La rosa più bella ( nati sotto una stella)
Note:
Io e Aphrodite abbiamo un rapporto un po' controverso: non sono
mai riuscita a capire se questo personaggio mi piaccia o meno.
Così, ho deciso di testarlo attraverso questa storiella.
Trattandosi appunto di un esperimento, non so quanto sia IC ... speriamo bene!
Saluti a tutti! :)
Ps: ροζέτα dovrebbe significare "rosellina" in greco ...
Pps: le Panatenee
sono festività che venivano celebrate in onore di Atena il 28
del mese di Ecatombeone (fine Luglio- inizio Agosto).
_camus_
Aphrodite passeggiava lungo il corso di una delle vie più importanti di Atene.
Non c'era niente che non andasse, in quella bella giornata di inizio Giugno: il sole brillava nel
cielo nel suo punto più alto, la leggera brezza proveniente dal
mare rinfrescava l'aria, già impregnata di Estate, e il
chiacchericcio allegro delle persone si mescolava in maniera armoniosa
con i rumori circostanti.
Gli piaceva gironzolare per il mercato di Monastiraki, una volta alla settimana, lo considerava alla stregua di un rito.
Durante i periodi di
quiete, quando non era impegnato in missioni varie
per conto del Gran Sacerdote, la Domenica mattina si alzava di
buon'ora, consumava una colazione frugale e partiva da solo alla volta
del
centro città: un modo come un altro per lasciarsi alle spalle il
Santuario e tutto ciò ad esso legato, e fingere per qualche ora
di appartenere al mondo esterno.
In occasione di tali gitarelle indossava abiti semplici, spesso perfino
anonimi: non aveva certo bisogno di vestiti originali per farsi
notare, lui che era così appariscente di suo.
Talmente appariscente da risultare quasi irreale, ipnotico, specialmente agli occhi di chi non l'aveva mai visto.
Guardare le facce sbigottite della gente che, al suo passaggio, rimaneva
come inebetita era forse la sua soddisfazione maggiore, il motivo
fondante di quelle uscite fuori porta.
Non ci trovava nulla di strano o di imbarazzante, nel fatto che
tutti si incantassero a fissarlo, anzi, gli sarebbe parso anormale il
contrario: nessuno, né uomo, né donna poteva rimanere
indifferente a tanta beltà.
Egli stesso si riteneva la cosa più perfetta esistente sulla
faccia della terra, e non esitava a sottolinearlo in tutti i modi
possibili, a partire dal soprannome che si era scelto: Aphrodite,
appunto.
Gli veniva naturale curare costantemente la sua persona, porre
particolare attenzione nella camminata, dare un tocco suadente alla
voce: tutte accortezze che gli valevano diverse accuse di
superficialità da parte degli altri cavalieri d'oro.
Shura più di tutti le criticava, ammonendolo con tono profetico: "Aphrodite, la tua eccessiva vanità un giorno ti costerà
cara: è blasfema la tendenza che hai nell'anteporre l'amore
verso te stesso a quello per la Dea."
"Sciocchezze. Enormi sciocchezze, Shura." gli rispondeva lui, scuotendo la testa.
Era stata proprio Atena a donargli quella bellezza: lasciarla incolta
avrebbe significato non rendere il giusto grazie alla divinità
che proteggeva.
"Come potrebbero capire? Loro non uccidono con le rose."
pensò, gettando un'occhiata distratta all'ennesima ragazza che
si era fermata in mezzo alla via ad ammirarlo con sguardo sognante.
Nell'evitarla urtò accidentalmente contro una bambina, la quale cadde a terra.
"Cielo, scusami piccolina, non ti avevo proprio vista! Aspetta, lascia
che ti aiuti ... ecco qua ... ti sei fatta male?" chiese premuroso,
rimettendola in piedi.
"Accidenti, che bella bambina ... giurerei che somiglia a me quando avevo la sua età."
A occhio e croce doveva avere all'incirca sei o sette anni e, a parte
gli occhi scuri, era la copia sputata di se stesso fanciullo: pelle
candida, capelli di un biondo quasi bianco, naso piccolo e a punta.
Ma soprattutto quel neo come il suo, sulla guancia, appena sotto
l'occhio, che a detta di Death Mask lo faceva sembrare un damerino
truccato della Francia settecentesca. Era raro, poche
persone ce l'avevano.
"No, non mi sono fatta niente." rispose imbarazzata la ragazzina,
studiandolo dalle palpebre leggermente abbassate.
"Ehi! Ma tu sei il
principe azzurro! Sei venuto a portarmi nel tuo castello! Dove
l'hai lasciato il cavallo bianco?" esclamò poi, dimenticata la
vergogna.
Aphrodite soffocò una risata; glien'erano capitate tante, ma
fino ad allora nessuno l'aveva mai scambiato per un personaggio delle
fiabe.
"No, tesoro, non sono un principe ... come ti chiami?"
"Rosaspina! E tu?"
"Rosaspina ... favoloso."
"Ciao, Rosaspina. Io sono Aphrodite." si presentò, tendendole giocosamente la mano.
"Lo sai che sei un
bugiardo? Prima mi dici che non sei il principe
azzurro, poi ti inventi un nome da femmina! La mamma dice sempre che le
bugie sono brutte, che ti fanno venire le gambe corte e il naso lungo.
Perché tu non ce l'hai?" arricciò il labbro la piccola,
aspettando di vedere verificarsi da un momento all'altro quello che per
lei era un dogma inconfutabile.
"Tua madre ha ragione, infatti non sto mentendo." le disse, chinandosi
a sussurrarle nell'orecchio "Vedi, io sono una specie di cavaliere, e
Aphrodite è il nome segreto che uso per non farmi scovare dai
cattivi ... prometti solennemente che non lo dirai a nessuno?"
dichiarò, portandosi una mano sul cuore a mò di
giuramento.
Rosaspina era totalmente incantata: "Prometto, prometto! Che bello, un
cavaliere in carne e ossa! Hai anche una spada? E un'armatura
luccicante?"
"Possiedo una bellissima armatura dorata, ma in verità non ho una spada: io combatto con le rose."
"Non ci credo! Le rose non fanno male!" strinse gli occhi la bambina, sospettosa.
"Questo lo dici tu. Hai mai provato a toccare la spina di una rosa?
No?" spiegò, al cenno di diniego della sua scettica
interlocutrice, divertito "Ecco, non lo fare. Punge."
"Rosaspina! Rosaspina! Finalmente ti ho trovata! Quante volte te lo
devo ripetere di non sparire senza dirmi nulla? E che non devi dare
confidenza agli ... oh, Dio mio ... Dan!"
"Non può essere." pensò Aphrodite, voltandosi in direzione della donna che era sopraggiunta.
Minuta, capelli ricci e occhi del colore dell'ebano,
pelle della tonalità del cioccolato, mascella imperiosa ma non
sporgente, seno
prosperoso: un'ellenica di origine africana.
Soffermandosi solo sulla fisionomia e sull'aspetto si sarebbe potuto anche
credere che fosse un'altra, benché le somigliasse moltissimo.
Ma era lei, senza ombra di dubbio; l'aveva chiamato con il suo tanto odiato nome di
battesimo, che nessun altro conosceva in Grecia. Dan. Così ...
insignificante.
"Daphne ..." sussurrò, sollevandosi dalla
posizione accovacciata che aveva assunto per poter parlare con la
bambina, la quale intanto stava spostando lo sguardo dalla donna a lui,
interessata dalla piega che avevano preso gli eventi.
"Come fai a conoscere la mia mamma?" gli domandò "E perchè lei ti ha chiamato Dan? E' il tuo vero nome?"
"L'ho conosciuta molto tempo fa ..." rispose a metà lui, distratto da un dubbio improvviso e atroce.
"Daphne. Sei anni fa. E ora, una
bambina del tutto simile a me. I miei stessi capelli, il mio stesso
neo, la mia stessa lieve malizia, pur essendo tanto giovane."
E gli occhi della ragazza posati su di lui, pieni di qualcosa di troppo amaro: gli occhi di un animale ferito.
"Rosaspina, senti: quanti anni hai?"
Era quasi sicuro di saperlo, ma sperava vivissimamente di sbagliarsi.
"Ne ha compiuti sei l'Aprile passato, Dan. Sei.
Il numero ti dice niente?" prese parola la madre, sputandogli
verbalmente addosso l'età della figlia. Figlia di entrambi.
"Oh, PORCA TROIA."
Non aveva mai imprecato in vita sua, nemmeno col pensiero. Mai.
Lo riteneva sconveniente e volgare, una macchia che avrebbe potuto incrinare la purezza della sua figura.
Ma quella volta non poté proprio farne a meno.
Insomma, era uscito per una innocua passeggiata e dal nulla scopriva di essere padre! Padre! Così, di punto in bianco, e a soli vent'anni! Senza contare, poi, che la sua condizione di cavaliere
d'oro non gli avrebbe permesso di accollarsi responsabilità del
genere, anche se avesse voluto ... e lui certo non voleva.
"Che tu sia maledetto, Aphrodite dei Pesci, tu e la tua dannata civetteria!"
In effetti, esclusivamente di civetteria si era trattato.
L'ennesima sfida contro se stesso.
E l'insaziabile voglia di apprendere il più possibile su tutto
ciò che riteneva degno di essere ammirato; amava la bellezza
altrui quasi quanto detestava le brutture.
Aveva incontrato Daphne nell'Estate di sei anni prima, durante le
Panatenee, festa in onore della nascita di Atena che veniva celebrata
da tutti i Saint in tempi di pace.
Quell'anno il Gran Sacerdote aveva concesso a
ognuno di loro tre giorni liberi, da spendere fuori o dentro al
Santuario a proprio piacimento: a differenza di chi si era precipitato
all'aereoporto per trascorrere in patria settantadue misere ore, lui aveva deciso di restare, insieme a pochi altri.
In quei tre giorni si era dato all'esplorazione di Atene, di cui non
conosceva nulla, non avendo mai avuto tempo per visitarla: dal termine
del suo addestramento in Svezia alla data della cerimonia di
investitura, prima della quale era obbligatorio rimanere in una sorta
di "raccoglimento spirituale", non era passato che un mese.
L'ultima sera di tale breve vacanza, passando davanti ad un locale, era
rimasto ammaliato dai "colori" di una ragazza che sedeva in solitudine,
splendidi nonostante fossero totalmente diversi dai suoi; ricordava
bene di essersi detto: "Sarebbe meraviglioso vedere il contrasto della sua pelle bruna sul mio pallore diafano."
Così, spinto soltanto da questa curiosità, si era avvicinato al suo tavolo.
"Cosa ci fa una bella fanciulla come te da sola di Sabato sera?" le aveva detto, sfoderando tutto il suo fascino.
Lei, complice il litigio col fidanzato, non ci aveva pensato due volte a cedere alle lusinghe di quel giovane perfetto.
"Aspettavo te. Siediti. Io sono Daphne."
"Come vedi, eccomi qui. Piacere, Dan."
Aphrodite non aveva impiegato troppo tempo a capire che Daphne era una
ragazza da poco divenuta maggiorenne, single da circa dieci minuti dopo quattro
anni di restrizioni, ribelle e istintiva: si era spacciato per un
modello ventenne - era stato facile, visto che dimostrava molto più dei
suoi reali quattordici anni - in vacanza e dopo averle offerto qualche
cocktail l'aveva convinta senza fatica ad appartarsi in spiaggia con
lui.
A fine serata l'aveva accompagnata a casa. Ecco tutto.
Comportamento poco ortodosso, certo, ma in fondo ciò che voleva se l'era preso; solo adesso vedeva i risultati di quella bella pensata.
Ed erano dei risultati un tantino ingombranti.
"Credo tu abbia compreso, a giudicare dalla tua espressione.
Soddisfatto? Bene, Rosaspina, possiamo andare. Abbiamo finito qui." lo
distolse dalle sue riflessioni la Daphne del presente, per poi
incamminarsi sprezzante, sorda alle proteste della bambina.
"Daphne, aspetta!" la rincorse il cavaliere "Non puoi darmi una
notizia così e defilarti! Raccontami almeno qualcosa! Cosa hai
fatto in questi anni, dove vivete, come vi trovate ..."
Va bene che l'aver saputo di essere genitore non avrebbe cambiato il
suo modo di vivere, però voleva sapere, conoscere qualcosa
della loro vita: era pur sempre sua figlia, che diamine!
A quelle parole la donna si voltò di scatto, come se fosse stata
scottata: "Ah, ora vuoi sapere, eh? Cosa ti dovrei raccontare, dimmi?
Delle umiliazioni che ho subito a causa tua? Dell'infamia che ha
infangato il mio nome? CON CHE DIRITTO VIENI A DIRE A ME DI NON
DEFILARMI?"
Le urla avevano già attirato una considerevole quantità
di spettatori, incuriositi dalla diatriba: urgeva una discreta uscita
di scena, prima di andare incontro a fastidi.
Inoltre Rosaspina, nel sentire la madre così alterata, si era
messa a piangere e la cosa, per qualche strano motivo, lo infastidiva: non voleva vederla piangere.
"Daphne calmati, ti
prego! Lo so, ho sbagliato, ma non potevo
sapere di averti messa incinta! Il giorno dopo me ne andai da Atene,
cosa avrei potuto dirti? 'Ciao, domani parto, grazie di tutto'?!
Avanti, sii ragionevole, permettimi di farmi una vaga idea su come
è mia figlia! E poi andiamocene di qui, per favore: tutta
questa gente mi sta irritando." le sussurrò concitato
all'orecchio.
Daphne parve rendersi finalmente conto della folla e si riscosse
velocemente, allontandandolo da sé: "Ok, ok, sono calma, basta che mi
stai alla larga. Conosco un posto non distante da qui dove potremo
stare tranquilli. Seguimi."
Con fare autoritario prese in braccio la piccola in lacrime e si fece
largo a suon di occhiatacce, seguita a debita distanza
da Aphrodite, che tentò invano di filarsela con
nonchalance.
"Ma tu guarda che figure ..."
"Su, su, ροζέτα,
non fare così! Perdonami, la mamma è un po'
nervosetta oggi ..." gli giunse da poco avanti la voce di Daphne, intenta
a consolare Rosa.
Le guardò con uno strano misto di tenerezza e distacco: si
sentiva, di fatto, solo un intruso, un fantasma venuto dal passato.
Mentre rimuginava arrivarono all'ingresso di una taverna rustica, uno di quei posticini tipici che tanto piacevano ai turisti.
"Tu aspetta qui fuori con Dan, tesoro." si raccomandò la
ragazza, rivolgendosi poi freddamente a quest'ultimo "Sei capace di
tenerla per cinque secondi? O temi di non resistere all'impulso di
dartela a gambe?"
"Forse sì. O forse no ..." commentò lui, con un sorrisetto ironico.
"Togliti quel ghigno ebete dalla faccia, o giuro che ti distruggo con
le mie mani!" ringhiò lei in risposta alla sottile presa in giro, sparendo al
di là della soglia.
"Non gli sei molto simpatico alla mamma, vero?" gli chiese ingenuamente Rosaspina, guardandolo con gli occhioni ancora umidi.
"No, non mi pare." sbuffò, scoraggiato. Altro che simpatico! Quella, se avesse potuto, l'avrebbe accoppato!
"A me sì, invece!
E poi sei un cavaliere!" lo rassicurò "Però Dan non mi
piace, come nome. E' troppo semplice. Posso
chiamarti Dite?"
"Sai una cosa? Neanche a me piace il nome Dan; preferisco di gran lunga Dite."
"Anche io ho sempre pensato che Dan sia troppo semplice ..."
Era impressionante. Più la guardava, più non gli sembrava
vera, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di notare quanto in
effetti gli somigliasse. E non solo fisicamente parlando.
Aveva un modo di fare già altezzoso, a dispetto dell'età,
e la stessa sua abitudine di inclinare leggermente la testa di lato nel
parlare; chissà quanti altri piccoli dettagli c'erano che lui
ignorava! Non poteva non sentirsi un filino orgoglioso.
"Dite? Lo sai che questo è il ristorante dei miei nonni? Ora ti presento la mia nonnina! Gli piacerai di sicuro!"
"E' il ristorante di chi?!"
Eh no, eh. Ci mancavano solo i "suoceri"! Ma cosa aveva per la testa, Daphne?
"Dei miei nonni! Della mamma e del papà della mia mamma! Tu non ce l'hai, i nonni?"
"No, cara." le accarezzò i capelli dolcemente.
Evitò
di dirle che, oltre a non avere nonni, gli mancavano
genitori, fratelli, zii, cugini; che era pressoché solo al
mondo, anche se la cosa non lo scuoteva più di tanto.
Per lui
era sempre stato così: non è poi tanto difficile
accettare l'idea di non avere nessuno accanto, quando ci nasci insieme.
"Ah, allora stavolta sei rimasto. Che bravo. Ci mettiamo in uno dei
tavoli qui fuori, scegli tu quale. Rosaspina, vai dentro dalla nonna, tu
mangi con lei." li interruppe Daphne, sbucata all'improvviso.
"Ma mamma! Io voglio mangiare qui con voi!" si lagnò la bambina.
"Niente 'ma'! Fila dentro, avanti!" la sospinse gentilmente sua madre.
" Uffa!" fu la svogliata resa "Buon appetito Dite!"
Infine, si dileguò dentro in uno sciame di ciocche bionde e nastri colorati.
"Come ti ha chiamato? 'Dite'?" inquisì la donna, una volta rimasti soli.
"Sì, mi ha
soprannominato in tal modo." liquidò lui la questione
"Piuttosto, perché mi hai portato nella trattoria dei tuoi? Si
accorgeranno di chi sono alla prima occhiata."
"Mia madre lo sa già: gliel'ho detto io. Mio padre invece
è in cucina, non esce mai da lì, e Alexis non
arriverà che per le tre. Rilassati, per questa volta non verrai trucidato."
"Chi è Alexis?" chiese lui, ignorando saggiamente la provocazione.
"Mio marito."
"Marito?! Così giovane e già sposata?"
Le esplicitò la domanda, a cui ella rispose con tono di rimprovero: "Così giovane e già madre, vorrai dire." puntualizzò, dura
come una roccia nella voce e nello sguardo "Alexis era il fidanzato
con il quale la sera in cui ti conobbi avevo litigato. Due giorni dopo
la tua scomparsa facemmo la pace, e quando mi accorsi di essere incinta
decise di sposarmi e di far finta che il figlio fosse il suo.
E' stato così generoso ... senza di lui avrei visto l' inferno.
Peccato che il suo gesto non abbia avuto il potere di arginare il problema: è
risultato evidente sin da subito che Alexis non è il vero padre della bambina.
Io speravo che i miei geni avessero la meglio sui tuoi e invece, sfortunatamente, è la tua copia sputata.
Se
n'è chiaccherato molto, ad Atene ... tanto da ridurre persino la
clientela del ristorante, ad un certo punto. Uno scandalo, in poche
parole." bofonchiò a
denti stretti; poi si interruppe, gli occhi persi nel vuoto.
Aphrodite
fece per parlare, ma Daphne aggiunse, rapidamente: "Comunque, adesso ce
la caviamo bene. Ormai agli occhi della gente siamo storia vecchia,
grazie a Dio. La taverna va a gonfie vele e Alexis ha appena messo su
un'attività che sta prendendo il volo. Rosaspina a Settembre
comincerà la scuola. Non potrebbe andare meglio. Non abbiamo
bisogno di nient'altro." concluse, secca.
"Non avete bisogno di me, in sintesi."
"Ne sono felice. Come è la bambina?" chiese, portando il discorso
sul soggetto che più gli interessava "Voglio dire: come
è di carattere."
"Orgogliosa. Volitiva. Un tantino egocentrica ..."
"Me ne sono accorto." la interruppe lui, sorridendo.
"
... e adorabile. Rosa è la mia gioia, nonostante mi ricordi te
ogni volta che la guardo. E ho paura che, con gli anni, la cosa si
acuirà ... ma non per questo l'amerò di meno."
"Daphne." cominciò allora, prima di venire interrotto
dall'arrivo di un'imponente signora con in mano due piatti di insalata
greca.
Capì
che era la madre di Daphne dall'occhiata che gli
lanciò: a dir poco velenosa, sebbene leggermente velata da qualcosa di molto
simile all'ammirazione. In fondo era una donna anche lei e, come tale, non poteva
non scrutarlo con meraviglia.
"Daphne, io ..." bisbigliò, mentre quella rientrava.
"Lascia stare, Dan, è inutile che tenti di giustificarti. Quel che
è fatto, è fatto. Sarà anche vero che, non sapendo
nulla, non avresti potuto far niente, ma non puoi chiedermi di non
portarti rancore. In due sarebbe stato molto più semplice."
"Secondo me, ti sbagli."
" In che senso?"
"Non per scagionarmi, però ... pensaci. Se, dopo aver scoperto di
essere incinta, tu avessi sposato me, l'avresti fatto senza amarmi, e
così io. Tu magari ti saresti consumata pensando a Alexis, ed
io ... io avrei rimpianto tutta la vita la mia libertà. Ci
saremmo odiati nel profondo, rendendo infelice nostra figlia. So
che sembra utilitaristico a sentirsi, ma forse è stato meglio così."
Non
poteva rivelarle che la scena da lui descritta non si sarebbe
realizzata a prescindere: egli viveva in un universo parallelo, fatto
di guerra e di
armature, dove non c'era posto per cose come la famiglia. Questo
però lei non l'avrebbe mai saputo.
"Quello che dici ha una sua logica. Ma tu? Che effetto fa scoprire di
essere genitore e non avere la facoltà di assumerne il ruolo a
pieno titolo?"
"Non so; è stato tutto così improvviso. Penso che mi ci
vorrà del tempo per abituarmi all'idea. Certo, sono felice di
aver contribuito a creare una creatura splendida come Rosaspina ... e, pur
non conoscendolo, sono sicuro che Alexis sarà un padre migliore
di me. Specie se affiancato da una come te. Mi sembri molto
determinata."
"Più di quanto immagini. Farei di tutto per lei.".
I due stettero in silenzio per qualche minuto, entrambi assorti nelle proprie cogitazioni.
"Voglio chiederti un'ultima cosa, Daphne" disse dopo un po'
Aphrodite, l'insalata ancora per intero nel piatto "Perché, fra
tutti i nomi, hai scelto proprio Rosaspina?"
"Perché mi dicesti che amavi le rose sopra ogni altra cosa:
appena mi chiesero come avrei voluto chiamarla, mi venne spontaneo
rispondere 'Rosaspina'. Bella come una rosa, pungente come una spina:
ecco come desidero che cresca."
"E' perfetto." asserì lui.
Non lo diceva solo per cortesia, lo pensava sul serio.
"Adesso è meglio che vada, ti ho creato anche troppo disturbo. Grazie per il tempo che mi hai dedicato."
Restare
poteva significare entrare in discorsi compromettenti, e lui non voleva
rovinare quella pace apparente che si era creata.
"Oh, va bene ... quanto starai ad Atene?" la ragazza sembrava confusa da quel repentino tentativo di congedo.
"Non ne sono sicuro; da
tempo sto pensando di trasferirmi qui in pianta stabile. Se così
fosse, potrei venire a salutare Rosaspina, di tanto in tanto?"
"Non credo sia una buona
idea: adesso è ancora troppo piccola, ma a lungo andare potrebbe
notare la vostra somiglianza. Specialmente in età più
matura. Lei pensa di essere figlia di
Alexis."
"Giusto. Decisione assennata."
"Se
sapesse quanto è inutile questa precauzione: probabilmente non
vivrò abbastanza a lungo da vederla diventare adulta."
"Allora ciao, Dan."
"Arrivederci, Daphne. Siate felici."
Aphrodite le tese la mano e lei ricambiò la stretta, dapprima guardinga, poi maggiormente sicura.
Gli sorrise persino.
"Dite! Dite! Perché vai già via?" arrivò di corsa
Rosaspina, che da dentro il locale l'aveva visto avviarsi.
"Perché i nemici sono sempre in agguato e un vero cavaliere non
può permettersi di oziare!" disse, facendole un occhiolino
complice "Un giorno verrò a prenderti con il cavallo bianco.
Fino ad allora stai in guardia, d'accordo? E ricordati del giuramento!"
"Sì, che me lo ricordo!" si portò la mano al petto la bambina "Torna presto!"
"Promesso, piccola."
Sarebbe tornato: di soppiatto, senza farsi vedere, però sarebbe tornato.
Mentre
si allontanava gettò un ultimo sguardo alle due, madre e figlia
sulla porta che lo salutavano: Daphne seria, ma con
un'espressione serena sul volto, e Rosaspina radiosa: "Ciao ciao, Dite!"
"Dite ... però è carino, come diminuitivo."
Tra tutte le cose che aveva fatto nei suoi vent'anni, Rosaspina era senza dubbio quella che gli era riuscita meglio.
La sua rosa più bella.
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