« Sto facendo il possibile per divenire popolare. »
Taguchi Junnosuke /Cartoon KAT-TUN
- Finalmente! – urlò Taguchi Junnosuke,
continuando ad agitare il braccio destro con così tanta foga
ed accanimento da far credere che le sorti dell’intera umana
stirpe potessero dipendere da questo – E’ successo,
Akanishi-senpai! E’ successo! -
- Sei divenuto immortale? – replicò Akanishi Jin
dal portatile del suo appartamento a Los Angeles –
Perché dopo avermi svegliato alle quattro di mattina
è l’unica cosa per cui avresti ragione di
esultare. A parte, ovviamente, la possibilità che la tua
dubbia situazione estetica non subisca un’ulteriore
variazione dopo che la mia mano avrà incontrato la tua
faccia di cazz... -
- Sono così felice! – ribatté
l’altro semplicemente.
- Credimi, fino ad un istante prima della tua chiamata avrei potuto
dire lo stesso. -
Dal sottile mugolio di sottofondo, Jin immaginò che
l’idiota fosse troppo impegnato a continuare a crogiolarsi in
quell’insensato tripudio di felicità e gioia per
prestare attenzione (la dovuta attenzione, perdiana) alla sua non poi
così velata minaccia.
Ci fu una pausa in cui l’ex leader dei KAT-TUN si
passò una mano sulla faccia e si diede una sana grattata ai
genitali, giusto per trovare un buon modo per impiegare il tempo che
Taguchi stava continuando a perdere (e fargli soprattutto sprecare)
continuando ad emettere versi incoerenti come un moccioso di un anno e
qualcosa.
Senza offesa per i mocciosi di un anno e qualcosa, si intende.
- Lo stordimento da jet lag non durerà in eterno, Taguchi.
– disse Jin alla fine – Ti consiglio di arrivare al
punto prima che mi ricordi che da Los Angeles a Tokyo il tragitto in
aereo non è poi così tanto e che casa tua non
è poi così tanto distante
dall’aeroporto. -
Comprare casa a meno di un chilometro dal quinto aeroporto
più trafficato del mondo. Seriamente.
Decidere di abitare a seicento metri dal quinto aeroporto
più trafficato del mondo.
No, seriamente.
- Qualcuno mi ha riconosciuto per strada, Akanishi-senpai! –
gridò Taguchi alla fine – E mi ha pure chiesto un
autografo! Uno vero! Non come quella volta che mi avevano quasi
convinto a firmare un contratto matrimoniale ed a sposare quel ragazzo
con la gonnellina da marinaretta! -
Akanishi Jin chiuse il telefono ancor prima di sentire la fine della
frase.
- Ma ci pensi? Dopo undici anni! -
Taguchi Junnosuke non sentì neanche il segnale della
comunicazione interrotta.
Una delle poche cose che Taguchi Junnosuke aveva appreso dallo
sconsiderato numero di dorami coreani passati in rassegna, era che
raggiungere il successo non è mai una cosa semplice.
Esser membro di un gruppo di discreta fama non vuol di certo dire avere
una discreta fama, così come essere figlio
dell’Imperatore della Corea ed avere un matrimonio combinato
con una comune cittadina non equivale di certo a – comunque.
Il successo non è cosa da tutti.
Da bravo, responsabile neo Johnny’s, Taguchi Junnosuke aveva
fatto tesoro di questa verità e per undici, lunghi anni
aveva convissuto con la consapevolezza che girare a volto scoperto per
le strade di Shibuya e non essere fermato neanche una volta, neanche
per errore (a parte quella volta in cui un signore aveva
tentato di assoldarlo come host per il suo locale) non equivale poi
alla fine del mondo. Ci si può convivere.
Con calma, qualche anno prima aveva spiegato ad un ansante Kamenashi
Kazuya in fuga da un plotone di teenagers in pieno squilibrio ormonale, che
adesso che erano diventati famosi e lavoravano insieme, era
più che giusto che ciascuno raccogliesse i frutti del
proprio operato.
Per Kamenashi, che Johnny Kitagawa aveva col tempo trasformato da
brutto anatroccolo ad effusore di feromoni D.O.C., questi erano
costituiti da ragazze nei loro primi venti, per lo più con
dubbi gusti in fatto di musica e programmi televisivi.
Per Junnosuke, che la JE aveva reso una sorta di attrazione da circo,
erano invece composti da fratture multiple e lussazioni e –
occasionalmente – operazioni alle teste dei femori.
Nulla di grave, aveva aggiunto.
Kamenashi ci aveva riso su, si era asciugato un po’ di sangue
con la manica della camicia e gli aveva dato una sonora pacca sulla spalla,
ma Junnosuke non si era unito alla risata. La
popolarità era una faccenda seria.
Fu per questo che quando finalmente un sabato mattina (sei anni, tre
mesi e dodici giorni dopo quella discussione) una studentessa gli
chiese un suo autografo, la prima cosa che l’acrobata dei
KAT-TUN fece fu premurarsi che non avesse sbagliato persona. Per poi
– una volta ottenuta conferma che no, era proprio lui che
voleva – firmarle quasi l’intera agenda ed un paio
di scontrini e (se il controllore non lo avesse fermato in tempo )
anche il biglietto del treno.
Per poi, alla fine dell’intera faccenda, tornare a sedersi al
proprio posto e cominciare a sorridere come un pagliaccio con evidenti tracce di
paresi facciale a qualsiasi persona fosse così poco furba da
incrociare il suo sguardo.
Una volta arrivata alla propria fermata, la studentessa lanciò un ultimo sguardo all’agenda e scosse la testa - Oh. Ma questo non è Junnosuke Kitagawa. - disse incerta, guardando ora al blocco di fogli come se ogni pagina fosse stata fatta cadere e ricadere in una fogna a cielo aperto - Mh, forse posso comunque scambiarlo con qualche cestino del pranzo. –
Poi scrollò le spalle e si avviò verso il cortiletto della propria scuola.
« Finora la cosa non ha funzionato granché, huh? »
Akanishi Jin su Taguchi Junnosuke /Cartoon KAT-TUN
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