CAPITOLO
2: UN AIUTO INASPETTATO
Erwan si avviò a grandi passi al suo nuovo
alloggio, enormemente sollevato che il direttore avesse permesso il trasloco.
Ne aveva fin sopra i capelli di quegli esseri repellenti, dalla carnagione e
dal colore di occhi e capelli più scuri di quella aliena, che ciondolavano nei
corridoi e seguivano le lezioni come se ne avessero diritto. Per lui era
un’indecenza doverci avere a che fare.
La prima vacanza trascorsa a casa gli aveva concesso qualche tempo
durante il quale riflettere sulle esperienze di quei primi due anni da
studioso, ed egli s’era deciso a conseguire due obiettivi. Primo: nelle
successive vacanze sarebbe rimasto all’Istituto, andando a casa solo per il NaÏg Kera, la principale
festività aliena con cui si celebra l’anniversario della Grande Rinascita,
guadagnandosi in minor tempo l’attestato. Quando aveva comunicato ai genitori
tale intendimento, suo padre aveva lanciato uno dei suoi migliori ruggiti
militari. E la madre, come prevedibile, era scoppiata in lacrime d’orgoglio.
Secondo obiettivo: s’era ripromesso di non tralasciare occasione per
esibire la sua provenienza in caso di polemica con dei Bretan
simpatizzanti per gli umani.
Non che Erwan avesse avuto vita facile nei
rapporti con altri studiosi dell’Ovest. Durante tutto il primo anno era rimasto
disgustato dalla volgarità grossolana prevalente nei suoi compatrioti. Né
prendeva parte alle rinomate cacce agli Idùn, intraprese dai suoi simili con tanto
piacere quanta impetuosa violenza, e sempre disapprovate e proibite, ma invano,
dal direttore. Erwan non avrebbe mai dimenticato la
volta in cui aveva assistito all’inseguimento di due
studiosi umani con tanto di fucili ad energia diretta, la cui irradiazione era
in grado di ustionare la vittima in modo estremamente preciso e, talvolta,
micidiale. Lui s’era limitato ad una scrollata di spalle e ad un’occhiata di
biasimo per una tale baraonda, ma nulla più. Spesso era testimone dei supplizi
che alcuni Bretan, giacché audaci sostenitori di una
presunta uguaglianza tra alieni e umani, dovevano subire, venendo importunati e
mostrati a dito come traditori o folli.
Quella sera Erwan raggiunse la sala di
studio e ricerca, ricolma di tavoli, poltrone e computer, portandosi parecchi T-doc, supporti di memorizzazione, per trasmettere gli
appunti delle lezioni dai computer lì presenti a quello, altamente superiore, della sua camera. Dopo aver lasciato i
supporti su uno dei tavoli, si andò a prendere una tazza di tè. Al suo ritorno
i T-doc erano spariti. Li cercò in giro per la sala
senza arrabbiarsi, perché intuiva che il discutibile senso dell’umorismo di
qualcuno non aveva trovato di meglio per estrinsecarsi. Dopo mezz’ora di
inutili indagini, era visibilmente infuriato ed era sull’orlo di esplodere
esasperato, quando un giovane compagno di corso, un grigio-argento occidentale
come lui, proruppe in una risata di scherno.
«Ha! Hai perso i supporti! Ed ora cosa racconti a paparino?», non
lasciò neppure la sua poltrona, ululando da avvinazzato a tutti i presenti.
«Sarà anche l’erede di mezzo Ovest, ma non gli piace mischiarsi con
noi».
Erwan lo fissò con sommo disprezzo. «Chissà
perché.» Si piantò deciso davanti al compagno e incrociò le braccia al petto;
non intendeva scatenare una rissa, se poteva evitarlo, poco dopo aver lasciato
l’ufficio del direttore.
Un altro alieno, un tipo robusto dai capelli grigi irti sulla testa,
seduto accanto al primo ed evidentemente suo complice, puntò su Erwan una sguardo maligno e sollevò la mano che,
chiaramente, stringeva i T-doc. Gli altri studiosi in
sala seguivano la scena con sollecitudine, immobili nelle loro postazioni.
Prima che il giovane potesse fare alcunché, quello alticcio fece per
versare il boccale ricolmo di Krian, un liquido
potabile a tasso fortemente alcolico, sui T-doc.
Inaspettatamente qualcuno li afferrò, strappandoli dalla stretta del secondo
alieno, girò attorno alle due poltrone e ai loro occupanti colti alla
sprovvista e restituì i supporti metallici al legittimo proprietario. Era una
ragazza, un’aliena che risultò stranamente familiare ad Erwan. Era alta, ma magra e molto pallida, e i suoi
occhi luminosi non si spostavano dalle figure dei due alieni gabbati.
Erwan le lanciò un’occhiata sorpresa e, suo
malgrado, incuriosita. Le labbra si incresparono appena in un sorriso ed il
cipiglio s’attenuò , «Grazie». Lei chinò un poco il capo e stava per ricambiare
il sorriso quando il tipo dai capelli spinosi balzò in piedi.
«Bella mossa, sudicia terrestre.», apostrofò la ragazza e poi aggiunse
a mo’ di spiegazione con tono falsamente confidenziale verso Erwan «Perché, vedi senatorino,
l’unica alleata che ti sei fatto è proprio una mezza Idùn. Curiosa la vita, eh?» rise
come una iena della sua espressione irrigidita. Detto ciò si riaccomodò sulla
poltrona, gongolando.
Stringendo ancora i T-doc recuperati dalla
sconosciuta aliena, Erwan scrutò la giovane e, da
sotto le sopracciglia corrugate, i suoi occhi d’un grigio slavato brillavano
accesi, febbrili, superbi e penetranti. Lei stava diritta davanti a lui e,
nonostante l’esame cui era sottoposta, un’assorta dignità permeava tutta la sua
persona, si rispecchiava nitidamente, malinconicamente nei tratti delicati del
volto, che era di una mitezza quasi infantile.
Dopo qualche istante, Erwan si volse e con
passo risoluto lasciò la sala.