Capitolo Decimo
Teddy
Lupin e la Chiave del Tempo
La Tana, 31 luglio 2012 A.D.
Un assordante
gracidare si levò improvviso quando un nutrito
battaglione di ranocchie si tuffò - con ammirevole sincronia
-
nelle acque verdi e melmose dello stagno.
Teddy scosse
il capo, mesto: a quanto pareva non era il solo a non
potersi godere fino in fondo quella calda serata estiva, rischiarata da
una limpida luna quasi piena e ingentilita dal profumo dolce e intenso
dei Cespugli Farfallini. E a pensare che quel mondo, che tutti dicevano
migliore, avrebbe potuto esserlo un po' di più...
Quando il
gracidare si placò, acuti strilli infantili
raggiunsero Teddy che, sospirando, si rannicchiò ai piedi di
uno
dei grossi alberi che circondavano lo stagno.
Un superbo
esemplare di Tortotronco,
constatò, studiando interessato le folte fronde che
frusciarono
frenetiche attorno a lui quando l'albero, disturbato dalla sua
presenza, si contorse con sdegnata energia.
Appoggiandosi
con cautela al massiccio tronco nodoso, Teddy
osservò i ragazzini che, davanti all'ingresso della Tana
illuminato a giorno da nugoli di lanterne variopinte, saltellavano in
preda all’eccitazione più sfrenata: per loro quel
mondo
era sicuramente il migliore possibile. E lo dimostravano con
appropriato entusiasmo.
Le loro grida
assordanti sovrastavano persino le fiere rimostranze che
nonna Andromeda stava propinando a una mortificata Molly Weasley.
Teddy,
provando una certa compassione per la povera Molly - sapeva per
esperienza quanto potessero essere terrificanti le fiere rimostranze di
nonna Andromeda - distolse lo sguardo, concentrandosi sulla lanterna
fluttuante che lo aveva seguito e ora illuminava con la sua calda luce
dorata le acque placide dello stagno.
Un po'
sorpreso, il ragazzo si chiese chi fosse stato a incantarla
perché, in genere, le lanterne non avevano la lodevole
abitudine
di seguire la gente di loro spontanea volontà.
Nemmeno
quelle fluttuanti.
Osservando
con più attenzione la scena che si stava svolgendo
davanti all’ingresso della Tana, Teddy notò che
non tutti
erano occupati a saltellare entusiasti e a prepararsi per assecondare
la brillante idea avuta da Molly.
Harry,
infatti, se ne stava un po’ in disparte, la bacchetta
stretta in pugno e decine di lanterne variopinte che gli fluttuavano
attorno come sciami di fate indispettite. Teddy lo vide fare un passo
esitante verso lo stagno per poi fermarsi, rinfoderare la bacchetta e
permettere a un James più saltellante del solito di
trascinarlo
via. Con tutto il suo luminoso seguito di lanterne.
Teddy sorrise
grato: Harry aveva compreso che, in quel momento, lui
desiderava soltanto stare un po’ in disparte - da solo,
lontano
dalla frenesia che aveva assalito gli altri e dalla brillante idea
avuta da Molly - e si era limitato a fargli sentire la sua presenza
dotandolo, premuroso, di una discreta lanterna fluttuante.
Harry, del
resto, sapeva sempre quello che Teddy provava.
Lo sapeva da
prima che Teddy medesimo si rendesse conto di provarlo, in genere.
Per anni il
ragazzo aveva avuto l’inquietante sospetto che il padrino
sapesse leggergli nella mente.
Quando
però, dopo estenuanti elucubrazioni e arditi esperimenti,
si era deciso ad affrontare apertamente la spinosa questione con
l’interessato, Harry si era limitato ad abbozzare uno di
quegli
strani sorrisi - sospesi tra tenerezza e malinconia - che riservava
solo a lui per poi confidargli, mesto, la molto meno esoterica
verità: sapeva sempre cosa Teddy provava semplicemente
perché lo aveva provato prima lui.
Notando, con
un certo sollievo, che nonna Andromeda aveva finalmente
smesso di riprendere la povera Molly, Teddy si sistemò
più comodamente contro il tronco e - godendosi divertito lo
sdegnato vorticare di fronde che seguì all'operazione -
estrasse
da una tasca un pupazzetto a forma di drago osservandolo con interesse:
un Petardo Cinese, dedusse con sicurezza, ammirandone il corpo snello e
sinuoso ricoperto da minuscole, perfette scaglie scarlatte.
Affascinato,
il ragazzo sfiorò con cautela le punte dorate che
il drago aveva attorno al muso e trasalì, sorpreso, quando
il
modellino, che fino a quel momento se ne era stato comodamente
acciambellato sul palmo della sua mano, emise una specie di basso
ringhio.
Dopo essersi
concesso un languido stiracchiamento, il minuscolo drago
si alzò in piedi sollevando le punte dorate che, assumendo
la
forma di una stravagante criniera, lo fecero assomigliare a un piccolo
leone arruffato.
Teddy sorrise
e soffiò con gentilezza sul giocattolo - come gli
aveva mostrato Charlie - osservandolo poi, deliziato, dispiegare le
ampie ali di un intenso rosso cupo e alzarsi in volo per planare
aggraziato attorno alla lanterna fluttuante.
Quando,
qualche ora prima, Charlie aveva tolto dalla sua vecchia sacca
un po’ bruciacchiata una manciata di piccoli draghi
giocattolo,
gli altri ragazzini gli si erano subito stretti attorno, litigando fra
loro per accaparrarsi i modellini di Ungaro Spinato.
Teddy era
stato l'ultimo ad avvicinarsi - incitato da una soddisfatta
Victoire che brandiva vittoriosa un minuscolo Grugnocorto Svedese - e
aveva preso l'unico modellino rimasto: il Petardo Cinese.
Non aveva
riscosso molto successo, il Petardo Cinese, e Teddy poteva anche capire
il perché: era strano come drago.
Diverso da
tutti gli altri.
Ma a Teddy la
cosa non importava, anzi... a lui piaceva chi era diverso da tutti gli
altri.
Probabilmente
perché anche lui era - per svariati motivi - diverso da
tutti gli altri.
Sospirando,
il ragazzo distolse gli occhi dal drago giocattolo - ancora
intento a svolazzare impavido attorno alla lanterna - e, stringendo le
ginocchia tra le braccia, osservò malinconico i ragazzini
saltellanti che, contenendo a stento l'entusiasmo, assillavano
implacabili i rispettivi genitori.
«Uhm,
stai meditando di continuare la festa in compagnia delle
ranocchie dello stagno, Teddy?» chiese una voce allegra alle
sue
spalle.
Teddy
sollevò di malavoglia lo sguardo sul nuovo arrivato,
conscio che il suo momento di solitudine era terminato: purtroppo
nessun Weasley sembrava essere un estimatore della solitudine. Charlie
non faceva eccezione.
«Non
sono molto interessanti le ranocchie come compagnia»
disse l’uomo accoccolandosi al suo fianco e osservando il
vivace
vorticare di fronde causato dal suo arrivo. «Ma devo
ammettere
che il Tortotronco
un certo
fascino lo esercita. Dovresti vederlo a fine giugno, quando oltre che a
vorticare i rami si diverte a bersagliarti con i suoi frutti
deliziosamente mollicci e appiccicosi».
Teddy
scrutò scettico le folte foglie lanceolate dell'albero e
affermò con pacata convinzione: «Penso proprio che
riuscirò a sopravvivere anche senza questa avvincente
esperienza, Charlie».
«Mmm.
Anche Fleur era intenzionata a provarci, credo. Ma George e
Ginny erano di diverso parere e hanno generosamente rimediato a questa
grossa lacuna del suo personale bagaglio di esperienze»
affermò Charlie, scrutando pensoso la superficie placida
dello
stagno per poi aggiungere complice: «Ma, forse, tu non eri
interessato a improvvisare una festicciola anfibia, e stavi
semplicemente studiando un piano per buttarci mia madre, nello stagno
con le irritabili ranocchie...»
Teddy,
escludendo che Charlie si fosse potuto accorgere che l'idea lo
aveva davvero fugacemente sfiorato, rispose sfoggiando quell'aria
angelica che convinceva tutti ad eccezione di Harry e di nonna
Andromeda: «No, naturalmente! Non sarebbe stato
carino».
Charlie
sogghignò. «No. Non sarebbe stato carino, hai
ragione. Non per le ranocchie, almeno. Ma a me l'idea sarebbe venuta,
sai? E anche Harry deve essere stato sfiorato dalla tentazione. E lui
se lo sarebbe anche potuto permettere. E' il festeggiato, in fondo.
Tutto dovrebbe esserti concesso il giorno del tuo compleanno, non
credi?»
Teddy
sgranò gli occhi, sorpreso, e Charlie gli
scompigliò i capelli, poi sospirò: «Se
solo Harry
non fosse così assurdamente educato... a mia madre non
avrebbe
fatto male rinfrescarsi un po'. Solo un colpo di sole potrebbe spiegare
la sua brillante proposta. O quello o un incantesimo Confundus ben
assestato».
«Voleva
solo animare la festa».
«Oh,
può darsi. Ma anche un suo tuffo nello stagno la
avrebbe animata. Sono sicuro che James lo avrebbe adorato, ad
esempio».
Teddy
riportò lo sguardo sui ragazzini elettrizzati che
incitavano gli adulti a spostare tavoli e sedie e mormorò:
«L’idea di una corsa a tre gambe genitori-figli
è
carina in sé, Charlie. Gli altri ragazzini l'hanno gradita
molto, infatti... è solo che...»
«E'
solo che mia madre ha il tatto di un Ungaro Spinato, a
volte» concluse l’uomo, scrutando triste il
ragazzino.
Teddy si
strinse nelle spalle e abbozzò un sorriso. «Non
importa. Non è giusto che gli altri non possano fare una
cosa
solo perché non la posso fare io, in fondo. E poi neppure
mia
nonna scherza in quanto a mancanza di tatto, quando ci si mette. Credo
che Molly si sia pentita amaramente di avere esposto la sua brillante
idea».
Charlie
sorrise. «Penso tu abbia ragione: un’Andromeda
Black contrariata è molto peggio di un tuffo in uno stagno
abitato da ranocchie dal pessimo carattere» tacque un
istante,
quindi aggiunse: «Harry sarebbe felice di correre con te, se
tu
glielo chiedessi, sai?»
Teddy
annuì con decisione. «Lo so. Ma non sarebbe
giusto.
James vuole partecipare... e ha tutti i diritti di farlo».
«Ma...»
«Ma
niente, Charlie» tagliò corto Teddy,
accarezzando distratto il dorso del modellino di drago che, perso
interesse per la lanterna, gli si era posato sulle ginocchia.
Charlie
sospirò. «Hai ereditato la cocciutaggine di tua
madre, noto».
«Lo
dice anche nonna. Quindi suppongo sia vero».
Charlie
scosse il capo e, indicando il drago giocattolo, esclamò
soddisfatto: «Vedo che hai già imparato a farlo
volare.
Non è facile come sembra: James ha rischiato di distruggere
la
torta fatta da Fleur, nel tentativo. Credo che gli sfugga il concetto
di soffiare delicatamente».
Teddy si
strinse nelle spalle. «Probabile. O magari la sua
intenzione era proprio quella di distruggere la torta di
Fleur»
guardò titubante l’uomo sedutogli accanto e
aggiunse, un
po’ imbarazzato: «Insomma... le torte di Fleur sono
molto... er... come dire…»
«Ricercate?»
«Mmm.
Sì. Davvero molto ricercate,
ecco. Non tutti riescono ad apprezzarle».
Charlie
ridacchiò e prese con delicatezza tra le mani il modellino
di drago studiandolo con interesse.
«Mi
dispiace che non ci siano stati Ungari Spinati per tutti».
Teddy si
strinse nelle spalle. «A me no. Mi piace il Petardo Cinese.
Davvero. Lo trovo bellissimo».
Charlie
fissò Teddy con quell’aria di pensosa malinconia
che gli adulti avevano, talvolta, quando lo guardavano e a cui il
ragazzo aveva fatto l’abitudine, ormai, poi aggiunse, con
quel
tono di voce un po’ particolare che seguiva sempre gli
sguardi di
pensosa malinconia: «Tua madre pensava la stessa
cosa».
Teddy gli si
avvicinò, interessato. Era sempre curioso di
conoscere aneddoti sui suoi genitori, e Charlie era la fonte a cui
poteva attingere con minor frequenza in assoluto, quindi i suoi
aneddoti avevano ancora il fascino della novità.
«Davvero?»
«Sì,
oh, sì. A tua madre piacevano i draghi...
be’, in realtà le piacevano un po’ tutte
le
creature... uhm, come dire... diversamente
graziose, ecco».
Teddy
sorrise, ripensando a Manfred la Manticora e Charlie
continuò: «Quindi le piacevano anche i draghi. E
il
Petardo Cinese era senza dubbio il suo drago prediletto.
Perché
era strano. Diverso. E perché era colorato, non nero e
ordinario
come un banale Ungaro Spinato. Parole sue, eh...»
Teddy
ridacchiò divertito, poi si fece improvvisamente serio;
c’era una cosa che aveva chiesto a tutti e a cui nessuno
aveva
saputo dare una risposta… ma a Charlie non l’aveva
chiesta, ancora.
«Charlie…»
esitò, non era mai facile porre
quella domanda. Nessuno la prendeva bene. «Come è
successo? Come sono morti mamma e papà?»
Charlie
trasalì e il Tortotronco, disturbato dal brusco
movimento, si contorse con energia. L’uomo, ignorando
l’improvviso agitarsi delle fronde, trasse un aspro respiro e
si
sfregò mesto la fronte. «Io... non lo so,
Teddy».
Il ragazzino
si accigliò, scagliando rabbioso un grosso ciottolo
tondeggiante nello stagno. «Ma com’è
possibile che
non lo sappia nessuno!»
Charlie si
strinse nelle spalle e chiese con dolcezza: «E' davvero
così importante?»
«Sì
che lo è!» esclamò brusco il
ragazzino, poi serrò i pugni, abbassando lo sguardo e
sussurrò: «Perché a volte penso che la
loro morte
sia stata inutile. Che loro avrebbero dovuto starsene a casa, quella
sera. Con me».
«Capisco.
E quando pensi questo provi rabbia nei loro confronti, vero?»
Teddy
fissò corrucciato i cerchi concentrici che il sasso aveva
lasciato sulla superficie della stagno.
«Già»
mormorò Charlie senza attendere
risposta. «E questo ti fa stare male, perché ti fa
sentire
tremendamente fuori luogo e abbastanza colpevole, anche».
Teddy
alzò di scatto il capo, osservando l'uomo ad occhi sgranati.
Charlie
abbozzò un sorriso triste e disse: «Succede anche
a me, a volte, quando penso a Fred. Anch'io vengo assalito dall'idea
che avrebbe potuto starsene a casa, quella sera. E anch'io mi sento
malissimo dopo essermi concesso simili pensieri. Ma è umano
farli, Teddy. E in fondo tu sai che loro non avrebbero potuto starsene
a casa, quella sera. Proprio perché erano le persone che
erano.
E che no, la loro morte non è stata inutile
perché se
loro fossero rimasti a casa, quella sera, la storia avrebbe potuto
seguire un altro corso e a vincere potrebbe essere stato
Voldemort».
Il ragazzo
annuì. «Sì, però vorrei
ugualmente sapere come sono morti. Avrei tanto voluto incontrare
qualcuno in grado di dirmelo. Pensavo che tu...»
«Io?
Oh, io sono l'ultima persona che potrebbe saperlo,
Teddy» confessò Charlie con amarezza.
«Non
c’ero quella notte. Mentre divampava la Battaglia di Hogwarts
io
ero in Romania, a fare da balia a quattro uova di Opaleye. Quando sono
arrivato al Castello era praticamente già tutto finito. Non
ho
potuto neppure tentare di aiutare Fred e i tuoi genitori».
«E
questo ti fa stare male, perché ti fa sentire tremendamente
fuori luogo e abbastanza colpevole, anche».
Charlie
scrutò il ragazzino, allibito e Teddy si strinse nelle
spalle. «Succede anche a me».
«A
te? Ma tu non potevi di certo essere al loro fianco quella notte! Eri
un neonato!»
«E
tu eri in Romania».
«Ma...
non è la stessa cosa! Io avrei potuto esserci!
Avrei dovuto esserci! Avrei dovuto tornare prima in
Inghilterra».
«E
io avrei dovuto nascere qualche anno prima!»
«Ma...
Teddy, ti rendi conto che è un ragionamento del tutto privo
di senso, vero?»
«Certo.
Come il tuo».
Charlie
sbuffò esasperato, poi scosse il capo, sconfitto.
«Sei identico a tua madre, talvolta. Ugualmente
snervante!»
Teddy
sogghignò: «Lo dice anche la Professoressa
O'Sullivan».
«O'Sullivan?
Erin O'Sullivan?»
«Sì.
Si ricorda di mamma ai tempi della scuola... e ha
persino conosciuto il mio nonno paterno, sai? Sostiene di avergli
insegnato i rudimenti della lotta Babbana...»
Charlie
ridacchiò. «Sì, deve essere proprio
lei,
allora. Il Battitore più attaccabrighe della storia di
Tassorosso, credo. Non ho mai conosciuto nessuno in grado di
ammaestrare i Bolidi come lei! E cosa insegna?»
«Difesa
contro le Arti Oscure».
Charlie
annuì soddisfatto. «Appropriato, direi».
«Già»
Teddy scagliò l'ennesimo sasso nello
stagno, studiando pensoso i preparativi che fervevano nel pezzetto di
prato davanti all'ingresso della Tana. «Pare che tutto sia
pronto
per la disputa».
«Pare.
Mi dispiace davvero Teddy, non so che sia preso a mia
madre...»
Teddy si
strinse nelle spalle. «Nulla. Ha solo avuto un'idea
brillante e carina. Sarebbe piaciuta anche a me se… credi
che
mio padre vi avrebbe partecipato?»
Charlie
corrugò la fronte, pensoso. «No, non credo ci
sarebbe riuscito».
Teddy
scrutò la luna quasi piena. «Ma non è
una notte di plenilunio».
Charlie
sogghignò. «Non ci pensavo neppure al plenilunio.
Solo che sarebbe stata sicuramente Tonks a partecipare alla corsa con
te. A costo di Schiantare Remus!»
«Ah,
ecco. Mi sarebbe piaciuto molto, sai Charlie? Non che mamma
Schiantasse papà, sia chiaro, ma partecipare alla gara con
uno
dei due...»
Charlie si
sistemò più comodamente contro il Tortotronco
e sospirò. «Sarebbe piaciuto molto anche a me,
Teddy.
Soprattutto perché questa gara non avrebbe avuto un
vincitore
annunciato. Perché sappiamo tutti come andrà a
finire
questa gara, vero? Bill e Victoire l'hanno già vinta. Sono
anche
abbastanza sicuro che Bill stia già meditando su come
assillare
tutti noi con la sua eclatante vittoria. Come se non sapesse che tutti
gli altri saranno intralciati dai rispettivi nanerottoli - certo, a
Percy e Hermione non serviranno neppure i nanerottoli, visto che sono
già bravissimi a intralciarsi da soli - non c'è
scampo» concluse mesto.
«Già»
convenne Teddy, rassegnato.
«A
meno che...» Charlie si alzò di scatto, facendo
sussultare Teddy e provocando una vivace reazione del Tortotronco.
«Ci sarebbe un modo per rendere meno scontata la vittoria di
Bill, Teddy» esclamò ispirato, ignorando il
minaccioso
vorticare di fronde. «Dipende solo da te».
«No,
ti ho già detto che non chiederò a Harry di
gareggiare con me. Non sarebbe giusto».
Charlie lo
gratificò di uno di quei sorrisi inquietanti che, a
volte, illuminavano anche il viso di George. «Io non pensavo
a
Harry, infatti, ma...» si accovacciò di fronte al
ragazzo,
fissandolo serio negli occhi e, dopo un istante di esitazione
disse: «Io non ho un figlio con cui partecipare alla gara,
Teddy.
Così mi chiedevo: mi faresti l'onore di gareggiare in
squadra
con me? Sono sicuro che i tuoi genitori approverebbero, in
fondo...» indicò con un gesto vago Bill e Victoire
che si
stavano avviando alla linea di partenza sfoggiando la sicurezza tipica
di una compagine sicura della propria innegabile
superiorità.
«E' per una nobile causa: prevenire gli autoincensamenti con
cui
Bill assillerà chiunque gli capiterà a tiro per i
prossimi sei mesi».
Teddy si
alzò con cautela, senza disturbare il Tortotronco.
«E' per il Bene Superiore, insomma. Sì, mamma e
papà approverebbero di sicuro. Anzi...» sorrise
malandrino
afferrando una mano dell'uomo inginocchiato e costringendolo ad
alzarsi. «Mi sa proprio che si arrabbierebbero se non accettassi
questa tua ragionevole e brillante proposta, Charlie!»
«Sa
anche a me!» convenne Charlie alzandosi. «E non
è mai stata una cosa saggia fare arrabbiare Tonks,
sai?»
Teddy rise e,
sotto lo sguardo soddisfatto di un battaglione di
ranocchie gracidanti, trascinò senza tanti complimenti
Charlie
verso la Tana.
Casa Tonks, 31 luglio
2012 A.D.
Teddy, appoggiandosi
al davanzale della finestra, osservò
assorto le stelle che punteggiavano il limpido cielo color inchiostro.
Teddy amava
scrutare la volta stellata. Lo trovava piacevole. E rassicurante.
Probabilmente
perché anni prima, in una tiepida sera di maggio,
al ritorno dalla celebrazione della sconfitta di Voldemort, Luna
Lovegood lo aveva preso da parte e gli aveva raccontato una fantasiosa
- e rassicurante - storia sulle persone che, quando morivano, si
trasferivano sulle stelle.
Gli aveva
persino indicato quella abitata dalla signora Lovegood.
Teddy l'aveva
ascoltata rapito, e aveva subito cominciato a cercare
quella dei suoi genitori - era certo che si fossero trasferiti sulla
stessa stella, una stella molto luminosa e non troppo vicina alla luna,
secondo i suoi calcoli - identificandola con estrema sicurezza nella
più brillante di tutte: Sirio.
Da quella
sera, ogni volta che Teddy si sentiva solo, si trovava
istintivamente a scrutare la volta stellata e, anche se ora sapeva che
i suoi genitori non si erano affatto trasferiti su una stella, questo
semplice gesto bastava a calmarlo.
Sospirando,
il ragazzo distolse lo sguardo dal cielo spostandolo sulla
strada illuminata dalla luce aranciata di un lampione: un uomo lacero e
scarno camminava frettoloso lungo la via, il capo chino, le spalle
curve e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
Quando una
grossa civetta lo sorvolò, posandosi silenziosa sul
davanzale della finestra di Teddy, l'uomo si fermò,
sollevò il viso nascosto dai lunghi capelli arruffati, e
riprese
il suo faticoso cammino, come se trovasse normale vedere una civetta
appollaiarsi su un davanzale.
E Teddy
sospettava fosse proprio così.
Conosceva
quell'uomo: era un tipo stravagante che da sempre - per
quanto Teddy riusciva a ricordare - deliziava i ragazzini della zona
con le sue fascinose storie popolate da sdegnose chimere e da lupi
mannari singolarmente gentili. E, spesso, guardava Teddy con lo stesso
sguardo triste e colpevole con cui lo guardavano, a volte, un po' tutti
gli adulti che avevano conosciuto i suoi genitori. Teddy era quasi
certo che fosse un mago... anche se non lo aveva mai visto fare magie e
non era tra le conoscenze di nonna Andromeda.
Non che nonna
Andromeda ne avesse poi molte, di conoscenze...
Quando la
civetta gli beccò sdegnata una mano, il ragazzo si
riscosse e, accarezzandole gentilmente le soffici piume argentate,
prese la pergamena arrotolata sulla zampa destra della bestiola.
Era
indirizzata a nonna Andromeda e il ragazzo riconobbe l'elegante
calligrafia con cui era vergata.
Teddy non
sapeva di preciso chi le mandasse, ma arrivavano spesso lettere scritte
con quella calligrafia.
Sempre
indirizzate alla nonna che si rifiutava regolarmente di aprirle.
Sospirando,
il ragazzo aspettò che la civetta ripartisse,
sollevato dal fatto che nessuno si trovasse nei paraggi per assistere
al suo volo, quindi scese silenzioso le scale, intenzionato a lasciare
la lettera nello studio del nonno e ad approfittare dell'occasione per
saccheggiare la libreria: non aveva sonno, quella notte, e qualcosa di
interessante da leggere era proprio quello che gli serviva.
«Non
riesci a dormire neppure tu, tesoro?»
Teddy
trasalì al suono di quella voce.
Aveva dato
per scontato che la nonna fosse già andata a letto.
Non si
aspettava certo di trovarla ancora lì, seduta sulla sua
poltrona preferita, in penombra, intenta a scrutare assorta una
rigogliosa aspidistra.
«No,
sono troppo eccitato per avere sconfitto Bill e
Victoire» rispose, sperando che la nonna gli credesse. Era
davvero contento del successo riportato, in fondo. Tutti alla Tana lo
erano. Tranne Bill, naturalmente...
«Comprensibile»
mormorò Andromeda, posando sul
tavolino la grossa cornice d'argento che teneva in grembo.
«Sei
stato molto bravo, tesoro. Loro...» indicò con un
lieve
cenno del capo la cornice. «Sarebbero molto fieri di
te».
Teddy
annuì, non aveva bisogno di guardare la fotografia
contenuta nella cornice per sapere di chi stesse parlando la nonna.
«E
anch'io lo sono» affermò la strega, sollevando su
di lui uno sguardo intenso e triste.
Teddy sapeva
cosa cercava la nonna quando lo guardava in quel modo. E sapeva cosa
fare per aiutarla a trovarlo.
Gli bastava
ricorrere ai suoi poteri di Metamorfomagus.
Non amava
farlo, di solito. Oh, era orgoglioso e felice di possederli -
erano qualcosa che gli ricordava sua madre - ma non amava esibirli in
pubblico con disinvoltura. Perché, fondamentalmente, non
amava
essere notato. Preferiva passare inosservato, senza nessuno che lo
indicasse agli altri. E non era facile passare inosservati quando si
sfoggiavano capelli di uno sfolgorante turchese. Era un po' come essere
l'unico, coloratissimo Petardo Cinese in un branco di banali Ungari
Spinati. Teddy non lo trovava particolarmente piacevole.
Ma, quando la
nonna lo guardava in quel modo, non esitava a ricorrere alle sue
capacità.
In fondo era
una piccolo sacrificio, ampiamente ripagato dalla
serenità che addolciva lo sguardo della nonna in quei
momenti.
Quindi
socchiuse gli occhi, virò i suoi capelli castano chiaro a
una brillante tonalità di turchese - la nonna avrebbe
preferito
un bel rosa cicca, lo sapeva, ma che diamine, anche lui aveva una sua
dignità - e, avvicinatosi alla donna, le si
accoccolò
davanti, godendosi l'improvviso, tenero sorriso che le distese il volto.
«Lo
so, nonna» disse con tono allegro, nel tentativo di
dare un ulteriore scossone alla momentanea malinconia della strega.
«Anche Charlie era al settimo cielo... suppongo che un po'
tutti
lo fossero. Bill è un po'... stancante quando si esalta per
qualcosa».
«Sì,
non che Charlie lo sia meno, però».
Teddy
corrugò la fronte, pensieroso. «No, ma Charlie
tornerà presto in Romania... dovremo sopportarlo per meno
tempo,
se non altro!»
Andromeda
rise, scompigliando affettuosa i capelli del nipote poi,
scorto il plico che il ragazzo stringeva in mano, si
accigliò
nuovamente. «Ti ha scritto ancora Simon? Quel ragazzo
è un
vero grafomane! Cos'ha scoperto di fantasticoso,
questa volta?»
Teddy
sogghignò: Simon, il suo migliore amico nonché
compagno di dormitorio, era davvero un grafomane... e un grafomane
pieno di entusiasmo, anche. Era figlio di Babbani, ed era letteralmente
incantato dalle fantasticose
(oltre che grafomane, Simon era anche un fantasioso coniatore di
neologismi) cose da maghi. E Teddy adorava ascoltarlo - o leggerlo -
mentre parlava trasognato delle meraviglie del mondo magico,
perché trovava davvero fantasticoso
guardare cose per lui scontate attraverso gli occhi di Simon!
«Allora,
Teddy, quale messaggio di irrinunciabile importanza si
è sentito in dovere di comunicarti a quest'ora di notte il
nostro Simon?»
Teddy - che
sospettava che la nonna adorasse quanto lui l'entusiasmo di
Simon - scosse il capo. «Oh, no... Simon non c'entra questa
volta. E' per te, nonna».
La strega si
alzò di scatto dalla poltrona, prese la lettera e
la fece Evanescere con un gesto rabbioso. Faceva sempre così
con
le lettere scritte con quella calligrafia.
«Nonna,
ma chi...»
«Nessuno,
Teddy. Nessuno».
Teddy
inarcò un sopracciglio, scettico. E la donna
sospirò, lasciandosi cadere sulla poltrona.
«Nessuno di
cui valga la pena parlare, almeno».
«Ma
sono anni che questo Nessuno
ti manda lettere, forse deve dirti qualcosa di importante».
«Non
credo. Questo Nessuno
non ha mai avuto nulla di importante da dirmi. Non ha reputato
abbastanza importante neppure comunicarmi di avermi fatta diventare
zia...»
«Ti
ha fatta diventare zia?»
Andromeda
fissò il nipote con intensità, quindi
mormorò con amarezza: «Questo Nessuno era mia
sorella... una volta».
Teddy
sgranò gli occhi, sconcertato. «Pensavo non ci
fosse
più nessuno della tua famiglia d'origine, nonna!»
«E'
così. La mia famiglia sei tu, Teddy. E la famiglia di
Harry... non certo la famiglia di Vermicolo Malfoy!»
«Vermicolo
Malfoy?»
«Il
marito di questo Nessuno».
«Ah...
un nome... insolito, non credi?»
Andromeda
rise abbracciando il nipote. «Sì, be', non
è proprio il suo nome... è più una
specie di
soprannome - adattissimo a mio parere - affibbiatogli da mio cugino
Sirius. Harry ti ha parlato di Sirius, vero?»
Teddy
annuì. «Sì. Era il suo padrino! Ed era
uno dei migliori amici di papà…»
«Esatto.
Uno dei pochi parenti che davvero considero tali».
«Uno
dei pochi?»
«Uno
dei due, in effetti. Ti ho mai parlato di zio Alphard?»
Teddy scosse
il capo, incuriosito.
«Ah,
un uomo affascinante. Un po' stravagante, se vogliamo.
L'unico della mia famiglia oltre a Sirius a non avermi allontanata dopo
il mio matrimonio con nonno Ted... anzi, mi fece persino un regalo di
nozze, sai? Un regalo stravagante quanto lui. Neppure tua madre ha mai
voluto indossarlo».
Sorrise
alzandosi dalla poltrona e, circumnavigando la rigogliosa
aspidistra, si avvicinò all'antico armadio di legno
intarsiato
che occupava un angolo della stanza, aprì con delicatezza le
antine di cristallo, estrasse qualcosa e tornò dal nipote.
Teddy
osservò incuriosito lo strambo aggeggio che la nonna
stringeva tra le mani: sembrava una specie di incrocio tra un antiquato
medaglione e un orologio da taschino. Il coperchio era delimitato
dall'immagine di un serpente acciambellato su se stesso, mentre, al
centro dell'oggetto, una piccola fenice color corallo sorgeva maestosa
da vivide fiamme argentate .
Affascinato,
il ragazzo prese l'oggetto dalle mani della nonna e
trattenne il respiro, incredulo, quando ricordò dove aveva
già visto quello stravagante gingillo: durante una punizione
con
la professoressa O'Sullivan - seguita a un ardito esperimento che
coinvolgeva un Molliccio un poco anarchico e Mastro Gazza - Teddy aveva
avuto l'incarico di sistemare la caotica libreria della professoressa
(nessuno gli avrebbe mai tolto il sospetto che la professoressa
O'Sullivan avesse in realtà apprezzato l'ardito esperimento,
visto che sapeva perfettamente che per Teddy trafficare con i vecchi
libri era tutt'altro che una punizione) e si era imbattuto in un
decrepito diario scritto da una tale Althea.
Lo aveva
sfogliato distrattamente, non molto interessato a sfornare
deliziosi dolcetti al miele e, meno che mai, a conquistare un
misterioso Grifondoro dai languidi occhi da randagio, ma era rimasto
affascinato da un disegno schizzato su una pagina fittamente vergata a
caratteri runici. Teddy aveva appena cominciato il corso di Rune
Antiche, quindi aveva compreso solo che l'oggetto ritratto era una
delle leggendarie Chiavi del Tempo.
«Tranquillo,
tesoro» disse Andromeda, una sfumatura
divertita nella voce. «Non ho alcuna intenzione di
costringerti a
indossarlo. Zio Alphard aveva gusti molto particolari... ma nemmeno lui
ha preteso che lo portassi. Mi disse solo che lo avrei trovato utile se
mai mi fossi pentita di avere sposato il nonno. Non ho mai capito come,
ad essere sinceri. E' un oggetto di un gusto discutibile, certo, ma non
abbastanza discutibile da spaventare nonno Ted».
Tacque un
istante, pensierosa, poi si diresse nuovamente all'armadio e
tornò reggendo una vecchia pergamena.
«Assieme
al medaglione mi consegnò anche questa, io non so
decifrare le rune ma tu sei molto bravo in questo, mi dicono. Se ti va
di svelare il mistero di questo aggeggio di gusto particolare dando un
senso ai deliri di zio Alphard, fai pure».
Teddy
afferrò la pergamena con mano un po' tremante, scorse
frenetico le rune, sgranando gli occhi, sempre più
incredulo.
Non poteva essere... forse aveva capito male.
Era
probabile, in fondo.
Era da un bel
po' che non ripassava le rune.
E lo sapevano
tutti che le Chiavi del Tempo esistevano solo in una fiaba per bambini.
Non erano più reali di Baba Raba.
Però
la maggior parte della gente pensava che anche i Doni della
Morte esistessero solo in una fiaba per bambini, e Teddy sapeva che non
era così.
In preda a
una crescente euforia strinse con forza il medaglione e la
pergamena tra le mani e, dopo avere abbracciato con irruenza la nonna,
che ridacchiò mormorando qualcosa a proposito di slanci
tonksiani, tornò di corsa in camera sua, cercando
disperatamente
di ricordare dove avesse abbandonato il libro di Rune Antiche.
Perché,
se quello stravagante dono di zio Alphard era davvero una Chiave del
Tempo lui avrebbe potuto...
*****
Casa Tonks, 2 maggio
2018 A.D.
Dopo avere posato
l'antica pergamena sul comodino, Teddy si sedette sul
letto, fissando il massiccio medaglione dorato che teneva tra le mani e
sfiorò con delicatezza la piccola fenice scarlatta che ne
occupava il centro.
Forse, grazie
a quello stravagante oggetto, avrebbe potuto rendere il mondo ancora un
pochino migliore… almeno per lui.
Forse.
Ma doveva
agire velocemente.
Vent'anni.
Non uno di più.
La pergamena
era molto chiara in proposito: quello che aveva sempre sognato di fare
andava fatto quella notte o mai più.
E quel mai più
suonava malissimo per Teddy.
Ma ora era
pronto. Forse.
E avrebbe
agito quella notte. Forse.
Perché,
prima di potersi buttare in quell'avventura, doveva chiarire una
questione fondamentale con Harry.
E, cosa
probabilmente più complicata, doveva convincere la
propria coscienza che non si stava comportando come un egoista
insensibile.
Doveva
convincerla che salvare due vite era meglio che non salvarne
nessuna e che Molly avrebbe capito. Perché anche Molly amava
Ninfadora Tonks e Remus Lupin.
Victoire, per
lo meno, ne era sicura.
Teddy era
ancora sorpreso dalla facilità con cui Victoire si era
lasciata convincere della bontà di quell'intenzione.
Anzi, forse
era più corretto dire che era stata proprio la
reazione di Victoire a convincere lui che quell'intenzione, forse, non
era poi così deprecabile.
Peccato che
la sua bisbetica coscienza ponesse ancora qualche
resistenza. Oh, era davvero bravissima a porre resistenze, la sua
bisbetica coscienza... e molto meno facile da convincere di Victoire.
Erano quasi
sei anni - dalla notte in cui nonna Andromeda gli aveva
mostrato lo stravagante dono di nozze di zio Alphard, per la precisione
- che Teddy si domandava con una punta di irritazione perché
proprio a lui doveva essere toccata in sorte una coscienza tanto
bisbetica... e tanto talentuosa nel generare ostinati sensi di colpa.
Sospirando,
il giovane si scostò una ciocca di capelli dalla
fronte e sbirciò l'orologio che portava al polso: si stava
facendo tardi.
Ed erano
attesi da Harry per cena, strano che la nonna non lo avesse
ancora convocato con urla che avrebbero fatto impallidire la Banshee
più vocalmente dotata del Vecchio Continente.
Un po'
sconcertato, Teddy si alzò dal letto, afferrò il
giubbetto di jeans abbandonato sul vecchio scrittoio - niente vesti da
mago quella sera, meglio optare per discreti abiti Babbani -
recuperò la vecchia pergamena sistemandola con cautela in
una
tasca e indossò il vecchio medaglione.
Nonna
Andromeda sarebbe stata sorpresa da quella decisione insolita:
finalmente qualcuno avrebbe indossato lo stravagante regalo di zio
Alphard.
Non era
nemmeno così brutto, a parere di Teddy.
Certo, non
era raffinato
come
il vecchio portaombrelli di ceramica bianca, decorato con paffuti
puttini e rigogliose ghirlande di frutta, andato distrutto in un
increscioso incidente provocato da Teddy e da un misterioso incantesimo
letto su un vecchio libro polveroso. Increscioso incidente che nonna
Andromeda non dimenticava di raccontare in ogni occasione possibile,
rimpiangendo la devastante perdita di quel raffinato
portaombrelli.
Teddy non
l’aveva mai considerata tanto devastante, quella perdita.
Ma, del
resto, lui non era dotato di gusti particolarmente raffinati…
Un
po’ preoccupato dalla mancata convocazione della nonna, Teddy
scese in salotto e, aggirandosi tra delicati tavolini di cristallo e
rigogliose aspidistre, intraprese una scrupolosa ricerca della strega.
Non
trovandola da nessuna parte si sedette sul divano, scrutando
pensoso il lucente portaombrelli di indistruttibile acciaio che aveva
sostituito il suo raffinato predecessore. Sperava
ardentemente
che nonna Andromeda non fosse ancora andata a protestare con lo scarno,
lacero cantastorie che spesso e volentieri si accoccolava sul muretto
che delimitava il perimetro di Casa Tonks, intrattenendo
ciurme
di ragazzini incantati dalle sue storie fantastiche.
Era bravo a
raccontare storie e Teddy lo trovava simpatico - da
ragazzino si fermava spesso ad ascoltarlo, coinvolgendo anche Simon
quando veniva a trovarlo - ma la nonna non riusciva a comprendere
perché dovesse sempre posizionarsi davanti all'ingresso di
casa,
quasi si fosse preso la briga di improvvisarsene guardiano. Tra
l'altro, secondo la nonna, era anche poco credibile come guardiano...
Un improvviso
colpo sordo proveniente dalla cantina, seguito da un
grido soffocato, fece sobbalzare il giovane mago che, allarmato,
scattò in piedi e scese di corsa le scale fermandosi
sbigottito
davanti alla scena che lo accolse: Nonna Andromeda, con la schiena
appoggiata alla parete, osservava pietrificata il corpo senza vita di
un giovane uomo dall'aspetto familiare disteso al centro della stanza,
accanto a un vecchio baule socchiuso.
Prima che
Teddy potesse dare un senso alla scena, la nonna agitò
debolmente la bacchetta magica, mormorando con poca convinzione
qualcosa di incomprensibile.
L'unico
effetto ottenuto dall'incantesimo fu che i capelli castano
chiaro del giovane uomo dall'aspetto familiare virarono a un turchese
acceso.
E Teddy,
sempre più sconcertato, si rese conto che quel corpo non gli
era solo familiare... era proprio il suo.
Nonna
Andromeda singhiozzò, lasciando cadere la bacchetta e
Teddy, comprendendo cosa stava succedendo, impugnò la
propria
accostandosi al corpo e scrutandolo scosso: che situazione surreale.
Con un secco Crack il cadavere
si trasformò in un uomo tarchiato, vivo e vegeto, che si
avvicinò minaccioso a Teddy brandendo una bacchetta nodosa.
«Riddikulus»
esclamò Teddy con sicurezza e il sobrio mantello nero che
avvolgeva l’uomo tarchiato si dissolse, sostituito da un
vezzoso
tutù rosa confetto.
L’uomo
cominciò a volteggiare, più o meno
leggiadro, per la stanza per poi dissolversi in uno sbuffo di fumo.
Teddy
rinfoderò la bacchetta e si avvicinò alla nonna
mormorando desolato: «Nonna...»
La donna lo
azzittì con un cenno e, sedendosi su una vecchia
seggiola un po' traballante, disse: «Sto bene, tesoro. Era
solo
un banale Molliccio che ho disturbato aprendo quel baule. Mi ha colto
alla sprovvista, ecco tutto. Non me lo aspettavo e da una ventina
d'anni a questa parte non è più così
semplice
sconfiggere un Molliccio, per me» sollevò sul
nipote uno
sguardo triste. «Non è facile renderlo
divertente».
Teddy
fissò assorto la macchia umida lasciata sul pavimento di
ceramica dal Molliccio e scosse il capo, mesto. «No. Non lo
è».
«Il
tuo era davvero molto divertente, invece. Un po' raccapricciante... ma
molto divertente».
Teddy
sorrise, ricordando come era nata l'idea per sconfiggere il suo
Molliccio.
Si era molto
preoccupato quando, una luminosa mattina di ottobre, la
Professoressa O'Sullivan era entrata nella Sala Grande annunciando
euforica che, durante la lezione di Difesa del giorno successivo,
avrebbero avuto il piacere di esercitasi con un vero Molliccio.
Teddy sapeva
perfettamente cosa era un Molliccio - adorava immergersi
nella lettura dei vecchi libri appartenuti al padre - e sospettava che
il suo sarebbe stato più difficile da sconfiggere del
calabrone
gigante e peloso che popolava gli incubi di Simon.
Perché
la cosa che Teddy temeva di più erano i
Mangiamorte. O meglio, i Mangiamorte che avevano ucciso i suoi
genitori. Figure senza un’identità precisa, senza
un
volto, e questo non faceva che renderli ancora più
inquietanti… come si poteva rendere divertente qualcosa che
ti
terrorizzava e che non conoscevi?
Era stato
Neville a suggerirgli l’idea per sconfiggere il
Molliccio, consigliandogli di immaginarsi il soggetto in questione
strizzato nel vestito più buffo e inadatto che poteva
immaginare.
Teddy aveva
colto con scetticismo quel consiglio, all'inizio, ma
Neville aveva assicurato che con lui quella tattica aveva funzionato
alla perfezione. E che era stato proprio Remus a suggerirgliela.
Teddy si era
quindi fidato e, al momento cruciale, aveva visionato il
vezzoso tutù indossato dalla sorella di Simon nella foto che
campeggiava sopra il letto dell'amico (Neville aveva parlato di vestiti
della nonna… ma i vestiti di nonna Andromeda erano troppo
sobri
per servire allo scopo. Nessun cappello dotato di volatile impagliato
soggiornava nell'armadio di nonna Andromeda). Ma quel vezzoso
tutù… oh, alla sorella di Simon stava d'incanto,
tutti i
ragazzi del dormitorio passavano ore in contemplazione del vezzoso
tutù della sorella di Simon (o della sorella di Simon, per
essere precisi, ma questa cosa era sempre stata accuratamente nascosta
a Simon medesimo) ma sul Mangiamorte… l’effetto
era
davvero molto differente.
«E
anche un Mangiamorte non è facile da rendere
divertente» affermò Andromeda distogliendo Teddy
dai suoi
ricordi.
Il ragazzo le
si avvicinò, socchiudendo gli occhi per virare i capelli
verso un colore tonksiano,
come era solito fare nelle rare occasioni in cui sorprendeva la nonna
in un momento di malinconia, ma la strega lo fermò con una
carezza e sussurrò: «No, Teddy, non farlo.
Lasciali del
loro colore naturale. Sono come quelli del tuo
papà»
sorrise divertita «io e tua madre glielo avevamo detto che
eri
identico a lui... ma lui insisteva nel dire che eri identico a
Ninfadora. E' sempre stato parecchio cocciuto...» tacque un
istante, poi sospirò. «Mi manca anche lui, sai? Mi
piaceva
molto... se solo avessi avuto il tempo di dirglielo...»
Teddy
l'abbracciò stretta, rattristato dall'amara tristezza che
vibrava nella voce della nonna. Sapeva che il rapporto della nonna con
suo padre era stato faticoso, all'inizio. Era, però, sicuro
che
il mago aveva capito i motivi della nonna. Ma non sarebbe mai riuscito
a convincere lei: era cocciuta almeno quanto sosteneva lo fosse Remus
Lupin. E solo Remus Lupin in persona sarebbe riuscito nella disperata
impresa di convincerla di quella cosa.
La fiera
resistenza posta dalla sua bisbetica coscienza stava
vacillando, constatò Teddy un po' sorpreso, indebolita da
una
semplice constatazione: se quella notte lui fosse davvero riuscito
nella sua impresa, il mondo sarebbe stato un pochino migliore anche per
nonna Andromeda.
Casa Potter, 2 maggio
2018 A.D.
Teddy era immerso
nei propri pensieri, non era facile trovare il modo più
adatto per porre a Harry quella
domanda.
Era una
domanda delicata.
Ma Teddy
proprio non poteva evitare di farla. Doveva sapere se
l’eventuale mancanza di Remus tra le quattro Anime che
avevano
accompagnato Harry nella sua difficile camminata nella Foresta
Proibita, proteggendolo dal manipolo di Dissennatori in attesa e
sostenendolo nel momento della resa a Voldemort, avrebbe cambiato la
scelta di Harry.
Teddy,
conoscendo il padrino, pensava di no… ma non poteva non
chiedere.
Harry
rispondeva sempre con sincerità e chiarezza alle domande
che Teddy gli poneva. Da sempre. E Teddy era sicuro che avrebbe
risposto con sincerità e chiarezza anche a quella domanda.
Ma voleva
pensare bene a come porla, perché Harry non amava
parlare di quell’avvenimento e Teddy non amava mettere in
difficoltà Harry.
Ma non era
facile pensare a come affrontare un argomento tanto delicato
mentre due ragazzini esagitati parlavano frenetici tra di loro
coinvolgendolo nelle loro chiacchiere spensierate.
Teddy, non
volendo rattristarli, anche se con la testa era da
tutt'altra parte, fingeva grande interesse e, di tanto in tanto,
annuiva con estrema partecipazione.
Era rischioso
come comportamento, e lo sapeva. L’ultima volta che
aveva finto grande interesse e annuito con estrema partecipazione
mentre era immerso nei propri pensieri, si era ritrovato arruolato in
una spedizione di ricerca spinta dall’ammirevole intento di
trovare una colonia di Nargilli.
Ma ora non
era Natale e non c'era vischio nei paraggi. I Nargilli non
avrebbero dovuto costituire un problema, al momento…
«Teddy?
Tu quanti anni avevi quando lo hai fatto per la prima volta?»
Il giovane
mago si riscosse dai suoi pensieri, scrutando allibito la ragazzina dai
capelli ramati che gli sedeva accanto.
«Io...
temo di essermi perso qualcosa, Lily, di cosa stiamo
parlando, esattamente?» indagò, giocherellando
distratto
con la grossa fetta di crostata al rabarbaro che aveva nel piatto e
sperando ardentemente che la prima volta in questione non riguardasse
in nessun modo Victoire Weasley.
«La
prima volta che hai volato su una vera scopa,
naturalmente» precisò la piccola, scoccando
un’occhiata infuocata alla madre.
Sollevato,
Teddy posò la forchetta e corrugò la fronte.
«Oh... sì... otto anni, credo. Più o
meno»...
... Continua ne
“La Chiave del Tempo”
Ed eccoci arrivati alla decima tappa del nosto Viaggio.
L'ultima tappa.
Ebbene sì, il nostro avventuroso viaggio sulle tracce dei
Custodi delle Chiavi del Tempo è giunto al termine.
L'Ultima Chiave, concluso il suo tortuoso cammino, è giunta
nelle mani
dell'Ultimo Custode - almeno per il momento - Teddy Remus Lupin.
Se volete sapere come Teddy la userà dovete solo leggere "La
Chiave
del Tempo" (comincia esattamente dal punto in cui si conclude questa
storia).
Se lo farete, l'Ultimo Custode ne sarà contento. E io con
lui! ^^
E voi potrete scoprire cosa accomuna un ragazzino romano vissuto nella
Britannia del I secolo D.C. a un giovane mago che vive nell'Inghilterra
di venti secoli dopo.
Ora le ultime "Note di Servizio" di questa storia:
Il Tortotronco
è una
mia invenzione, J.K. Rowling non ce ne ha mai parlato... ma a me
serviva qualcosa del genere.
Spero ardentemente di non aver offeso
troppo i puristi del Mondo della Rowling con la sua opinabile
invenzione... ^^
Il lacero Cantastorie citato di sfuggita in questo capitolo
avrà
un importante ruolo ne "La Chiave del Tempo", quindi mi pareva carino
accennare a lui anche qui.
Infine, so che il "mio" Teddy è piuttosto distante dal Teddy
medio delle fanfiction. Non è una specie di irresistibile
cataclisma dai capelli cangianti, ma un ragazzo normalissimo,
forse un po' più maturo dei suoi coetanei, e soggetto anche
a
(rari, per la verità) momenti di malinconia.
Questo potrà forse sembrare strano a molti, ma io Teddy lo
immagino
così (lo vedo molto più simile a Harry che a Ron
o ai gemelli, per intenderci, vista e considerata la sua storia
personale) e non ci
posso fare nulla. ^^
Per concludere: un ringraziamento a tutti coloro (sono tantissimi e non
me lo aspettavo tenuto conto della particolarità di questa
storia) che hanno letto "I Custodi delle Chiavi del Tempo", a quelli
che l'hanno inserita tra le preferite o le ricordate e, soprattutto, a
coloro che sono stati tanto carini (e pazienti) da farmi conoscere i
loro
pareri.
Sappiate che sto già pensando a una sorta di Epilogo (che
temporalmente si va a posizionare prima dell'Epilogo de "La Chiave del
Tempo").
Prima o poi troverò il tempo di scriverlo... e, magari, il
modo
di pubblicarlo! Fatevene una ragione. ;)
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