cap 8
Ishikura guardò in alto.
Sopra di lui, il cielo era sempre più rosso e meno luminoso.
Sotto di lui, le tegole erano calde, quasi bollenti.
Attraverso la stoffa della divisa, il suo corpo era più che
mai consapevole del peso e del tepore di quello di Sylviana,
così come il suo collo nudo lo era del metallo gelido della
lama.
Respirò a fondo per regolarizzare i battiti del cuore e le
rivolse un sorriso incerto.
– Non potresti
metter via quello spiedo? Mi fa sentire un po' a disagio.
– Con tutto il
rispetto, non me ne frega niente. Sono in missione. Rischio la pelle.
Che tu sia la spia a cui do la caccia, un suo contatto o il mio fido
partner, non mi devi nascondere niente... e non lo farai. Fuori la
verità. Tutta
la verità.
– Non
è mica così semplice! – si
lamentò lui – Non ho mai parlato di queste cose ad
anima viva...
– La magia del
pugnale alla giugulare m'ha reso la confidente ideale di un sacco di
persone, fino a oggi – mormorò lei contro il suo
orecchio – Scommettiamo che funzionerà anche
stavolta?
La pressione della lama aumentò e Ishikura sentì un dolore
improvviso, simile alla puntura di diversi spilli. Un rivolo caldo gli
colò sulla gola e gli bagnò il colletto.
Guardò Sylviana nella luce che andava diminuendo. Fa sul serio.
– Allora? Vuoi
che sposti la lama un po' più sopra e tagli più
in profondità?
Ishikura tirò un altro profondo respiro. Non sapeva
nemmeno da che parte cominciare.
Quando ripensava a quelle cose, e cercava di farlo il meno possibile,
andava sempre nella confusione più totale, anche a distanza
di anni.
– Come ti ho
detto, è una lunga storia – chiuse gli occhi
e cercò di raccogliere le idee – Comincia con la mia famiglia, nel
sessantotto.
Riaprì gli occhi. Lei lo fissava ancora.
– Continua.
– L'ex
Segretario della Marina Spaziale Mamoru Ishikura era mio padre.
Sylviana non fece una piega. A quanto pare, se l'aspettava.
Ishikura deglutì. Era difficile credere che la donna seria, acuta e inflessibile che
ora lo teneva in pugno con così tanta fermezza fosse la
stessa che l'aveva fatto impazzire per una settimana con le sue
frivolezze, il suo comportamento infantile e le sue risate sguaiate.
– Oltre a me e
Minoru, aveva un altro figlio: Takeshi.
– Quello per
cui poco fa tu e tuo fratello avete quasi litigato?
– Sì.
Aveva otto anni più di me e cinque più di Minoru.
Era caposquadriglia di un'unità di caccia spaziali... e il
mio eroe.
– Cosa gli
successe?
– Quando
scoppiò la guerra col Governatorato Extra-Solare,
rifiutò d'approfittare della posizione di nostro padre o di
fingersi inidoneo al combattimento per evitare d'esser mandato al
fronte. Partì con la sessantaseiesima flotta e
morì in battaglia dopo meno di un anno dall'inizio delle
ostilità, nella fascia d'asteroidi fra Marte e Giove.
Ricordò la piccola cassa di metallo che conteneva i pochi
resti di Takeshi, avvolta nella bandiera della Federazione e impilata
su innumerevoli altre nella stiva di quell'enorme, buio cargo spaziale.
Gli parve di udire di nuovo l'urlo straziato di suo padre, ma forse era
stato solo un cane, da qualche parte nei vicoli sotto di loro.
Sbatté le palpebre per scacciare quel ricordo .
– Da allora,
mio padre cambiò. Fece di tutto per impedire che Minoru
fosse chiamato al fronte e per convincere me a lasciare l'Accademia
Militare.
– Ma non ci
riuscì.
– No
– lui scosse il capo – Avevo diciassette anni,
odiavo i meccanoidi con tutto me stesso e bruciavo dalla voglia di
combattere. Finii per litigarci: per tutta la vita aveva incoraggiato
me e i miei fratelli a diventare soldati come lui e i suoi
predecessori, ci aveva riempito la testa di bei discorsi, nobili ideali
e storie di eroismo, e proprio quando avremmo dovuto davvero combattere
per difendere il nostro mondo e tutto ciò che ci era caro,
voleva che ci tirassimo indietro. Mi disse che le sue erano state solo parole, che
tutto ciò che voleva per noi era una posizione sicura e prestigiosa e che nessun ideale valeva la nostra vita. E disse
anche che Takeshi era stato uno stupido a partire. Mi sentii...
tradito: tutto ciò che mio fratello era stato, tutto
ciò che volevo diventare io, per lui non era altro che una
menzogna... Ebbene: non per
me. Me ne andai di casa e ruppi ogni legame con lui. O
almeno ci provai.
Si rese conto che stava tremando dalla rabbia e se ne stupì: era
passato tanto tempo eppure, a quanto pareva, ancora non era riuscito a
seppellirla in fondo al cuore. O forse l'aveva fatto troppo a lungo.
Fece un altro respiro profondo. Quella non era nemmeno la parte peggiore.
– Lui non lo
accettò e mi rese la vita un inferno: suppliche, minacce,
ricatti e ingerenze d'ogni tipo. Non mi
risparmiò niente: gli ultimi tre anni d'Accademia furono i
peggiori della mia vita – strinse il pugno – Mi
diplomai col minimo dei voti che la guerra era ormai persa e finii a
fare il Vice-Comandante sulla Kagero.
– La carretta in cui
il Governatorato fece sbattere il Grand'Uomo?
Ishikura annuì.
– Era l'unica
nave dello Squadrone Indipendente che fosse sempre sotto organico,
un catorcio di pattugliatore comandato da un Capitano in disgrazia che
si mormorava stesse andando via di testa e con un equipaggio di
reduci stanchi, novellini e incapaci. Finirci era lo spauracchio di
ogni ufficiale, ma avrei accettato di tutto pur d'allontanarmi dalla
Terra e da mio padre. Ormai lo odiavo, per questo non ho mai parlato di lui a nessuno: all'epoca volevo solo dimenticarmi d'avere il suo stesso
sangue nelle vene e in seguito... bé, era troppo tardi.
– E nessuno ha
mai fatto il collegamento?
– Ishikura
è un cognome molto comune – alzò le
spalle – E poi ci si aspetterebbe che il figlio di un pezzo
grosso, per quanto incapace, ricopra incarichi più
prestigiosi.
– Bene
– Sylviana fece scorrere di piatto il coltello sulla sua gola – E così m'hai
raccontato la storia della tua vita. Tutto molto interessante, ma che
c'entra con il progetto Herakles?
– Ci sto
arrivando, Te l'avevo detto
che era una storia lunga.
Infilò una mano sotto la giacca ma Sylviana lo
bloccò. La lama del pugnale tornò a mordergli la gola e le sue gambe
lo strinsero con più forza.
– Calma,
calma! – una goccia di sudore gli scese lungo la tempia
– Sono disarmato, volevo solo prendere il portafogli.
– Regola
numero uno: non ti muovi senza prima avermi avvisata delle tue
intenzioni. Riprovaci e ti sgozzo.
Lei gli liberò le gambe, gli si mise a cavalcioni sul bacino e
gli sbottonò la giacca con una mano sola, in un paio di
rapide mosse. Tirò fuori il suo portafogli dalla tasca
interna con una velocità e una destrezza degni d'un
borseggiatore professionista, lo aprì, frugò nelle tasche, ne tirò
fuori una foto e trasalì. Ishikura sorrise amaro.
– Girala
– la incoraggiò – Leggi i nomi.
Sul viso di Sylviana si dipinse un'espressione stupita.
– Questo era tuo
fratello Takeshi?
Ishikura le fece un cenno affermativo.
Sylviana rigirò la foto, la fissò ancora un momento e gli tolse il coltello
da sopra la gola.
– Non ci
somigliamo per niente, lo so – sospirò Ishikura
– Takeshi aveva preso da nostro padre, mentre io e Minoru
assomigliamo a nostra madre.
Ricordò i capelli castani di suo fratello, i suoi occhi
marroni profondi ed espressivi, il suo naso lungo e diritto e le sue
labbra sottili, il suo fisico atletico e la stretta d'acciaio delle sue
mani.
In quella foto era in alta uniforme poco prima di partire per il fronte
e sorrideva un po' brillo con un braccio intorno al suo collo e l'altro
attorno a quello di Minoru.
Avrebbe voluto poterlo ricordare sempre e solo così, ma a
volte l'immagine che aveva di lui era un'altra... e ora avrebbe dovuto
rievocarla.
Si
sollevò sui gomiti e avvicinò il viso a quello di Sylviana.
– Takeshi
Ishikura – mormorò con una smorfia amara – Il primo Herakles. O meglio, uno dei suoi tanti cloni senza
nome, torturato a morte da Kurai col beneplacito del suo padre
biologico e filmato da chissà chi.
Sylviana lo guardò spiazzata e il ricordo del momento
in cui aveva visto per la prima volta quel video s'affacciò di
nuovo alla mente di Ishikura, nitido come se l'avesse appena vissuto.
Si trovava su quella ghiacciaia del pianeta Beta davanti all'ennesima
tazza di grog, con Grenadier che non si decideva a crollare, Rai che
russava ormai sbronzo da più di un'ora, Nohara, Eluder e
Kaibara che tifavano e il Capitano, fresco come una rosa, che trincava
Heavy Red Barbour manco fosse acqua minerale e parlava sottovoce a
Marina.
A un certo punto, il grande schermo sopra il bancone s'era oscurato e
lui aveva alzto lo sguardo incuriosito, come tutti.
Aveva pensato a un guasto e stava per riprendere a svuotare la sua
tazza quando era apparsa l'immagine di quel laboratorio.
Una zoomata su quel maledetto lettino e aveva visto il volto
addormentato di suo fratello.
Poi, mentre ancora si stava chiedendo come fosse possibile una cosa del
genere, era iniziato quell'orrore.
Non ricordava nulla di cosa fosse successo attorno a lui nel lasso di
tempo che andava tra l'immagine di quegli occhi scuri che si
spalancavano all'improvviso e quella di quel povero corpo riverso a
terra, crivellato di colpi e con la testa ridotta a un'informe
poltiglia sanguinolenta; non ricordava d'essersi alzato né
d'aver lasciato cadere la tazza e nemmeno d'esser corso fuori dal
locale; le sole cose di cui aveva avuto coscienza da quel momento in
avanti erano la mano del Capitano sulla fronte e il suo braccio che lo
sosteneva mentre vomitava persino l'anima in mezzo alla neve, poi il
buio più totale.
Quando s'era ripreso nell'infermeria della Karyu aveva detto ai suoi
amici che dovevano essere stati il freddo e l'alcool uniti a quelle
immagini agghiaccianti a fargli quell'effetto.
Nessuno ne aveva dubitato: Grenadier gli aveva persino dato una pacca
sulla schiena e gli aveva riferito tutto allegro che non era stato il
solo a dare di stomaco, quella sera.
Tornò al presente e osservò Sylviana riporre la
fotografia nel portafogli.
– Il nome di
mio padre era nei documenti arrivati alla Polizia Militare in
contemporanea alla trasmissione di quel video anonimo, assieme alle
prove del suo coinvolgimento nel progetto Herakles. Aveva fornito
finanziamenti clandestini, locali, attrezzature e il DNA e il tracciato
neurale di un militare deceduto per gli esperimenti... ora sai di chi.
Lo arrestarono, lo processarono e lo condannarono. Ma credo che questo
tu lo sappia già.
Lei annuì e si
scostò una ciocca di capelli dal viso.
– Il tappo
è in gamba. M'ha
procurato tutto ciò che è rimasto degli atti dei
processi ai responsabili del progetto, compreso il Segretario Ishikura. Li ho
studiati in viaggio mentre eri occupato a evitarmi, brontolare e
dormire. Mi chiedo come sia possibile che questa storia non sia
trapelata, al processo: Takeshi era suo figlio, ma non si
accenna a lui in nessuno dei documenti in mio possesso.
Ishikura sospirò.
– Minoru e io
chiedemmo che non fosse resa pubblica l'identità del soldato
da cui vennero generati quei cloni. Lui lavorava già al
Ministero della Difesa, io ero un giovane eroe di guerra decorato al
valore e Takeshi stesso era stato uno stimato ufficiale. Il Giudice del
Tribunale Militare e l'Esercito non volevano altro che chiudere il caso
e far posare il polverone... furono tutti felicissimi d'accontentarci – sorrise, amaro – Stabilirono che,
come persona, il Maggiore Takeshi Ishikura era morto in guerra nel
sessantanove, che quei cloni erano da considerarsi individui
indipendenti da lui e gli uni dagli altri e celebrarono il processo a
porte chiuse, in contemporanea a quello per crimini contro
l'umanità degli assistenti di Kurai. Furono molto abili a
far passare tutto in sordina, dalla lettura delle accuse alla sentenza
finale. Sylviana allentò la presa e si raddrizzò.
– È
tutto vero? Ishikura la guardò negli occhi, con difficoltà. Ormai era
buio.
– Credi che
riuscirei a inventarmi una storia del genere sui due piedi? Ti sembra
che stia recitando?
– No... non
credo che tu sia così bravo – Sylviana
rotolò di lato e lo liberò del tutto –
Anzi, comincio a credere che tu sia incapace di mentire. Come
andò a finire con tuo padre?
Ishikura si mise a sedere e si massaggiò il collo.
– Presi una
licenza e andai al processo con Minoru. Fu la prima volta che
rividi mio fratello da quando m'ero imbarcato sulla Kagero. Non c'eravamo
lasciati bene, ma ci riavvicinammo: non avevamo più nessun
altro al mondo e poi volevamo la stessa cosa... sapere il perché.
Sai cosa ci disse quel... quel... quel pazzo? Che voleva proteggerci, che
lui e Kurai volevano proteggere tutti
quanti e che quello non era nostro fratello, no, solo il
suo DNA. Solo il suo DNA,
ti rendi conto?
Sferrò un pugno alle tegole, stupito di come, dopo tanti
anni, potesse provare ancora un rancore così violento e
profondo.
– Lo
condannarono all'ergastolo e ne fui felice –
si girò verso Sylviana – Si suicidò in
cella dopo appena un mese e non provai niente. Ero
convinto che quell'incubo fosse finito una volta per tutte... e
invece...
E invece, a quanto pareva, quell'orrore stava ricominciando da capo.
Qualcuno aveva ripreso quei folli esperimenti e qualcun altro lo stava
aiutando proprio come aveva fatto suo padre con Kurai.
Ripensò alla ragazzina, a Daiba, alla Kei e al Capitano
Zero, che ammirava e considerava un caro amico: erano nella stessa
situazione in cui s'era trovato lui dieci anni prima, con l'aggravante
che Harlock aveva ucciso delle persone e forse lo avrebbe fatto ancora.
– Ti senti
responsabile? – Sylviana era una sagoma scura contro il cielo
in cui si accendevano le prime stelle.
Ishikura appoggiò il mento sulle ginocchia e vi strinse le
braccia intorno. Vecchie domande senza risposta tornarono a
risuonare nella sua testa.
Aveva fatto bene a seguire la sua strada a ogni costo? Era stata la
sua decisione di non rinunciare alla carriera militare a spingere suo
padre ad appoggiare il progetto Herakles? Era stata colpa sua se si era
trasformato in un pazzo con le mani sporche del sangue di suo fratello
e chissà quanti altri?
– Non lo so
– si passò una mano sugli occhi – So solo che non
posso permettere che una cosa del genere si ripeta. Sono disposto a
tutto.
Sylviana si
alzò in piedi e gli dette le spalle.
– Sai, se
avessi saputo prima di tutta questa storia o l'avessi anche soltanto
immaginato, t'avrei rispedito sulla Karyu a calci – spolverò via la fuliggine dal di dietro del suo vestito – Un partner
coinvolto come te è una mina vagante in una missione del
genere. Ma ormai è troppo tardi. Se te ne andassi
di punto in bianco, tuo fratello si insospettirebbe.
Ishikura si alzò e le si
avvicinò.
– Che c'entra
Minoru?
– Vedi?
Ragioni con questo – Sylviana gli piantò l'indice
prima in mezzo al petto e poi sulla fronte – E non con
questo, come dovresti. Il caro Minoru lavora ai piani alti del
Ministero, ti conosce meglio di chiunque altro e tu ti fidi di lui:
è la pedina ideale per estorcerti informazioni, sempre che
non sia proprio la persona che cerchiamo. E sappi che, per come la vedo
io, la seconda opzione è assai probabile. Ishikura boccheggiò.
– Come puoi
dire una cosa del genere?! La nostra famiglia è stata distrutta dal
progetto Herakles! Minoru ha sofferto più di chiunque altro
per la follia di nostro padre... e poi... e poi è mio
fratello! Lei incrociò le braccia sul petto.
– Non vuol
dire niente. Tutti hanno un prezzo, anche i fratelli che dicono di
amarci.
Ishikura non ci vide più. La afferrò per la scollatura del
vestito e la attirò vicino.
Sollevò la mano per colpirla e qualcosa nella sua espressione lo
bloccò: sembrava... triste? Lei
distolse lo sguardo e rimase immobile con le braccia lungo i fianchi.
Non lo avrebbe fatto se avesse voluto attaccarlo o sfuggirgli. Chissà perché, Ishikura ne era sicuro.
Ma che sto facendo?
La lasciò andare e si staccò da lei, turbato.
Aveva immaginato più volte di strozzarla, legarla,
imbavagliarla, prenderla a schiaffi o buttarla giù dal treno
in quell'ultima settimana ma, per quanto fosse irritante e capace di
tutto, era pur sempre una donna... e lui certe cose non le avrebbe mai
fatte per davvero, a meno di non esserci costretto per salvarsi la
vita: aveva sempre pensato che sfogare la propria frustrazione in quel
modo fosse da vigliacchi.
– Mi dispiace
– chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie
– Ho i nervi a fior di pelle per tutta questa faccenda, ma
non avrei dovuto.
– Non importa
– Sylviana si sistemò il vestito – Forse
ho esagerato. Ma finché non spunterà fuori
qualcun altro, tuo fratello per me è il primo tra i
sospetti, ti piaccia o no: da quel che ho capito, ha libero accesso a
questo appartamento quando non ci sei... e inoltre sapeva del tuo
arrivo senza che tu l'abbia avvisato.
– È
un impiccione, non lo nego – Ishikura mise le mani avanti
– Pensa che non sappia badare a me stesso ed è
convinto di dovermi difendere dal mondo fin da quando eravamo piccoli:
so che si fa passare tutto ciò che mi riguarda al Ministero
e quando torno qui in licenza non mi molla un attimo, ma da questo a
riempirmi la casa di microfoni e telecamere...
– Ho la
sensazione che nasconda qualcosa. Ma chi, quel mattoide? Gli veniva da ridere al solo pensiero.
– Adesso sei
tu che non ragioni con la testa – la punzecchiò
– Avanti, possibile che non ti fidi di nessuno?
Sylviana si chinò e scese un gradino della
scala, il solito sogghigno irriverente stampato sul volto.
– No – scosse il capo – Ed è proprio grazie alla mia diffidenza che sono
ancora viva e vegeta, quindi me la tengo stretta. Anzi, lo sai cosa ti
dico? Dovresti imparare quest'arte anche tu, caro il mio Soldatino.
Lui decise di cambiare argomento.
– Senti, sei
sicura che tutto l'appartamento sia pieno di cimici e microcamere? Devo
contattare la Karyu.
– Oh, e
perché?
Si chinò accanto a lei, lieto dell'oscurità che
gli celava il volto.
– E me lo
chiedi? – sbottò – Dobbiamo far
modificare le nostre schede personali e i rapporti ancora da inviare
perché confermino tutte le balle che hai raccontato oggi a
mio fratello, almeno a grandi linee. Si può sapere che
diavolo t'è saltato in mente?
– Non ti
avrebbe più mollato, altrimenti – Sylviana
alzò le spalle e scese un altro gradino – Aveva capito subito che gli stavi
nascondendo qualcosa e lì per lì m'era
parsa una buona idea. Non potevo sapere che lavorasse al Ministero.
– Gli hai
detto che sei incinta! Di
me! – scosse il capo, ancora allibito –
Così, come se niente fosse... non ci posso credere!
– Sono solo
parole – sbuffò lei – E non resteremo così a lungo da creare sospetti in merito. Una volta finita
questa storia potrai dirgli la verità, raccontargli che il
bambino era di un altro, che sono morta di parto o qualunque altra
scusa ti venga in mente. A meno che tu non voglia davvero fare un
figlio con me, Shizuo...
Ishikura mise il piede in fallo e per poco non le cadde addosso.
– Nemmeno se
fossi l'ultima donna rimasta in tutto l'universo noto e anche in quello
ignoto – gli sfuggì.
Udì la sua risatina soffocata e sorrise anche lui
nell'oscurità.
Era strano: non si sentiva così sereno da un mucchio di
tempo.
Forse gli aveva fatto bene vuotare il sacco, sfogarsi con qualcuno...
anche se si trattava di un qualcuno che, per la maggior parte del
tempo, trovava piacevole come un dito in un occhio.
– Lascia
fare a me, per quella faccenda – Sylviana saltò giù dalla scala, aprì la porta e gli fece un cenno
d'intesa mentre indossava di nuovo la maschera da fidanzatina mielosa
– Prendi le valigie e mettiamoci qualcosa di più
comodo, amore...
Ishikura era sicuro di essere arrossito di nuovo, vuoi per il suo tono, vuoi per
il gesto, piuttosto esplicito, che lo aveva accompagnato prima che
sparisse oltre l'uscio della camera da letto.
Pregò in silenzio di non doversi pentire della
scelta di fidarsi di lei, agguantò i bagagli ed entrò. Sylviana aveva già spalancato gli
armadi ed era intenta a rifare il letto.
Ishikura posò le borse e le lanciò uno sguardo perplesso.
– Che vuoi
fare? Lei si accarezzò il fianco e gli si
avvicinò con movimenti lenti e sensuali.
– Non lo
indovini?
Lo afferrò alle braccia e gli tirò via la giacca
con un solo, energico strattone, poi la fece roteare sopra la testa e
la lanciò sul comò. Gli diede uno spintone che lo
fece cadere di schiena sul materasso, gli saltò sopra a
cavalcioni e si sfilò il vestito da sopra la testa.
Anche quello finì scaraventato chissà dove.
– Sylviana
– Ishikura deglutì, la temperatura corporea che
gli era cresciuta d'un paio di gradi almeno – Ma cosa...
Lei gli posò un dito sulle labbra e gli fece cenno di
tacere, poi gli tolse la maglia, che finì appesa al
lampadario. Avvicinò la bocca al suo orecchio.
– Le
microcamere sono neutralizzate per il momento, ma non posso far niente
per le cimici. Sarebbe troppo sospetto se tutti i sistemi di
sorveglianza che hanno installato smettessero di funzionare
all'improvviso, quindi parla piano. Molto piano.
Chiama, io creerò un diversivo.
Sylviana lo liberò e lui afferrò il computer
palmare. Accese il dispositivo anti-intercettazioni di Yattaran, si
collegò sulla linea protetta, attese che il collegamento
fosse stabile e si mise l'auricolare.
– Itaca
– mormorò – Itaca, mi sentite?
– Odisseo?
– la voce di Marina era lontana ma chiara.
– Sì
– Ishikura avvicinò le labbra al microfono
– Itaca, ci sono cambiamenti urgenti da apportare al mio file
personale: inserimento codice 237850...
Si voltò verso Sylviana, che aveva preso a
saltare su e giù sul letto con forza e velocità
crescente.
– Che diavolo
fai? – le chiese senza articolare. Poi, un pensiero lo
gelò – Penseranno che stiamo...
Le lesse le labbra: “Proprio ciò che
voglio”. Emise un mugolio che lo fece arrossire fino alla
radice dei capelli e si alzò in piedi. Le molle cigolarono e la testiera sbatté contro il muro. Ishikura distolse gli
occhi dal movimento ipnotico del suo seno fasciato nel pizzo rosa e s'impose di guardare solo lo schermo.
– Ho capito
bene? 237850? – la voce di Marina era perplessa –
Vuoi che mettiamo nel tuo file la voce “condotta
immorale”?
– Sì,
e specificate “con la tirocinante medico, recluta…
chi sapete voi” – bofonchiò –
Inoltre dovete scrivere sui rapporti per il Ministero che ho aggredito
il Capitano durante un diverbio e lasciato la nave insieme a
lei. Farebbero comodo anche delle ecografie da allegare alla sua
scheda... ehm... di un feto ai primi mesi... sì, insomma...
– Oh,
Shizuo... sì! – gemette Sylviana.
– Ish...
Odisseo, cosa state combinando? – la voce di Marina era tra
l'allarmato, l'imbarazzato e l'irritato.
– Sì,
amore... ah!
– Ehm...
Penelope sta creando un diversivo. Siamo sotto sorveglianza audio.
Silenzio. E imbarazzo totale, almeno da parte sua.
Seduto a torso nudo sul materasso che sobbalzava, una matta in lingerie
che saltellava e gemeva di fianco a lui, poteva immaginarsi la faccia
rossa di Marina come se l'avesse avuta davanti.
E i commenti che avrebbero fatto Rai, Eluder e soprattutto Grenadier
quando fosse tornato...
Già gli pareva di sentirli: non gli avrebbero dato pace per
tutti i secoli dei secoli.
Avrebbe voluto sprofondare.
– D'accordo,
Odisseo – assentì il suo diretto
superiore, asciutto – C'è altro?
– Penelope
vuole che comunichi che forse abbiamo già un contatto.
Verificheremo nei prossimi giorni.
– Bene. Da
parte mia, v'informo che la prima parte del nostro piano è
riuscita.
– Davver...
ah! – qualcosa, per la precisione un alluce smaltato di rosa,
gli perforò il fianco destro.
Alzò lo sguardo e lesse le labbra di Sylviana: “Collabora un po'!”
– Devo
chiudere – si massaggiò l'anca
dolorante – Buona fortuna, Itaca... Ah!
– Anche a voi.
Chiudo.
– Oh, Shizuo, ti amo! –
Sylviana si buttò a peso morto accanto a lui e gli
pizzicò la coscia.
Ishikura urlò, non certo di piacere.
E non era certo amore quello che provava nei confronti di Sylviana in quel
momento.
Ritiro tutto
ciò che ho pensato di positivo su di lei: io questa
la strozzo, dovessi rimetterci la pelle! Uno, due, tre...
– Sei rosso
come un peperone, Shizuo
caro – ridacchiò lei – Ti
sei stancato?
Quattro, cinque, sei,
sette, otto, nove, dieci, undici...
Cercò di non guardarla.
– Copriti... amore –
le ringhiò – Prenderai freddo...
– Non ho
dietro nessun pigiama, tesoro
– cinguettò lei – Ti spiace se ne metto
uno dei tuoi?
Il tempo di dirlo e gli aveva già aperto la valigia; un paio
di rapide mosse e l'aveva già addosso: a quanto sembrava, i
suoi bagagli non avevano segreti per lei.
Come lui, ormai.
Rinunciò all'idea di chiederle cosa diavolo ci fosse nelle
pesantissime valigie che gli aveva fatto trascinare per mezzo sistema
solare e cosa accidenti avesse comprato durante le fermate del Galaxy
Express, prese i pantaloni del pigiama e della biancheria di ricambio,
s'infilò in bagno e si buttò sotto la doccia.
Quando ne uscì, finalmente non più teso come una
corda di violino e un po' meno infuriato, lei era già sotto
le coperte.
Ishikura notò che aveva tolto i vestiti dai punti in cui li aveva
lanciati e immaginò di dover recitare la sua parte di
fidanzato innamoratissimo davanti alle telecamere.
Oh, bé... non
potrà essere più imbarazzante di ciò
che è capitato prima, sospirò.
Si stese sull'altra sponda del letto, si coprì con
lenzuolo e coperta e si mise sul fianco, di spalle a lei.
– Buona notte.
La sentì muoversi verso di lui e posargli una mano sulla
spalla.
– Posso
chiederti una cosa?
– Se proprio
devi – sussurrò.
– Cos'era quella
storia dell'“Eroe Silenzioso” e della
“Verità”? Una specie di codice segreto militare?
Gli sfuggì una risata.
– È
un gioco di quando io e i miei fratelli eravamo ancora piccoli
– si girò verso di lei – Ogni tanto ci
chiamavamo col significato dei nostri nomi: Takeshi significa
“Guerriero”, Minoru
“Verità” e Shizuo “Eroe
Silenzioso”.
Sylviana fissò il soffitto, incrociò le braccia dietro la nuca e sospirò.
– Sai una
cosa? Ti invidio.
– Per cosa?
– Questi
ricordi.
La guardò.
Alla luce fioca della lampada, la sua espressione era di nuovo lontana
e velata di malinconia.
– I tuoi
fratelli.
Ishikura si chiese che cosa nascondesse lei nel suo passato, perché
fosse tanto sensibile all'argomento e cosa l'avesse portata a credere
che non ci si potesse fidare nemmeno della propria famiglia.
Lui aveva preso una bella batosta con suo padre, sicuro, ma una cosa
del genere non l'aveva mai pensata, nemmeno per un istante.
Deglutì e prese il coraggio a due mani.
– Niente
segreti fra partner – la incoraggiò –
Vuota il sacco.
– Non hai il
coltello – ridacchiò lei –
E comunque, non c'entra con questa storia.
Si girò dall'altra parte e spense la luce.
– Buona notte,
Eroe Silenzioso.
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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