Laccio
emostatico
Il
dottore chiamato da Bulma non impiegò molto tempo ad
arrivare, eppure a Trunks l’attesa parve infinita.
Lui e sua
madre, con grande attenzione, avevano sfilato a Gohan la
maglia lacera e sporca di sangue, lasciando il giovane a torso nudo.
Dopodiché, cerea in viso, Bulma aveva fasciato come poteva
la spalla sinistra del ragazzo, trucidata dalla perdita del braccio.
Quando il
medico si chinò su Gohan per controllarne le
condizioni, quella fasciatura improvvisata era già zuppa di
sangue. Con un’espressione mortalmente seria,
l’uomo sciolse i bendaggi in modo da poter osservare da
vicino il danno più grave.
Trunks,
in piedi accanto al giaciglio del suo maestro, seguiva i
movimenti del medico con occhi segnati dall’ansia.
«Allora?»
domandò Bulma, in tono agitato
e a mani giunte, quando il medico si rialzò. «Come
sta?»
L’uomo
si sfregò la fronte con due dita.
«Non bene» rispose, cupamente, girandosi a cercare
la propria borsa.
Senza
dire niente, Trunks si sporse a guardare, e trasalì
vedendolo estrarre una specie di coltello dalla lama grande e piatta,
poco affilata.
Il
dottore si accorse dello sguardo del ragazzino.
«Lo
so» disse, a voce bassa, incontrando quegli
occhi azzurri. «È un metodo quasi medievale. Ma
purtroppo, con i tempi che corrono, non abbiamo strumenti
migliori».
Si
rivolse a Bulma: «Il ragazzo deve avere la pellaccia dura.
Non è in pericolo di vita, ma se vogliamo evitare il
rischio, bisogna fermare il sangue, e non vedo altra scelta se non
quella di cauterizzare la ferita».
La donna,
che durante le prime parole del medico era parsa riacquistare
un po’ di colore, tornò ad impallidire e si
lasciò sfuggire un gemito strozzato.
Trunks,
da parte sua, serrò violentemente le labbra. Conosceva bene quella pratica, in cui un oggetto incandescente veniva premuto su una ferita per arrestare la fuoriuscita del sangue. I
cyborg avevano di nuovo lasciato una scia di sangue dietro il loro
passaggio… Ed era Gohan, Gohan, ad averne subito le
conseguenze.
«Non
c’è altra soluzione?»
domandò Bulma, con un filo di voce.
Per
quanto conoscesse molto bene la forza dei saiyan, in quel momento
Gohan, steso sul letto con profonde linee di dolore incise sulla
fronte, le sembrava terribilmente indifeso e vulnerabile.
Il medico
parve riflettere per qualche momento, ma infine scosse la
testa. «No. Mi dispiace, ma non vedo alternative».
Mentre il
dottore, con l’aiuto della padrona di casa, si
occupava di rendere incandescente la lama, Trunks, senza pensarci,
afferrò la mano inerte di Gohan. Aveva compiuto quel gesto
in un’istintiva ricerca di conforto, ma a quel punto
intrecciò maggiormente le dita a quelle dell’altro
saiyan in un disperato tentativo di potergli comunicare un minimo di
rassicurazione.
Proprio
in quel momento, Bulma e il dottore tornarono ad avvicinarsi a
Gohan.
«Potrebbe
servirmi qualcuno che lo tenga fermo…
Anche se è svenuto, non si sa mai…»
stava dicendo in quel momento il medico.
Senza
distogliere gli occhi dal viso inerte di Gohan, Trunks
affermò: «Ci penso io».
Bulma lo
guardò immediatamente. Sapeva bene
quant’era profondo l’affetto che suo figlio nutriva
per Gohan. «Tesoro, se preferisci…»
iniziò, ma il ragazzino ripeté, con decisione:
«Ci penso io».
Come a
dimostrare le proprie parole, inoltre, lasciò la mano
del maestro e si mise dietro la sua testa, posando poi con fermezza le
mani sulle due spalle di Gohan.
«Bene»
disse stancamente il medico, mentre Bulma
indietreggiava di un paio di passi. «Ora è meglio
procedere subito…»
Quando il
metallo incandescente entrò a contatto con la
carne viva della ferita, si udì una sorta di sfrigolio.
Gohan non riprese conoscenza, ma il suo viso si contrasse e il giovane
si mosse, tentando istintivamente di rannicchiarsi sul fianco destro.
Le mani del giovane Trunks, però, lo mantennero saldamente
immobilizzato contro il letto in posizione supina.
Gohan
emise un gemito straziato.
A quel
suono, Bulma non resistette e, pur odiandosi per quella
debolezza, non riuscì a far altro che voltare le spalle alle
altre tre persone presenti nella stanza.
Negli
ultimi anni, Gohan si era quasi trasferito a vivere lì
alla Capsule Corporation. Trascorreva tantissimo tempo con Trunks, e
spesso si fermava per un pasto o anche per la notte.
Ormai,
era diventato quasi come un figlio, per lei. Il suo dolore la
lacerava.
Oltretutto,
quegli ansiti le ricordavano fin troppo l’agonia
di Goku, gli ultimi momenti in cui l’eroe della Terra aveva
lottato inutilmente contro la malattia cardiaca che lo aveva ucciso.
Bulma si
portò una mano alle labbra, scossa da un tremito
incontrollabile.
Quei
cyborg… Le avevano portato via tutto. I suoi amici, i
suoi genitori, il padre di suo figlio… Ed ora avevano quasi
distrutto anche Gohan.
Dovette
dar fondo a tutto il proprio autocontrollo per non urlare.
«Manca
poco» disse in quel momento la voce del
medico, il quale, più che alla donna, si era però
rivolto al giovane Trunks.
Senza
guardare l’uomo, il ragazzino annuì.
Le sue
mani trattenevano Gohan fermamente, ma dentro di sé
si odiava per quello che il suo maestro stava passando,
perché era colpa sua, ne era certo.
Gohan gli
aveva espressamente ordinato di restarsene al sicuro. Lui,
però, non appena lo aveva visto in difficoltà,
era intervenuto, dimostrandosi totalmente incapace di tenere occupato
un solo cyborg anche per poco tempo.
I suoi
ricordi si facevano nebulosi e stentati verso la fine del
combattimento, ma di una cosa era certo: Gohan era intervenuto per
salvarlo, e probabilmente aveva perso il braccio per lo stesso identico
motivo.
Sotto le
mani, sentì i muscoli del suo maestro contrarsi
nuovamente, e allo stesso tempo vide il volto di Gohan tendersi, ed
udì un guaito sofferente provenire dalle labbra del figlio
di Goku.
Gli
sembrò che Gohan, pur inconsciamente, volesse sottrarsi
a quella tortura. Ancora una volta, però, lui lo trattenne
con forza dov’era.
Sapeva di
star svolgendo il compito che gli era stato assegnato, sapeva
che tutto quello era per il bene di Gohan… Eppure una parte
di lui vedeva solo che il suo maestro stava soffrendo, e si sentiva
davvero male, quasi quell’operazione non fosse stata altro
che una crudeltà gratuita.
Guardando
Gohan costretto così su quel letto, con la fronte
imperlata di sudore freddo e gli occhi serrati, Trunks si
ritrovò a mordersi l’interno della guancia tanto
forte da sentire in bocca il sapore del sangue.
Non era giusto.
Gohan era
forte, Gohan era imbattibile. Lui era coraggioso, non si era
mai tirato indietro nel momento in cui si trattava di lottare contro
quei cyborg spaventosi…
Erano da
anni, ormai, che si allenava senza sosta, al solo scopo di
proteggere gli innocenti dai due androidi.
Lui era
buono.
Non era
giusto che avesse perso il braccio… Non era giusto
che soffrisse così!
Trunks
tentò di mantenere la calma, ma i suoi respiri
successivi furono più aspri dei precedenti, quasi dei soffi
rabbiosi. La furia e il rancore che provava in quell’istante
gli arroventavano lo stomaco.
Sentiva
di odiare gli androidi addirittura più di prima.
Quante vite avrebbero ancora calpestato, prima di interrompere il loro
cammino di distruzione?
Quanto
sangue avrebbero ancora versato?
Sapeva
che sarebbe stato molto. E si ritrovò a giurare che
avrebbe fatto di tutto affinché Gohan non dovesse
più ritrovarsi a soffrire in quel modo.
«Bene,
ho finito» disse improvvisamente la voce del
dottore, e l’uomo si scostò dal suo paziente.
Trunks
vide le labbra di Gohan stringersi sino a sbiancare, ma dopo un
momento si schiusero in un ansito, e il giovane sembrò
scivolare in uno stato di incoscienza più profondo.
Trunks
lasciò la presa su di lui e si guardò le
mani. La sinistra era ricoperta del sangue dell’altro saiyan.
«È
andato tutto bene?»
domandò la voce angosciata di Bulma, che era tornata ad
avvicinarsi.
Trunks
non poté fare a meno di notare quant’era
pallida mentre esaminava il volto di Gohan.
Il medico
annuì. «Adesso sarà meglio
lavargli il torace prima di fargli delle nuove fasciature»
aggiunse.
Più
tardi, provvide anche a pulire e disinfettare le altre
ferite più o meno gravi di cui il giovane saiyan era
ricoperto.
In quanto
a Bulma, la donna parve recuperare più sicurezza
nell’avere qualcosa da fare.
Aveva
visto l’espressione provata di suo figlio nel momento
in cui si era pulito dal sangue di Gohan. Le sembrava che fosse
combattuto tra la disperata voglia di mettersi a piangere e la ferrea
determinazione di non cedere alle lacrime.
Lei
avrebbe voluto suggerirgli di andare a riposarsi, ma sapeva che in
quel momento Trunks non si sarebbe allontanato da Gohan per nulla al
mondo.
Per quel
giorno, suo figlio aveva sofferto abbastanza – aveva
già sofferto abbastanza per tutta la vita. Il minimo che lei
poteva fare per rendergli un po’ di conforto era mostrarsi
forte come di consueto.
Aiutò
con efficienza il medico, fornì bendaggi e
cerotti.
Trunks
teneva gli occhi fissi su Gohan come se temesse che,
distogliendoli per un attimo, avrebbe rischiato di non trovarlo
più. Il cuore gli batteva con energia nel petto, quasi
pompando con più forza il sangue nelle sue vene.
Quando il
dottore si alzò, il ragazzino non si mosse, ma
Bulma gli andò incontro.
Una volta
che i due adulti furono usciti in corridoio, la donna
guardò il medico. «La ringrazio davvero con tutto
il cuore per quanto ha fatto» gli disse, sinceramente, ma non
riusciva a nascondere la propria preoccupazione.
«Si
figuri» replicò stancamente
l’uomo, mentre lei lo accompagnava alla porta.
Prima di
farlo uscire dalla Capsule Corporation, però, Bulma
lo trattenne un momento sulla soglia, e non poté fare a meno
di chiedere: «È davvero fuori pericolo?»
Il medico
alzò gli occhi sul viso pallido e ansioso della
donna, per poi rassicurarla: «Non si preoccupi, signora. Se
la caverà».
Bulma,
incapace di proferire altri ringraziamenti, gli rivolse un
sorriso tirato. Quando l’uomo si fu allontanato lungo la
strada buia, richiuse la porta.
Per un
momento trasse un respiro profondo, fece quello e basta, mentre
la speranza – per quanto debole e stentata –
tornava a rischiararle il viso.
Quando
ritenne di essersi calmata a sufficienza, si avviò
verso la stanza dove giaceva Gohan.
Trunks
non si era allontanato di un solo passo dal suo mentore. Lo
osservò in silenzio: Gohan era tuttora privo di conoscenza.
La fronte, prima contratta per il dolore, si era ormai distesa, e
adesso il giovane sembrava quasi addormentato.
Coperto
com’era di bende e fasciature, appariva ancora
più indebolito di quanto fosse in realtà.
Trunks si
soffermò sulle garze che il medico aveva applicato
sulla parte sinistra del volto di Gohan, a coprire il taglio sanguigno
che attraversava la guancia del giovane e finiva sulla fronte.
È un miracolo che l’occhio non
sia stato
danneggiato, aveva detto il medico quando l’aveva controllato.
Un
miracolo…
Il
ragazzino strinse con forza i denti. Ricordando i gemiti sfuggiti al
suo maestro, seppe che non avrebbe mai potuto dimenticarli.
Così
come non avrebbe mai dimenticato il momento in cui,
rinvenendo, aveva trovato accanto a sé Gohan, svenuto e
conciato davvero male.
Dopo
tutto quel dolore, nemmeno un miracolo sarebbe stato sufficiente
per fermare il sangue.
Spazio Autrice:
Io adoro il personaggio di Mirai no Gohan. Ed è stato un
trauma, per me, vedere il punto in cui ne “La storia di
Trunks” perde il braccio sinistro. Così, durante
le vacanze (il 2 Settembre, per la precisione U.U) ho scritto questa
One-Shot, e oggi è balzata fuori la folle idea di
pubblicarla (folle perché, se devo essere onesta, al momento
non credo che mi convinca più di tanto... Ma è sempre così ._.).
Però credo che dei miei giri mentali possa benissimo non
fregare niente a nessuno, pertanto mi limiterò a dire che la
cauterizzazione della ferita rimane così in sottofondo
perché:
non volevo un rating alto o una “non per stomaci
delicati”;
non ho idea di come, nel dettaglio, funzioni la cauterizzazione =D
In quanto al dottore, non c’è di lui alcuna
descrizione perché nello special si sente solo la sua voce
mentre dice “Non si preoccupi, signora, se la
caverà”, e quindi mi piaceva l’idea di
rendere noto solo quello che dice (= sì, sono
un’idiota).
Ho detto anche troppo. Mi eclisso.
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