Inizio col dire che il capitolo
che segue lo avete già letto! Sì,
perchè ho sbagliato la pubblicazione! Mea culpa!!!
In ogni caso ero convinta di aver
già pubblicato il capitolo precedente ma poi la mia amica
PanteraNera mi ha fatto notare l'errore! Per questo la ringrazio
sentitamente!
In ogni caso, il vero capitolo 11
è stato postato mentre questo che segue è il
capitolo 12 che voi avete già letto perchè lo
avevo pubblicato per sbaglio! Scusatemi ancora e spero che entrambi vi
piacciano! ^^
Buona lettura!!!
Capitolo 12: Silenzi
Passarono
alcuni giorni nei quali tutto rimase come
prima: Edward non concedeva alcuna visita di Jacob, Renesmee non
lasciava quasi
mai la sua stanza ed io non sapevo da che parte stare. Ovviamente mia
figlia
non aveva ancora perdonato Edward per la sua azione e ovviamente Edward
non
aveva ancora perdonato Renesmee per ciò che
l’aveva scatenata. L’aria in quei
giorni era piuttosto pesante ma speravo ardentemente che sarebbe finito
tutto
al più presto: che la rabbia di Edward e di Renesmee
sbollisse. Come ciliegina
sulla torta Renesmee era arrabbiata anche con me perché mi
vedeva passiva di
fronte al divieto imposto dal padre e non sopportava questa mia
apparente
mancanza di interesse. In realtà ero molto preoccupata per
la sua condizione:
non mangiava spesso come avrebbe dovuto e usciva raramente dalla sua
stanza,
restando in silenzio per ore, attendendo la telefonata di Jacob che
sembrava
sempre troppo distante da quella precedente. Era passata una settimana
e forse
quello era stato il periodo di separazione più lungo al
quale erano stati
sottoposti mia figlia ed il suo lupo e, aggiungendo che ora erano
entrambi
pienamente consapevoli dell’amore che li legava, tutto
ciò era insostenibile.
Diciamo che il ritorno dalla mia vacanza non era stato dei migliori e
sapevo
che il clima respirato all’Isola Esme era solo un ricordo per
il momento. Alice
e Rosalie venivano a farci visita molto più spesso, quasi si
alternavano e
anche in quel giorno erano presenti quando qualcuno decise di farsi
coraggio.
Io
e le mie sorelle acquisite eravamo in cucina,
intente nel chiacchierare del più e del meno, facendo spesso
riferimento a ciò
che stava passando Renesmee. Non voleva nemmeno vedere Rosalie, la sua
zia
preferita. All’improvviso però lei uscì
di scatto dalla sua stanza, avviandosi
in salotto, dove si trovava Edward. Mi alzai e la seguii, lasciando
Rosalie ed
Alice immerse in una discussione sul modo di comportarsi del
“cane”. Qualcuno
bussò alla porta, titubante ma insistente. Tentai di
riconoscere l’odore e purtroppo
la mia previsione era giusta: Jacob. Edward si alzò dal
divano immediatamente
e, prima che Renesmee potesse anche solo accennare un movimento,
aprì la porta.
«Che
ci fai tu qui?» sibilò mio marito, già
in
preda alla rabbia.
«Andiamo,
Edward. È passata una settimana, la
punizione è durata abbastanza» disse Jake,
ironico. Fece per entrare ma lui non
glielo permise, bloccandolo.
«Non
mi sembra che qualcuno ti abbia invitato ad
entrare» gli ricordò, minaccioso.
«Credo
che quella regola valga solo per i vampiri»
scherzò Jacob. Renesmee era lì vicino, forse fin
troppo consapevole della
distanza alla quale si trovava Jake.
«Vattene.
Adesso» ordinò mio marito, serio come non
mai. Mi avvicinai a lui, conscia che se fosse continuata
così, la situazione
sarebbe degenerata.
«Jake,
vai...» sussurrai.
«Ma,
Bella...» tentò di protestare. Il mio cuore di
pietra sussultò quasi di fronte alla consapevolezza del
dolore che stavo
arrecando al mio migliore amico, ma soprattutto a mia figlia.
«Vai»
lo implorai quasi. Mi guardò sorpreso, poi
furioso. Si sentiva tradito anche da me, forse sua unica alleata in
questa
battaglia per avere ciò che gli spettava di diritto ma che
non poteva ancora
assaporare a pieno.
«Da
te non me lo sarei mai aspettato» sentenziò
Jake poco prima di uscire di scena, turbato e freddo come non mai.
Quell’episodio ebbe soltanto tre conseguenze: la rabbia di
Edward aumentò a
causa della sfacciataggine di Jake nel presentarsi come se nulla fosse
successo; la depressione di Renesmee si accrebbe a causa dello stato
morale di
Jacob e, infine, la mia confusione e la mia stanchezza si protrassero
fino
all’inverosimile. A volte la tensione era tale nella nostra
casetta tanto che
l’aria poteva essere tagliata con un coltello. Desideravo
parlare con Renesmee,
con Edward ma subito ci ripensavo, dicendomi che era tutto inutile e
che nulla
sarebbe cambiato. Me ne resi conto soprattutto una sera, a casa Cullen.
Ovviamente Renesmee doveva proseguire le sue lezioni con Esme o con
Carlisle,
in vista dell’inizio del suo primo-ultimo anno di liceo e
solo per questo ci
aveva degnati della sua presenza. Tutto ciò era avvenuto
dopo la visita di Jake
e mia figlia era più irascibile del solito. Si trovava nello
studio di Carlisle
con lui che le stava facendo una lezione molto approfondita sulla
meiosi. Io ed
Edward eravamo in cucina, chiacchierando con Esme e Emmett, gli altri
erano
tutti a caccia. L’argomento della discussione era piuttosto
ricorrente in quel
periodo perché gli omicidi non erano terminati.
«Spero
solo che non si ripeta ciò che è successo
con Victoria» dissi, stringendomi a mio marito.
«Non
succederà, cara. Questi vampiri sono molto più
esperti ma non credo che vogliano farci del male...» mi
tranquillizzò Esme.
«E
anche se volessero, non c’è problema! Li
annienteremo
senza problema! Non hanno idea di chi hanno contro!» aggiunse
Emmett,
desideroso di una botta di vita come sempre. Sorrisi all’idea
che questa volta
almeno non mi sarei sentita inutile ma sarebbe toccato a Renesmee stare
in
disparte e perdersi il “divertimento”.
All’improvviso però Edward si staccò da
me e baciandomi la fronte mi rassicurò dicendo che sarebbe
tornato subito. Lo
sentii dirigersi verso lo studio del padre ed entrare. Carlisle stava
spiegando
il crossing over quando Edward lo interruppe rivolgendosi a Renesmee.
«Cos’è
una triade?» chiese, attirando l’attenzione
di mia figlia.
«Ehm,
cosa?» ribatté Renesmee, come ridestata da un
sogno ad occhi aperti. Quando realizzò cosa aveva fatto il
padre, ponendole una
domanda scientifica a tradimento, esclamò: «Sto
studiando con Carlisle, non con
te!».
«Cerca
di prestare più attenzione e di pensare meno
al cane» rispose Edward con apparente pazienza nel tono della
voce.
«Non
osare chiamarlo “cane”!» lo difese subito
Renesmee.
«Calma!»
esclamò Carlisle, per placare gli animi.
«Torniamo alla lezione. Nessie se qualcosa non ti
è chiaro, dimmelo» aggiunse,
ignorando la poca attenzione di mia figlia. Avendo ascoltato
l’intera
conversazione, sospirai rassegnata di fronte all’evidenza che
la situazione
sembrava più grave del previsto.
«Tesoro,
cosa c’è?» chiese Esme, premurosa.
«Nulla,
Esme. Sono solo preoccupata».
«Lascia
che ti dica una cosa: quando Edward se ne
andò di casa, rimasi così male che credevo non
l’avrei superato tanto in
fretta, ma, con l’aiuto di Carlisle, tentai e ci riuscii, in
parte. Poi mi
rassegnai al fatto che non sarebbe mai tornato, anche se dentro di me
sapevo
che si sarebbe rifatto vivo, se mi concedi l’espressione, e
lui si ripresentò a
casa».
«E’
sempre stato il ribelle della famiglia» precisò
Emmett, ridendo. Sorrisi a quella battuta, cercando di immaginare a
quale
dolore era stata sottoposta quella povera donna.
«Fu
una gioia enorme tanto che per giorni non feci
che parlare con lui di tutto ciò che aveva fatto e
rassicurandolo perché si
sentiva come un mostro, ciò che non è mai
stato» terminò.
«Ti
capisco... ma il mio caso è diverso...».
«Invece
è la stessa cosa! Renesmee ha solo bisogno
di tempo e di comprensione. Si riprenderà anche
lei».
«La
piccola è tosta, deve aver preso dalla madre»
disse Emmett.
«Grazie,
Emm» dissi. Entrambi sorrisero mentre
Edward assisteva in silenzio alla lezione di Carlisle, rendendo
Renesmee
irrequieta. Chissà se quella situazione si sarebbe mai
risolta... Ma di una
cosa ero certa: non avrei mai smesso di sperarci come Esme.
I
giorni passavano ancora e un’altra settimana
trascorse come se nulla fosse. Questo per me. Renesmee diventava sempre
più
taciturna e sempre più insofferente di fronte al tempo che,
senza Jacob,
sembrava non trascorrere mai. Desideravo tanto sapere come stava Jake,
chiedergli scusa, ma non avevo il coraggio di farlo presente ad Edward,
temendo
che potesse sfociare in un’altra litigata. Così un
pomeriggio decisi di
prendere la macchina e di uscire, senza dire nulla. La Volvo sfrecciava
per le
strade grigie, provocando un ronzio piacevole. Ero felice di essere
evasa,
anche se per poco, dall’alone negativo che sembrava aleggiare
nella mia casetta
in quell’ultimo periodo. Non sapevo che dove stavo andando la
situazione non
era migliore. Giunta a La Push, mi diressi subito verso la casetta di
Jacob.
Non lo vedevo da quando aveva tentato di far ragionare Edward e
sinceramente mi
mancava anche un po'. Parcheggiai davanti alla porta di casa e
raggiunsi subito
la porticina in legno. Bussai con calma, aspettando che Billy venisse
ad
aprirmi.
«Bella!»
mi salutò subito con entusiasmo.
«Ciao,
Billy. Come stai?».
«Bene,
grazie e voi come state?». Il plurale era
diretto a tutti i miei familiari ne ero certa, anche se una in
particolare.
«Tutti
in forma» risposi, sorvolando sullo stato
morale della mia famiglia. «C’è
Jacob?».
«E’
in camera sua» sospirò. Si vedeva che Billy non
sapeva come affrontare la depressione di Jake, sembrava così
stanco e spossato.
«Grazie»
dissi e mi diressi in camera sua. Bussai
alla porta con calma, aspettando che mi dicesse di entrare ma quando
non udii
risposta aprii lentamente la porta, sbirciando prima di entrare.
«Jake…»
dissi, esitante. Era disteso sul letto con
il volto rivolto verso il muro e si girò solo per guardarmi
per un secondo.
«Che
ci fai qui?» domandò con voce monocorde anche
se un po’ infastidita.
«Volevo
sapere come stavi» sussurrai.
«Come
ti sembra che stia?». Domanda retorica.
«Jake,
mi dispiace» sussurrai, avvicinandomi al suo
letto.
«Non
so che farmene del tuo dispiacere» disse,
duro. Posai una mano sulla sua spalla a mo’ di conforto ma
lui si ritrasse
subito dicendo: «Non mi toccare, Bella». Sentivo
quasi gli occhi gonfi delle
lacrime che non potevo più versare.
«Sei
crudele, io non ho fatto nulla…». Non riuscivo
a capacitarmi che Jacob mi stesse trattando in quel modo ma non mi
sentivo
arrabbiata, piuttosto ferita e forse era perché mi sentivo
colpevole di ciò che
mi stava accusando.
«Sarei
io il crudele?! Non vedo Renesmee da due
settimane!» esclamò in preda allo sconforto. Si
girò con il viso verso il
cuscino probabilmente per celarmi la sua espressione.
«Non
è colpa mia… Edward ha deciso così e
io non
posso farci nulla…». Alle mie parole si mise
subito a sedere, vinto, suo
malgrado, dalla rabbia.
«Bella,
tu hai la capacità di addolcire ogni
decisione di tuo marito…» mormorò.
«Io giuro che non la bacerò, non la
toccherò
nemmeno se Edward preferisce ma, ti prego, fai in modo che io possa
vederla!».
Per pronunciare delle parole del genere doveva essere veramente
disperato. La
sua espressione era un misto tra il dolore e frustrazione che comunque
mi
faceva pena. Pensai a come sarei stata io se Charlie mi avesse impedito
di
vedere Edward per due settimane e quasi rabbrividii.
Dato
che non riuscivo a rispondere, Jacob disse di
nuovo: «Ti prego…». Non volevo
acconsentire solo per farlo contento perché non
avrei sopportato la reazione di Edward altrimenti. Ma ripensare
all’espressione
che mia figlia aveva ormai da due settimane, mi fece annuire, seppur
senza accorgermene.
Jake sorrise, senza entusiasmo però. Forse anche lui temeva
un mio insuccesso.
«Jake,
che ne dici di uscire un po’ sulla spiaggia,
come ai vecchi tempi?» chiesi, poi per alleggerire la
situazione.
«Okay…»
acconsentì esitante. Camminammo un po'
verso il mare, ancora non pioveva ma sentivo, guardando il cielo, che
mancava
poco che cominciasse. Jacob era stranamente silenzioso e teneva la
testa bassa,
calciando un ciottolo di tanto in tanto. Volevo che parlasse, che mi
dimostrasse di essere sempre lo stesso ragazzo spensierato che avevo
conosciuto
tanti anni prima, quello che mi faceva tornare sempre il sorriso.
«Sai,
Jake...» cominciai. «Renesmee non mi ha
voluto raccontare cosa è successo durante la settimana che
non ci siamo
stati...». Il suo sguardo si fece più curioso,
distratto dalle sue fantasie.
«Mi chiedevo se non volessi parlarmene un po'
tu...».
«Bella...
non so se sia il caso...».
«Oh,
andiamo! Non stai parlando con la madre della
tua ragazza, ma con la tua migliore amica!».
«Non
lo so...».
«Jake,
prometto di essere comprensiva e di non
dirlo a nessuno, okay?». Ci pensò un po' su,
guardandomi negli occhi per
accertarsi che fossi sincera e, quando fu del tutto sicuro, disse:
«Va
bene...». Sembrava più incerto forse
perché non si sentiva a proprio agio nel
parlare con me della sua intimità con Renesmee ma avevo
promesso di essere
comprensiva e non avrei commentato a meno che non me lo avesse chiesto.
«Se
è questo che vuoi sapere ci siamo baciati il
terzo giorno della vostra assenza ed è stato... stupendo...
non so nemmeno come
descriverlo... attendevo questo momento da quando Nessie è
diventata abbastanza
matura fisicamente da permettermi tali fantasie. Finalmente si
è resa conto di
amarmi e ti giuro, Bella, è stato il momento più
bello della mia vita». Lo
ascoltavo con tranquillità mentre si sforzava di trovare le
parole che gli
mancavano o gli aggettivi adatti e, se non lo avessi conosciuto, lo
avrei
scambiato per un adolescente innamorato pazzo che si confida con la sua
migliore amica. Era molto tenero da parte sua ma con quel tocco di
maturità che
conferiva obiettività alle sue parole. «La amo con
tutto me stesso e quando mi
sono reso conto che lei sapeva di ricambiarmi in tutto e per tutto
sapevo che
nulla poteva dividerci... fino a quando siete tornati...».
«Mi
dispiace, Jake» sussurrai.
«Non
fa niente, sai. Mi aspettavo che Edward si
arrabbiasse ma di certo non che mi proibisse di vederla... questa
è pura
cattiveria» lo accusò.
«Edward
non è cattivo. È solo protettivo e a volte
un po' geloso ma non credere che faccia questo solo perché
non gli stai
simpatico o cosa, lo avrebbe fatto con tutti». Sentii il
bisogno di difendere
Edward perché capivo come si sentiva e non era giusto che
passasse come
cattivo, cosa che non era mai stato.
«Ma
è questo il punto! Io non sono tutti! Dovrebbe
sapere che non farei mai soffrire Renesmee e che la amo come nessun
altro».
«Dubito
che ti avrebbe anche solo fatto avvicinare
a lei dal primo momento se non lo avesse saputo».
«E
allora perché tutta questa riluttanza ad
accettare la nostra storia?».
«Non
so cosa dirti, Jake...» mormorai, desiderosa
di cambiare argomento. «Magari è solo troppo
presto». Non rispose ma si limitò
ad andare verso un tronco disteso sulla spiaggia per sedersi.
«Ricordi
quando ci sedevamo qui e parlavamo per
ore?» chiese, guardandomi.
«Si,
all’epoca eravamo spensierati eppure ci
credevamo pieni di problemi» dissi, sorridendo.
«Magari
tu eri spensierata ma io dovevo convincere
una ragazza che lei mi amava anche se non ne era consapevole, o forse
fingeva
di non esserlo» precisò, sfoderando un sorriso
beffardo.
«Dubiti
della mia buona fede umana?» risposi,
ridendo.
«Dovevi
essere davvero cieca per non accorgertene!
Persino il succhiasangue se ne era reso conto!».
«Credevo
che avessimo abolito questi nomignoli
stupidi» lo ripresi.
«Loro
continuano a chiamarmi “cane” o
“bastardo”».
«Io
ed Edward non lo abbiamo mai fatto».
«Si,
invece» controbatté. «Edward continua a
farlo
di tanto in tanto ma tu lo hai fatto l’ultima volta quando ti
ho baciata di
fronte a casa mia».
«Ero
fuori di me, non me ne sono nemmeno resa
conto!».
«Bella
scusa!». Cominciò a ridere ed io mi unii a
lui, sedendomi sul tronco. Cominciammo a ricordare i vecchi tempi,
ridendo
delle situazioni imbarazzanti e rimpiangendo i momenti più
spensierati. Poi,
però, all’improvviso, iniziò a piovere
a dirotto. Non mi ero accorta che ci
fossimo allontanati tanto ma, visto che la spiaggia non era del tutto
priva di
gente che cercava di ripararsi, dovemmo correre a velocità
umana lungo quasi
tutta la banchina. Giunti a casa di Jake, ci rifugiammo nel garage
improvvisato
che ricordavo dai miei appannati occhi umani, ridendo come pazzi.
Quando la
smettemmo, consapevoli di essere bagnati fradici, dissi:
«Forse è ora che io
vada, che ore saranno?». Jacob prese il telefonino che gli
aveva regalato
Renesmee a Natale dalla tasca e guardò l’orario.
«Le
sei» rispose, indifferente. No! Ero rimasta
fuori per più di tre ore!
«Oddio!
Forse è meglio che vada» mi affrettai a
dire.
«Aspetta,
Bells. Parlerai con Edward?» domandò,
appena feci il gesto di prendere la macchina poco distante dal nostro
rifugio
improvvisato.
«Te
lo prometto».
«Okay...
ah, e... grazie».
«Per
cosa?».
«Perché
mi hai fatto trascorrere un bel pomeriggio
immerso nei ricordi» mormorò. Tornai verso di lui
e gli diedi un piccolo bacio
amichevole sulla guancia. Sorrise e poi prese un asciugamano per
asciugarsi un
po'. Io mi infilai in macchina più in fretta che potevo e,
accendendo la radio,
tornai a casa il più in fretta possibile. Anche se la Volvo
non era la mia
Ferrari, raggiunsi la nostra casetta in poco meno di venti minuti.
Durante il
tragitto, però sentii una vibrazione dal sedile posteriore e
mi resi conto di
aver lasciato la borsa con il telefono in macchina. Mi allungai tenendo
il
volante fino a prenderla e ad estrarne il cellulare. Cinque chiamate
perse. Tre
di Edward, una di Alice e una di Charlie. Richiamai subito Edward,
conscia che
fosse stato il più insistente.
«Bella,
dove sei?» chiese appena ebbe risposto.
«Sto
tornando a casa. Non mi sono resa conto
dell’orario» mi giustificai.
«Perché
non rispondevi? Mi hai fatto preoccupare».
«Ho
lasciato il telefono in macchina. È tutto
apposto».
«Okay.
Ci vediamo tra poco».
«Ti
amo».
«Si,
anch’io». Così chiudemmo la
conversazione. Non
avevo molta voglia di richiamare Charlie, sicuramente voleva che
andassimo a
trovarlo e in quel momento non mi veniva in mente nessuna buona scusa
per
liquidare la sua offerta. Per non parlare di Alice che erano settimane
che non
aveva altro argomento se non il nuovo guardaroba di mia figlia e quello
che
stava preparando per Jacob che, a parer suo, ne aveva vero bisogno. Non
sarei
davvero voluta essere nei loro panni. Letteralmente. Quando parcheggiai
la
Volvo, Edward mi fu subito vicino, pronto ad aprirmi lo sportello della
macchina. Scesi, inzuppata com’ero, e lo salutai con un
veloce bacio sulle
labbra.
«Dove
sei stata?» chiese, squadrando il mio
aspetto.
«Ehm...
da Jacob...» sussurrai, seppur con
determinazione. Si girò per celarmi la sua espressione ma
non rispose.
Evidentemente non gli importava dello stato del mio migliore amico.
«Edward,
ascoltami» lo implorai. Volevo subito
togliermi il pensiero. «Jacob e Renesmee hanno bisogno
l’uno dell’altra. Sai
come sta Renesmee e Jacob non è da meno, credimi se non
peggio. Io gli voglio
bene e non posso vederlo così per non parlare poi di
Renesmee. Quasi non mi
rivolge più la parola e non lo sopporto
più...». Mi stavo sfogando ma Edward
rimaneva impassibile di fronte a me. Fortunatamente aveva smesso di
piovere ma
volevo comunque tornare a casa, avvertivo la presenza di Renesmee e
volevo
parlarle. All’improvviso mi interruppe, posandomi due dita
sulle labbra.
«Cosa
dovrei fare? Rimangiarmi tutto e chiedere
scusa per qualcosa che hanno fatto loro? Sapevano entrambi come avrei
reagito
ma ciò non li ha frenati da fare qualcosa di tanto
stupido».
«Stai
dicendo che il primo bacio di nostra figlia è
una cosa stupida?».
«Sto
dicendo che non lo sarebbe stato se fosse
avvenuto con maggiore cognizione di causa».
«Sono
stanca di discutere sempre di questo
argomento».
«Anch’io»
controbatté guardandomi negli occhi.
«Perfetto».
«Non
è che la prendi così sul personale solo
perché
Jacob ti ha chiesto di parlarmene? Renesmee non lo avrebbe mai fatto ne
sono
certo» mi accusò. A quel punto sentii montare la
rabbia.
«E
se anche fosse? Mi sta a cuore lo stato d’animo
del mio migliore amico e soprattutto di mia figlia! Dovrebbe stare a
cuore
anche a te ma forse non te ne importa nulla ne dell’uno ne
tanto meno
dell’altra!» urlai, fuori di me, camminando verso
l’ingresso di casa tenendo
comunque lo sguardo su mio marito. Mi accorsi di averla detta grossa
solo nel
momento in cui lui sgranò gli occhi e poi abbassò
la testa, sopraffatto dalla
mia veemenza. Appena mi resi conto di ciò che avevo fatto mi
riavvicinai subito
a lui.
«Scusami,
scusami. Davvero non volevo. Non pensavo
ciò che ho detto, davvero. Mi dispiace» implorai,
alzandogli il viso alla mia
altezza. «Sono stata impulsiva. Perdonami, ti
prego». Azzardò un mezzo sorriso
come per tranquillizzarmi ma sapevo che non era autentico.
«Edward, davvero, mi
dispiace...».
«Bella,
non devi mai temere di dirmi ciò che
pensi...» mormorò, fissando i miei occhi ormai
ambrati.
«Ma
non lo penso davvero! Non l’ho mai pensato.
Come potrei?» lo rassicurai.
«Va
bene, ti credo. Ora, però, sarà meglio
rientrare» sussurrò, passandomi una mano sulla
guancia, delicatamente. Mi
strinse un braccio intorno alla vita e rientrammo in casa. Non riuscivo
ancora
a capacitarmi di aver detto cose simili ad Edward, accusandolo di
essere
indifferente al dolore della figlia. Mi vergognavo di me stessa.
«Preparo
la cena per Renesmee...» disse lui, prima
di lasciarmi sola nel salotto.
«Okay»
mormorai in un soffio. Mi diressi verso il
bagno e mi feci una doccia, cosa che non facevo da anni forse. Lo
trovai molto
rilassante come ricordavo e lavai i capelli con un shampoo che
profumava di
fragole, il mio preferito. Sentivo Edward all’opera vicino ai
fornelli e
Renesmee che parlava al cellulare, probabilmente con Jacob. Almeno su
quello
Edward non aveva posto divieti. Sapevo di aver sbagliato dicendogli
quelle cose
ma sapevo anche che era stato irremovibile nonostante tutti i miei
sforzi. Ma
questo incubo poteva mai volgere al termine? Non sopportavo
più la tensione che
si era innescata tra Edward e Renesmee e soprattutto non riuscivo
più a
sostenere la depressione di mia figlia. Non usciva di casa nemmeno per
andare a
casa Cullen e inoltre non riusciva a confidarsi con me
perché mi riteneva
responsabile del fatto che non potesse vedere Jacob. Quando ebbi
finito,
indossai un pantalone della tuta nero con una maglietta rossa sopra, un
abbigliamento che Alice non avrebbe di certo approvato. Andai in cucina
dove
Edward aveva quasi finito di preparare la cena e mi accomodai sul
bancone. Lui
mi sorrise, vedendomi vestita come una volta e poi mi chiese di
chiamare
Renesmee perché la cena era in tavola. Ubbidii subito,
andando verso la stanza
di mia figlia.
«Renesmee,
la cena è pronta» la chiamai.
«Non
ho fame» rispose. Tentai di aprire la porta ma
era chiusa a chiave e avrei dovuto fare forza per entrare se
ciò non avesse
fatto arrabbiare Renesmee ancora di più.
«Dai,
amore... dovrai uscire dalla tua stanza prima
o un poi...».
«Ora
non ne ho voglia». Mi arresi quasi subito
perché non era la prima volta che rispondeva così
ad una mia richiesta. Tornai
in cucina dove Edward aveva apparecchiato inutilmente per
l’ennesima volta.
«Non
ha fame, neanche stasera».
«Le
passerà» disse come per tranquillizzarmi. Non
mi sentii di controbattere perché altrimenti avremmo
continuato a litigare e
sinceramente non ne avevo voglia. Se avessimo continuato
così, prima o un poi
sarei impazzita. Dopo un po' Edward andò a caccia con
Jasper, giusto per
cambiare un po' aria e mi lasciò a casa da sola con una
figlia che non voleva
assolutamente parlare con me. Allora decisi di accendere la televisione
e
distrarmi un po' ma quando notai che non riuscivo a seguire nemmeno un
programma ma che tendevo sempre a divagare con la mente decisi di
spostarmi nel
nostro giardinetto segreto: era sempre stato un luogo pacifico e
tranquillo e
con l’aiuto di un buon libro sarei riuscita a pensare ad
altro. “Orgoglio e
Pregiudizio” era uno dei miei libri preferiti che riusciva
sempre a rilassarmi.
Iniziando a leggere le prime pagine però non potei fare a
meno di fare il
confronto con la famiglia Bennett. Loro non avevano altro obbiettivo
nella vita
se non quello di maritare le cinque figlie mentre nella mia famiglia
per uno
bacio prevedibile era successo il finimondo. Chiusi il libro e
cominciai a
concentrarmi anche sulle cose più stupide: tutto pur di non
pensare. Le rose in
fiore, i cespugli rampicanti rigogliosi, il piccolo stagnetto brillante
alla
luce della luna. La temperatura era quasi tiepida ma ciò non
concedeva un
attimo di pace dai nuvoloni addensati senza sosta nel cielo della
foresta di
Forks. Mi alzai di scatto e passai in rassegna a tutto quello che
potevo fare:
avrei potuto fare un po' di pulizia, giusto per tenermi impegnata, non
che la
casa ne avesse bisogno. Ma prima avrei fatto un ultimo tentativo per
convincere
Renesmee a mangiare qualcosa. Mi avviai verso la sua stanza, pensando a
cosa
dirle ma quando bussai e non ricevetti risposta in alcun modo, feci
più forza
sulla porta che si spalancò al mio primo sforzo. Vuota. La
stanza era vuota. La
finestra era aperta. Non potevo crederci! Renesmee aveva approfittato
dell’assenza del padre e della mia distrazione per
sgattaiolare via. Era ovvio
dove fosse diretta: a La Push, per incontrare Jacob, che probabilmente
non
sapeva nulla. Mi precipitai nel piccolo angolo di foresta dove tenevamo
le
quattro auto e notai che aveva preso la sua Audi per andare. Edward
sarebbe
stato furioso. Non potevo andare a cercare Renesmee perché
lui sarebbe tornato
da un momento all’altro ma, d’altronde, temevo di
rimanere a casa perché
Renesmee era da sola, di notte, per le strade deserte con una macchina
che a
mala pena sapeva guidare. Proprio mentre stavo formulando quel pensiero
lo
scatto della porta d’ingresso mi fece sobbalzare.
Inconsapevolmente ero tornata
nella stanza di Renesmee e così ne uscii subito, chiudendomi
la porta alle
spalle, come se quello potesse aiutarmi. Edward avrebbe percepito
subito
l’assenza della figlia. Gli andai incontro, timorosa ma
decisa a non dargliela
vinta. Renesmee aveva agito così per un unico motivo: aveva
bisogno del suo
lupo, non riusciva a vivere senza ed Edward non poteva impedirle di
vederlo.
«Amore,
dov’è Renesmee?» chiese subito appena mi
vide entrare nel piccolo salottino.
«E’
andata da Alice, voleva farle vedere qualche
nuovo abito per la scuola...». Una piccola bugia non avrebbe
fatto male a
nessuno. Ovviamente tranne che a me. Odiavo mentire, soprattutto
perché non
sapevo farlo. Edward alzò le spalle, probabilmente contento
che Renesmee si
stesse svagando un po’.
«Quindi
abbiamo la casa tutta per noi?» sussurrò,
venendomi incontro e stringendomi tra le sue braccia. Il senso di colpa
mi
inondò. Io gli avevo mentito e lui non vedeva
l’ora di passare la notte con me,
ignaro del vero luogo dove si trovava nostra figlia. Sorrisi, quasi
meccanicamente ma non riuscii a ricambiare il suo sguardo. Lasciai che
mi
conducesse in camera da letto ma, quando cominciò a
baciarmi, lo allontanai da
me.
«Aspetta,
Edward. Devo dirti una cosa…» ma non
riuscii a finire. Il suo palmare squillò
all’improvviso, vibrando nella tasca
dei suoi jeans. Mi fissò interrogativo ma poi
spostò lo sguardo sullo schermo
del cellulare.
«Alice?»
sussurrò, notando il mittente. Sospirai
mentre portava il telefono all’orecchio. Mi allontanai da
lui, portandomi una
mano nei capelli, nervosa che Alice potesse smascherarmi.
«Ciao,
Ed! Puoi passarmi Nessie?». Ecco fatto.
«Credevo
fosse con te». “Grazie tante, sorellina”
pensai tra me e me.
«Okay,
possiamo anche smettere» sussurrai,
avvicinandomi ad Edward e prendendo l’i-phone.
«Bella,
che sta succedendo?» chiese Edward,
iniziando ad alterarsi, forse temeva di conoscere già la
risposta.
«Ciao,
Alice» la salutai prima di chiudere la
telefonata e senza attendere risposta.
«Mentre
tu eri a caccia, Renesmee è scappata,
prendendo la sua macchina. Non me ne sono nemmeno accorta fino a quando
non
sono venuta a chiamarla per chiederle se aveva
fame…» cercavo di spiegare in
qualche modo ma sembrava come se Edward non mi ascoltasse.
«Perché
non me lo hai detto subito?» domandò, dopo
qualche minuto di silenzio.
«Temevo
che tu andassi subito a cercarla e non
voglio che sia così. Penso di sapere dove si trova e
comunque credo che sia
meglio se le diamo un po’ di fiducia…».
«So
per certo dove si trova e ciò mi fa infuriare,
dovresti saperlo» disse, trattenendo a stento la voce per la
rabbia. Non
riuscii a rispondere fin troppo consapevole di ciò che avevo
fatto e lui si
allontanò dalla nostra stanza. Appena me ne resi conto non
potei evitare di
seguirlo.
«Dove
vai ora?» urlai, correndo per raggiungerlo.
Era diretto alla sua macchina, ne ero sicura.
«A
prendere Renesmee» rispose, mettendo in moto la
sua Austin Martin, la più veloce delle sue auto.
«Non
puoi! Edward!» gridai invano. Non mi diede
ascolto nemmeno per un secondo ma non ci pensai due volte: presi la mia
Ferrari
e lo seguii. Sicuramente Jacob si sarebbe arrabbiato ed Edward era
abbastanza
furioso da far finire la faccenda in uno scontro come era successo poco
tempo
prima. Non potevo permetterlo. Presi il mio cellulare e composi il
numero di
Jacob perché ovviamente Renesmee aveva lasciato il cellulare
a casa.
«Pronto,
Bella? Senti, prima che tu possa dire
qualsiasi cosa...».
«Jacob,
sta’ zitto. Edward sta venendo lì ed è
furioso. Non sono riuscita a coprire la fuga di Renesmee e dille che di
questo
faremo i conti più tardi...».
«Dici
sul serio?».
«No,
per finta! Jacob, sto arrivando. Non vi
muovete da dove siete».
«Okay,
ciao».
«Ciao».
Continuai a sfrecciare sulle strade deserte
con Edward che correva davanti a me. Provai anche a chiamarlo ma aveva
lasciato
il cellulare a casa, troppo preso dallo shock per ricordarselo.
Giungemmo in
men che non si dica a La Push, parcheggiando le due auto vicino casa di
Billy.
Edward puntò subito alla porta, bussando con tale forza da
buttarla quasi giù.
Probabilmente fece venire un infarto a Billy che venne ad aprire.
«Dov’è
Jacob?» ringhiò.
«Ciao,
Edward... ehm... Jacob non c’è... se vuoi
puoi...» sussurrò Billy, timoroso.
«Grazie»
lo interruppe, mirando alla spiaggia. Subito
mi accostai al padre del mio migliore amico che sembrava spaventato.
«Scusalo
Billy. È solo preoccupato per Renesmee».
«Cos’ha
fatto Jake?».
«Non
permetterò che gli faccia del male, non
temere» lo tranquillizzai. Sembrò acquietarsi un
po' e così ripresi a seguire
mio marito che ormai aveva già trovato ciò che
cercava.
«Come
hai osato disubbidirmi?!» urlò, probabilmente
rivolto a Renesmee.
«Papà,
calmati...» sussurrò lei, probabilmente
timorosa come me che potesse finire come la prima volta. Arrivai giusto
in
tempo per sentire dal vivo Jacob che difendeva mia figlia, riparata
dietro di
lui.
«Edward,
non ti permetterò di farle del male, non
davanti a me!» sibilò Jacob, rabbioso.
«Jacob,
te l’ho detto. Non ripeto mai lo stesso
errore due volte» ringhiò mio marito.
«Non
mi sembra!».
«Lei
è mia» sibilò Edward. Il tono di voce
uguale a
quando Jacob mi aveva baciata per la prima volta e lui lo avevo
affrontato
fuori casa di Charlie.
«Lei
è mia!» ribatté Jacob, iniziando anche
lui ad
urlare.
«Io
non sono proprio di nessuno!» urlò Renesmee,
scostandosi dal suo ragazzo. Assistevo a quella scena impotente ma non
riuscivo
più a sopportarlo. Alice aveva ragione: stava a me risolvere
tutto.
«Renesmee,
vieni subito a casa» ordinò Edward.
«No!».
«Lei
fa ciò che vuole!».
«Lei
fa ciò che dico io!».
«Ora
basta!» urlai, con una tale forza da farmi
quasi tremare. «Renesmee può rimanere ma fino a
mezzanotte. Non un minuto di
più» decretai. «Edward, noi andiamo a
casa» ordinai. Tutti mi fissarono
sbalorditi ma io non vedevo più nulla, accecata
com’ero dalla stanchezza di
quella situazione.
«Grazie,
mamma» sussurrò Renesmee, abbracciandomi.
Strinsi forte a me la mia bambina, mi mancavano tanto quei momenti con
la mia
piccola brontolona.
«Non
fare tardi» mormorai tra i suoi capelli.
«Te
lo prometto».
«Grazie,
Bells» disse Jacob e strinse la mano di
Renesmee prima di portarla in casa. Edward era rimasto scioccato, tanto
da non
opporsi e da non ribattere nulla al mio ordine. Salimmo semplicemente
nelle
rispettive macchine, senza dire una parola mentre lo precedevo nella
strada
verso casa. Giungemmo subito nella foresta e subito raggiungemmo la
nostra
dimora, di fronte alla quale notai una Porche gialla: Alice. Uscii
dalla mia
auto, con sguardo affranto, sapendo cosa mi attendeva e entrai, con
aria
annoiata.
«Ehy,
Bella! Mi avete fatto preoccupare prima, poi
vengo qui e trovo la casa vuota...». L’entrata
furiosa di Edward la interruppe.
«Perché
lo hai fatto?!» urlò contro di me, questa
volta. L’espressione di Alice mutò
considerevolmente. Forse non aveva mai visto
Edward così, o almeno mai nei miei confronti.
«Sono
stanca, Edward! Stanca! Non posso più
sopportare né la tua rabbia, né quella di Jacob,
né tantomeno la depressione di
Renesmee!» ribattei. Alice sembrava scioccata, quando notai
che aveva preso tra
le mani il cellulare per un secondo. Cosa poteva aver fatto con quel
coso? Mah,
in quel momento avevo problemi più urgenti.
«Ma
non puoi venire lì e scavalcare la mia volontà
come se nulla fosse!».
«E
invece si! Altrimenti quella discussione non
sarebbe mai finita!». In quel preciso istante, Jasper
varcò la soglia di casa.
Subito mi sentii più calma, rilassata, pronta a perdonare
qualsiasi cosa.
«Smettila,
Jazz! Non è il momento!» urlò Edward,
seppur sotto l’effetto del fratello.
«Ed,
non avete mai litigato così...» mormorò
Alice.
«C’è
sempre una prima volta» controbatté. A quel
punto mi sentii rigida e spossata, come se avessi bisogno di
distendermi e non
sapevo se fosse normale per un vampiro. I vampiri non potevano svenire,
vero?
«Jazz!»
esclamò Alice, come se avesse prevenuto ciò
che avevo pensato. Subito sentii delle braccia forti che mi
sostenevano, calde
e sicure. Jasper mi fece sedere sul divano e mi spostò una
ciocca di capelli
dal viso.
«Ti
senti bene, Bella?» sussurrò, come per
calmarmi. E lo fece.
«Si»
mimai con le labbra, senza sapere se il suono
della mia voce fosse davvero uscito.
«Solo
questo riesci ad ottenere con le tue stupide
discussioni. Vedi? Renesmee continuerà a scappare, Bella a
stare male per te. È
questo ciò che vuoi?». Sentivo Alice che cercava
di far ragionare Edward ma,
alzando lo sguardo, incrociai i suoi occhi fissi su di me. In pochi
attimi mi
fu accanto, inginocchiato davanti a me, mentre mi accarezzava le mani
con gesti
frenetici e imploranti.
«Mi
dispiace, per tutto. Per quello che ho detto,
per quello che ho fatto. Ho sbagliato. Potrai mai
perdonarmi?» mi pregò.
Sorrisi e Jasper si alzò dal divano per fare spazio ad
Edward che lo rimpiazzò
subito. Alice e Jasper fecero per andarsene, silenziosi, per lasciarci
un po'
da soli ma Edward li fermò.
«Alice,
Jasper grazie. Di cuore. Vi devo un favore»
aggiunse sorridendo.
«Molto
più di questo» precisò Alice.
«Ma
non temere, torneremo a riscuotere un’altra
volta» proseguì Jasper facendo
l’occhiolino. Per l’ennesima volta, e non
sarebbe stata l’ultima, ringraziai il cielo di avere la
famiglia migliore del
mondo. Uscirono dalla porta d’ingresso e li sentii mentre
tornavano a casa
Cullen. Edward nel frattempo si accontentava di accarezzarmi le mani,
per
calmarmi e rassicurarmi. Quando incrociai il suo sguardo mi
alzò il mento alla
sua altezza.
«Puoi
perdonarmi?» chiese di nuovo, speranzoso.
Annuii, incapace di proferir parola davanti a quei due laghi
d’oro splendente,
incorniciati da ciglia folte e lunghissime. Mi baciò le mani
e mi accarezzò i
capelli prima di continuare. «Ti prometto che non
interferirò più con il
rapporto di Jacob e Renesmee. Ormai ho capito che non serve a nulla,
non più».
«Finalmente»
sospirai. Sorrise, guardandomi negli
occhi e in quel preciso istante, Renesmee varcò la soglia di
casa, insicura e
titubante.
«Sono
a casa» mormorò. Guardai l’orologio:
erano le
undici e quarantacinque. Molto previdente da parte sua. Mi alzai e con
me anche
Edward. Renesmee che si aspettava una sfuriata tentò di
mettersi subito in
salvo in camera sua ma Edward la chiamò.
«Tesoro?».
L’espressione di mia figlia passò dal
timore alla sorpresa più totale. Potevo immaginare i suoi
pensieri: “Da dove
usciva quel tesoro?”. «Possiamo parlare un
secondo?».
«Certo».
Attese che si sedesse in salotto sul
divano, dove io presi posto al suo fianco mentre Edward si sedette sul
tavolino
di fronte a mia figlia.
«Vedi,
tua madre e i tuoi zii mi hanno fatto capire
che stai soffrendo molto per il mio comportamento e, anche se ci ero
già
arrivato da solo, credevo che tutto questo ti facesse bene, che ti
facesse
capire che le azioni eccessive che avevi compiuto non erano
accettabili. Ma
stanotte ho compreso che tentare di dividere te e Jacob sarebbe come
tentare di
dividere me e tua madre: nemmeno la morte può
riuscirci» spiegò con tutta
calma. «Ti voglio bene e non voglio più vederti
soffrire per causa mia, voglio
essere un padre comprensivo, diverso da quello che sono stato
fin’ora. Non ti
prometto nulla ma giuro che ci proverò, okay?»
finì. Renesmee aveva gli occhi
spalancati dallo stupore mentre io la guardavo pazientemente per
osservare la
sua reazione alle parole del padre.
«Grazie»
disse semplicemente. Baciò Edward sulla
guancia e si diresse in camera sua, dove la sentii cambiarsi e andare a
letto.
Mio marito mi guardò, sperando nella mia approvazione.
«Dalle
tempo... Forse deve ancora realizzare quanto
le hai concesso» lo rassicurai.
«Forse»
concordò, sorridendo.
«E’
finalmente finita? Me lo prometti?».
«Assolutamente».
«Ora
ti riconosco» dissi e gli buttai le braccia al
collo, baciandolo delicatamente. Edward era tornato e non il padre
iperprotettivo e perennemente arrabbiato che avevo conosciuto in quelle
due
settimane, ma il mio Edward, l’uomo dolce, paziente e
sensibile che amavo dal
primo giorno che lo avevo conosciuto.
NDA:
Grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi con questa storia!!! Mi
piacerebbe conoscere le vostre opinioni!!! =)
Un
bacio e al prossimo aggiornamento!
Federica
|