ROMAN HOLIDAY 10
ROMAN HOLIDAY(1)
Erano passati più o meno venti giorni da quando Luce era tornata
da Roma e aveva lasciato suo marito, ma lei non stava per niente bene e
Camilla cominciava ad essere seriamente preoccupata. Tanto per
cominciare la giovane ricercatrice aveva
accumulato un debito di sonno imbarazzante; lavorava ventidue ore al
giorno e le restanti due le suddivideva fra le improrogabili
necessità fiologiche di ogni essere vivente. Era dimagrita e
sempre più pallida, ma, sopra ogni cosa, Camilla era preoccupata
perchè Luce sembrava aver perso la sua proverbiale allegria. Era
sempre nervosa, scontrosa e sull'orlo di una crisi isterica un giorno
sì e
l'altro pure. Inizialmente Camilla aveva pensato che la causa di tanta
sofferenza
fosse il divorzio, per cui era spaventata dalla possibilità che Luce si
fosse pentita di aver
lasciato quello stordito di Gianluca e volesse ritornare sui suoi
passi. Tuttavia lei era convinta che
senza il marito Luce sarebbe sicuramente stata meglio,
quindi elesse ad unico scopo della sua vita far tornare il sorriso a
Luce, ad ogni costo. Purtroppo tale missione risultò
più ardua del previsto. Nonostante avesse elaborato un piano d'azione
degno di una spia russa del KGB nei suoi anni migliori, la metà delle
sue proposte, che andavano da una cena
in pizzeria o al ristorante a gite al mare o sull'appennino alla
ricerca
di
locande sperdute nella nebbia dove però si mangiano delle
crescentine che
sembrano il cibo degli dei, passando per una semplice serata al pub o
un giro in centro la
domenica pomeriggio, furono declinate, educatamente, ma pur sempre
rifiutate, mentre l'altra metà si rivelò un completo
fallimento. Solo per un caso fortuito Camilla scoprì che l'unica cosa in grado
di tirare fuori Luce dal suo bozzolo di solitudine e depressione
era la minaccia di licenziamento, per cui, da quel momento in poi,
Camilla non si fece certo scupoli nell'usarla.
Due volte l'agguerrita
capo-dipartimento riuscì a far uscire l'amica di casa. Una notte
rientrarono alle quattro del mattino, ma non perchè erano
state a ballare tutta la notte, piuttosto perchè si erano perse per le
strade dell'appennino in cerca di un agriturismo. Dopo quattro ore di vagabondaggio senza risultati erano sbucate come per
magia davanti all'ingresso
di Piacenza dell'autostrada del sole; erano partite dal centro di
Bologna. Un
sabato pomeriggio, invece, erano andate a fare un giro in centro sotto i portici,
attività generalmente riservata ai teen ager, ma ormai niente
più spaventava Camilla. Luce cosa aveva fatto in
quell'occasione? Era
rimasta in silenzio quasi tutto il tempo e l'unica cosa che aveva
comprato era stato uno stupido portachiavi a forma di cappello da cow-boy! Un
cappello da cow-boy? In quell'occasione Camilla capì che il cervello di Luce doveva
essersi prorpio fuso.
Tuttavia fu solo il lunedì successivo al cappello da cow-boy che
Camilla capì cosa stesse realmente divorando di dolore Luce.
La mattina, a colazione, i segni scuri sotto gli occhi di Luce gridavano
che la notte era stata passata in bianco, per l'ennesima volta. A fare
cosa
Camilla non lo sapeva, o meglio lo imparò solo in ufficio.
Alle undici la capo-dipartimento era al telefono con Jay (per la
miseria ma questi genii non
dormono mai? si era chiesta quando aveva sentito la voce allegra del
dottor Reynolds provenire dall'altro capo dell'oceano), quando la sua premiata
ricercatrice, con
un'espressione in viso identica a quella di Ivan Drago mentre
minacciava Rocky di "spiezzarlo in due", entrò di
prepotenza nel suo ufficio facendole fare un salto sulla sedia per lo
spavento:
-Ja...-
Camilla si congelò; oddio se Luce avesse scoperto con chi stava
parlando le avrebbe
tolto il saluto oppure le avrebbe dato il tormento? Decisa a non
scoprirlo cercò di confondere le acque schiarendosi la voce
platelamente e biascicando qualche parola fuori contesto:
-...ehm!!!...già ma forse le proteine non erano del tutto
denaturate....perchè...non....provi ad una temperatura maggiore?-
Infarto sfiorato.
In realtà era evidente che Luce non stava ascoltando la sua telefonata ma, senza proferire
parola, lanciò sulla sua scrivania un plico di fogli
rilegati, poi, sempre senza emettere suono alcuno, uscì.
-Camila?
Camila ma cosa stai diciendo?- la voce di Jay nella cornetta risultava
un po' disorientata, per cui Camilla si affrettò a scusarsi:
-Scusa, Jay!- si scharì ancora la voce per poi capire che la telefonata
ormai era conclusa: -scusa...ehm...ma ti devo richiamare dopo...-
-Ok, a dopo!-
Entrambi riagganciarono
Lo sfortunato plico finito sulla sua scrivania altro non era che il
nuovo progetto di ricerca di Luce. Sulla copertina campeggiava il
titolo:
"EFFETTI E CONSEGUENZE DELLA TERAPIA CON CELLULE STAMINALI IN ANIMALI AFFETTI DA SINDROME DI JENSEN"
Quando Camilla lesse il titolo e le prime pagine del progetto
sfiorò un secondo infarto. Possibile che Luce fosse così
audace? No, di sicuro era stata lei a confondere la Sindrome di
Jensen con un'altra mallattia. Si alzò dalla scrivania, e dalla
libreria prese un volumone che trattava le malattie genetiche dei
mammiferi. Sfogliò pagine e pagine fino a che non trovò il capitolo che le interessava. No, non si era
confusa, la Sindrome di Jensen era una rara malattia genetica che
poteva colpire qualunque specie di mammifero, quindi anche
l'uomo. La mutazione alla base della patologia riguardava un gene per la regolazione della produzione
di polisaccardi che venivano poi attaccati a varie proteine di
adesione fra gli epiteli e la sottostante membrana basale. Insomma era
tutta una questione di mancanza di cose che avrebbero duvuto essere attaccate
ad altre cose ma che non c'erano. Risultato: adesione scarsa di
qualunque epitelio o mucosa ai connettivi sottostanti con conseguenze
disastrose, a dir poco. In parica questo nuovo progetto si proponeva di verificare come
le cellule staminali potessero essere accolte da un organismo che
già di per sè aveva delle difficoltà a tenere
insieme i propri pezzi(2).
Luce doveva essere impazzita.
Prima di scendere a darle una strigliata Camilla decise di leggere a
fondo il documento. Due ore dopo aveva tutti i capelli dritti in testa;
il protocollo sperimentale che Luce aveva ideato era straordinario,
anzi di più, spaziale. In venti pagine aveva snocciolato tutta
una serie di modifiche genetiche da apportare alle cellule staminali
per fare in modo che queste potessero sopperire alle carenze
dell'organismo ospite. In pratica una cosa che non solo non sarebbe
stata possibile nei laboratori del loro dipartimento, ma Camilla
sospettava che nessun ateneo italiano avesse delle apparecchiature
così avanzate. Per non parlare del fatto che avrebbe avuto
bisogno di
un biologo molecolare o ingegnere genetico per assisterla. Sì,
decisamente Luce doveva rivedere
qualche punto della sua idea, anche perchè con tutta la buona
volontà e per quanto generose, le donazioni di Stecco e Boiler
non le avrebbero permesso neanche di sfogliare i cataloghi dei
produttori di
quelle astronavi che Luce le stava chiedendo di comprare.
Decisa e risoluta scese al piano terra dove un'altra sorpresa la stava
attendendo: fduori dall'ufficio della sua amica c'erano quattro grandi
scatoloni pieni di libri, riviste e qualunque altra cosa il genio umano
abbia inventato nel corso dei secoli.
"Oddio si vuole licenziare!" pensò Camilla sfiorando il terzo infarto della giornata. Un quarto non l'avrebbe retto.
Per fortuna però, Luce non voleva licenziarsi, stava "solo" pulendo e riordinando il suo ufficio.
Luce che riordinava il suo ufficio?! No, impossibile! Luce che riordina
il suo ufficio non sarebbe potuto accadere neanche nel mondo di "Blade
Runner"; della serie "Io ho visto cose che
voi umani non potreste mai immaginare." Diavolo, la sua amica
aveva proprio bisogno di riposo. Preoccupata come non mai, Camilla
si affacciò sulla porta e vide Luce che, spray
detergente e panno umido in mano, stava pulendo forsennatamente la sua
scrivania. Quasi timidamente le disse:
-Luce, tesoro...ho letto il tuo progetto.-
-Sì?- ribattè l'altra senza smettere di pulire e senza guardare Camilla in faccia.
-Beh...lo sai che noi non abbiamo tutto quello che ti serve, vero?-
Niente. Silenzio. Sapeva cosa stava pensando la sua amica: "E allora tu
trovamelo, è il tuo lavoro!". Provò con un altro approccio:
-E poi non puoi lavorare con soggetti affetti dalla Sindrome di Jensen.
E' praticamente certo che il tasso di rigetto della terapia sia del
100%...- non riuscì a finire la frase, perchè Luce la investì:
-Non con le modifiche che ho in mente di fare. Per esempio se hai letto
bene a pagina 16 vedrai che il gene degli enzimi di sintesi dei proteoglicani sarà
iperespresso...-
Secondo approccio fallito. Camilla non la lasciò finire e provò con un terzo:
-Senti questa sindrome è molto rara, non troverai mai una
quantità sufficientemente alta di soggetti sperimentali per
ottenere dei dati statisticamente accettabili!-
Luce non fece una piega:
-Ho gia contattato tutte le cliniche private e i veterinari delle ASL
su tutto il territorio nazionale. Qualcuno ha già risposto. Lo
so sarà dura e forse mi ci vorranno un po' di più di tre
anni...- per la prima volta da quando Camilla era
entrata nel suo ufficio la giovane smise di strofinare e fissò i suoi occhi verdi e
lampeggianti sul viso del suo capo. Emanavano una determinazione e una
sicurezza quasi tangibili; riprese: -...ma sono sicura che ci
saranno dei risultati, e che saranno
stratosferici! Camilla tu lo sai cosa vorrebbe dire! Sarebbe un passo
avanti anche per la ricerca sulla versione umana della malattia!-
Terzo approccio fallito miseramente....certe volte avere sotto di se
una ricercatrice brillante e intelligente poteva essere perfino
irritante.
Provò con un compromesso:
-Sì, okay hai ragione. Facciamo così, io ci penso, ma nel
frattempo tu vai a casa a riposarti, anzi fai così, prenditi il
resto della settimana! Pensa se vuoi davvero questo progetto.
Lunedì ne riparliamo, va bene?-
Luce, continuò a guardare Camilla, che in quel momento aveva
smesso le vesti di suo capo a favore di quelle di sua amica, per un istante e si
rese conto che aveva ragione. Non sul
progetto. Doveva riposarsi.
-Va bene, finisco qui e poi vado a casa. Promesso.- disse ubbidiente.
Camilla fece per voltarsi per ritornare ai piani alti, ma:
-Camilla!- Luce la trattenne -Ehm...grazie! Per tutto!- e sorrise.
Camilla tirò un sospiro di sollievo, quello che aveva appena
ricevuto era un sorriso, triste, ma pur sempre un sorriso, ed era
sempre meglio della perenne espressione corrucciata che Luce portava in
giro da settimane ormai. Rispose:
-Figurati tesoro...sei pur sempre il mio pezzo da novanta in questo
dipartimento di scienziati sopravvalutati, non posso permettermi di
perderti!-
scherzò lei sorridendo affettuasamente prima di tornare nel suo
ufficio. Tuttavia una volta seduta dietro la sua scrivania, Camilla
decise di non riprendere subito la
telefonata che Luce aveva interrotto con la grazia di un elefante in
una cristalleria. Decise invece che la cosa migliore da fare sarebbe
stata inviare il progetto di Luce a Jay e solo dopo telefonargli.
Così scansionò tutte le pagine della nuova ricerca
tranne la prima, quella dove compariva il nome dell'autore, ed inviò il
tutto al suo collega a Dallas per e-mail.
Accidenti che giornata stressante! Quando sarebbe finita? Comunque troppo tardi.
Luce lasciò il dipartimento alle due del pomeriggio, cioè
tre ore prima di Camilla. Al suo rientro a casa, però,
quest'ultima non trovò la sua coinquilina beatamente addormentata nel
suo letto o sul divano. Cioè, era sul divano, solo che non stava
dormendo, ma piangendo a dirotto. Quella sera il salotto di Camilla faceva
sembrare "una valle di lacrime" robetta da dilettanti: Luce in
sighiozzi era seduta sul divano con occhi così rossi e gonfi da assomigliare spaventosamente a due mongolfiere,
una tazza vuota di tè era sul tavolino, un tappeto di fazzoletti di
carta usati rivestiva il pregiato tappeto persiano e una scatola di kleenex vuota era accanto alla tazza.
Una devastazione in tutti i sensi.
-Santo cielo! Luce ma che succedde?- chiese la padrona di casa
ugualmente preoccupata per le condizioni sia della sua amica che del
suo tavolino del salotto in puro cristallo costatole un occhio della testa.
Luce non rispose, si limitò a singhiozzare indicando il
televisore. Camilla spostò lo sguardo verso lo schermo piatto a trentadue pollici e
vide Audry Hepburn, in bianco e nero, seduta su una vespa che veniva
scorrazzata per le vie di Roma abbracciata a Gregory Peck.
-Vacanze Romane?!- gridò inorridita -Perchè stai
guardando Vacanze Romane? Sei proprio una masochista! E poi avevo
nascosto quel DVD!-
-Beh allora non dovevi metterlo nella custodia della Carica dei 101!- singhiozzò Luce asciugandosi le lacrime.
In quel momento Camilla cominciò a capire cosa stesse afliggendo la sua amica nelle
ultime settimane e con sconfinato sollievo capì che quel qualcosa non era il suo
ormai-ex-marito. Okay, Luce non era americana, ma non ci voleva un genio
per immaginare cosa, o meglio chi occupava la sua mente. A quel punto
anche il portachiave a forma di cappello da cow-boy assunse un
significato ben preciso:
cow-boy...Texas...Texas...Jay Reynolds! Oh per l'amor del cielo,
altrochè divorzio, Luce si era innamorata di Jay come una
ragazzina!
Meno male!
-Ma perchè guardi questo film...tesoro sei uno
schifo...guardati!- disse
Camilla con la sua incrollabile sincerità sedendosi di fianco alla sua amica ed abbracciandola.
Quest'ultima rispose senza smettere di piangere e, abbandonandosi fra
le braccia di Camilla, indicò lo schermo del televisore con
l'indice destro. Disse:
-Guarda...come sono innamorati...- un istante per tirare su col naso
-E...si sono conosciuti a Roma...come...come...- un singhiozzo
più violento degli altri le mozzò le parole in gola.
Camilla l'abbracciò un'altra volta. Poi decise di usare le maniere forti:
-E' tutto qui? Ti sei presa una cotta per Jay!?- chiese.
Luce non rispose, semplicemente smise di singhiozzare e prese a fissare il pavimento con aria colpevole.
-Diavolo e io che pensavo che volessi tornare con quel verme! Che
sollievo!- sospirò la padrona di casa abbandonandosi contro lo
schienale del divano.
Luce continuava a fissare il pavimento senza rispondere, così Camilla proseguì:
-Senti, prenditi una vacanza! Vai a Dallas, fagli
un'improvvisata, fate due settimane di sano sesso occasionale e vedrai
che quando ritorni sarai come nuova!-
Luce sgranò gli occhi spostandoli dal pavimento all'amica e gridò inorridita:
-CAM!! NO! Premesso il fatto che lo sai che non potrei mai fare una
cosa del genere...con nessuno, figurati con...con...e poi....Cam,
è
sposato!!-
-E allora?!- ribattè Camilla per nulla impressionata da quella cosa che si chiama "sacralità del matrimonio".
-CAM!!- ululò Luce ancora più forte.
-Togliti lo sfizio per la miseria! Se fossi io al tuo posto!!- la
rimproverò Camilla con un filo di invidia mal celata nella voce.
-CAM!!!-
I vetri delle finestre tremarono ed il tavolino di cristallo rischiò di rompersi in mille preziosissimi pezzi.
********************
La mattina dopo, Luce aveva appuntamento con l'avvocato che le
aveva consigliato Riccardo, l'amico di suo padre. Al numero di telefono aveva anche anche aggiunto l'appunto che era un
vero squalo.
Una volta chiarito con lo squalo che a lei non importava nulla della
casa e neanche degli alimenti ma le bastava chiudere quella maledetta
faccenda il
più in fretta possibile, alle dieci e mezza Luce era già
libera. Decise di andare a fare un giro rilassante ai Giardini
Margherita; era una bella giornata di sole e il suo capo le aveva dato
il resto della settimana di ferie.
O così credeva.
Mentre oltrepassava il cancello d'ingresso del parco più amato
dai bolognesi, Luce non riusciva a non pensare a quanto si sentisse
incasinata in quei giorni. Prima di tutto il suo nuovo progetto.
Per elaborarlo nei
minimi dettagli e scriverlo in modo presentabile perchè Camilla
glielo approvasse aveva impiegato quasi tutti i venti giorni dopo il
congresso lavorando praticamente ventiquattro ore al giorno. Alla fine
era rimasta soddisfatta del risultato, anche se doveva ammettere
che Camilla aveva ragione, quel progetto era un po' rischioso, senza
contare il fatto che le attrezzatture richieste erano a dir poco
considerevoli. In
ogni caso non era per niente spaventata dalla mole di lavoro che
avrebbe dovuto affrontare ed era fiduciosa del fatto che avrebbe
potuto ottenere un buon successo.
In effetti l'idea di studiare l'utilizzo di cellule staminali su
animali con una patologia la cui caratteristica principale era impedire
l'adesione cellulare non era stata la sua prima idea, ma dal momento
che il suo lavoro era l'unica cosa che le era rimasta dopo il rovinoso
naufragio del suo matrimonio, tanto valeva
metterci dentro tutto quello che aveva, cioè se stessa.
Poi il divorzio. Per quanto fosse
vero che per Gianluca ormai non
provasse più niente, Luce aveva completamente perso la sua
fiducia nella vita e si vergognava. Si vergognava per non essere stata
in grado di evitare il disastro, per non aver capito subito che lei e
Gianluca non avrebbero dovuto sposarsi per niente, per non essere stata
capace di capire quello che doveva e voleva fare quando era il momento
giusto. Okay, Camilla le aveva detto che
sarebbe stata una sensazione passeggera, ma tutte le volte che sua
madre la chiamava e le parlava con quel tono condiscendente, Luce si
sentiva compatita. Quello, insieme alla frase "Beh almeno non avete
figli!" che sempre sua madre le ripeteva tre volte al giorno erano la
causa del fatto che ormai Luce non rispondeva più alle
telefonate dei genitori. Maledizione se avesse sentito ancora una sola
volta quella dannata frase avrebbe ucciso la fonte, anche se la fonte
fosse stata in buona fede.
Inoltre i sensi di colpa che provava stavano cominciando ad assumere,
giorno dopo giorno, proporzioni inquietanti. Si sentiva colpevole per
tutto, per la sofferenza che stava causando a Gianluca, ma anche per
quella che provava lei. Aveva sempre pensato che un matrimonio, se
doveva finire, doveva finire per cause che andavano, come minimo, dal
tradimento alla morte, e non perchè il sentimento era svanito o
perchè si realizzava di aver fatto un errore nel valutare
l'altra persona. Insomma, per la farla breve, lei non si sentiva in
diritto di soffrire; in fondo era una donna sana, intelligente e
indipendente, e con un lavoro che amava sopra ogni cosa, mentre al
mondo c'era gente che soffriva davvero per una malattia grave, per la
morte di una persona cara o perchè aveva perso il lavoro e non
sapeva come fare a mantenere la famiglia. Quelli erano problemi che
davano il diritto a soffrire, ma non il suo che lei considerava come un
semplice capriccio. Ma allora perchè stava male?
Camminando e pensando raggiunse, quasi senza accorgersene, il laghetto che si trova
più o meno al centro dei giardini e sulla riva del quale
c'è un bar. Entrò, ordinò un tè freddo ed
andò a sedersi in un tavolino all'aperto. Nonostante fino a quel
momento aveva quasi ignorato quello che accadeva intorno a lei, in
quel momento non potè fare a meno di notare una coppia di
ragazzi che avevano deciso di passare quella bella mattina di fuga da
scuola(3) a sbaciucchiarsi ai Giardini Margherita. Erano seduti uno di fronte
all'altra e dividevano un frappè dal colore "verde Shreck" che
Luce non avrebbe osato bere neanche nel deserto e in punto di morte per
disidratazione; tuttavia quei due ragazzi sembravano essere al setimo cielo, come se al
mondo nulla avesse importanza a parte loro. Sorrise e realizzò
che negli ultimi giorni i pochi momenti
di serenità li aveva vissuti quando aveva pensato a Jay. Okay, quella faccenda
aveva tutto di negativo e niente di positivo; e la cosa peggiore non
era l'oceano che li separava. Tanto per cominciare lui era sposato, ma
quel piccolo e insignificante particolare non le era stato comunque
sufficiente per toglierselo dalla testa, anzi nonostante le avesse
provate tutte, perfino imporsi di odiarlo, alla fine lui era sempre
presente nella sua mente e attaccato al suo cuore come l'edera ad una
vecchia villa di campagna. E poi c'era il fatto che quasi non si
conoscevano. Ma allora perchè una sola sera con Jay le aveva
dato sensazioni d'intesa e complicità molto più forti
di quelle che era riuscita a stabilire con suo marito dopo sei anni che
stavano insieme? Decisamente tutti i suoi buoni propositi di razionare
le sue emozioni e andarci piano erano andate a farsi benedire. Luce non era
capace di amare solo un po'; lei amava istintivamente ed
incondizionatamente, non poteva farci niente. Aveva sempre fatto
così e avrebbe continuato a farlo, nonostante tutto; nonostante
le tante delusioni, la rabbia e la sofferenza che aveva provato in
passato, avrebbe continuato ad amare completamente.
Tanta gente chiama
queste emozioni "esperienza"; definizione
saggia e molto diplomatica, non c'è dubbio. Luce però,
che "sentiva" mille volte più di un normale essere umano, non
era d'accordo. Per lei tanti ricordi dolorosi altro non erano che
cicatrici che si sarebbe portata dietro per sempre, che la facevano
ancora stare male e lo avrebbero sempre fatto, indipendentemente da
quanto tempo potesse passare.
"Il tempo è la miglior cura, guarisce tutto". No, quasi tutto.
Luce sperava solo che la prossima volta, con Jay, se Dio avesse
voluto, o con qualcun'altro, quelle cicatrici non le avrebbero impedito
di essere sè stessa. Come invece era successo una
mattina di venti giorni prima a Villa Borghese.
Tutti quei pensieri, che si agitavano instancabili nella mente di Luce come un torrente di montagna,
furono interrotti dal suono del suo cellulare che l'avvertiva di un SMS
in arrivo. Luce prese il telefono, con poco entusiasmo perchè
quelle ore di libertà se le era meritate, ed aprì il
messaggio.
Camilla.
"VIENI SUBITO IN DIPARTIMENTO. HO DELLE NOVITA'!"
Addio giro al parco!
(1) "Roman Holiday" - Film di William Wyler - Paramount Pictures
(2) Ovviamente questa patologia me la sono inventata di sana pianta!
(3) A Bologna marinare la scuola si dice "fare fuga"....cioè ai
miei tempi si diceva così, ma negli anni il termine potrebbe
aver subito delle modifiche....il che vi farà capire che da
quando ho finito la scuola io è passato un sacco di tempo,
ahimè!
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