Il
giorno di Natale arrivò presto.
Gerard
si fece sentire quasi tutti i giorni, anche se negli ultimi tempi aveva
avuto molto da fare. Mi aveva detto qualcosa al riguardo, una sera, ma
io ero troppo ammaliato dai suoi occhi per poterlo ascoltare. Lui
sorrideva, quindi avevo dato per scontato che fosse una cosa bella e
avevo sorriso, senza in realtà aver capito un cazzo. Lui non
rivangò la cosa, comunque, quindi pensai che non fosse stata
un'informazione importante e mi godetti la frizzante allegria di Gee.
Non
accadde niente di particolarmente importante prima del giorno di
Natale, quindi pensavo di sorvolare tutte quelle noiose giornate
passate a suonare o a guardare la tv, visto che tutti sembravano avere
impegni, e di raccontarvi direttamente del ‘‘Giorno
X’’.
Mi
svegliai presto, verso le sette e mezza, per prepararmi. Sbadigliando,
controllai lo stato dei miei capelli e con una smorfia insoddisfatta
realizzai che facevano schifo. Forse pensate che a me non importi
niente del mio aspetto, ma non è così. Non del
tutto, almeno. A ognuno interessa l'aria che ha quando esce, sotto
sotto, anche se si tende a non ammetterlo per paura di essere giudicati
vuoti, vanitosi. Per me era abbastanza importante sapere che i miei
capelli non sembravano quelli di uno spaventapasseri, visto che speravo
sempre che Gee mi notasse. Sono una ragazzina troppo innamorata per
nasconderlo, che volete farci? Ad ogni modo, agguantai degli
asciugamani ed entrai in bagno, controllando di avere tutto il
necessario e aprendo l'acqua. Mi levai il pigiama e rimasi qualche
decina di secondi a rimirarmi allo specchio.
‘‘Cazzo, quanto sono magro..’’
osservai, tastandomi lo stomaco. ‘‘Sento
addirittura le costole.’’ aggiunsi sconsolato.
Odiavo essere così magro, perché quando camminavo
al fianco di Gee lo facevo sembrare molto più grasso di
quanto non fosse in realtà, e forse lui ci stava male. O
forse mi facevo troppe seghe mentali e a lui non fregava un beneamato
cazzo di non essere esattamente scheletrico. Scossi la testa
leggermente, poi aprii l'anta della doccia e scivolai dentro,
rabbrividendo a causa dell'acqua ancora tiepida. Sistemai la
temperatura e aspettai che si scaldasse, prima di sistemarmi sotto il
getto e godermi gli schizzi d'acqua bollente che mi arrivavano in
faccia. Chiusi gli occhi, mentre il vapore risvegliava tutti i miei
sensi e i pensieri mi affollavano la mente. Decisi di ignorarli e mi
concentrai sulla sensazione di appagamento che ricevevo ogni volta che
una goccia calda mi correva dal petto fino alle caviglie, accarezzando
il mio corpo nudo. Cristo, certe volte bastava davvero poco per farmi
felice, e in quella mattinata gelida una doccia calda era proprio
quello che ci voleva. Buttai la testa all'indietro, alla ricerca di un
po' di fresco, poi mi piegai e raccolsi lo shampoo. Spostai il getto
della doccia e m'insaponai i capelli, riempiendomi le narici del buon
odore emanato dal flacone colorato. Frutta mista. A Gerard piaceva, la
frutta, e pure a me. Più che altro mi piaceva la scatola del
prodotto, ricoperta di disegni e colori sgargianti, foto di fragole,
mirtilli e bacche varie. Anche se da come mi vesto non si vede, mi
piacciono le cose colorate - mi tirano su di morale. Sono un tipo
strano, uh?
Mi
sciacquai la testa e mi insaponai nuovamente, raccattando il
bagnoschiuma e spargendolo lungo il mio corpo. Mi sistemai sotto il
getto d'acqua bollente e finii di lavarmi, rilassato. Dopo due o tre
minuti spensi l'acqua e aprii l'anta della doccia, mentre il vapore
s'insediava nella stanza e faceva appannare lo specchio. Rabbrividii e
mi abbracciai lo stomaco, agguantando un asciugamano. Ne presi un altro
e mi ci asciugai i capelli, per evitare che continuassero a gocciolare
in giro. Riadattandomi alla temperatura tiepida di casa mia, mi legai
l'asciugano alla vita e uscii dal bagno, determinato a chiudere la
finestra che avevo dimenticato di chiudere prima di lavarmi. Nel
toccare la manopola mi venne la pelle d'oca e ricominciai a sentir
freddo. Tornai velocemente in bagno e finii di asciugarmi, poi andai in
camera e raccattai un paio di boxer. Li indossai e scelsi i vestiti per
la giornata, indossandoli subito dopo. Visto che dovevo andare da Gee,
mi vestii in modo abbastanza normale, anche se sopra i jeans evitai di
mettere una maglietta con sopra teschi o chessoio. Mi allacciai le
scarpe e diedi un'occhiata all'orologio: le otto e quaranta.
‘‘Non ci ho messo poi così
tanto.’’ constatai alzandomi dal letto. Mi diressi
verso l'armadio e tirai fuori degli oggetti, che poi posai sul tavolino
in soggiorno, accanto a della carta da pacchi e un paio di forbici.
Feci un respiro profondo e mi sedetti, cominciando a incartare i regali.
Finii
verso le dieci, grazie alla mia indubbia velocità e a tre
pause sigarette. Ero piuttosto compiaciuto del mio lavoro, considerato
che ero negato per queste cose. Misi i regali in una busta extra-large
e posai il tutto vicino alla porta, per evitare di dimenticarmene.
Rimisi a posto la stanza - o meglio ancora, buttai tutto nell'angolo, e
mi spaparanzai sul divano, facendo cadere la testa sui cuscini.
Profumavano ancora di Gee, e la cosa mi mandò in estasi.
Rimasi lì a fissare il vuoto per una decina di minuti, poi
decisi che era ora di andare e mi alzai. Mi infilai una giacca e i
guanti che mi aveva regalato Gee, quelli con le ossa di scheletro che
mi piacevano tanto e che, soprattutto, tenevano un caldo della Madonna,
pur essendo senza dita. Agguantai la sacca e uscii da casa, chiudendo a
chiave la porta. M'infilai le chiavi in tasca e mi incamminai verso
l'ascensore, sbuffando a causa del peso dei regali. Cinque minuti
più tardi ero già per strada, a congelarmi la
faccia. Faceva particolarmente freddo, quel giorno, e la condensa del
mio fiato era enorme. Rabbrividii e mi strinsi nella mia giacca,
velocizzando il passo. Poi però rallentai, ricordandomi che
ero decisamente in anticipo. Scossi la testa e mi diedi un'occhiata
attorno, per vedere se c'era un negozio aperto in cui intrufolarsi. Per
mia fortuna un negozietto di roba artigianale stava aprendo, quindi
attraversai la strada e lo raggiunsi, fiondandomici dentro. Mi guardai
in giro fingendo di cercare qualcosa, in modo da non venir cacciato
fuori dopo due minuti dal commesso, che aveva intuito che non avrei
comprato niente di niente.
-
Fa freddo, eh, caro? - domandò una voce alle mie spalle. Io
sobbalzai, girandomi di scatto. Una signora anziana, probabilmente la
proprietaria del negozio, era seduta al bancone e fissava con
malinconia le strade deserte, sospirando. Non mi ero nemmeno accorto
del suo arrivo, e sicuramente lei lo aveva intuito. - Lavoro qui da
tanti anni, ormai, ed è sempre così a Natale..
Tutti dai parenti, tutti dagli amici, e nessuno che viene a fare visita
a una vecchia come me.. - poi si voltò a guardarmi.
-
E tu? Come mai sei qui? - domandò con aria stanca.
-
Io? Uhh - esitai un attimo. - Sto.. sto cercando un regalo per un
amico, e mi chiedevo se avessi potuto trovare qualcosa qui - buttai
lì, sapendo di essere stato sgamato.
-
Beh, carino da parte tua. Per chi è? - chiese ancora.
-
Per un caro amico a cui tengo veramente tanto. - risposi io, dando uno
sguardo alla merce in esposizione.
-
Capisco.. - mormorò lei, persa nei suoi pensieri. Io annuii,
senza cercare di continuare la conversazione - anche perché
non avevo intenzione di comprar niente. Girovagai tra gli scaffali per
un'altra decina di minuti circa, poi finsi di ricevere un messaggio e
me ne andai.
-
Buon Natale, signora. - feci con un cenno del capo.
-
Anche a te, figliolo, anche a te. -
Una
volta uscito da quel piccolo locale, l'aria pungente della mia
città mi sembrava più fredda di quella del Polo
Nord, quindi controllai l'orologio e decisi di andare da Gee. Mi
sgranchii le mani e ripresi a camminare, la busta che sembrava sempre
più pesante passo dopo passo. Aumentai la
velocità e arrivai sotto casa del moro dopo quaranta -
quarantacinque minuti. Ripresi fiato e mi fumai una sigaretta, poi
citofonai e aspettai che Gee venisse ad aprire.
-
Chi è? - fece il ragazzo, la voce resa più
metallica dall'apparecchio elettronico.
-
Ehy. Sono io, Frank. - risposi io, sorridendo tra me e me.
-
Oh, Frankie! Aspetta, ora ti apro! - esclamò con voce
radiante. Dopo cinque secondi il portone si aprì e io mi
feci a piedi le poche rampe di scale che conducevano all'abitazione del
moro, ansimando lievemente per il peso dei pacchi. Arrivato davanti
alla sua porta, non feci neanche in tempo a bussare che lui mi
aprì, invitandomi a entrare con un sorriso a trentadue
denti. Lo ringraziai e lo salutai, posando la mia giacca insieme alla
sua e a quella di Mikey.
-
Sei il primo ad arrivare. - mi informò Gee, prendendo la
busta e posandola nell'angolo. - Fa molto freddo? -
-
Si crepa. - risposi io, levandomi i guanti. Lui sorrise, avviandosi in
sala. Trotterellai dietro di lui, guardandomi attorno. Tutto
l'appartamento era addobbato, e un'enorme tavola imbandita faceva la
sua porca figura nel bel mezzo della sala. Mi lasciai sfuggire
un'esclamazione di stupore e ammirazione, e Gerard non se la perse.
-
Carino, eh? Ci ho messo ere a preparare tutto. - gongolò
orgoglioso.
-
Potevi anche chiamarmi, chissà quanto avrai faticato. -
obiettai, fissando le decorazioni minuziosamente attaccate ai mobili.
-
Nah, non ti preoccupare. Non mi andava di sfruttarti pure il giorno di
Natale. - ridacchiò lui, stiracchiandosi e sedendosi sul
sofà. Seguii il suo esempio, rilassando le mie gambe
doloranti e sospirando tranquillamente.
-
E Mikey? - domandai.
-
Boh. Dovrebbe arrivare dopo con Ray, o qualcosa del genere. - rispose
lui, annoiato.
-
Oh. Quindi siamo solo noi due? -
-
Già. Che c'è, ti dispiace? - scherzò
il moro.
-
Ma che dici! - sbottai, arrossendo abbastanza visibilmente.
-
Scherzavo, scherzavo. Lo so che ti piaccio, sennò non
saremmo amici. - sorrise lui.
-
Cretino - mormorai alzando gli occhi al cielo.
-
Sono anni che continui a ripetermelo. - commentò Gee,
chiudendo gli occhi e posando la testa all'indietro.
-
È la sacrosanta verità. Gerard Way sei un
cretino! - ripetei con una finta aria stanca. Lui sorrise placidamente
e appoggiò la testa contro la mia spalla. Per fortuna aveva
gli occhi chiusi, perché io ero rosso come l'inferno.
-
Ho un sonno della madonna.. - sbadigliò il ragazzo,
passandosi una mano sul volto.
-
Dormi. Ci penso io agli ospiti. - lo tranquillizzai.
-
Grazie mille. Ti voglio bene. - fece lui, grato.
-
Ti voglio bene anch'io. - sussurrai, chiudendo gli occhi e sentendo il
suo respiro tiepido sulla spalla. Un sorriso idiota mi si
stampò sulla faccia e mi lasciai scappare un sospiro
soddisfatto, mentre mi voltavo a osservare la pelle candida del moro,
così delicata e morbida in confronto ai suoi capelli corvini
e ribelli. Avrei voluto urlare da quanto era carino, ma mi trattenni e
rimasi a guardarlo finché non sentii qualcuno bussare
ripetutamente alla porta. Con malavoglia mi alzai e andai ad aprire,
per ritrovarmi davanti un Mikey sorridente e pieno di pacchetti.
-
Frank! Ciao! - esclamò al settimo cielo. - Da quanto non ci
si vede! -
-
Da qualche settimana, in effetti - constatai io, stupendomene.
-
Sembra molto di meno. - commentò il ragazzo, posando i
pacchetti accanto ai miei.
-
Dov'è Gerard? - domandò poi, guardandosi intorno.
-
È di là che dorme. - lo informai. - È
meglio non svegliarlo, ha lavorato molto. - aggiunsi. Mikey
annuì comprensivo e si avviò silenziosamente
verso la cucina.
-
Del cibo mi occupo io. - mi spiegò. - Non sono un asso in
cucina, ma sicuramente sono meglio di voi. - ridacchiò
allegro. Come dargli torto?
-
Comunque ho ordinato qualcosa dal cinese, quindi se quello che preparo
fa schifo abbiamo un piano di riserva. - sorrise.
-
Daje! - annuii, soddisfatto. Poi lo lasciai lavorare e andai ad aprire
agli altri ospiti, che pian piano cominciavano ad arrivare.
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