Mille mondi, mille vite, mille noi di fragolottina (/viewuser.php?uid=66427)
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olivia
fragolottina's time
basta, proprio basta.
dopo questo mezzo capitolo la piantiamo con tutta questa
devastazione...ok, che è una storia drammatinca e di per
sè la trama è già bella triste...ma stiamo
toccando punti di deprssione inimmaginabili! e che cos'è?!
sbraitò quella che scrive...si, bene.
dunque, ce la passiamo un po' meglio qui...almeno siamo proiettati in
un futuro roseo, ma va beh, l'argomento è quello che è,
non posso farci niente!
ci vediamo giù
ps. non sono proprio sensata in quanto a citazioni, ma questa ci stava troppo per non mettercela!
CAPITOLO 2.0 - seconda parte
Remember all the sadness and frustration
And let it go.
Let it go.
Sebastian
era seduto ad un tavolo della sala comune della clinica. Era un bel
posto e, a differenza di quello che aveva pensato all’inizio, non
lo trattavano come un detenuto o un reietto. Poteva passeggiare, poteva
guardare la tv, poteva unirsi ad una delle mille sedute giornaliere e
parlare con psicologi o altre persone che erano stati dei
‘fottuti drogati’ come lui.
Ma quel
giorno era troppo freddo, quindi aveva scelto un tavolo davanti ad una
finestra ed aveva iniziato a disegnare. Aveva scoperto che gli piaceva
e che era anche abbastanza bravo; i medici incoraggiavano quelle
attività, le ritenevano terapeutiche, quindi avevano fatto in
modo di procurargli tutto quello che voleva. Era al sicuro lì
dentro e non gli mancava niente.
Era rimasto piuttosto sorpreso, quando suo padre si
era seduto davanti a lui insieme ad una ragazzina. Quel mese era
già venuto a trovarlo due volte, non si aspettava di vederlo
prima di novembre.
«Ciao.»
Lo aveva fissato sorpreso e timoroso come sempre,
suo padre lo faceva sentire in soggezione. Quanti soldi gli aveva
rubato dalla cassa del ‘Draw cuts’? Se il locale era in
declino, era anche colpa sua.
«Se tu sei d’accordo vorrei riportarti a casa.»
Aveva continuato a guardarlo di secondo in secondo
più stupito, non aveva mai avanzato certe ipotesi ed alla fine
Sebastian era giunto alla conclusione che non lo volesse più.
«Non lo so.» voleva tornare a casa? «Potrebbe essere pericoloso, potrei ricaderci.»
«I medici credono che tu possa farcela.»
«Non lo credo io!» aveva sbottato a voce
alta. C’erano persone lì che continuavano a raccontare
della loro terza riabilitazione, della loro quarta riabilitazione, lui
era soltanto alla prima: amaramente si aspettava di ricominciare a
drogarsi almeno una seconda volta. Fuori di lì il mondo era uno
schifo, ognuno dentro la propria bolla isolato dagli altri, suo padre
che non si accorgeva della sua presenza. Era meglio stare lì.
Non avrebbe rischiato di farsi sbattere in faccia da una puttana la sua
superiorità.
«Sono una veggente.» aveva lanciato
un’occhiata scettica alla ragazzina. «Non succederà.
L’ho visto, io so che funzionerà.»
A quel punto aveva guardato suo padre con un aperto
rimprovero, la prima espressione vera da quelli che gli sembravano
secoli. Davvero? Aveva portato lì una sedicente veggente per
convincerlo a tornare a casa?
Ma lui si era stretto nelle spalle. «Dovresti
crederle, sai? Mi ha fatto vincere tanti soldi da vivere di rendita per
un anno all’ippodromo.» lei aveva sorriso orgogliosa di
sé stessa, Sebastian aveva pensato che era una ragazzina, ma che
un sorriso così bello non l’aveva mai visto nemmeno nei
suoi migliori deliri da LSD. Il padre le aveva appoggiato una mano
sulla spalla. «Ma noi non vivremo di rendita. Ci rimboccheremo le
maniche. E visto che tu sei mio figlio, mi aiuterai.»
«Tu non mi hai aiutato.» non era sicuro
nemmeno di averlo detto, non ricordava di averlo pensato, ma era come
se quella frase fosse sempre stata là, solo in attesa del
momento migliore per scaricare la sua disperazione. Avrebbe potuto
notare l’erba sul comodino, avrebbe potuto controllare
cos’era quella polvere bianca sulla scrivania della cameretta,
avrebbe potuto notare il sacchettino di quadratini di carta al posto
dell’erba, avrebbe potuto vedere – perché erano
così dannatamente evidenti – i segni rossi sulle sue
braccia.
«Lo so.» disse piano suo padre.
«Mi dispiace. Ma ci sto provando ora, dammi una
possibilità.»
Quando Diego aveva visto Maxi era rimasto per un lungo momento senza
parole a guardarlo: era appoggiato ad un lampione e continuava a
sfregarsi le mani. Quella sera l’aria non era particolarmente
rigida per essere ottobre, ma sul tardo pomeriggio aveva piovuto di
nuovo e l’umidità che era rimasta si incollava ai vestiti
e penetrava nelle ossa.
Aveva controllato di nuovo la foto che gli aveva
dato Alyssa, non aveva dubbi che fosse il ragazzo giusto, ma il punto
era proprio quello: era solo un ragazzo. Quanti anni poteva avere?
Diciotto? Venti? Quale depravato pagava un ragazzotto per farsi fare
certe cose?
Sospirando aveva accostato la macchina davanti al
lampione ed aveva abbassato il finestrino. Con triste abitudine, lui si
era avvicinato ed aveva sbirciato all’interno. «Cento, una
sega; duecento di bocca. Tutto il pacchetto cinquecento.»
Diego era rabbrividito al solo pensiero, a volte non
sapeva se il mondo era diventato incomprensibile per lui o se lui non
riusciva più a capirlo. «Per venire a fare due chiacchiere
con me quanto vuoi?» aveva chiesto con rimprovero. Se ne era
pentito, insomma, il racconto di Alyssa era stato crudamente semplice e
non lasciava alito ad interpretazioni: disperazione, solitudine, un
ragazzo che si era ritrovato a fare l’uomo. Dio, non era colpa
sua. Ma lo offendeva pensare che ai suoi occhi lui era uno schifoso
porco, tale e quale ai suoi clienti abituali.
Maxi aveva fatto un passo indietro sospettoso.
«Tutto quello che vuoi, ma qui.» disse con decisione.
«Non vengo da nessuna parte.» aveva continuato palesemente
sulla difensiva. Si era guardato intorno con apprensione, aveva paura.
Quante volte aveva avuto paura? Diego non voleva pensarci.
«Non si parla di affari in mezzo alla strada.»
Il ragazzo gli aveva scoccato un’occhiata
velenosa e spavalda. «Sono un libero professionista, non ho
bisogno di un ‘protettore’.»
Diego aveva realizzato che di quel passo non sarebbe
arrivato da nessuna parte: quel posto era una merda e quel ragazzo era
abituato a trattare con tipi di merda. Non si sarebbe fidato di lui
nemmeno se fosse stato una suora. Non in mezzo ad una strada, dove
salire sulla macchina sbagliata avrebbe potuto significare farsi
stuprare e poi, magari, uccidere.
«Ho tua sorella.» aveva chiuso gli occhi
vergognandosi di ricattarlo, di fare la parte del rapitore di bambine.
«Non ho una sorella.» aveva risposto
tranquillo, ma i suoi occhi lo fissavano con attenzione morbosa.
Aveva sorriso spietato. «No? Carina, piccolina, mora…»
«Come altre mille?» l’aveva deriso.
«Come altre mille veggenti?»
Aveva visto il panico scendergli addosso e si era
sentito tremendamente in colpa, ma le aveva promesso che avrebbe fatto
tutto il possibile e lui non aveva davvero rapito una ragazzina, era
lì di sua spontanea volontà. Anzi, era stata proprio lei
a cercarlo.
Non aveva detto niente, aveva stretto i pugni ed era salito in macchina.
«Sta bene?» gli aveva chiesto serio, mentre guidava.
«Si, è con mio figlio.»
«Se tuo figlio la tocca gli strappo l’uccello a morsi.» aveva minacciato.
Diego aveva deglutito affranto, quante volte aveva
dovuto ingoiare? Quante volte aveva dovuto mordersi la bocca per non
urlare? Quante volte si era fatto schifo, guardandosi allo specchio?
Quante volte aveva fatto davvero l’amore?
«Nessuno la toccherà.» aveva promesso. «E nessuno toccherà te.»
Aveva abbassato il finestrino e si era acceso una
sigaretta, non gli erano sfuggite le mani che tremavano. «Soldi?
Ne ho quanti ne vuoi, ma solo dopo che la lasci.»
«Non toccherei quei soldi nemmeno con le pinze.»
Maxi aveva riso sarcaastico. «Perché?
Ti faccio schifo? Mi dispiace…se lo avessi detto prima avrei
trovato qualcosa di pulito da mettermi, invece di questi pantaloni
luridi della sbobba d’altri!» aveva commentato.
«Piantala, moccioso!» l’aveva
ripreso e di nuovo i sensi di colpa lo avevano morso: se avesse
sgridato Sebastian, se gli avesse dato delle regole, se si fosse
aspettato che le seguisse, non avrebbe mai rischiato di morire. Era
fortunato, poteva ancora rimediare. «Quello che sei costretto a
fare fa schifo!»
Si era zittito, un silenzio rabbioso dettato soltanto dal buonsenso: quell’uomo aveva sua sorella.
«Che tu non ne abbia colpa è
un’altra faccenda.» aveva aggiunto a voce più bassa.
«Magari mi piace…» aveva commentato debolmente.
«Se così fosse forse tua sorella non mi avrebbe supplicato di aiutarti.»
Alyssa e Sebastian erano seduti ad un tavolo del ‘Draw
cuts’, mangiavano patatine e bevevano Coca-cola. Tutto abbastanza
normale da sembrare sorprendente. Stava cercando di farle un ritratto e
lei ne era entusiasta, ma non stava ferma un secondo.
«Ma non mi somiglia!» si era lamentata.
Allora il ragazzo aveva aggiunto un paio di baffi
arricciolati sotto il naso del disegno. «Ecco, è
perfetta!»
Lei aveva assunto un’espressione oltraggiata
che era di un buffo indescrivibile, dandogli uno schiaffo scherzoso sul
braccio, che era riuscito soltanto a farlo scoppiare a ridere.
Quando però era entrato suo padre seguito
dalla puttana per la quale aveva passato sedute su sedute psichiatriche
a parlare, Sebastian aveva smesso di ridere e si era fatto pensieroso.
Si erano guardati entrambi sicuri di riconoscersi.
«Bene, ora che siete tutti qui, vi dico come andranno le cose d’ora in poi.»
Alyssa gli aveva preso la mano ed aveva sorriso.
«Andrà tutto bene.» lo aveva rassicurato. Poi si era
alzata e si era avvicinata al fratello, per dimostrargli che era sana e
salva, nessuno le aveva fatto niente.
«La prima cosa da fare è rimettere in sesto questa baracca.»
Maxi aveva riso. «Non ho così tanti
clienti da riempirti il locale, spiacente.» aveva spiegato
ironico. «Ma conto di fare molte conoscenze la notte di
Halloween.» Diego l’aveva guardato e gli era sembrato
infinitamente stanco. «Che ti aspetti? Se avessi invidiabili
capacità imprenditoriali non starei sul marciapiede.»
L’uomo gli si era avvicinato e Maxi aveva
fatto indietro, trascinandosi Alyssa con sé per un braccio.
«Ho promesso a tua sorella che avrei fatto tutto il possibile per
aiutarti. Grazie a lei abbiamo un sacco di soldi, abbastanza da
provvedere a tutti e tre per qualche mese…»
«Nessuno ha chiesto il vostro aiuto.» lo
aveva interrotto senza smettere di indietreggiare, né di
tenerela sorella.
«Maxi! Non ci farà niente!» aveva protestato lei.
«Sopra casa nostra c’è una specie
di appartamento indipendente. È un buco, ma voi due ci starete
fin troppo comodi. Domani mattina vai a fare tutte le analisi.»
«Tuo figlio è un eroinomane e fai fare
le analisi a me?» ma si era fermato: non cercava più di
scappare. Era già qualcosa.
Sebastian aveva sussultato, ma non aveva detto niente.
«Mio figlio viene da una clinica di
riabilitazione, ci si aspetta che sia pulito.» l’aveva
fissato. «Tu vieni dalla strada, ci si aspetta che sia sporco. Ai
virus sessualmente trasmissibili non importa che tu abbia il cuore
d’oro.» il ragazzo l’aveva guardato con tanto di
quell’odio da costruirci una casa, ma Diego non aveva mollato.
«Basta, droga. Basta, scommesse. Basta, prostituzione.»
«I soldi mi servono.»
«Hai ancora il lavoro al fast-food e non
voglio affitto. Se trovi il modo di recuperare questo posto avrai due
stipendi onesti.»
All’inizio Maxi era stato solo scontroso, diffidente come un
gatto randagio non abituato ad avere un padrone. Aveva fatto le
analisi, ma non aveva preso la macchina. Gli avevano diagnosticato
un’infezione di qualche genere, ma completamente curabile e che
non avrebbe lasciato strascichi permanenti. Gli era andata decisamente
bene.
Si erano sistemati nell’appartamento sopra il
loro. Alyssa aveva ripulito tutto in due pomeriggi e Sebastian
l’aveva accompagnata ad un negozio dell’usato per comprare
qualcosa che facesse arredamento; a Maxi non piaceva nemmeno un
po’ che la sorella passasse tutto quel tempo con un ex
tossicodipendente, ma ben presto era stato evidente che non si sarebbe
lasciata influenzare dai suoi pregiudizi. Piena di spirito di
iniziativa aveva cominciato a leggere le carte alle sue compagne di
scuola per soldi.
Diego li controllava da lontano, contento che la
situazione sembrasse completamente sotto controllo. Le bollette
arrivavano tutte a lui e finché i soldi della vincita bastavano
non avrebbe avuto problemi a pagarle. Tutte le sere apriva il
‘Draw cuts’, aveva dieci clienti abituali che bevevano un
bicchiere di birra e passavano ore a chiacchierare. Sebastian lo
seguiva sempre e si dava un sacco da fare, anche se non ce n’era
bisogno. Era silenzioso ed ancora poco abituato ad avere gente intorno,
ma vedeva i progressi e se passare la scopa o pulire il bancone tre
volte in una sera lo aiutava, chi era lui per opporsi?
Maxi li aveva raggiunti una sera, tutti lo avevano
guardato come se si trattasse di un alieno. Un faccia nuova in quel
posto non si vedeva da parecchio tempo.
«Questo posto è una topaia.» aveva detto senza cerimonie.
Diego non si era scomposto, certo che era una
topaia, ma tutto sommato fruttava qualcosa e lui aveva deciso di
fidarsi della ragazzina senza timori. «Vuoi da bere?»
«Birra.»
Diego gli aveva servito una lattina di coca-cola ignorandolo.
«Questo posto è una topaia ed è
introvabile. Ci ho messo un quarto d’ora io che la
cercavo!» si era seduto su uno sgabello ed aveva appoggiato sul
piano del bancone un blocchetto iniziando ad appuntare cose, gli
tremavano ancora le mani e la sua scrittura era tutta disordinata.
Sovrappensiero Diego si chiese se non avesse bisogno di uno psicologo.
«Bisogna comprare un’insegna più grande e bisogna
motivare le persone a venire. I talent vanno forte, si potrebbero
ospitare dei dilettanti con la promessa di dargli…boh, il venti
per cento della serata?» si era stretto nelle spalle.
«Saranno soprattutto ragazzini con sogni di gloria. I nuovi
Nirvana, i nuovi Sex Pistols, i nuovi Pink Floyd…orrendi! Ma
porteranno amici, parenti e li obbligheranno a spendere per ricavarne
qualcosa e noi ci intascheremo i frutti dei loro sforzi.»
Diego lo stava fissando da un po’, riflettendo
che quel ragazzo aveva talento imprenditoriale, eccome. Anche i suoi
abitué sembravano perplessi.
«Hai chiesto un’idea.» si era lamentato, davanti alla mancanza di entusiasmo.
«Alyssa lo appoggerebbe, papà.» gli aveva ricordato Sebastian.
«D’accordo. Domani pomeriggio vi do le
nuove regole.» aveva riempito di nuovo il boccale di un tizio.
«Va a casa ora, domani mattina devi andare a lavoro.»
Erano tutti e tre seduti sul divano, Alyssa al centro ed i due ragazzi uno per lato. Tutti e tre in attesa che parlasse.
«Dunque, la gestione, l’organizzazione e
tutto quanto, sono compiti di Maxi. Sei mai stato dietro ad un
bancone?»
Il ragazzo aveva scosso la testa.
«Bene, è ora che impari. Stasera vieni
al locale e fai pratica con i miei clienti abituali, le cerimonie a
loro non interessano.» aveva spostato lo sguardo sul figlio.
«Sebastian, aiutalo.» lui aveva annuito senza incertezze.
«Io provvederò a rendere la cucina praticabile.» un
tempo il ‘Draw cuts’ era stato molto più di un bar e
forse poteva tornare ad esserlo. Certo, erano qualcosa come dieci anni
che non usava la cucina, ma in qualche modo avrebbe fatto in modo che
potesse essere riutilizzata.
«Ed io?» aveva domandato Alyssa. «Anche io voglio fare qualcosa.»
«Tu, signorina, fai tutti i compiti e dopo
vieni a mettere a posto i tavoli.» lei aveva annuito eccitata.
«Ma poi torni di corsa a casa perché la mattina dopo hai
scuola.»
«E se non va?» Diego aveva guardato
Maxi, aveva i pugni stretti nelle tasche della felpa, si era accorto
che notava sempre quando gli tremavano le mani; l’uomo iniziava
ad essere seriamente preoccupato che non smettesse più.
«Che faccio torno sul marciapiede?»
Aveva sospirato. «Non pensiamoci adesso.»
«Voglio sapere se è un’eventualità.»
L’aveva fissato negli occhi. «Se non va
riproveremo. Non ci torni sul marciapiede.» gli aveva promesso.
«Alyssa, funzionerà?»
«Assolutamente si. Non ci possiamo aspettare
immediatamente grandi guadagni, ma nel giro di tre mesi il ‘Draw
cuts’ ci manterrà tutti e quattro.»
«Vedi, ragazzo? Io mi fido di tua sorella, dovresti farlo anche tu.»
Mi fermai con una tovaglietta di carta tra le mani.
Alyssa e Sebastian scherzavano poco distanti da me;
studiai il sorriso del ragazzo, cercando qualcosa che mi confermasse
tutto quello che avevo visto. Ma l’unica cosa che vidi confermata
fu la sua straordinaria passione per il sorriso di lei. C’era
stato dolore, aveva scavato fosse profonde, loro erano riusciti a
salire in cima ed ora sbirciavano giù con due pale in mano e
piano, piano stavano ricoprendo di nuovo quei buchi. Il passato andava
lasciato andare e dimenticato.
Guardai Maxi, stava riempiendo le scodelline di
patatine ed altri stuzzichini per gli aperitivi. Vidi distintamente la
sua mano tremare, lui scosse il pugno con decisione ed abitudine e
quando tornò ad arrotolare il sacchetto di chipster,
perché non si seccassero, era di nuovo fermo e tranquillo.
Alzò il viso e mi lanciò un’occhiata.
«Ti sei fissata ancora, Liv.» mi prese in giro.
Sarei voluta andare da lui ed abbracciarlo, dirgli che ora andava tutto bene, che era tutto finito.
Ma non lo feci.
Io violavo un giuramento solenne a sbirciare il loro
passato, anche se non ne ero del tutto colpevole. Ero migliorata, ma
non era ancora completamente in grado di controllare le mie visioni.
Alyssa diceva che a diciassette anni per me sarebbe stato come cambiare
canale alla tv: avrei visto il mio rapimento in alta definizione, bello.
Arrossii e distolsi lo sguardo, lui
ridacchiò, spietatamente divertito da una ragazzina che
arrossiva perché la beccava a guardarlo. Gli davo molte
soddisfazioni.
Alyssa mi si avvicinò sorridendo e mi strinse
la mano, mentre con l’altra recuperavo quattro bicchieri da
sistemare. Mi ero abituata alla sua passione per i contatti fisici, era
tutta un toccare ed abbracciare.
«È un pensiero carino da parte
tua.» le lanciai un’occhiata. «Ma non gli piace
parlarne.» lo immaginavo. «Tu gli piaci proprio
perché non ne dovresti sapere niente!» rise tornando al
tavolo che aveva interrotto per venirmi a parlare.
Lanciai un’occhiata a Maxi, cercando di stare
attentissima a non farmi vedere, ma lui stava guardando me, quindi, non
mi rimase altro da fare se non sbuffare alla sua seconda risata.
Ma restò un pensiero dolce a galleggiare nella mente: io gli piacevo.
fine...lasciamoci alle spalle questa cosa, per carità...
fatemi sapere che ne pensate, ça va?
bacichenonnepossonopiùdiscrivererobatantotragica!
ps. la canzone è Iridescient dei Linkin Park...bella, mi piace...
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