Babylon
(seguito di "A Divine Love")
11-
Sabotaggi e
contro-sabotaggi
“E
lui?” domandò Psiche, ormai sopraffatta dalla
curiosità.
“Ha
risposto, col suo solito modo altezzoso: 'Spero vivamente che tu ti
diverta'. 'Farò il possibile' ho detto io. Gli ho sorriso
con fare
innocente e sono andata in stanza”
Dopo
aver orgogliosamente raccontato alle sue Sacerdotesse della reazione
di Shion al fatto che qualcuno dei suoi avesse accettato di
accompagnarla, Ayame tornò ad occuparsi dei capelli di
Galatea.
Le
tre ragazze si erano radunate nella stanza di Psiche alla Dodicesima
per prepararsi per la festa, visto che il luogo di ritrovo per gli
altri quattro era ai piedi della scalinata della Casa dei Pesci.
Vista la poca esperienza di Galatea con la moda del ventesimo secolo,
Ayame l'aveva presa sotto le sue cure maniacali, con l'intento di
renderla splendente e fare in modo che Camus non le togliesse gli
occhi di dosso per tutta la serata. Psiche, invece, sapeva cavarsela
da sola egregiamente.
Grazie
al pensiero della serata ad Atene, Ayame riuscì ad
affrontare con
filosofia anche il forte rimprovero che Shaka le aveva riservato nel
tardo pomeriggio, dopo che era tornata nuovamente senza un risultato
evidente. La accusò di non stare mantenendo la promessa e di
non
mettere l'impegno dovuto in quel semplice compito che le aveva
affidato. Tutto ciò era vero solo in parte, in quanto, nei
giorni
precedenti, Ayame aveva messo anima e corpo nel suo compito, ma la
cosa non era servita a molto.
Aveva,
quindi, preso quel rimprovero in silenzio e con remissione, aveva
rinnovato la promessa a Shaka e si era precipitata in stanza alla
ricerca degli abiti per la sera. Era talmente elettrizzata che nulla
avrebbe potuto rovinare il suo buonumore.
“Ancora
non ci hai detto chi è questo accompagnatore” le
fece notare
Psiche, mentre era alle prese col mascara.
“Sorpresa.
Sappiate solo che ci è voluto molto per convincerlo, ma alla
fine ha
ceduto, anche abbastanza inaspettatamente”
“Io
scommetto su Shaka” puntò Galatea, ma Psiche era
di un altro
avviso.
“Nah!
Per me è Death Mask”
Ayame
rise, ma non si lasciò sfuggire nient'altro. Non voleva
compromettere il grande risultato che aveva ottenuto.
Camus
guardò per l'ennesima volta l'orologio. “Sono le
otto e dieci”
fece notare, annoiato, a Milo, il quale non sembrava troppo
preoccupato per il leggero ritardo. Questi si strinse nelle spalle.
“Sono
in ritardo solo di dieci minuti, dovremmo essere fortunati”
“Ma
avevamo detto alle otto” ribadì Camus.
“Si
vede che non hai avuto molto a che fare con le donne in vita tua,
ghiacciolino” lo canzonò lo Scorpione.
“È un loro diritto
essere in ritardo agli appuntamenti e far stare noi maschietti sulle
spine”
“Non
sono sulle spine” obiettò Camus, che non si era
accorto di aver
perso l'attenzione di Milo.
“Beh,
dovresti esserlo, amico. Girati” gli disse questo, accennando
col
capo a qualcosa dietro di lui.
Camus
eseguì, solo per dare una spiegazione all'espressione
inebetita
dell'amico. La stessa che si dipinse sul suo viso quando
capì a cosa
si stava riferendo Milo.
Galatea
stava scendendo le scale della Dodicesima. Indossava un abitino
azzurro cielo con le maniche corte a sbuffo, stretto in vita da una
cintura di una tonalità più scura del vestito. I
capelli
leggermente mossi le ricadevano a boccoli sulle spalle e alcune
ciocche erano fermate dietro da un nastro blu. Ai piedi, infine,
calzava un paio di ballerine che richiamavano il colore della
cintura.
Se
il ritardo era servito ad ottenere quel risultato, per Camus fu
più
che giustificabile. In vita sua non pensava di aver mai visto niente
di più bello.
“Scusate
se vi abbiamo fatto aspettare” disse la ragazza quando era
quasi
alla fine della scalinata.
“Direi
che ne è valsa la pena” la giustificò
Milo, anticipando il
silenzio imbarazzante che sarebbe caduto se avesse aspettato che
fosse Camus a rispondere. Dopo aver dato una leggera spallata al
compagno perché si risvegliasse e si desse un contegno,
andò a
salutare la ragazza con un lieve baciamano. “Sei davvero
molto
carina”
“Guarda
che sono io quella che hai costretto ad uscire, stasera” si
sentì
in dovere di precisare Psiche, dalla cima della scalinata. Galatea,
che era già leggermente arrossita, divenne di un tenue color
pomodoro e si affrettò a ritrarre la mano. Cercò
aiuto in Camus, ma
il Cavaliere sembrava ancora più in imbarazzo di lei.
“Andiamo,
Psi, cerca di non essere scorbutica con chiunque, almeno per
stasera”
la rimproverò amichevolmente Ayame, apparsa al suo fianco e
anche
lei vestita di tutto punto. Il suo abbigliamento assomigliava molto a
quello di Galatea: indossava un abito bianco senza spalline e stretto
sotto il seno da un nastro elastico rosso come le scarpe dal tacco
vertiginoso che calzava ed il cerchietto che le adornava la liscia
chioma bionda. Di tutt'altro stile era Psiche, che aveva abbinato una
lunga maglia monospalla tenuta in vita da una cintura ad anelli con
un paio di shorts di jeans e dei sandali col tacco alto. I capelli
erano raccolti in una morbida treccia che le cadeva su una spalla.
“Ayame,
dove pensi di andare?” domandò Camus alla ragazza,
dopo aver messo
da parte l'imbarazzo per tornare ad essere il ligio servitore di
Atena.
“Con
voi, naturalmente, e sì, Shion lo sa” rispose lei,
mentre scendeva
le scale, anticipando la domanda successiva. “Ora, se non vi
dispiace, il mio cavaliere mi sta aspettando giù alla Prima
da ben
un quarto d'ora. Non voglio farlo aspettare oltre”
“Hyoga
è qui?” chiese Milo.
“No,
naturalmente, non gli faccio fare mille mila chilometri solo per una
festa”
“E
allora chi è?”
“La
mia guardia del corpo, insieme a Psiche, ovviamente”
“Cosa?
Psiche!” protestò Milo, ma la Sacerdotessa non
parve curarsene.
“Ordini superiori a cui non posso disobbedire. Ma sono sicura
che
ci divertiremo comunque” sorrise ironica lei, pizzicando la
guancia
del Cavaliere che, invece, era notevolmente contrariato.
Il
gruppetto iniziò a scendere attraverso le Dodici Case, con
Ayame in
testa, seguita a ruota da Psiche e Milo e Camus in coda con Galatea,
a lanciarsi occhiate brevi e furtive. Raggiunta la Casa dell'Ariete,
trovarono Mu ad attenderli all'entrata.
“Non
sei ancora pronto” gli fece notare Camus.
“Io
non vengo con voi” rispose semplicemente il Cavaliere, per
poi
rivolgersi ad Ayame. “Ti aspetta fuori dalla bottega del
fioraio,
l'ha ritenuto più prudente”
“Va
bene, grazie” si congedò Ayame.
Procedettero
attraverso le vie di Rodorio fino alla bottega, rimasta aperta
apposta per permettere loro di uscire. Come Mu le aveva detto, Kanon
li aspettava dall'entrata del negozio che dava su Atene.
“Tu?”
domandarono in coro tutti gli altri, notevolmente sorpresi, per poi
guardare Ayame, la quale pareva, invece, soddisfatta.
“Io”
rispose Kanon, monocorde. “La cosa vi disturba, per
caso?”
“N-no,
certo che no, Kanon!” ribattè prontamente Milo,
sfoggiando un
sorriso conciliante. “Siamo tutti, però, molto
sorpresi di vederti
qui, tutto in tiro, per partecipare ad una festa”
“Sai,
mi hanno detto che c'era un sabotaggio di mezzo e non ho saputo
resistere alla tentazione” spiegò il Generale con
ironia.
“Sabotaggio?
Che sabotaggio?” chiese Milo, cercando di nascondere
l'apprensione
con una risatina isterica.
“Oh,
niente di cui preoccuparsi, Milo” lo rassicurò
Kanon, con fare
canzonatorio. “Vedrai, ci divertiremo un mondo questa sera.
Vogliamo andare? Sto facendo radici qui. Psiche, non ti scollare da
Ayame per nessun motivo”
La
Sacerdotessa eseguì e si affiancò subito ad
Ayame. Con Milo, molto
preoccupato per l'esito della sua serata, e Kanon in testa, il gruppo
si immerse nella confusione di Atene.
“Sei
perfida” disse Ayame a Psiche.
“Non
è vero” ribattè lei prontamente.
“Non
se lo merita”
“Io
dico di sì”
“Puoi
spiegarmi questo tuo accanimento contro di lui?”
“Penso
di no”
“Potrei
ordinartelo”
“Potrei
non obbedire”
“Si
chiama insubordinazione, lo sai?”
“No,
si chiama privacy”
“Tanto,
prima o poi, lo scoprirò”
Psiche
sorrise. “Goditi la tua serata libera e non pensare a Milo.
Per
quello ci sono io”
Ayame
capì che la Sacerdotessa considerava il discorso chiuso e
non
aggiunse altro, ma si ripromise di osservarla bene durante tutta la
serata e nei giorni a venire, per capire cosa le frullasse in testa.
Dopo
ancora qualche minuto di cammino, finalmente raggiunsero la piccola
piazza in cui si stava tenendo la festa. Ai lati dell'area, banchetti
di leccornie, giochi a premi e merci d'artigianato circondavano il
palco centrale, dove alcuni gruppi musicali si esibivano e facevano
danzare la folla accorsa per celebrare la ricorrenza religiosa a cui
la festa era dedicata. Al momento, tra le bancarelle giravano per lo
più famiglie. Perché la festa si animasse
avrebbero dovuto
aspettare ancora un po'.
“Sembra
carino” commentò Ayame, dopo essersi data una
veloce occhiata in
giro.
Non
ricevette nessuna risposta. Voltatasi verso Psiche, vide che la
Sacerdotessa aveva perso il cipiglio di poco prima e il suo sguardo
era perso nel vuoto, inoltre le tremavano leggermente le labbra.
“Psiche,
tutto bene?” si accertò la ragazza, risvegliando
Psiche da quella
specie di trance in cui era caduta.
“Sì,
tutto bene” rispose lei, sbrigativa.
“Potremmo
mangiare qualcosa, nel frattempo” propose Milo, indicando uno
dei
banchetti di alimentari. Pur senza troppo entusiasmo, furono tutti
quanti d'accordo e si accinsero a seguirlo. Quando quasi tutti si
furono immersi nella coda di fronte alla bancarella, Ayame
afferrò
Kanon per un braccio e lo trascinò via.
“Che
c...” provò a protestare il Generale, ma Ayame gli
tappò la bocca
con la mano e gli intimò di fare silenzio.
“Shhhh!
Sto sabotando il sabotaggio. Vieni con me”
Prima
che potesse nuovamente trainarlo da qualche parte, Kanon la
bloccò
con poca grazia.
“Ti
avverto che mi sto già pentendo di essere qui,
ragazzina” le
sibilò a pochi centimetri dal naso.
“L'avevo
intuito, ma ormai sei qui, perciò, ti prego, assecondami
solo in
questa cosa e ti prometto che farò la brava”
Il
Generale grugnì qualcosa di incomprensibile, quindi
domandò: “Cosa
vuoi fare?”
“Semplice,
lasciare i quattro piccioncini da soli. Dobbiamo solo stare lontani
da loro”
“Il
che significa che tocca a me farti da balia. Sapevo che c'era la
fregatura”
“Sarò
brava, promesso e ripromesso. Non ti accorgerai nemmeno che
esisto”
“Ne
dubito. Ho fame. Spera che all'altro lato della piazza vendano
qualcosa di commestibile”
In
breve, la piazza iniziò a popolarsi di persone e voci, di
luci e di
canti. Attraversare la folla cominciava a diventare un'impresa non da
poco, ma Psiche non sembrava intenzionata a lasciarsi fermare da quel
piccolo dettaglio.
Avevano
perso di vista Ayame e Kanon poco dopo aver deciso di andare a
prendere da mangiare. Milo e Galatea erano riusciti a convincerla ad
aspettare almeno che avessero finito di mangiare per andarla a
cercare. Non aveva toccato cibo e, quando la sua compagna aveva
ingerito l'ultimo boccone, si era alzata immediatamente e si era
immersa nella folla.
Non
cercava Ayame solo perché, senza di lei, il suo piano
sarebbe andato
in fumo, ma soprattutto perché si era resa conto che la sua
dea era
esposta ad un serio pericolo. Come aveva detto Mu, controllarla in
mezzo a tutta quella gente era un compito che cinque persone sole non
potevano portare a termine senza rischi, ed era suo dovere di
Sacerdotessa proteggere la dea a cui era devota, specialmente nello
stato in cui si trovava ora Ayame.
Una
presa ferma attorno al suo braccio arrestò la sua avanzata.
Milo
l'aveva raggiunta e sembrava aver perso tutto il suo spirito
festaiolo.
“Si
può sapere dove stai andando?” le
domandò, duro.
“A
cercare Ayame” gli rispose Psiche, asciutta.
“È
con Kanon, è al sicuro” le ribadì, ma
Psiche non era intenzionata
a dargli retta.
“No
che non lo è, qui è troppo esposta. Io sono una
sua Sacerdotessa,
proteggerla è un mio dovere”
La
ragazza provò a muovere un passo, ma Milo
rafforzò la presa.
“Senti,
ho capito benissimo quale sia il tuo piano. Non c'è bisogno
di
nascondersi dietro a doveri inesistenti”
“Non
so di cosa tu stia parlando”
“Voglio
che mi dici in faccia che non vuoi avere niente a che fare con
me”
le rivelò il Cavaliere.
“Ti
farebbe desistere, se te lo dicessi?”
Milo
attese qualche attimo, prima di rispondere con sicurezza. “So
riconoscere una battaglia persa”
“Psiche?”
domandò una voce tra la folla, che poco dopo prese il volto
di una
giovane ragazza dai lunghi capelli castani. Si avvicinò con
sguardo
incredulo alla Sacerdotessa, la quale stava cercando di ricordare
dove avesse già visto quel volto conosciuto.
“Sei
proprio tu?” domandò ancora la ragazza, che ormai
aveva raggiunto
la coppia.
“Ci
conosciamo?” chiese a sua volta Psiche.
“Sono
Georgia. Mio padre aveva il bar vicino al vostro negozio e noi
giocavamo sempre insieme, ricordi?”
La
Sacerdotessa rimase inebetita per qualche istante, in preda alla
cascata di ricordi che quelle poche parole avevano fatto fluire nella
sua mente. Immagini di momenti lontani, felici, vissuti in un angolo
di mondo che, per lei, era il paradiso, dove poteva dire di avere
tutto ciò che le serviva per essere felice. Un padre, la sua
unica
famiglia, una casa piccola ma meravigliosa ai suoi occhi di bambina,
un negozio di fiori che per lei era meglio di un parco giochi ed
un'amica più fortunata di lei, sotto certi punti di vista,
ma dal
cuore così grande da permetterle di condividere quella sua
fortuna
con lei. Quella bambina era Georgia.
“Sì,
certo che mi ricordo” le rispose infine, incapace di non
sorridere.
Georgia
ricambiò e la abbracciò. Psiche si
irrigidì a quel gesto
inaspettato, ma ricambiò. Quando le due amiche si sciolsero
dall'abbraccio, Georgia riprese a parlare.
“Ma
dove sei stata per tutti questi anni? Ci sei mancata, soprattutto a
tuo padre. Ci ha detto che eri andata in una scuola privata, ma
speravamo che saresti tornata a trovarci, qualche volta”
“Ho
provato, davvero” disse Psiche, cercando di mascherare la
voce
spezzata, conseguenza di quelle poche parole che erano state in grado
di riaprire vecchie ferite. “Ma i miei studi mi hanno
impegnata per
quasi tutto il tempo. Mi dispiace”
Georgia
annuì, comprensiva, quindi riprese a sorridere.
“Ora, però, sei
tornata. È bello rivederti dopo tanto tempo, e in ottima
compagnia,
oltretutto”
Milo,
che era rimasto ad ascoltare la conversazione tra le due amiche con
molto interesse, approfittò della sua chiamata in causa per
presentarsi. “Mi chiamo Milo, sono un amico di Psiche.
Abbiamo
frequentato la stessa scuola speciale”
“Lieta
di conoscerti. Ah, Psi, prima che mi dimentichi, a casa ho dei
documenti da darti. Ci sono state lasciati dopo la morte di tuo padre
e dovresti dar loro un'occhiata, appena hai tempo”
“D'accordo,
passerò senz'altro” acconsentì Psiche,
cercando di sembrare il
più naturale possibile. “Adesso, però,
devo andare a cercare una
persona. È una questione piuttosto urgente, sai”
“Certo,
nessun problema. Goditi la festa e, se hai tempo, vieni a trovarci al
bar, ci farebbe molto piacere averti come ospite”
“Farò
il possibile” promise Psiche, quindi si congedò in
fretta da
Georgia e sparì tra la folla. Milo la imitò, con
più affabilità
rispetto a lei, e tornò al suo inseguimento. Il colloquio a
cui
aveva assistito aveva fatto nascere in lui molti dubbi che la sua
insana curiosità non vedeva l'ora di sciogliere e che, ne
era certo,
l'avrebbero aiutato a scoprire qualcosa di più su
quell'enigmatico
personaggio quale Psiche era.
Galatea
provò a mettersi in punta di piedi, nella speranza di
scorgere
Psiche o Ayame in mezzo alla folla che stava aumentando di minuto in
minuto.
Lei
e Camus erano stati letteralmente abbandonati al chiosco dove avevano
mangiato. I primi a sparire erano stati Ayame e Kanon: li avevano
persi di vista poco dopo essersi messi in coda alla bancarella. Poi
era stato il turno di Psiche, che per tutto il tempo non aveva
nascosto la sua impazienza di andare a cercare Ayame e, soprattutto,
di allontanarsi da Milo. Questi, però, l'aveva seguita in
mezzo alla
folla, e alla fine erano rimasti loro due, soli col loro imbarazzo.
Galatea
abbandonò ogni speranza di riuscire ad individuare anche uno
solo
dei loro compagni e tornò a sedersi sulla panchina dove,
dalla parte
opposta alla sua, stava Camus.
Era
quella la situazione che avrebbe voluto evitare, quella sera, ma
sembrava proprio che il piano elaborato da Psiche e Ayame stesse
andando tutt'altro che a buon fine.
Lanciò
un rapido sguardo a Camus, concentrato a guardarsi le mani congiunte
davanti a sé.
“Sono
preoccupata” confessò la Sacerdotessa, seppur con
riluttanza.
Camus si voltò a guardarla con espressione interrogativa, a
cui lei
subito rispose. “Per Ayame”
Il
Cavaliere annuì. “Anche secondo me non
è stata una buona idea
portarla qui. Ma stai tranquilla, è con Kanon e sono sicuro
che farà
di tutto per tenerla d'occhio”
“Lo
spero”
Qualcuno
da dietro poggiò con poca grazia una mano sulla spalla di
Galatea.
Lo sconosciuto le si affiancò e le rivolse un sorriso che,
probabilmente, riteneva affascinante.
“Tutta
sola, biondina? Vuoi un po' di compagnia?”
Galatea
cercò di ritrarsi e rifiutò gentilmente, ma il
ragazzo non sembrava
intenzionato a demordere.
“Andiamo,
bellezza, solo un ballo o un giretto qui attorno”
“Ha
detto che non vuole” ribadì duramente Camus,
guadagnandosi
un'occhiata torva dallo scocciatore.
“Non
stavo parlando con te, capellone”
“Ma
stai importunando la mia amica”
“No,
tu stai importunando noi. Stavamo facendo conoscenza”. Lo
sconosciuto passò un braccio attorno alle spalle di Galatea.
Questa
stava per muoversi e metterlo al tappeto, ma Camus la
anticipò e la
liberò da quell'abbraccio torcendo il polso al ragazzo.
“Non
lo voglio ripetere: lasciala stare” scandì bene il
Cavaliere,
mantenendo comunque il suo autocontrollo.
“Va...
bene...” accettò con voce strozzata
“Adesso lasciami andare, per
favore”
Camus
mollò la morsa, prese Galatea per mano e fece per
allontanarsi
dall'importunatore, ma questi, dopo essersi ripreso, lo
fermò
afferrandolo per una spalla e fece per dargli un diretto in pieno
volto. Il suo pugno venne fermato, stavolta, da Galatea, che poi
spinse indietro il ragazzo, facendolo finire col sedere sulla
panchina che avevano occupato poco prima.
“Ti
conviene restarci, se non vuoi farti ancora più
male” lo avvertì
la Sacerdotessa, quindi si lasciò guidare da Camus
attraverso la
folla. Il Cavaliere continuava a tenerla per mano, forse stringendo
con forza eccessiva, ma non le importava. Era il primo contatto
fisico dall'incidente allo stadio e non aveva intenzione di
interromperlo fintanto che non l'avesse voluto lui.
Arrivati
al centro della piazza, la folla era talmente accalcata che furono
costretti a fermarsi e Galatea venne letteralmente schiacciata contro
Camus. In un gesto forse istintivo, il Cavaliere la cinse col braccio
mentre cercava una via d'uscita da quel marasma che sembrava mal
sopportare. Una volta individuatala, ripresero ad avanzare mano nella
mano.
Un
ragazzo incappucciato che procedeva in direzione opposta alla loro la
colpì con una spallata e, per un attimo, i loro sguardi si
incrociarono. Due occhi cerulei spiccavano sul volto scuro sia per la
carnagione che per l'ombra del cappuccio. Un lampo azzurro
passò
sulle sue iridi e Galatea avvertì distintamente il suo cosmo
accendersi per un istante. L'uomo proseguì per la sua
strada, sotto
lo sguardo di Galatea.
Anche
Camus si era fermato: aveva sentito pure lui quella breve emanazione
cosmica e stava cercando di individuarne la fonte.
Ligia
al suo ruolo di Sacerdotessa, Galatea lasciò, seppur
malvolentieri,
la mano del Cavaliere per lanciarsi all'inseguimento dell'uomo
incappucciato prima di perderlo di vista.
“Galatea!”
la chiamò Camus, dopo che la ragazza ebbe lasciato la sua
mano. La
Sacerdotessa non rispose, ma proseguì nell'inseguimento, con
gli
occhi puntati sul cappuccio davanti a lei.
Un
gruppo di persone di passaggio rallentò l'avanzata di Camus,
che
perse così di vista Galatea. Preoccuparsi gli venne
stranamente
istintivo, così come sentire la mancanza del contatto con
lei. Ora
che non erano più insieme, il freddo tornò a fare
da padrone dentro
di lui.
“Dobbiamo
per forza stare qui?” si lamentò Ayame. Dopo
essersi rifocillato,
Kanon l'aveva parcheggiata su un muretto e, da allora, la controllava
a vista.
“Sì”
rispose, monotono, il Generale.
“Potremmo
andare a ballare” propose con leggerezza la ragazza.
“No”
“Sei
noioso”
“Desolato,
ma qui posso tenerti d'occhio, quindi non ci muoviamo”
Ayame
sbuffò e abbandonò la testa sulle mani, mentre i
gomiti erano
poggiati sulle gambe che penzolavano dal muretto.
Da
quando erano arrivati alla festa le risultava difficile stare ferma,
si sentiva stranamente euforica e persino la solita sensazione di
vuoto sembrava quasi essere scomparsa. Tuttavia non sapeva come
sfogare quell'energia, Kanon le aveva più volte fatto capire
che non
era minimamente intenzionato a schiodarsi da lì.
Quando
Ayame notò i bagni chimici dall'altro lato della piazza, le
venne
un'idea che le avrebbe, se non altro, consentito di muoversi un po'.
“Devo
andare in bagno” gli comunicò con fare innocente.
Kanon
alzò gli occhi al cielo, scocciato, e sospirò,
quindi abbandonò
l'appoggio del muretto.
“Basta
che sia una cosa rapida. Dai, andiamo”
Ayame
balzò subito giù e atterrò agilmente
sui tacchi vertiginosi, poi
si incamminò col Generale verso i servizi igienici. Una
volta
inglobati dalla folla, la sensazione di euforia in Ayame si fece
più
intensa. Sentì i suoi sensi acuirsi, percepiva rumori e
odori
amplificati di decine di volte, in una cacofonia di sensazioni che,
presto, iniziarono a stordirla.
Un
formicolio strano e fastidioso le percorse il braccio destro e,
voltatasi in quella direzione, vide una coppia di ragazzi scambiarsi
effusioni con eccessiva passione. Un altro prurito le prese la nuca,
e di nuovo individuò due persone che si stavano baciando.
Quando
voltò il capo per individuare la fonte dell'ennesimo
formicolio,
venne colta da un capogiro accompagnato da una forte sensazione di
nausea. Un nuovo prurito la colpì in pieno volto e Ayame
riuscì a
mantenere a stento l'equilibrio.
Ben
presto le fu impossibile distinguere la provenienza delle varie
sensazioni. La vista prese ad annebbiarsi e la nausea si fece
insopportabile, la testa le girava talmente tanto che mantenere
l'equilibrio divenne un'impresa impossibile. Riuscì a
rimanere in
piedi solo grazie al tempestivo intervento di Kanon.
“No
no no no no! In piedi, forza!” la incitò,
sollevandola di peso.
“Ci manca solo che attiriamo l'attenzione su di noi”
“Devo
vomitare” lo avvertì Ayame.
“Magnifico.
Dai, andiamo. Cerca di far finta di camminare e, ti prego, resisti.
Questi vestiti sono di Saga”
Ayame
annuì. Attraversarono la piazza alla maggior
velocità possibile e
raggiunsero i bagni chimici. Kanon forzò la porta di una
delle due
cabine e cacciò fuori in malo modo chi la stava tenendo
occupata,
sordo alle sue proteste, lasciando via libera ad Ayame.
La
ragazza vomito letteralmente l'anima, sotto lo sguardo vigile e
seriamente preoccupato di Kanon.
Durante
tutta la traversata della piazza, l'uomo col cappuccio si era voltato
più volte, quasi a voler constatare che Galatea lo stesse
seguendo.
Dimentica
del suo appuntamento con Camus, la Sacerdotessa aveva ora come
obiettivo quello di raggiungere la figura davanti a sé e di
scoprirne le intenzioni. Non era un volto conosciuto e il suo istinto
le diceva che, probabilmente, apparteneva alle schiere nemiche.
Ai
lati del palco, la folla si diradò, lasciando ad entrambi
più
libertà di movimento. L'uomo incappucciato
accelerò il passo e,
quando fu sicuro che Galatea l'avrebbe visto, scomparve una via
laterale. La ragazza corse al suo inseguimento ed imboccò la
stessa
strada, in fondo alla quale vide il suo obiettivo, in attesa. Di
nuovo l'uomo imboccò un altro vicolo alla sua sinistra e di
nuovo
attese che la Sacerdotessa fosse a portata d'occhio. Continuarono
così finché non sbucarono in una piazzetta
più piccola nei pressi
della festa, il cui eco giungeva sino alle loro orecchie.
Galatea
raggiunse l'uomo e, per precauzione, accese il suo cosmo, pronta a
battersi.
“Buonasera,
Sacerdotessa” si sentì salutare dalla sua voce
melliflua.
“Chi
sei e che cosa ci fai qui?” domandò lei,
ostentando sicurezza.
“Mi
chiamo Jez e, puoi non crederci, vengo in pace” rispose
quello,
apparentemente con sincerità.
“Per
fare cosa?” continuò a chiedere Galatea.
“Osservare”
spiegò Jez, criptico, lasciando passare uno sguardo furbo
sul suo
volto scuro.
Quando
provò a muovere un passo, Galatea bloccò ogni suo
movimento
imprigionandogli i piedi con due manicotti d'avorio. Jez
lanciò uno
sguardo soddisfatto alle due manette.
“Non
vai da nessuna parte finché non mi dici cosa sei venuto a
fare” lo
avvertì la Sacerdotessa, guadagnandosi una risata di scherno
da
parte del nemico.
“Pensi
che questo basti a fermarmi? Povera sciocca”
Con
il minimo della forza, Jez si liberò dalla morsa d'avorio
che
avrebbe dovuto costringerlo a stare fermo. Due ali azzurro cielo si
aprirono sulla sua schiena, mandando in cenere la felpa che aveva
usato per restare nell'ombra.
“Non
sei abbastanza potente per competere con me”
“Ma
io sì” intervenne una voce alle spalle di Galatea.
Camus le fu, in
breve, a fianco, il cosmo acceso e pronto per essere scatenato.
“Un
Cavaliere d'Oro, quale onore!” esclamò Jez,
prostrandosi in un
accenno di inchino. “Purtroppo non sono qui per battermi.
Come ho
detto alla Sacerdotessa qui, sono venuto solo per osservare. E ho
osservato quanto basta, quindi arrivederci”
Con
un possente battito d'ali, Jez si alzò di parecchi metri da
terra e
balzò su uno dei tetti dei palazzi lì attorno,
quindi scomparve
alla vista.
Galatea
fece per lanciarsi al suo inseguimento, ma Camus la fermò.
“Aspetta!
Non è saggio seguirlo. Meglio cercare Ayame e
Kanon”
La
Sacerdotessa fece per protestare, ma alla fine annuì.
“Tu
stai bene?” le domandò poi Camus, sinceramente
preoccupato. Di
nuovo Galatea rispose con un cenno del capo, senza nemmeno provare a
nascondere il fatto che qualcosa non andava. Tuttavia la loro
priorità, in quel momento, era trovare gli altri due e
avvertirli
della visita dell'Angelo. Una volta che la situazione fosse tornata
sotto controllo, si sarebbe preoccupato di Galatea.
La festa è qui!
Ho cercato di usarla come pretesto per approfondire i rapporti tra i
vari personaggi, nella speranza di essere rimasta in linea con la loro
personalità, per fare un accenno alla natura divina di Ayame
e cosa essa comporta e, infine, per reintegrare nella storia il nemico
iniziale, che è sempre presente e presto si farà
vedere :) spero che sia di vostro gradimento! Come sempre, grazie a
Panenutella che beta e non mi fa scrivere strafalcioni ;)
PS: su sua notifica, il
termine mille mila
è una libertà stilistica che mi sono presa :)
è un termine che usiamo tra amiche per intendere,
simpaticamente, un numero molto grosso.