.
Soprappensiero,
si mise a fischiettare, senza accorgersene.
Burnt out ends of
smoky days
The stale cold smell of morning
The streetlamp dies, another night is over
Another day is dawning…*
E
stava per
lanciarsi in un imbarazzante fischio più acuto quando Kikyo,
stranamente,
interruppe la sua melodia: “È una bella
canzone.” Disse.
E
lui,
stupidamente, non poté far altro che domandare:
“Quale?” cosa che lei trovò
divertente, perché sorrise: “Quella che stavi
fischiettando.” E lui non poté
che rimanere imbambolato a valutare che, se Kikyo era bella, lo era
ancora di
più quando sorrideva.
Dopo
qualche
imbarazzante secondo si riscosse e cercò una brillante frase
da dire, in modo
da evitare figuracce: “Eh, sì, l’ho
appena fatta studiare ai miei studenti.”
Kikyo
annuì,
pensierosa, mentre camminava noncurante verso il salone dove era
esposta la
celeberrima Monna Lisa. “E ti piace insegnare?”
Che
cosa
strana, che la silenziosa e taciturna Kikyo intraprendesse una
conversazione
proprio con lui. Insomma, sì, lui era più che
interessato, ma credeva che non
fosse il tipo per una donna così seria.
Fece
spallucce:
“Beh, sì, più che altro mi piace la
musica e mi piace condividerla con gli
altri.” Oh, guarda, qualcuno che gli tirava fuori di bocca i
propri pensieri.
Insomma, non era proprio normale che lui, Inuyasha, parlasse
apertamente di sé,
era più uno a cui sembrava opportuno mascherare i propri
interessi per sembrare
più… duro? Inattaccabile? Non avrebbe saputo
definirlo con chiarezza. Forse era
il fatto di essere trattato come inferiore a causa del suo essere
mezzodemone
ad averlo costretto a costruire delle, diciamo, barriere.
Oh,
cielo,
stava cominciando a pensare come Sesshomaru!
A
proposito di
Sesshomaru, vi state chiedendo dove sia finito, vero?
In
quel
momento, cioè nel momento in cui Kikyo e Inuyasha stavano
segretamente
flirtando, il nostro misterioso demone stava tranquillamente
passeggiando lungo
la Senna, con i pensieri persi in chissà quale meandro
temporale.
Cosa
stesse
cercando, non lo sapeva nemmeno lui. Aveva evitato il Louvre per
sorbirsi il
meno possibile tutti quei turisti, tutte quelle persone sudaticce e
affaticate
che disturbavano il suo udito, il suo olfatto e la sua pazienza.
Stupidi umani
che non facevano altro che brulicare qua e là.
Fatto
sta che
si imbatté, suo malgrado, in un vecchietto. Anzi, diciamo
che quel vecchietto
sbatté su di lui, visto che aveva perso gli occhiali.
Speriamo che non abbia combattuto con me in
guerra, speriamo che non abbia combattuto con me in guerra!
Si ritrovò a
pensare.
Ovviamente
non
fu così, perché quella mummia incartapecorita
prese degli occhiali di riserva,
li inforcò e gridò, come se avesse vinto alla
caccia al tesoro: “Capitain!”(trad.
Capitano!)
Ma
perché ogni dannatissimo
matusalemme che incontrava era stato suo sottoposto nella Seconda
Guerra
Mondiale!?
Ok,
era
abbastanza datato anche lui, ma per il mondo demoniaco era poco
più che un
adolescente, un giovine giovincello, un ragazzino, e la cosa cominciava
a
innervosirlo parecchio. Cosa diavolo non capivano gli umani nel
concetto: i demoni vivono con i demoni e
hanno una
diversa concezione del tempo per ciò gli umani li devono
lasciare in pace e basta?
“Temo
ti stia
sbagliando con qualcun altro.” Ringhiò,
liquidandolo e abbandonandolo al suo
destino.
“Mi
sembro una
stalker.” Borbottò Kagura, incrociando le braccia
e appoggiandosi alla parete
nei pressi del famoso dipinto “La vergine delle
rocce”. Non era un brutto
quadro, infondo, ma preferiva l’impressionismo.
Naraku,
dopo
aver gettato una lunga occhiata ai dipinti nel corridoio,
spostò l’attenzione
sulla sua preda, in fastidiosa compagnia di Inuyasha. Quel ragazzino
già gli
dava fastidio per come aveva spifferato ai quattro venti informazioni
private
del fratello, e sperava con tutto il cuore che Sesshomaru si vendicasse.
Oh,
anche
Sesshomaru era una sua preda. Era l’unico essere sulla faccia
della terra del
quale non riuscisse a percepire né l’essenza
né i pensieri. Come se ci fosse
una barriera troppo imponente per le sue capacità di lettura
dei movimenti. In
realtà, pareva che il demone misurasse i propri movimenti
proprio per non farsi
intendere da nessuno, nemmeno da uno psicologo come lui, e la cosa lo
infastidiva parecchio. Per la prima volta riscuoteva un fallimento e
non era
proprio disposto ad accettarlo.
Kagura
fece per
chiamare Naraku, ma, vedendolo immerso nei propri pensieri,
pensò di
svignarsela a gambe levate senza dirgli nulla. Lui aveva molto
insistito per
farla venire con lui, ma e che cavolo, avrà avuto pure lei
il diritto di
gironzolare a suo piacimento per il museo!
Naraku
era un
buon fratello, per carità, aveva un carattere un
po’ spigoloso ma riuscivano
tranquillamente a convivere senza litigare, però risultava
morbosamente
persistente nel doverla sorvegliare. Era sotto il suo controllo e la
cosa la
infastidiva alquanto. E veniva anche accuratamente sfruttata per le sue
operazioni di psicanalisi.
Forse
fu per un
po’ di libertà che decise di girare i tacchi, ma,
giunta alla fine del
corridoio, incontrò quel duo pazzoide di fratelli che
cercavano di tenere a
bada il più pazzo dei tre.
“Lo
vedo
quasi!” disse Jakotsu, indicando o la fine del corridoio o
Inuyasha che,
d’altra parte, stava amabilmente chiacchierando con Kikyo. E
Bankotsu,
conoscendo il fratello, propendeva di più per la seconda
opzione.
Dietro
di loro
apparvero le tre ragazze scomparse per prime: in fila, Ayame, spavalda
e sicura
di sé, scattava foto a qualunque
cosa
stesse ferma per più di tre secondi, Shiori, che, da brava
scolaretta,
osservava i dipinti, leggeva la descrizione e prendeva appunti, e
dietro Rin,
che non faceva altro che scattare per i più piccoli
movimenti e, avvistata una
zanzara, si rintanò, tremante, dietro la yasha dai capelli
rossi.
“Toh,
ci siamo
quasi riuniti.” Notò Suikotsu, lasciando la presa
sulla maglietta di Jakotsu,
con la quale fino a un secondo prima cercava di arginare i suoi effetti
da
fomento.
“Argh!”
gridò
Rin, dopo aver gettato un’occhiata ad un quadro e notando la
polvere sulla
cornice, e si accucciò per terra, parlottando fitto fitto su
qualcosa come
“polvere”, “aiuto” e
“sporco”, tanto che il
turista italiano che le passò vicino le
scattò una foto, ridacchiando.
“Eh…
già…”
disse Shiori, sorridendo.
Passò
qualche
minuto di silenzio, in cui Rin rimase accucciata su sé
stessa a parlare da
sola, Naraku gettò un’occhiata ad un anonimo
dipinto dietro di lui, Kagura
arrivò quasi alla fine del corridoio, Bankotsu
notò che la donna aveva un bel
culo, Ayame scattò trentundici foto, Shiori
fischiettò, Suikotsu rimirava un
quadro e Jakotsu si espresse, con la sua caratteristica voce acutamente
isterica: “Yuhuuuu, Inuyaaaaaasha, siamo quiii!”
Cosa
che attirò
sì l’attenzione del mezzodemone, ma anche quella
di Kikyo e quella del resto
della gente che affollava il corridoio dove stavano loro e i tre
seguenti, e a
momenti anche quella delle persone raffigurate nei quadri.
Inuyasha
gettò
uno sguardo imbarazzato a Kikyo, a mo’ di scusa, e si diresse
con estrema e
lenta riluttanza verso il suo gruppo. Accidenti, proprio quando stava
tranquillamente solo con quella tanto attraente e misteriosa fanciulla
venivano
a scartavetrargli le palle!? Uffa.
Kikyo
sembrò
accorgersi del suo umore cambiato così repentinamente,
perché chinò lievemente il
capo per celare un sorriso lusingato, nascosto in gran parte dai due
lunghi
ciuffi che uscivano dalla sua coda di cavallo.
Naraku
e
Kagura, invece, un po’ più in là,
confabulavano concitatamente riguardo al caso
numero uno, cioè la missione sposa
cadavere.
Più che altro, Naraku esponeva ciò che aveva
dedotto e Kagura ascoltava con una
pazienza degna di un martire. “Allora,” riassunse
il mezzodemone: “molto
probabilmente è stata bidonata sull’altare
perché sennò non si spiega questo
mutismo assurdo, e poi dev’essere di per sé molto
fredda e distaccata, e la
depressione post-non-matrimonio deve aver amplificato queste sue
qualità.
Inoltre” e a questo punto si accucciò sul vissuto
e polveroso pavimento a
disegnare schemi con il dito: “è stata mollata da
un uomo, perché è curiosa di
testare se i demoni hanno sensibilità diverse rispetto al
genere umano.” Poi,
mentre Kagura approfittava del suo profondo e concentrato borbottio per
svignarsela, alzò il viso verso il soffitto, pensieroso:
“Però… Koga a prima vista
lo trova eccessivamente irascibile e/o volgare, Shippo lo ha
considerato come
un marmocchio, si è resa conto che Sesshomaru non riscuote
in lei il minimo
interesse a causa della somiglianza con il proprio carattere e quindi
sta
cercando di prendere contatto con l’universo
Inuyasha.” Concluse, borbottando
anche un avrebbe potuto scegliere me,
non accorgendosi di essere ascoltato da Rin, che gli rispose con un
candido e
ingenuo: “Tu sei troppo inquietante!” Stizzito,
rimbeccò acidamente
l’interruzione: “Non eri troppo impegnata ad
agonizzare in quanto alla polvere,
la folla e quant’altro?”
E,
come un
fastidioso quanto vero promemoria, nella mente di Rin
sfrecciò a velocità molto
elevata un ansito di paura, tanto da farla rabbrividire.
Chinò il capo,
silenziosa, e avrebbe risposto qualcosa come un debole hai
ragione, se non fosse stata interrotta da un acutissimo e
dubbiamente virile grido di Jakotsu: “Aaahhh!!!”
Puzza
di
bruciato. Ecco cosa sentiva. A lungo andare, aveva percorso quasi una
strada
circolare intorno al museo, tanto che si era ritrovato davanti
all’entrata sul
retro. E la cosa strana era che l’odore di bruciato proveniva
dal museo.
Oh,
avrebbe
scommesso qualsiasi cosa che quei quindici idioti erano coinvolti.
Sesshomaru
arraffò un secchio da un negozio e lo riempì ad
una fontanella, dopodiché si
precipitò dentro il Louvre.
“Al
fuoco! Al
fuoco!” gridò Jakotsu, guardando un dipinto
divorato dalle fiamme, accanto a
lui. Cominciò a girare in cerchio mettendosi le mani nei
capelli, continuando a
strillare come una donnicciola – non che lui si allontanasse
molto da quel
concetto – mentre tutti i presenti ponevano
l’attenzione sul pitturato esposto
nei pressi della “Vergine delle Rocce”. Bruciava
con un’allegria tale che
ricordava molto il fuocherello del falò della sera prima.
Stava
intervenendo anche il personale, mentre giungevano Kagome, Sango,
Shippo e
Koga, allarmati dalle grida che percorrevano il corridoio.
Il
fatto era
che il sistema d’allarme, evidentemente in cortocircuito,
avrebbe dovuto suonare
quando Bankotsu, sporgendosi troppo sul dipinto, si era avvicinato per
vederlo
meglio, solo che, invece del classico suono, era divampato
l’incendio.
Incredibile
di
come fosse complicato trovare un po’ d’acqua nel
museo! Tutti i turisti erano
scappati chissà dove, e il personale stava raggranellando
liquidi dai bagni e
dai rubinetti, quando, ad un certo punto, apparve una guida
grassottella che
scarrozzava un grande secchio, trotterellò fino al dipinto e
lo inondò con
l’acqua che lo riempiva.
Poi
apparve
Sesshomaru, tranquillo e distaccato come al solito.
Jakotsu
e Rin,
invece, non essendosi accorti di quello che era successo, stavano
ancora uno
correndo in cerchio, strillando come un disperato, e l’altra,
terrorizzata,
chiusa a riccio in un angolino apparentemente pulito di corridoio.
Con
quello che
rimaneva del secchio, ad Ayame parve molto giusto calcarlo in testa al
terzogenito Ben, in modo da… tranquillizzarlo.
L’ultimo
ad
arrivare fu Miroku, che, a quanto pareva, stava rischiando una crisi di
nervi a
causa del suo scarso senso dell’orientamento. Camminava a
fatica, trascinando i
piedi, parlando da solo riguardo a non meglio precisati argomenti e
ogni tanto
fermandosi a guardarsi in giro, spaesato.
Almeno
finché
non vide Sango.
“Sangucciaah!”
gridò, ritrovando le energie e percorrendo di corsa la
distanza che lo separava
dalla fidanzata.
“Ehm…”
provò a
dire Suikotsu: “Non vorrei interrompervi… ma credo
che sia arrivata la stampa.”
Tutti
si
guardarono, allibiti e, tutti e sedici, come un sol paio di piedi, si
precipitarono fuori onde evitare problemini di tipo…
ehm… giudiziario.
Bankotsu,
ovviamente, fu piuttosto malmenato, in quanto identificato come causa
dell’incendio.
“Ah,
ho fame!”
esclamò Kagome, allargando le braccia per stiracchiarsi:
“Andiamo a mangiare in
qualche bistrôt?”
Tutti
sembrarono essere d’accordo.
L’unico
perplesso rimaneva Koga: “Ehi, ma alla fine io ho vinto la
scommessa!” esclamò,
felice: “Mi dovete dare dieci sterline!”
Nessuno
lo
ascoltò, e il gruppo cominciò a camminare,
lasciandolo indietro.
“Ehi!”
Nessuno
lo filò.
“EHY!
NON
LASCIATEMI INDIETRO!”
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avete
visto? non sono scomparsa! :D
e,
anzi, dopo essermi fatta un mese di mare e due settimane a Londra sono
più agguerrita che mai! >:D
comunque,
spero che questo capitolo vi piaccia ;)
ah,
avete scorto da qualche parte il turista italiano. ecco, quella
sarà una specie di piccola rubrica, e spiega cosa pensano
gli stranieri di noi italiani. e, da Londra, giungo con tanti di quegli
insulti da riempire un vocabolario.
per
esempio, secondo gli INGLESI, noi italiani mangiamo da schifo.
cioè cibi grassi e poco nutrienti e schifosi.
capito?
GLI INGLESI dicono che siamo NOI a mangiare male!
roba
dell'altro mondo!
per
cambiare argomento, ho messo la canzone, stavolta, ma non dovete dirmi
chi la canta, ma da quale film, serie, spettacolo è tratto ;)
alla
prossima
Larchy
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