Snowflake
Mello odiava Near.
Tutti lo sapevano alla Wammy’s House.
Near era sempre il numero uno, in tutto, e sempre lo sarebbe
stato.
Ma quella sua impassibilità, quel volto che mai una volta aveva
mostrato un’emozione al mondo… Non parlava mai con nessuno. Se ne stava sempre
seduto in disparte con quella sua strana posa, quella gamba rannicchiata contro
il petto, e trascorreva il giorno facendo puzzle e giocando con stupidi
aggeggi. Mello si chiedeva come diamine facesse ad avere sempre i voti così
alti, sebbene non l’avesse mai visto studiare in tantissimi anni che lo conosceva.
Come potesse essere sempre così apatico, anche quando tutti si congratulavano
con lui. Quel suo tono sempre monocorde, freddo, mai il volto illuminato da un
sorriso. Tutti alla Wammy’s ci avevano fatto l’abitudine. Ma lui no. E lo
odiava proprio per questo.
Ma c’era anche dell’altro, un qualcosa che Mello non avrebbe mai
ammesso. Nemmeno a sé stesso.
Quella notte la neve era scesa, coprendo col suo manto bianco
tutto il grosso cortile. Ed il mattino seguente tutti i bambini erano
usciti a giocare, tirandosi addosso le palle di neve e costruendo stupidi
pupazzi. Mello odiava la neve, era così fredda e si infilava dappertutto. Tutto
quel bianco gli dava fastidio.
E quel mattino aveva convinto il suo amico Matt a rimanere dentro,
con la scusa di avere un fortissimo mal di pancia. Così, stavano seduti davanti
ad un camino nella sala comune. Matt parlava da minuti interminabili, ma
il biondo non lo ascoltava. Era perso nel suo mondo, lo sguardo che vagava da
una parte all’altra della saletta accogliente, mentre addentava con decisione
una tavoletta di cioccolata. Un giorno troppo calmo, troppo strano. Mello si
sentiva che stava per accadere qualcosa che avrebbe rivoluzionato la sua vita.
Non sapeva perché. Se lo sentiva e basta.
D’un tratto, vide un guizzo candido nel corridoio. Un piccolo
corpo avvolto in un pigiama bianco davvero troppo grande per lui che camminava
lento, con quell’andatura incerta.
I suoi pensieri vennero totalmente catturati da quell’ esile
figura, che avrebbe riconosciuto anche in una piazza gremita di gente.
Lo fissava quasi come ammaliato, una tigre che segue i movimenti
della sua preda.
Si sentì scuotere per la spalla, e si ritrovò a fissare un volto
contorto da una smorfia imprecisa.
“Mello, che cazzo! Smettila di pensare a Near e dammi retta per un
momento!”
Il biondo assunse un’espressione come se gli avessero buttato
addosso un secchio d’acqua gelida in prima mattina, per poi alzarsi
profondamente irritato e rosso di vergogna.
“Ma te li sai fare i cazzi tuoi per una buona volta?! Va’, corri
fuori a giocare!”
Piantò la tavoletta a metà sul divano e uscì dalla sala con passi
svelti, le gambe avvolte in un paio di pantaloni decisamente troppo lunghi,
sentendosi addosso lo sguardo incredulo dell’amico.
Per colpa di quello stupido aveva persino perso di vista Near…
Si accigliò per i suoi stessi pensieri. Davvero a volte faticava a
capirsi da solo.
Lui odiava Near con tutto sé stesso, era la cosa che più odiava al
mondo. Eppure…
Eppure gli importava di lui, in un certo senso. Quando, quasi
quotidianamente, si trovava ad urlargli contro, si sentiva infastidito e ferito
dal fatto che l’albino non lo degnasse mai di un’attenzione. Non importava cosa
gli stesse dicendo, se lo stesse insultando per il puro gusto di farlo o se gli
stesse parlando seriamente. Near si limitava solamente ad arricciarsi una
ciocca di capelli attorno all’indice ed a guardare in basso, oppure seguitava a
giocare come se nulla fosse.
Era questo ciò che più feriva l’orgoglio di Mello.
Tutti, alla Wammy’s, interpretavano quel comportamento come
profonda timidezza, ma lui sapeva che non era così. Near si comportava in quel
modo per il puro gusto di vederlo infuriato, ecco tutto.
Si ritrovò a camminare spedito su per le scale, verso una porticina
di legno.
La mansarda. Era anni che non andava lì.
Nemmeno sapeva perché fosse andato proprio in quella meta, eppure
dentro di sé sentiva che il suo nemico numero uno si trovasse proprio lì.
Ed infatti eccolo, accovacciato fra gli scatoloni pieni di
roba vecchia e polverosa, intento a guardare fuori dalla finestra.
Si soffermò un solo istante a guardare quel corpicino magro,
chiedendosi se anch’esso fosse freddo e rigido come l’anima che ospitava.
Near, dal canto suo, non si volse all’entrata del biondo e nemmeno
quando lo udì avvicinarsi a passi svelti nella propria direzione. In un certo
senso, si aspettava che lo seguisse.
Mello si mise in piedi di fronte a lui, ergendosi in tutta la sua
altezza, in attesa di una mossa dell’altro.
Rimasero così per attimi interminabili, fin quando gli occhi scuri
di Near non si incatenarono a quelli cerulei del rivale. Mello ebbe un sussulto
a causa di quell’improvviso contatto visivo, e strinse i pugni mordendosi il
labbro.
“Tu…”
L’albino lo guardò, in attesa che continuasse. Il suo sguardo non
tradiva nessuna emozione, come al solito. Dio, perché doveva sempre essere così
insofferente?
Mello già lo stava picchiando mentalmente, e fece un enorme sforzo
per contenersi. Digrignò i denti e prese a mordersi il labbro con ancora più
forza. Una goccia scarlatta fuggita dal taglietto formatosi attirò l’attenzione
di Near, che si interessò particolarmente alle labbra del rivale.
Quando si accorse di essere fissato in modo troppo ossessivo da
Mello, il piccolo spostò rapidamente lo sguardo, di colpo intimidito.
Il biondo non capiva questo suo strano comportamento, e si irritò
ancora di più. Prese il ragazzino per il colletto della larga camicia,
sollevandolo da terra di una manciata di centimetri, per costringerlo a
fissarlo di nuovo negli occhi. Sputava le parole con rabbia, sibilandole.
“Tu… tutto questo… è solo colpa tua!”
Near non capiva, ma rimase a fissarlo come incantato. “Perché sei
così impassibile… come fai a non provare nemmeno una fottutissima emozione?!
Tu… non sei umano!”
Un impercettibile cambiamento nella voce di Mello, una nota quasi
dolorosa. Near si perse in quegli occhi di un azzurro cupo che pareva il cielo
dell’inferno, tanto limpido e bello da lasciare senza fiato. Provò a capire le
emozioni del più grande, attraverso quegli occhi bui, a coglierne ogni singola
sfumatura. Mello, l’unico mistero che ancora non era stato in grado di svelare.
Prese a scuoterlo con violenza, ferito da quella totale assenza di
emozioni.
“Io ti odio! Ti vorrei vedere morto!”
Poi, fece un gesto che nessuno dei due si aspettava. Un gesto
estremo, forse anche disperato.
Premette con forza le labbra su quelle del più piccolo, che ebbe
un sussulto, per poi profanarle con la lingua. Dopo qualche attimo di
resistenza, Near si arrese e si lasciò andare su di lui con un sospiro. Non si
immaginava certo che il suo primo bacio lo avesse avuto dal suo peggior nemico,
né che avesse il sapore del cioccolato. E del sangue.
Il biondo lo baciava con urgenza, mettendogli le mani fra i
capelli e sorprendendosi di quanto fossero morbidi. Le sue labbra erano calde e
umide, e così anche il suo corpo, non l’avrebbe mai detto.
A lui l’albino sembrava figlio dell’inverno, con tutto quel
candore. Sempre vestito di bianco, i capelli chiari e soffici come una nuvola.
Di essa sembrava fatto, così freddo, così impassibile. Un piccolo fiocco di
neve.
E Mello odiava la neve. La odiava, perché gli ricordava lui.
Un sottile filo di saliva univa ancora le loro lingue quando Mello
si staccò di scatto, il volto arrossato ed il respiro affannato. Nemmeno un
bacio così intenso aveva turbato Near, l’unica cosa diversa era un’insolito
rossore sulle guance. Impassibile, fissava il rivale negli occhi.
Arretrando in maniera scomposta, il biondo inciampò in vari
scatoloni, rovesciandone alcuni. Gli occhi sbarrati, puro sgomento dipinto sul
volto. Le sue labbra ancora gonfie sibilavano un no appena udibile.
Delusione, ecco cosa c’era nei suoi occhi. Ecco cosa c’era sempre
stata, quando fissava Near. L’albino se ne accorse solo in quel momento, quando
vide l’altro correre fuori dalla piccola stanza tirandosi dietro un grosso
pupazzo rotto, che cadde a terra con un tonfo sordo.
Anche dentro di sé, da qualche parte, qualcosa era caduto a terra
con un tonfo sordo.
“…Mello…” sussurrò appena il giovane detective.
Quella notte, un piccolo fantasma bianco girava per i corridoi.
Aveva appena ricevuto la triste notizia, la voleva comunicare anche a
Mello. L era morto, e aveva lasciato detto che loro due avrebbero dovuto
prendere il suo posto insieme, e collaborare.
Esitò, con la mano sul pomello di quella porta,
poi entrò.
Lo accolse una stanza vuota, spoglia. Si guardò intorno, e poi
andò a stendersi sul letto con un sospiro. Si rannicchiò sul cuscino che ancora
profumava di cioccolata, che ancora odorava di Mello.
Ma era freddo, tutto in quella stanza era freddo come il ghiaccio.
Con un sussulto che proveniva direttamente dal cuore, realizzò
l’accaduto.
Non l’avrebbe più rivisto.
Perché Mihael Keehl se n’era andato.
Per sempre.
***
Spero che questa breve one-shot
sia di vostro gradimento, fan della NearXMello :D
Mi sono divertita a scriverla,
è strano immedesimarsi nei pensieri di una persona che è del sesso opposto al
tuo…
P.S.: Per chi seguisse l’altra
mia storia, A Midsummer Night’s Dream, prometto
di pubblicare al più presto. Scusate ancora per il ritardo e grazie a tutti.