Capitolo 8
La Nuova
Realtà
Mille Nuove Strade
Ed
Altrettante
Scoperte
NdA:
scusate immensamente, carissimi lettori di Life, per questo lunghissimo stop.
Da questo capitolo si ritorna a casa Gatsby, la sera dopo l’arrivo di Martina,
Tom, Benji e Colette. Ah, ragazzi, mi sono presa la “piccola” libertà di
eliminare il fratello di Holly, scomodo per la trama della storia (oh, non è
che è morto pure lui, soltanto che non è mai nato!).
Quando
la mattina successiva Roberto andò in camera di Patty, dove erano alloggiate
anche Jenny, Amy, Colette e Martina, per controllare le ragazze, si trovò
davanti ad una scena molto dolce ed un po’ equivoca: Patty e Holly, beati,
l’uno nelle braccia dell’altra, riposavano sul letto, mentre appoggiati di
schiena al letto stavano Julian e Philip, che cingevano con un braccio le
rispettive compagne. Colette era su una poltrona di vimini, con Benji come
materasso, ma di Martina e Tom non c’era neanche l’ombra. All’appello mancava
anche Bruce, che però aveva visto dormire in compagnia di Raiden, nella stanza
che teoricamente avrebbe dovuto occupare tutta la componente maschile della
compagnia.
Roberto Sedinho 3 Marzo ore 6:04 AM
Oh no! Dove sarà adesso quel tornado di ragazza? Ieri
sera per poco esco pazzo, con quella ragazza in giro. E adesso lei e il suo
degno compare scompaiono dalla stanza in cui, almeno teoricamente, dovrebbero
trovarsi. Chissà che fine avranno fatto? Certo che sono tremendamente teneri,
sia loro che quei due! Ma, per il tempo che resteranno qui a dormire, dovranno
stare in stanze separate. Non vorrei ritrovarmi a dare ricovero anche a un
branco di ragazze madri con relativi ragazzi al seguito, rischiando anche il
linciaggio dalle rispettive madri.
Lo
sguardo di Roberto vagò di nuovo per la stanza, sperando di vedere una traccia
della ragazza dai capelli rossicci, ma non la vide da nessuna parte, così
sospirò e uscì dalla stanza, sperando che non si fosse cacciata nei guai.
Conosceva l’indole pacifica e calma di Tom, ma, perlomeno da quanto aveva visto
e sentito la sera prima, pareva l’italiana riusciva a trascinarlo in situazioni
al limite dell’assurdo.
Di
certo Roberto Sedinho non immaginava che la folle Martina Maroni aveva avuto
l’idea di andare a guardare le stelle sul letto, trascinando anche il riluttante
Tom, e, dopo circa un’ora passata sdraiati sulle tegole, si erano addormentati
là sopra, nonostante la notte fosse piuttosto fredda, l’una tra le braccia
dell’altro.
Il
primo a svegliarsi fu Tom che, intontito, guardò prima il cielo che lentamente
stava schiarendo e la bella ragazza che ronfava tra le sue braccia, la ragazza
che, sapeva, sarebbe stata capace di
seguirlo fino ai confini del mondo ed anche oltre, se il suo ragazzo glielo
avesse chiesto. I suoi capelli, illuminati dal primo sole, mandavano dei
magnifici riflessi rosso-dorati, ed il sorriso che aveva sulle labbra gli
scaldava il cuore. Certo, Martina Maroni era una ragazza forte che sprizzava
energia da tutti i pori, forse un po’ fuori dal normale ideale di ragazza, ma
possedeva in sé anche un punto debole, una parte del suo cuore, nascosta a
tutti, nella quale qualcuno le aveva inferto una ferita che la faceva soffrire
ancora e della quale Tom non conosceva nulla, un’incrinatura nella sua
sicurezza e giovialità, quasi come se fosse un pezzo di puzzle che qualcuno le
aveva strappato e cercava di nascondere a tutti.
Delicatamente,
iniziò a passarle una mano tra la folta chioma, sorridendo a quella
straordinaria ragazza che riposava al suo fianco.
Tom Becker 3 Marzo ore 6:29 AM
Quanto è bella! Non solo fisicamente, ma anche
spiritualmente. Nessuno sembra comprendere la sua complicata psiche. Neppure io
la capisco completamente, ma una cosa penso di saperla: lei fa tutto alla
ricerca della felicità. Che sia la sua o quella altrui non importa, ma lei è
volta sempre alla felicità. Ancora non è completamente felice, lo sento, ed io
voglio impegnarmi per donarle ciò che desidera. Io la amo, non ci sono dubbi. E
lei? Lei è così affascinante, dolce, premurosa, allegra… ma mi ama? Come io non
l’ho mai detto, almeno a voce, lei neppure l’ha fatto. Mi dimostra un immenso
affetto ma… questo è amore? Lo so,
dovrei smetterla di pensarlo… e dovrei smettere anche di darle retta ed esaudire i suoi capricci più
strampalati, dato che fa “un po’” freddino qui fuori. Me lo dice sempre
Trappippi che la sua compagnia mi carica in campo ma mi rende anche piuttosto
pittoresco, se non del tutto strambo fuori! Ma come posso non accontentarla? E’
così convincente…
Martina
Maroni 3 Marzo ore 6:31 AM
E’ talmente immerso nei suoi pensieri che non si accorge
neppure che non dormo! Quanto è dolce, però. Come farò quando lui se ne andrà
via? Crede che non sappia che l’Ascoli ha ricevuto parecchie richieste da parte
di altre squadre, oltre, naturalmente, alla chiamata della sua ex squadra? Lo
so che molto presto mi abbandonerà. Tom, tu dovrai lasciarmi e ti dimenticherai
di me, eppure non posso fare a meno di aggrapparmi a te, quasi come se per me
la tua presenza sia diventata essenziale per l’esistenza. Cosa farò quando andrò
allo stadio e la maglia numero undici la vedrò sulle spalle di un altro? Cosa
farò quando agli allenamenti non potrò più gridare il tuo nome, rendendo sordi
Trappippi ed i tuoi compagni? Cosa ne sarà di me senza Thomas Becker? Come farò
se in un unico momento svanissero il mio fratellone iperprotettivo, il mio
buffo amico del cuore, il mio più intimo confidente e, soprattutto, come farò
senza il dolce centrocampista che ha fatto gol nel mio cuore? Come farò? L’ho
visto ieri, insieme a tutti i suoi vecchi amici. Lui è felice qui con loro,
nonostante il pessimo momento. Ha degli amici ed amiche molto simpatici,
gioviali ed io, un’italiana, potrei rovinare tutto. Mi sento come se dovessi
portarlo via da loro, se lo legassi ad una promessa, ma non posso neppure
rinunciare a lui. Ormai è troppo importante per me.
Tom fu sconvolto dalla vista delle lacrime di Martina, che
rigavano il suo volto sorridente. Possibile che con quel sorriso nascondesse le
sue vere emozioni? Che qualcosa, in quel momento, la stesse sconvolgendo a tal
punto da far sciogliere persino la sua irreprensibile corazza di ragazza forte
ed indipendente?
- Martina, stai bene?
Lei scosse la testa.
- Cosa c’è? Cosa ti turba?
- Il pensiero di un giovane giocatore di calcio giapponese
che è richiesto da molte squadre, ha tanti amici al suo fianco ed una ragazza
di troppo che potrebbe tarpargli le ali e allontanarlo dagli amici perché la
sua patria è a migliaia di chilometri dal paese d’origine di lui- rispose,
aprendo gli occhi ma senza guardarlo, mentre un sospiro le sfuggiva dalle
labbra.
- Pensi che tu, per me, sia un ostacolo?
- Sì, perché lo sono. Io sono italiana, abitante di una
città non certo piccola, ma una piazza del calcio non certo importante come
quelle di Roma, Torino e Milano, non importante come i club di calcio
sudamericani o europei. Non posso tenerti lontano dal tuo amato calcio. E
neppure dai tuoi amici. Io non posso pretendere che tu rinunci a tutto questo
per me.
- Martina, non definirti come ciò che non sei. Tu non
sarai mai un ostacolo per me. A me non interessa dove gioco, ma divertirmi
mentre lo faccio. Non posso essere un giocatore di calcio che non si diverte. E
sai quando mi diverto?
- Quando?
- Quando guardo in panchina e ti vedo gridare per me,
magari con il cappello e la sciarpa al collo, vedere che tu tieni a me. Se tu
sei con me, io mi diverto sempre. E per quanto riguarda gli amici… Benji sta in
Germania e Holly, se si riprenderà, verrà in Europa con Patty, posso giocarmi
tutto quello che ho su questo. Avrò i miei più cari amici molto più vicini che
se giocassi qui. Poi ci saranno i ritiri per rivederci. Inoltre, non sarò mai
lontano da loro finchè sarò in contatto con Holly e potrò telefonare a Benji.
Un’amicizia non si basa sulle distanze.
- Ma non vorresti giocare in una grande squadra, Tom?
- Non posso mentirti. Mi piacerebbe poter giocare di nuovo
in un grande club, ma non adesso. Ho ancora tanto da imparare da Trappippi.
- Ma quando non avrai più nulla da imparare?
- Allora mi dedicherò all’Ascoli. Diverrò la sua bandiera,
se è necessario, e lo porterò in serie A. Così potrò giocare contro i grandi
club e non saremo costretti a separarci. Io non posso lasciarti, lo sai. Ho
promesso.
Le lacrime continuarono a scorrere lungo le sue guance,
irrefrenabili.
- Tom… perché fai ciò per me?
- E’ scritto sulla tua maglia, Megafono Umano- rispose,
asciugandole una lacrima dalla guancia.
Martina, per la prima volta in quella giornata, lo guardò
negli occhi.
- Cosa vuoi dire?
- Che ti amo- sussurrò, baciandola dolcemente.
- Come puoi amare una come me?- chiese tra le lacrime.
- Sei speciale. Tu illumini la mia giornata, sai farmi
ridere quando ne ho bisogno, sfogare se ne ho voglia, mi liberi dalla mia
innata timidezza e sai spronarmi a dare il massimo con un solo sguardo. Io amo
di te la tua forza, la tua allegria, anche la tua caparbietà e lo strano senso
dell’umorismo che possiedi, perché senza non saresti la stupenda ragazza che
sei. Non posso fare a meno di volerti bene e di prometterti mari e monti. Io
voglio donarti tutto ciò che desideri, vederti sorridere ogni giorno, voglio
che tu sia la persona più felice di questo mondo, capisci?
Vedendo ancora le lacrime rigarle il volto Tom non capì
che non era dolore il suo, ma sollievo, la gioia di sentire che qualcuno al
mondo le voleva un bene tale da arrivare al sacrificarsi per lei.
- Io non ti merito, Tom- sussurrò, chiudendo nuovamente
gli occhi – Sei sempre così dolce nei miei confronti… vorrei poterti dimostrare
quanto tengo a te senza apparire scontata o troppo melensa. Io…
Un dito di Tom la bloccò.
- Non dire nulla. Quando sarà il momento il cuore saprà
che cosa farti dire e come farti agire, capito?
Lei sorrise ed annuì. Aveva capito che Tom non le avrebbe
mai rinfacciato nulla, anche se fosse stato costretto a lasciare andare il
treno del successo. E comprese anche che doveva impedirgli di compiere questo
sacrificio.
La prima a svegliarsi fu Colette, svegliata dal rumore
della porta che si chiudeva.
Intontita, si guardò intorno qualche istante, prima di
ricordare come mai si trovasse lì, addormentata sul portiere della sua squadra,
in una stanza piena di ragazzi e ragazze, che dormivano gli uni sugli altri.
Colette Montgomery 3
Marzo ore 6:08 AM
Sono tra persone che non conosco, eppure… io non mi
sento fuori posto. Loro mi hanno trattato come una di loro, con naturalezza e
tranquillità, come se mi conoscessero dalla vita. Persino Benji mi sembra
diverso da quando è ad Amburgo. E’ vero che mi ha detto che non gli piace
comportarsi naturalmente con i suoi compagni di squadra, ma vedendolo tra gli
amici sembra quasi un altro Benji. Chissà cosa prova per Martina… Lei, si vede
perfettamente, è legatissima a Tom, ed è ricambiata con la stessa intensità, ma
non so se questo potrà fermare i suoi piani.
Guardò attentamente la stanza della ragazza, sorridendo
alla vista di Holly e Patty che, nonostante il dolore che avevano nel cuore,
nel sonno riuscivano a sorridere. Sapeva che non avrebbe potuto comprendere il
loro dolore, ma lei sapeva cosa significasse non poter più vedere uno dei
genitori, anche se, naturalmente, quella distanza era stata una precisa volontà
di sua madre.
Ripensare alla madre la faceva sentire sempre
tremendamente sola. Aveva nove anni quando aveva visto per l’ultima volta la
madre. Ricordava perfettamente quel giorno, al “Grand Hotel” di Milano. Lei e
suo padre erano andati lì per seguire una sfilata della madre, la più
importante dell’anno, e lì la madre sarebbe andata ad incontrarli, per cenare
tutti assieme.
Aveva stentato a riconoscere la rubiconda madre nell’eterea
bellezza che, con passo sicuro, si avvicinava a loro. Due anni prima, quando
era andata via, era un’alta donna, leggermente in soprappeso, che di solito
indossava jeans e maglietta, entrambi di almeno un paio di taglie più grandi,
eternamente sorridente, con i capelli biondo platino, come quelli della figlia,
lasciati sciolti e gli occhi azzurro ghiaccio, che sprizzavano energia, mentre
la donna che si avvicinava a loro con passo fermo era una pallida silfide,
fasciata da un abito argenteo, che sotto la luce dei lampadari brillava di
mille riflessi cangianti, con i capelli raccolti in un elegante chignon, la
bocca, velata da un sottile filo di rossetto di una tinta fredda di rosa,
ridotta ad una rigida fessura e gli occhi, color del ghiaccio, privi di
qualsiasi luce, esaltati da un ombretto argenteo ed il mascara.
Lei si era slanciata tra le sue braccia, ma la donna
l’aveva ignorata, avvicinandosi al marito e porgendogli la mano, che lui
galantemente baciò.
- E’ un piacere rivederti, Maria.
- Bando ai convenevoli, Vincent. Andiamo a cena, così
potremo sbrigarci a firmare le carte e renderlo ufficiale.
- Io speravo che avremmo potuto parlare.
- Il tempo delle parole è finito. Ormai non provo più
nulla per te. E’ già tanto se ti ho concesso trenta minuti per questa insulsa
cena.
- Non vuoi ripensarci?
- No.
- Neppure per Colette? Cosa le dirò?
- La verità- fece lei, gettandole un’occhiata con la coda
dell’occhio- Che i suoi genitori non si amano più e che sono davvero troppo
impegnata per essere stilista e madre, quindi rinuncio alla patria potesta. Io
non ho tempo da perdere con i bambini, neppure se sono figli miei.
- Come puoi dirlo? E’ pur sempre tua figlia!
- Un peso, ecco cosa è. E’ una bambina grassoccia e con le
gambe corte. Non voglio più vedermela davanti. Io non ho più una figlia e,
quando avrò firmato quelle carte, non avrò neppure più un marito. E, dato che
hai perso tutto questo tempo, dammi una penna, così firmiamo. Devo tornare
subito dalle mie modelle.
Sul momento non aveva capito cosa stesse accadendo, poi,
quando aveva visto la madre andarsene, aveva fatto per rincorrerla, ma la
donna, con voce stizzita, guardò la bambina sorridente e disse:
- Colette, tu non sei più mia figlia, adesso. Vattene. Non
voglio vederti vicino a me mai più, capito?
A quelle parole, ricordò, era scoppiata a piangere e aveva
cercato di abbracciarla, ma una guardia del corpo della donna, impietosita,
l’aveva presa in braccio e consegnata al padre, che guardava l’esile figura
dell’ormai ex moglie con aria depressa.
A quel punto Colette chiuse di nuovo gli occhi, cadendo
nuovamente tra le braccia di Morfeo.
Patty fu svegliata da un lieve movimento accanto a sé ed
aprì gli occhi. Holly era sveglio e, tentando di non svegliarla, cercava di
scendere dal letto.
Patty sorrise al suo capitano e, silenziosa, scese dal
letto e lo aiutò a scendere, facendolo quasi gridare per la sorpresa quando la
vide apparire davanti a lui, con la mano tesa per aiutarlo a mettersi in piedi.
- Holly, so dove vuoi andare- sussurrò lei, sorridendo.
- Come?
- Ti conosco. E’ tutto pronto.
Gli occhi di Holly brillarono nel vedere la ragazza del
suo cuore accucciarsi a terra ed estrarre da sotto il letto un borsone, che si
mise a tracolla.
Patricia Gatsby 3 Marzo ore 06:17 AM
Crede che non sappia che da quando si è ritrovato in
grado di correre come una freccia, la sua voglia di allenarsi è decuplicata? Ho preparato tutto ieri, in
segreto, quando mi credeva addormentata. Ho messo tutto il necessario e adesso
è pronto per tornare ad allenarsi. Non è certo il giorno più indicato, ma è
anche vero che il tempo scorre veloce e dobbiamo sbrigarci a farlo tornare
l’Oliver Hutton di un tempo. Bene, Patty, da oggi torni ad essere la manager
del capitano.
Oliver Hutton 3 Marzo ore 06:07 AM
Come fa a leggermi dentro così bene? Si aspettava che
oggi volessi tornare ad allenarmi ed ha già preparato tutto. Mi sembra di
essere tornato ai tempi della New Team, quando lei era sempre al mio fianco,
sfacchinando tra il campo e gli spogliatoi ed aspettando sempre che finissi gli
allenamenti, soltanto per darmi un asciugamano pulito con cui asciugarmi la
fronte. Come avrei fatto senza di lei?
- Vogliamo andare?- sussurrò Patty, passando un braccio di
Holly sulle sue spalle, per aiutarlo a scendere le scale.
Nonostante l’imbarazzo, accettò l’aiuto offertogli da
Patty, assaporando quel dolce momento con tutto il cuore, cosa che anche Patty
faceva, e a malincuore, arrivati al piano terra, si separarono.
- Sei pronto capitano?- chiese Patty, guardando il suo
ragazzo uscire dallo spogliatoio del vecchio campetto comunale, con indosso la
sua divisa della New Team, che, a quanto sembrava, gli stava ancora a pennello,
cosa di cui si stupì.
Il sorriso sul volto di Patty ebbe l’effetto di fargli
capire tutto: doveva essere stata lei a sistemarla per fare in modo che potesse
indossarla di nuovo nonostante il tempo passato dall’ultima volta.
Il ragazzo si avvicinò alla ragazza, che indossava un paio
di shorts neri, piuttosto attillati, ed una maglietta bianca lunga, che per
comodità aveva annodato poco sopra l’ombelico, in modo che fosse larga ma non
l’intralciasse nei movimenti. I lunghi capelli scuri erano legati in una coda
alta, che poi aveva piegato contro la testa e legato alla base della stessa,
riducendo sensibilmente la massa di capelli in movimento, che avrebbero potuto
interferire con i suoi movimenti ed infastidire Holly in un probabile scontro
di gioco. Sapeva che per far riprendere Holly avrebbe dovuto partecipare
attivamente e prontamente al moto del giovane calciatore.
- Patty…- fece Holly, comprendendo solo in quel momento
l’utilità del suo abbigliamento molto sportivo.
- Sì, Holly?
- Come mai ti sei vestita… così?
- Per aiutarti. Dovrai superare anche qualche blocco
psicologico, dopotutto, e avere un avversario ti aiuterà a superarli.
- Ma io sono… come dire…
- Un campione?- fece lei, con aria scettica.
- In effetti….
- Ma tu devi ricominciare da capo, non dimenticarlo. Devi
iniziare con un avversario relativamente facile.
- Cosa vuoi dire con “relativamente facile”?
- Lo vedrai, Oliver Hutton- rispose, con un sorriso
sornione che non faceva presagire nulla di buono.
La ragazza prese la palla dal borsone e la lanciò nel
campo.
- Vediamo come va il controllo di palla, signor Campione-
fece lei, con tono di sfida.
Holly immediatamente si lanciò verso la palla ed iniziò a
correre lungo il campo, ma improvvisamente la palla non era più tra i piedi, ma
un paio di metri più in là, dove i suoi piedi, fuori allenamento, l’avevano
spedita.
- Uhm… dobbiamo fare un mucchio di roba, io e te- fece
Patty, recuperando la palla con i piedi e lanciandola verso Holly, che non
riuscì ad agganciare non per colpa del lancio della ragazza, piuttosto preciso.
Lo sguardo che Holly rivolse alla ragazza era di puro
stupore: non riusciva a credere che Patty potesse aver fatto un passaggio così
preciso!
Oliver Hutton 3 Marzo ore
06:24 AM
Ma… ma è stata proprio Patty a farlo? Ma… ma come ha
fatto? Non mi ha mai detto di essere così brava nei passaggi… anzi, non mi
aveva mai detto di cavarsela così in campo calcistico! Ma dove ha imparato a
farlo?
Patricia Gatsby 3 Marzo ore
06:24 AM
Poverino! Mi sa che l’ho scioccato! Non immagina
minimamente che abbia imparato a giocare proprio guardando giocare lui e gli
altri! Se non avessi osservato attentamente i loro movimenti a quest’ora non me
la caverei così.
- Come mai quella faccia? Vuoi essere l’unico a saper
giocare a calcio in questa città? Su, adesso muoviti ed iniziamo con i passaggi
tra me e te. Hai ancora molto da recuperare, in quanto a controllo di palla, ed
il tempo stringe, per tua sfortuna- fu l’entusiastico incoraggiamento di Patty,
che a stento si tratteneva dal ridere alla vista del volto stupito di Holly.
Holly fece come gli era stato detto ed iniziò a fare dei
passaggi, molto lenti, tra lui e Patty, sperando con tutto il cuore di potersi
riprendere alla svelta il posto di capitano del San Paulo e della Nazionale
Giapponese, ma allo stesso tempo domandandosi dove e come Patty avesse imparato
a giocare a calcio. Non era certo al suo livello come preparazione, ma, pensò,
sarebbe riuscita a saltare un avversario del calibro di Bruce, con un pizzico
di fortuna.
- Patty…- fece lui, mentre cominciava a prendere il ritmo
dei passaggi- Chi ti ha insegnato a giocare così?
- Come chi mi ha insegnato a giocare? Ma tu, ovviamente-
fece lei, tranquilla, senza staccare gli occhi dal giovane.
- Io? Ma… come…
- È bastato osservarti mentre ti allenavi e copiare i tuoi
movimenti. Sono stata così tanti pomeriggi a seguirti nei tuoi allenamenti,
straordinari e non, che ho cominciato a capire e ricordare i movimenti che
facevi. Mi sono allenata ogni giorno, mentre eri in Brasile, e anche mentre
stavi male ho continuato a lavorare. Sapevo che saresti tornato il mio Oliver
Hutton, il calciomane indefesso e volevo farti una sorpresa- fece lei,
abbassando il capo ed arrossendo un po’ mentre pronunciava l’ultima parte,
perché si era resa conto di aver esagerato un po’.
- Dici sul serio, Patty?- fece lui, imitando nel colorito
delle gote la ragazza che gli stava di fronte.
Lei annuì, continuando a passare la palla, per poi
sorridere e tornare a guardare in volto il ragazzo.
- Certo, non sarò mai in grado di fare una rovesciata, ma
con la palla a terra non penso di essere poi troppo male. Sai, nessuno sa che
io gioco così. Bruce e gli altri mi avrebbero preso in giro, se avessero
saputo.
- Mi piacerebbe molto poterti far vedere ciò che ho
imparato al San Paulo, invece che certi concetti base- fece lui, rattristato
dal fatto che Patty potesse mostrargli i suoi progressi mentre lui no.
- Presto mi potrai far vedere tutto quanto. Tornerai come
nuovo ed anche meglio. Te lo giuro Holly. Io starò qui con te fino a quando non
sarai di nuovo il campione che sei sempre stato.
Holly guardò la ragazza, stupito. Nei suoi occhi nocciola
si vedeva l’ombra delle lacrime ma bruciava anche una forza che lui conosceva
sin troppo bene, dimostrata anche dalla sua bocca, ridotta ad una fessura
stretta ed i pugni che stringeva con forza.
Per un attimo rivide in lei la piccola Patricia Gatsby, allora
undicenne, quella forte ragazzina che andava in giro indossando l’uniforme
maschile, che, con aria assassina, guardava gli avversari che osavano fargli
fallo, tanto da tentare più volte di scendere in campo per fare giustizia con
le sue stesse mani, alla cui immagine si sovrappose una Patty più recente,
stavolta quattordicenne, che, tra le lacrime che le portava l’immensa
preoccupazione per il suo stato di salute, lottava al suo fianco per farlo
tornare in campo nonostante la reticenza del suo medico.
Lentamente, si avvicinò alla ragazza e l’abbracciò con
molta tenerezza, lasciando che la ragazza potesse appoggiare il volto contro la
sua forte spalla. Sapeva che era uno dei momenti in cui si faceva sommergere
nuovamente dal senso di colpa per quel maledetto incidente.
- Io ce la metterò tutta, Patty- sussurrò lui, aspirando
con calma il profumo della sua capigliatura mentre l’accarezzava lentamente –
Non mollerò mai, hai capito? Ma tu non devi lasciarti andare, mi capisci Patty?
Non devi avere più pensieri del genere, capito? Lo sai che cosa penso di questi
sensi di colpa.
Sentì Patty singhiozzare sommessamente contro di lui, per
alzare di nuovo il volto, passarsi un braccio sul volto per asciugare gli occhi
dalle lacrime che non aveva versato e guardarlo con intensità. Sapeva che aveva
ragione ed ormai quel discorso lo avevano fatto decine di volte.
- Continuiamo?- sussurrò lei.
Il radioso sorriso del suo Holly e il lasciarla andare
rispose al posto della sua voce, così la ragazza recuperò il pallone e ricominciò
a fare i passaggi con il ragazzo, con rinnovata energia.
Quando Raiden si svegliò notò che Bruce non era al suo
fianco ma alla finestra, a fissare con aria assorta il cielo azzurro.
- Qualcosa non va, Bruce?- chiese l’uomo, accomodandosi
accanto al ragazzo dai capelli scuri.
- Pensavo a tutta questa situazione, Raiden.
- Cosa intendi dire?
- Che tutti, intorno a me, stanno crescendo, viaggiano,
evolvono… mentre io sono fermo dove ero qualche tempo fa. Tom adesso gioca in
Italia, è corteggiato da parecchie squadre ed ha una ragazza un po’ matta ma
bella come il sole; Benji è considerato uno dei migliori portieri d’Europa ed
ha al suo fianco una ragazza delicata e a modo, di cui è più geloso della sua
stessa vita; Roberto è tornato dal Brasile ed allenerà la New Team; Julian e
Philip hanno trovato lavoro e le ragazze che sempre li hanno affiancati non li
hanno abbandonati; per non dimenticare Patty e Holly… loro in un anno hanno
visto la vita capovolgersi completamente. Come è possibile che io non riesca ad
evolvere come loro? Io ancora dipendo dai miei genitori.
- Non dire così, Bruce. Tu stai cercando di entrare in una
squadra di calcio e questo significa che desideri lavorare. Per il resto, ossia
il campo sentimentale, non dovresti farti certi problemi. Quando sarà il
momento troverai chi ti starà a fianco per la vita.
Bruce guardò l’uomo saggio che gli stava a fianco e pensò
anche al dolore che poteva covare sotto il sorriso radioso che mostrava. Figlio
e nuora morti in un incidente stradale, una nipotina caduta in mare ed una
moglie morta di dolore soltanto due settimane dopo, ed ora solo al mondo. Provò
improvvisamente un moto di grande affetto per quell’uomo, quasi fosse una
specie di nonno, e l’abbracciò con forza, come non aveva mai potuto fare con
suo nonno, morto prima che lui nascesse.
Non una parola fu pronunciata mentre quell’abbraccio
sanciva lo stringersi di un legame sempre più forte tra i due, che fino a qualche giorno prima non si erano
neppure mai visti ed ora si trovavano a vivere una realtà drammatica non loro.
Il pallone da calcio sfrecciò piuttosto rapido in
direzione del palo alla destra della ragazza e Patty, lesta, si gettò per
tentare di fermarne la corsa. Non era certamente uno dei migliori tiri di
Holly, dato che era palese che sarebbe finita fuori, ma in quanto ad energia
non era scarso come la ragazza si aspettava da qualcuno che non calciava più
una palla da diversi mesi ed aveva subito un intervento di ricostruzione quasi
totale dell’ossatura dell’intera gamba sinistra.
Holly la vide letteralmente volare in direzione della
palla, rapida ed aggraziata come una pantera, e deviarne la traiettoria con un
pugno, per poi ruzzolare a terra, finendo a pancia in giù sul prato.
Holly immediatamente le fu accanto, preoccupato per le sue
condizioni, ma lei, senza scomporsi, si sedette, spazzò via terra ed erba dai
vestiti e, accettando l’aiuto della mano tesa di Holly, si rimise in piedi.
- Holly, sei stato grandioso!- esclamò lei, donandogli un
immenso sorriso mentre, troppo euforica per trattenersi, gli gettava le braccia
al collo- Non mi aspettavo che ancora avessi un tiro del genere! Se già va così
bene la potenza, sono certa che anche il controllo tornerà quello di un tempo.
Oliver Hutton 3 Marzo ore
07:25 AM
Il suo sorriso… come ho fatto a sopravvivere senza
vederlo per più di tre mesi? Come ho fatto senza di lei in quel periodo? E’
così dolce… e bella. Quando sorride è come se l’aria intorno s’illuminasse ed i
suoi occhi divenissero luce pura, in grado di donarmi nuova forza.
Guidato dal puro istinto, Holly le passò le braccia
attorno alla vita e pose le sue labbra su quelle della ragazza con estrema
dolcezza, quasi volesse ringraziarla con quel gesto per tutto ciò che lei aveva
fatto per lui.
- Come mai tutto questo?- sussurrò lei, sorridendo.
- Ti amo. Basta per giustificarmi?
- Penso di sì, ma non dobbiamo battere la fiacca, per cui
lasciamo le coccole per stasera e torniamo ad allenarci, ok?
La luce che i suoi occhi emanavano era troppo forte perché
Holly avesse la forza di opporsi al suo volere, così prese la palla e tornò sul
dischetto del rigore, pronto a lanciare nuovamente la palla alla ragazza tra i
pali.
Quando Benji si svegliò per poco non ebbe un colpo
apoplettico. Colette dormiva ancora in braccio a lui, con la testa appoggiata
alla sua spalla, raggomitolata in posizione fetale. Ciò che lo fece sobbalzare
fu una lacrima rimasta intrappolata in un ciglio e il fatto che fosse così
contratta, come se cercasse un po’ di calore da quel contatto.
Benjamin Price 3 Marzo ore 07:12 AM
Cosa succede? Perché Colette sembra così triste? Cosa
può averla ferita? E’ imbarazzata dal fatto di essere qui come turista? No, non
penso. Certo, non era spigliata come con Tom e Martina, ma sembrava trovarsi
bene con loro. Che sia qualche sogno che l’ha fatta soffrire? Un incubo?
Con fare affettuoso, abbandonò la testa in direzione della
sua ed abbracciò la tedesca, che a quel contatto sembrò rilassarsi, sorridendo
e accoccolandosi ancora di più contro di lui, si spostò verso di lui. Fu durante
questo movimento che le sue labbra sfiorarono inavvertitamente ed in modo a
malapena percettibile quelle di Benji, che immediatamente smise di respirare al
contatto. Sentiva mozzarsi il respiro in gola ed il cuore, all’improvviso,
aveva iniziato a battere talmente forte che sembrava sul punto di esplodere.
Mai in vita sua aveva provato un’emozione del genere, men
che meno a causa di un semplice tocco di labbra sulle sue! Fin troppe volte le
fan gli erano saltate addosso per baciarlo o anche andare oltre, ma nessuna era
riuscita a suscitare emozioni tanto forti in lui come Colette in quel momento.
Era stato qualcosa di estremamente coinvolgente, la sensazione più intensa dei
suoi diciassette anni di vita, e gli era stata donata proprio da quella ragazza,
la più tranquilla e pacata che conoscesse, con il gesto più innocente di questo
mondo.
I suoi occhi si posarono su quella figura esile, sulla
ragazza dai capelli chiari e con occhi simili al mercurio, al momento celati
dalle palpebre. Ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista, al suo
arrivo al campo della società.
Lunghissimi capelli biondi, tenuti stretti in una lunga
coda che ricadeva sulla spalla sinistra, ed aria un po’ spaurita, stava seduta
su una panchina accanto ad una limousine e, probabilmente, attendeva il padre.
Stava scrutando con i suoi grandi occhi tutto ciò che la
circondava, quando si era soffermata sul giovane giapponese che stava
ricambiando il suo sguardo, incuriosito da tutto ciò che lo circondava.
Lui aveva salutato toccando la tesa del cappello, poi era
stato chiamato da Freddy ed era andato da lui, che voleva presentarlo
all’allenatore.
Improvvisamente, vide le palpebre della ragazza iniziare a
sollevarsi, sino a quando gli occhi di Colette, spalancati, incrociarono i
suoi, mentre un sorriso faceva capolino sul suo volto pallido.
- Buongiorno Benji.
- Buongiorno Colette. Dormito bene?
- Sì, soprattutto grazie a te. Sei stato davvero molto
gentile. Tu non sarai riuscito a chiudere occhio, immagino.
- Affatto. Sei talmente leggera che non ti sentivo
neppure. Vogliamo alzarci?
- Sì.
I due rimasero fermi, in attesa.
- Hai ripensato?- chiese Benji, sorridendo.
- No.
- E allora come mai non ti alzi?
- Magari se mi lasci andare… -rispose lei, ridendo
nervosamente.
Colette Montgomery/
Beniamine Price
3 Marzo ore 07:21 AM
Che imbarazzo! Questa non me la potevo risparmiare?
Solo in quell’istante il giovane si accorse di stringere
ancora a se la giovane e, arrossendo, la lasciò andare.
In quel momento anche le due rimanenti coppiette ripresero
vita, stiracchiandosi e sbadigliando rumorosamente.
Steso sul campo di calcio, con le braccia sotto la testa e
gli occhi chiusi, Oliver Hutton si stava riposando dopo le fatiche
dell’allenamento mattutino, concentrandosi sul fresco venticello che spirava
sulla città, il profumo dell’erba ed i giochi di luce che il sole faceva sulle
sue palpebre.
Era a dir poco stanco, dopo tutto ciò che i due avevano
fatto quella mattina: prima i passaggi, che erano andati piuttosto male; poi i
tiri che, nonostante l’imprecisione, sembravano essere ancora piuttosto
potenti.
Ma ciò che l’aveva stancato di più era stata la sorpresa
di trovarsi a fare quei passaggi con Patty ed
affrontarla come portiere, soprattutto quando aveva visto un paio di
parate piuttosto buone.
Oliver Hutton 3 Marzo ore 08:01 AM
Accidenti… non mi sarei mai immaginato che Patty fosse
in grado di giocare. Sì, in questi anni l’ho davvero sottovalutata in campo
sportivo. Mai mi sarei immaginato che lei fosse in grado di giocare contro di
me e parare un paio di tiri. Non erano i miei tiri migliori, ma accidenti, non
erano neppure così scarsi. Ha delle capacità nascoste che non mi sarei mai
immaginato. Non mi aveva mai parlato di queste sue capacità. Mai. Magari perché
sapeva che avrei finito la carriera, a partire da ottobre… ma perché prima non
mi ha mai rivelato tutto questo? Cosa l’ha spinta a nascondermelo? Che si
vergognasse di questo? E se è così, perché?
I suoi pensieri furono interrotti dal contatto di qualcosa
di freddo contro la sua calda fronte sudata. Immediatamente aprì gli occhi,
trovandosi ad incontrare quelli della ragazza, che sorrideva.
Con calma, si mise a sedere accanto a lui e posò sul suo
stomaco un involto piuttosto leggero ma discretamente voluminoso, mentre al suo
fianco deponeva due bottiglie d’acqua ed un paio di lattine di limonata.
- Polpette di riso. Le ho preparate ieri sera- spiegò
Patty al ragazzo che, incuriosito, la guardava.
- Ma…
- Dormivate tutti. Ne ho preparate anche per la colazione
degli altri, non preoccuparti Holly. Queste sono tutte per me e per te.
Holly si sedette, si stiracchiò con calma ed infine aprì
l’involto, dove trovò una dozzina di
polpette.
- Devi rimetterti in forze, per tornare un campione-
spiegò lei, vedendo l’espressione famelica di Holly, che già pregustava la colazione che la sua ragazza gli aveva
preparato - Non so se ho esagerato, ma ho pensato che potessi avere molta fame,
dato che non sei più troppo allenato.
Mise tra se e la ragazza la colazione ed iniziarono a
banchettare, sbafandosi tutto ciò che la ragazza aveva portato.
Alla fine del pasto, Patty guardò Holly, notando il riso
che gli era rimasto incollato al volto.
Svelta, gli passò una salvietta sul volto, pulendolo dal
cibo che lui aveva fagocitato con tanta fretta, poi balzò in piedi ed andò a
gettare via l’immondizia, mentre lui, ripresosi dalla sorpresa, si alzò in
piedi e recuperò il pallone.
Tutti attorno al tavolo della cucina, gli ospiti di Holly
e Patty gustavano l’abbondante quantità di polpette di riso che la padrona di
casa aveva gentilmente preparato per la loro colazione.
Colette sedeva tra Amy e Jenny, proprio di fronte al
portiere, che però sembrava piuttosto restio anche solo a guardarla, quasi
fosse arrabbiato con lei per un qualche motivo a lei oscuro.
Dal canto suo, Benjamin Price non riusciva a guardare la
giovane tedesca, sia per la figura fatta poco prima che per le emozioni che la
presenza di Colette suscitava in lui, dopo quell’involontario contatto.
Colette Montgomery 3
Marzo ore 08:06 AM
Ma cosa gli prende, stamattina? Che sia stata la
figuraccia di prima a farlo inquietare? Mi sembra un po’ eccessivo, il suo
torcersi le mani, per essere soltanto un fatto di imbarazzo per una battuta. Ho
forse fatto qualcosa di male che l’ha fatto inquietare? Se è così, sarebbe più
corretto dirmelo, invece che continuare ad evitare di guardarmi e sembrare
un’anima in pena. Ma non devo prendermela. Certamente se non mi guarda devo
aver fatto qualcosa, e di conseguenza il suo modo di fare è colpa mia, e non
sua. Penso che cercherò di spiegarmi, più tardi.
Benjamin Price 3 Marzo ore 08:07 AM
Mi sento un emerito cretino. Perché non riesco più a
guardarla in faccia? Insomma, è stata lei a baciarmi. Se quello si potesse
chiamare bacio, naturalmente. E’ stato un incidente, devo stamparmelo in mente.
IN-CI-DEN-TE. Un
semplice, innocuo ed innocente incidente, nulla di più. Quello non era nulla…
beh, tanto nulla no, se mi ha fatto quell’effetto. Ma non era niente in senso
fisico…oh! Mi fa male alla testa pensare troppo! Come faccio? Cosa faccio?
Cosa… ah!
La gomitata che Bruce gli rifilò tra le costole fece
tornare finalmente Benjamin Price sulla terra, scoprendo che Roberto stava
uscendo fuori dalla stanza di gran carriera, mentre tutti gli altri si erano
affacciati alla finestra, per osservare qualcosa che, a quanto pareva, aveva
attratto la loro attenzione.
Silenziosi come due gatti, Martina e Tom tentarono si
scendere dal tetto usando la grondaia come scala, sperando di non fare troppa
confusione. Sfortuna volle che all’altezza della finestra del primo piano,
Martina, che scendeva per seconda, scivolasse e si aggrappasse alla schiena di
Tom, facendo così perdere l’equilibrio anche a lui. La coppia capitombolò, per
loro fortuna, in un cespuglio, ma il baccano causato dalla loro disavventura
non passò inosservata.
In meno di dieci secondi le teste di Colette, Benji,
Bruce, Raiden, Amy, Jenny, Philip e Julian erano apparse alla finestra e un
paio di secondi dopo un Roberto Sedinho in versione “massiccio e incazzato” era
di fronte a loro e li guardava con l’aria di chi volesse fulminarli con lo
sguardo.
Martina sfoderò il suo sorriso più innocente, nel vano
tentativo di far svanire la rabbia che ribolliva nelle vene dell’allenatore, ma
non riuscì a variare l’aria omicida dipinta sul volto del brasiliano.
- DOVE SIETE STATI FINO AD ORA, RAZZA DI SCRITERIATI?-
tuonò l’uomo, facendo rabbrividire anche la coraggiosa Martina, che si fece
piccola piccola nel cespuglio, nel vano tentativo di svanire sotto quelle
fronde o, magari, sotto il terriccio umido che le stava gelando il
fondoschiena. Lo stesso valeva per lo spaurito Tom, che le era seduto accanto.
Martina, timidamente, indicò il tetto e la grondaia,
leggermente danneggiata, che ancora dondolava per la loro bravata, poi si
spinse verso il muro, cosciente che Roberto sarebbe diventato ancora più
furioso di quanto già non lo fosse in quel momento.
Quando lo sguardo del brasiliano tornò su i due
malcapitati sembrava essere appena uscito dal carnevale cinese: i capelli
scarmigliati; la bocca aperta, ferma in una specie di smorfia ferina; gli
occhiali per terra, lasciando così perfettamente visibili i suoi occhi, con
grandi pupille dilatate e iniettati di sangue; tutti i muscoli di volto e collo
contratti ed una suono gorgogliante e gutturale che saliva lento ma costante
dalla sua gola, quasi fosse una pentola a pressione con la valvola otturata,
pronta ad esplodere.
Tutti i presenti si portarono le mani alle orecchie,
sperando di non subire danni permanenti all’udito per le imminenti grida di
Roberto.
Fu Alan Crocker a notarli. Stava facendo una corsa e si
trovava proprio accanto al campo di calcio comunale. Non aveva fretta, così si
fermò per un istante a guadare quel vecchio campo, sede di vecchi ricordi e
luogo in cui per la prima volta aveva incontrato Oliver Hutton, entusiasta
undicenne che aveva sfidato Benjamin Price per il dominio di quel rettangolo di
terra.
La sua sorpresa fu immensa, quando vide Oliver in campo,
con la sua vecchia divisa, calciare la palla in direzione di una ragazza tra i
pali, che sembrava essere piuttosto brava in quel ruolo. Dovette avvicinarsi
per riconoscere una grintosa Patty in tenuta sportiva nel portiere che stava
affrontando l’ormai ex stella del San Paulo.
- Ehilà, guarda chi c’è! Ciao Alan!- esclamò Patty,
salutando con la mano l’allibito ex portiere della New Team, che passava
ripetutamente, con lo sguardo, da Holly a Patty e viceversa, sconvolto.
- Ciao Alan! Come stai? C’è per caso qualcosa che non va?-
chiese il giovane dai capelli corvini, notando lo stupore del portiere.
- Holly, ma tu stai… giocando!- sussurrò lui, di rimando.
- E’ questo che ti stupisce, Alan?- chiese la sua lei,
sorridendo amabilmente al vecchio compagno.
- Sì, dato che sono mesi che dicono che lui non mai più
giocare a calcio ed invece, per quanto ho visto, non mi sembra affatto vero.
- E’ una lunga storia, Alan- rispose Patty, asciugandosi
in sudore con una mano e sbuffando, piuttosto affaticata- Alan, che ne dici di
aiutare Holly con i tiri in porta, per un po’? Sai, sono leggermente stanca e
fuori allenamento.
- Fuori allenamento non lo sembravi proprio, Patty, ma ti
sostituisco volentieri tra i pali. Voglio vedere se riesco a parare qualcuno di
quei tiri. Ai vecchi tempi non ci riuscivo quasi mai.
Patty, sollevata, si sedette sulla panchina, luogo che le
era molto più congeniale che il campo, ed osservò i due giovani allenarsi, come
se i vecchi tempi fossero tornati e la New Team si preparasse al campionato
nazionale.
Quel ricordo fece riaffiorare nella mente di Patty un nuovo
pensiero, il ricordo di due delle prime pagine di qualche mese prima. La prima
annunciava la fine della carriera di Oliver Hutton, mentre la seconda
l’ennesima scomparsa di quella persona che veniva definito da molti giornalisti
“la prima donna del calcio giovanile giapponese” ossia quella di Mark Lenders,
svanito nel nulla qualche giorno dopo l’annuncio della fine della carriera
agonistica di Holly.
Patricia Gatsby 3 Marzo ore
08:27 AM
Chissà dove sarà adesso Mark… nessuno ha più saputo
nulla e se fosse tornato la notizia sarebbe su tutti i giornali. Chissà come
mai è scappato… Che sia per Holly? No, poco probabile. Uno come lui non si
lascerebbe mai scoraggiare da una cosa del genere… o forse sì? Possibile? Certo
che è svanito qualche giorno dopo l’annuncio di Holly, quindi collima almeno
sul piano temporale…
I suoi pensieri furono interrotti da un grido di pura
gioia emesso da Holly, che stava correndo nella sua direzione.
Patty fece a malapena in tempo a notare Alan, che giaceva
supino sull’erba ed il pallone che giaceva all’interno della porta, prima che
lui la sollevasse dalla panchina e si mettesse a piroettare con lei in braccio,
con gli occhi bagnati dalle lacrime e un radioso sorriso dipinto sul volto.
Patty non potè fare a meno di sorridere, felice per la sua
gioia. Aveva atteso talmente tanto per vedere di nuovo Holly mandare quella
sfera in porta… certo, sapeva che doveva trattarsi di un caso fortuito, ma
almeno adesso lui aveva uno stimolo in più per andare avanti, per guarire dal
dolore che presto avrebbero di nuovo dovuto affrontare. Un dolore che presto
avrebbe preso la forma di quattro bare coperte dalla bandiera giapponese.
Improvvisamente caddero sull’erba, ma non importava.
Volevano soltanto ridere e gioire di quel momento, rotolando sull’erba.
- Come sarebbe a dire spariti?- sbraitò Roberto, mentre un
terrorizzato Bruce, a testa china, attendeva la morte.
Dopo la gran lavata di capo di Tom e Martina, i ragazzi
avevano setacciato l’intera casa alla ricerca di Patty e Holly, ma era stato
tutto vano. Dei due, all’interno della casa e nel giardino, non ve n’era
traccia.
Avevano deciso di tirare a sorte chi avrebbe comunicato la
notizia all’allenatore e il caso aveva voluto che fosse Bruce l’agnello
sacrificale che avrebbe affrontato l’ira funesta dell’uomo.
- No, Roberto. Non si trovano da nessuna parte- confermò
Raiden, frapponendosi nel frattempo tra l’uomo ed il ragazzo, quasi volesse
difenderlo da un possibile attacco di furia del brasiliano.
- Forza, muoviamoci. Dobbiamo cercarli- fece lui, voltando
le spalle all’intero gruppo di giovani, che lo guardavano incuriositi.
Roberto Sedino 3 Marzo 08:22 AM
Accidenti a loro! Ma perché questi ragazzi vogliono
proprio farmi impazzire! Prima quei due funamboli sul tetto, che se avessero
avuto più sfortuna si sarebbero potuti rompere l’osso del collo, ed ora Patty e
Holly che svaniscono nel nulla. Speriamo solo che non ci sia qualche
giornalista sciacallo a dargli fastidio. Certo che con la lezioncina data da
Raiden a quel tizio, è assai improbabile che qualcuno li infastidisca di nuovo.
Speriamo per il meglio…
Colette guardò gli altri con aria interrogativa, imitata
contemporaneamente da Martina. Nessuna delle due aveva capito una parola,
essendo stata l’intera discussione pronunciata in perfetto giapponese,
soprattutto non avevano compreso cosa Raiden, con voce calma, avesse detto al
brasiliano.
Martina, timidamente, tirò una manica di Tom e fece un
gesto che stava a significare che non aveva capito nulla del discorso
dell’uomo.
- A quanto sembra Raiden riesce ad evitare le sue furie-
sussurrò Tom alla ragazza, azzittendosi non appena l’uomo aveva voltato lo
sguardo verso il gruppo.
Il gruppo stava camminando lungo la strada che portava
alla loro scuola. Ormai erano giunti all’ultimo anno di frequenza delle scuole
superiori e volevano andare a controllare come se la cavassero i componenti
della squadra delle medie. La loro era solamente curiosità, dato che da quando
Holly se n’era andato la squadra si era al massimo qualificata per la fase finale
ma senza mai superare il primo incontro. C’erano troppe squadre con migliori
giocatori che competevano contro di loro, prima fra tutte quella della Toho
School, rinomata per il suo club di calcio.
Erano passati da un po’ i tempi della coppia d’oro Hutton-Becker
e della “saracinesca” Price, e dovevano ammettere di provare molta nostalgia di
quei tempi. Dopo l’incidente occorso a Holly, inoltre, avevano abbandonato la
squadra delle superiori e continuato a giocare da soli, ma senza entusiasmo,
solo per tenersi in forma.
Fatto sta che, mentre transitavano lì accanto, videro Alan
Crocker steso tra i pali e un groviglio di braccia e gambe carambolare
sull’erba.
- Ehilà Alan!- salutò Bob Denver, scendendo la scalinata
dietro alla porta, seguito a ruota dagli altri amici.
- Ciao ragazzi! Avete visto?
- Cosa?- chiese Paul Diamond.
- Il gol!
- Sì, quel tizio ti ha fatto gol. E con ciò? Se non ci
fosse stato Bob ne avresti prese a carrellate anche durante l’ultimo campionato
delle scuole medie- fece Ted Carter, ridendo e trascinando con sé anche gli
altri.
- Tu al posto degli occhi hai le fette di prosciutto, Ted?
Anche se adesso si sta rotolando sull’erba con Patty, quello è Holly!
Gli occhi di tutti volarono ai due ragazzi che,
finalmente, si erano accorti di essere osservati e si erano rialzati.
Un boato di pura gioia invase l’aria circostante, tanto da
attirare l’attenzione di un altro gruppo di persone, che stavano iniziando a
setacciare la città appunto per rintracciare quei due giovani.
- Holly! Patty! Ecco dove eravate andati a cacciarvi!-
ruggì Roberto, gettandosi a rotta di collo verso il campo, mentre gli altri lo
seguivano con maggior calma ed usufruendo di una scalinata.
- Roberto!- gridò il giovane, praticamente volando tra le
braccia del suo tutore a dir poco furibondo- Ce l’ho fatta Roberto! Ce l’ho
fatta!
Oliver Hutton 3 Marzo ore
08:32 AM
Io… non posso fare a meno di piangere! So che dovrei
ridere, ma non riesco ad esprimere al meglio i miei sentimenti se non adesso.
Tutti questi mesi… tutti i dolori… tutte le sciagure… e adesso mi sembra tutto
risolto. O, almeno, mi sembra tutto diverso, mi appare tutto sotto un’ottica
diversa, come se fosse importante solo quella sfera andata in rete quasi per
caso. Sono forse egoista pensando solo a quel pallone? Non mi sento così,
eppure mi sembra di esserlo… eppure il calcio è importante. Sento che è
importantissimo, vitale. Lo è sempre stato ed ora sotto un certo aspetto è
ridimensionato… eppure sento ancora questo attaccamento al pallone, come se lui
fosse il mondo, quando si trova tra i miei piedi. Il pallone…Patty… il mio
lutto… l’incidente… quanto è cambiata la mia vita in quest’anno! Come sono
cambiato anche io, interiormente e nella mia visione delle persone! Patty mi è
sempre sembrata fortissima, eppure non lo è. Per quel maledetto senso di colpa…
se solo penso che due settimane fa avrei potuto perderla… cosa ne sarebbe stato
di me, se fossi andato a trovarla il quindici? O, addirittura, se le avessi
riferito la notizia il giorno dell’incidente? Cosa ne sarebbe stato di me se la
mia Patty fosse morta quel giorno di San Valentino? Sarei riuscito a tornare
dal pallone? Sarei sopravvissuto a questi molteplici dolori concentrati in un
unico giorno? Eppure il pallone resta importante… la mia ottica è così confusa…
tutto è importante, lo so, ma a cosa dovrei dare la priorità? Al mio dolore?
No, a questo no, perché Patty ha bisogno di me. Al pallone? Lui deve comunque
avere una parte importante, se no come potrei mantenere anche Patty… oh, quanto
sono sciocco. La mia priorità è Patty, di sicuro. Tutto ciò che faccio è in
relazione a lei. E’ lei la mia priorità ed il mio amore più grande. Persino il
calcio è passato in secondo piano, ricordi Holly? Per lei anche il tuo migliore
amico, il pallone, poteva andare a farsi fottere. L’importante era Patty, che
potesse sorriderti di nuovo, che gioisse con te, che stesse bene, anche a
rischio di ogni tuo avere, anche a rischio della tua stessa vita. Non
importavano le conseguenze. L’importante era che Patty stesse bene. Ecco la mia
gioia più grande. Io vivo per lei e la mia gioia non è solo scaturita dal fatto
che abbia segnato, ma che sia stato grazie al suo aiuto che sono tornato sul
campo, che soltanto grazie alle sue trovate geniali che io ho scoperto di poter
guarire e tornare a giocare. Le devo molto, per questo, e devo dimostrarle
tutta la mia gratitudine per essere sempre stata con me, da quando sono
arrivato a Fujisawa e durante quei mesi all’ospedale. Quanto devo al mio
angelo. Quanta gratitudine e gioia è presente nel mio cuore, in questo momento.
Patricia Gatsby, cosa avrei fatto senza di te? Se non ti avessi mai conosciuta,
come sarebbe andata la mia vita? Sarei stato già un campione a livello
internazionale? Oppure sarei rimasto qui, in Giappone, fenomeno incompreso? Se
sono qui è grazie a lei e a tutti coloro che mi hanno aiutato e sostenuto in
questi anni, in primis Roberto, che mi ha portato con lui in Brasile come
promesso… chissà come starà Pepè, a proposito? Sono mesi che non so come stia e
come vadano le cose laggiù. Certo che anche io, a parte con Tom, ho tranciato i
ponti. Ogni mio amico mi ricordava troppo qualcosa che pensavo di aver perso
per sempre e che ho potuto ritrovare solo grazie a lei, la ragazza che amo.
Adesso, per tutti quelli che mi vogliono bene, ed in particolar modo per Patty,
devo tornare l’Oliver Hutton campione. Devo, per pagare il mio debito nei suoi
confronti.
Roberto fissò il suo piangente pupillo, non capendo che
cosa fosse preso ad Holly per piangere in quel modo. Che fossero lacrime di
gioia l’aveva intuito, ma non gli sembrava del tutto normale piangere in quel
modo.
- Holly, cos’hai?- chiese, calmato dalle lacrime.
- Roberto… ce l’ho fatta. Lo vedi? Vedi quel pallone? L’ho
tirato io. Sono stato io a fare gol. Ho superato Alan!- singhiozzò il
campioncino, sbalordendo l’allenatore, a cui per lo stupore perse gli occhiali,
che caddero a terra, mentre il suo volto perdeva rapidamente colore.
- Tu…- fece lui, sgranando gli occhi, mentre si chinava a
raccogliere gli occhiali, sperando con quel gesto di calmarsi almeno un po’,
dato che, si rese conto, stava addirittura tremando e piangendo per l’emozione.
- Cosa gli prende adesso?- chiese Bruce a Ted, che
sembrava emozionato quanto l’ex giocatore carioca.
- Holly ha fatto gol- rispose Alan, che era il più calmo
del gruppo, essendosi già ripreso dallo shock iniziale del vedere Holly
giocare.
- Holly… che cosa?- fece Bruce, fissando sbigottito la
scena tra il campione in erba, aggrappato al collo del carioca che recuperava
gli occhiali dall’erba nel tentativo di non mostrare la sua emozione.
Gli altri, sbigottiti quanto Bruce, fissavano le due
figure avvinte e una terza, poco discosta, che indossava abiti sportivi e non
aveva paura di essere commossa per la bellezza di quella scena di gioia.
Patricia Gatsby 3 Marzo ore 08:32 AM
E’ strano… mi sento come se il tempo si fosse fermato.
Qui, tra di noi, si è formata una specie di bolla temporale in cui nessuno può
penetrare. Un luogo in cui ha importanza unicamente il presente, un presente di
gioia e felicità, dove ha solo importanza la gioia straripante di un gruppo di
amici per il ritorno alla vita di un altro, per vedere che l’inizio del ritorno
è diventato presente e che presto sarà completato questo ritorno. Se solo
questo istante potesse durare in eterno… Se solo la nostra realtà non fosse
così oscura… se solo.. se solo… quanti se esistono… se solo non fossi stata
così imprudente, quel giorno… se solo non avessi confessato tutto a Holly
credendolo svenuto… se solo lui non mi avesse salvato la vita… se solo lui non
mi avesse baciato… se solo io non l’avessi mai conosciuto… se solo quell’aereo
non fosse mai andato a schiantarsi… se… se… soltanto se… la realtà ne è
dominata, eppure non contano mai quanto una realtà, un’affermazione, una
tangibile prova di una concreta concezione… quante domande… quante risposte mai
ottenute… quante possibili vite…
Roberto, ricompostosi, fece cenno al suo ex allievo di
andare dai suoi compagni a festeggiare questo evento, mentre lui, alla
chetichella, si avvicinò a Patty e le fece cenno di seguirlo negli spogliatoi.
- Ti ringrazio, Patricia Gatsby- sussurrò Roberto, appena
Patty ebbe chiuso alle sue spalle la porta metallica – Non so come tu abbia
fatto, ma l’hai fatto nascere una seconda volta. Ti devo molto.
La giovane arrossì, sentendo quelle parole. Non avrebbe
mai immaginato certe parole dette nei suoi confronti.
- Patty, ascolta bene ciò che ti dico, perché è molto
importante. Hai visto bene come gioca Holly?
- Certamente.
- Come ti sembra?
- Il controllo di palla è un po’ carente, ma è normale
dopo un intervento del genere e con i muscoli fuori forma, ma la potenza non è
affatto male.
- Ce la può fare per i mondiali?
- Lui vorrebbe farcela.
- Tu come la pensi?
- Ce la può fare. Ha un anno per tornare in forma perfetta
e ce la farà di sicuro, Roberto. Ne sono certa.
- Dovrà allenarsi molto?
- Per ora no. Non deve strafare, o rischia un infortunio
muscolare.
- Ma ce la farà, giusto?
- Roberto, parla chiaro. Ho capito che punti a qualcosa,
quindi sputa il rospo e smettila di girarci intorno.
- Posso annunciarlo alla stampa?
- Certo che no! Holly ha già avuto troppa pubblicità in
questo periodo. Almeno secondo me, non dovresti farlo.
- Holly sarà d’accordo?
- Non voglio che abbia pressioni. Se esagera potrebbe
rischiare, capisci?
- Allora… niente stampa.
- Chiedi a Holly qual è la sua opinione, se proprio vuoi
una fonte certa, ma credo che sarà d’accordo con me sul fatto di evitare la
stampa, almeno finché sarà possibile. Già sarà una baraonda durante i funerali,
se poi scoprissero che Holly Hutton è tornato a giocare a calcio… hai già
provato sulla tua pelle l’impatto che potrebbe avere sul pubblico una cosa del
genere.
- Sì, ma…
- Niente ma, Roberto. Holly non ha bisogno di altra
pubblicità. Dagli tempo di migliorare e fai passare questo brutto momento, poi
potrai anche noleggiare un aereo e scriverlo in cielo, se vorrai. Ma ora non
puoi, Roberto, capisci?
- Scusami, ma… sono davvero felice.
- Anche io lo sono.
- Lo immagino. Ma… come hai fatto?
- Scusa tanto, ma ieri ti abbiamo raccontato quello che è
successo, no?
- Sì, ma così presto…
- Era inaspettato, lo so. Persino io mi stupisco che abbia
segnato già dopo il primo allenamento, ma in fondo è di Holly che stiamo
parlando, no? Lui è sempre stato un fenomeno del calcio.
- I progressi saranno così costanti?
- Certo che no, purtroppo, ma sa anche lui che quello di
stamattina è stato soltanto un caso, non preoccuparti. Certo, la pazienza non è
mai stata una delle sue doti, ma riuscirà a superare anche questo.
- Dico per l’ennesima volta che lui è un ragazzo davvero
fortunato, ad avere al suo fianco una ragazza come te.
Patty sorrise all’uomo, poi, insieme, tornarono al campo
di calcio, dove Holly li attendeva assieme a tutti gli altri, seduto sull’erba.
- Ehi, dove eravate andati a cacciarvi?- chiese non appena
i due si accomodarono accanto a lui.
- Roberto doveva chiedermi un parere.
- Su cosa, Roberto?
- Il fatto di avvertire i mass media di questo tuo
ritorno, Holly.
- Come mai l’hai chiesto a lei prima che a me?
- Perché è lei che è la responsabile del tuo completo
ritorno in campo e volevo sapere qualcosa su quanto ci metterai e come i mass
media avrebbero potuto influenzare il tuo recupero.
- E tu cosa hai detto, Patty?
- Che sono assolutamente contraria a questo, ma che la
scelta finale doveva essere tua. In fondo, è il tuo, di ritorno, ed io non ho
potere decisionale su questo argomento- rispose la giovane, con calma.
- Quindi pensi che possa essere dannoso.
- Sì.
- Va bene anche a me, la tua decisione, Patty. Fai sempre
tutto per il mio bene. Mi fido della tua decisione.
- Tu avresti voluto annunciarlo, Holly?
- Conoscendolo, vorrebbe gridarlo ai quattro venti!-
intervenne Benji, ridendo, mentre Holly si grattava la testa, imbarazzato.
- Mi pare naturale, no?- intervenne Martina – Insomma,
anche io farei lo stesso.
- Ma tu sei un caso diverso- intervenne Tom – Sei spesso
molto plateale, mentre il nostro Holly…
- Parla Mr. Maglia
“Ti-Amo-Megafono-Umano-ma-grida-un-po’-più-piano-o-ci-spaccherai-i timpani!”.
Quello non era plateale, vero Thomas Becker?- fece lei, con aria piccata e nel
contempo compiaciuta.
- Ma quella mica l’ho preparata io!
- Ma in compenso l’hai indossata e mostrata ad uno stadio
gremito.
- Mi hanno costretto! Non avevo scelta!
- C’è sempre una scelta, Tom- fece lei, seria.
- Ehi, ragazzi, calma…- fece Bruce, tentando di smorzare
la tensione, ma Benji lo fermò ed gli sussurrò ad un orecchio:
- Aspetta un paio di altre battute a testa e vedrai.
- Tom, allora? Rispondi! La volevi indossare oppure no? Desideravi
davvero dirmi quelle parole?
- Certo che volevo! A parte quella parte del megafono
umano e dello spaccare i timpani, naturalmente.
- Allora che male c’era nella maglietta?
- Nessuno. Però avrei voluto dirtelo in modo più
romantico, tutto qui…- rispose lui, arrossendo, mentre lei sorrideva
dolcemente, felice per quelle parole.
- Scommessa vinta, Bruce- disse Benji, ridacchiando mentre
guardava lo sbigottito Harper che fissava con gli occhi fuori dalle orbite il
sorriso della ragazza dai capelli di fiamma e la dolcezza con cui accarezzava
la guancia del suo ragazzo.
Benjamin Price 03 Marzo ore 08:44 AM
Accidentaccio però! Ogni volta che la vedo in teneri
atteggiamenti con lui mi sale il sangue alla testa. Possibile che sia così
geloso e che quella matta mi piaccia? Certo, fisicamente non è male, ma in
quanto a carattere… invece Colette è così bella e dolce, così calma e delicata…
e poi, quello… come può avere una tale importanza per me un semplice bacio, per
di più casuale e involontario… Ma è stato così coinvolgente… oh, Colette o
Martina? Martina o Colette? Distruggere la mia amicizia con Tom per una ragazza
bella ma psicopatica oppure distruggere la mia amicizia con Colette? E se lei
ricambiasse? Ma cosa sto pensando! Colette non ha in mente certe cose, poco ma
sicuro. Ma come faccio a saperlo? E se sbagliassi? E se lei fosse innamorata di
qualcun altro? Certo, non me l’ha rivelato, ma mica sono il suo padre
confessore! Non è costretta a dirmi tutto. Oh, ma perché mi trovo in una
situazione del genere! Prima di partire per l’Italia pensavo a Colette come una
dolce sorellina da proteggere, ma adesso… possibile che in una manciata di ore
sia cambiato tutto e sia diventato così complicato e, per di più, del tutto
fuori luogo per gli eventi di questo luogo?
- Benji, qualcosa non va?- chiese con voce flebile
Colette, notando comunque l’aria incantata con la quale il portiere osservasse
la coppietta.
Colette Montgomery 03
Marzo ore 8:44 AM
La ama. Non ci sono dubbi. Ecco il perché del suo
comportamento. La notte gli avrà certamente fatto capire che Martina Maroni è
la ragazza che vuole avere al suo fianco e che io non sono ciò che vuole. In
fondo, è un bene che abbia deciso chi lui desideri amare. Almeno non mi farò
più stupide illusioni sul suo conto. Non sarò mai nulla più che un’amica, per
lui, o, al massimo, sarò la sua piccola e stupida sorellina malata di mente, un
peso per il suo amore.
-Uh? Stavi dicendo qualcosa Colette?- chiese il portiere,
tornando alla realtà ed alla ragazza che era al suo fianco.
- No, nulla- rispose, mostrando un sorriso smagliante, la
ragazza, mentre il suo cuore si spezzava in mille piccoli frammenti per
quell’affetto che, a quanto pareva, non sarebbe mai stato ricambiato.
Erano a malapena passate le dieci di sera quando il
campanello a casa Gatsby suonò.
Patty subito andò ad aprire, trovandosi davanti la signora
Harper ed una ragazza che non aveva mai visto in vita sua.
Non appena il donnone la vide, l’abbracciò e scoppiò a
piangere, singhiozzando e gridando il suo dolore, mentre la giovane stava in
disparte, guardando il pavimento con aria piuttosto interessata.
- Signora Harper, come mai qui a quest’ora?- chiese Patty,
mezzo soffocata dall’abbraccio caloroso della donna.
- Sono qui per vedere Raiden. Anzi, è questa ragazzina che
lo vuole vedere.
- Prego, entrate- fece Patty, accompagnandole nel salotto,
dove tutti erano seduti a chiacchierare.
La giovane aveva lunghi capelli castano chiaro, trattenuti
da un elastico, con grandi occhi verde smeraldo e labbra carnose. Poteva essere
sua coetanea, nonostante le curve del suo corpo fossero nascoste sotto una
grande T-shirt rossa, scolorita e sporca, e jeans altrettanto luridi e stinti.
Ai piedi un paio di consumate scarpe da ginnastica ed un cappello giallo,
calcato sulla testa, completavano il suo sciatto abbigliamento. L’aria spaurita
e il guardarsi attorno nervosamente, mentre si torturava le mani, denotavano la
grande tensione che doveva avere nel cuore.
****** ****** 03 Marzo ore 10:07 PM
Ecco, è il momento. Presto lo rivedrò. Ma come reagirà?
Mi riconoscerà? Sarà felice di vedermi? E se mi fossi sbagliata? Se ciò che ho
sentito non fosse vero? Se avessi fatto tutta questa strada per nulla? Comunque
ormai non posso più tornare indietro. Almeno devo vedere quell’uomo che si
chiama Terence Horance Tzunoshi. Devo sapere la verità. Devo farlo.
Tutti i presenti furono sorpresi di vedere le tre donne
varcare la soglia della stanza.
- Mamma! Cosa ci fai qui!- esclamò Bruce, balzando in
piedi.
La donna stava per parlare quando un’altra persona balzò
in piedi, facendo cadere la sedia all’indietro per il rapido movimento, e fissò
incredulo il volto della ragazza dai capelli castani.
Tutti si voltarono verso di lui, che sapevano molto pacato
e saggio, non aveva mai reagito in quel modo, così prontamente e con un tale
nervosismo, neppure quando aveva steso quel giornalista.
- Sei mio nonno?- chiese la ragazza d’impulso, rompendo il
silenzio che si era creato in quegli istanti.
L’uomo continuò a guardarla, incredulo.
I tratti del viso, i capelli e gli occhi erano quelli
della sua bambina da adolescente, la sua Shimone ai tempi delle superiori.
- Sylvia… sei davvero tu, bambina mia?- sussurrò, incapace
di trattenere oltre le grosse lacrime che straripavano dai suoi occhi.
- Nonno… sei tu! Sei tu! Nonno, non sai quanto ti ho
cercato!- gridò la ragazza, slanciandosi tra le braccia dell’uomo, anche lei in
lacrime.
- Mamma, ma… chi è?
- Dice di chiamarsi Sylvia Holler e di essere la nipote di
Raiden, figlia di Herik Holler e Shimone Tzunoshi.
- La nipotina caduta in mare… è lei la figlia della sua
unica figlia - sussurrò Bruce, trasognato, guardando quell’uomo per il quale
provava un immenso affetto sorridere e piangere, felice, mentre stringeva a sé
la nipote ritrovata.
NdA: ebbene sì, anche questo capitolo è concluso. E
ancora il funerale non ha avuto luogo. Lo so, la sto tirando per le lunghe.
Spero di riuscirci per il prossimo capitolo, a concludere questa parentesi, se
no… dovrete avere ancora pazienza.