The Sharpest Lives
Well it rains
and it pours
When you're out on your own
If I crash on the couch
Can I sleep in my clothes?
'Cause I've spent the night dancing
I'm drunk, I suppose
If it looks like I'm laughing
I'm really just asking to leave
This alone, you're in time for the show
You're the one that I need
I'm the one that you loathe
You can watch me corrode like a beast in repose
'Cause I love all the poison
Away with the boys in the band
I've really been on a bender and it shows
So why don't you blow me a kiss before she goes?
Give me a shot to remember
And you can take all the pain away from me
A kiss and I will surrender
The sharpest lives are the deadliest to lead
A light to burn all the empires
So bright the sun is ashamed to rise and be
In love with all of these vampires
So you can leave like the sane abandoned me
“The
Sharpest Lives”
My Chemical
Romance
“The
Black Parade”
Alle
cose buone ti abitui in fretta.
Frank
si era abituato in fretta a stare a casa di Gerard. Gerard si era
abituato in fretta
ad avercelo in giro per casa. Jamia era quella che ci aveva messo di più – in termini
di cuore e non di
tempo, però – ad accettare
l’idea che
Frank stesse da Gerard. Alla fine, una volta di più, era
stata ad un gioco che
ricominciava a somigliare tragicamente ad una corsa tondo tondo intorno
ad un
falò. Troppo vicino al fuoco, troppo vicino, Frank, ma di
tirarti via…nemmeno a
parlarne.
Quando
lui l’aveva chiamata il giorno dopo, lei era rimasta in
silenzio, attaccata alla
cornetta del telefono macerando rabbia e tenendola zitta, chiusa nel
proprio
corpo, dove l’unico danno che poteva produrre era a lei,
massacrandole un
organo – il cuore – che tanto di funzionare bene
non voleva più saperne. Mentre
lui parlava e le chiedeva di capire
–
ancora?! – lei mulinava
nella sua
testa una ghirlanda di odio e rancore con cui avrebbe voluto
strangolare
Gerard, soffocarlo e vederlo agonizzare, ed invece taceva e soffocava
solo lei.
“Me lo strapperai dalle braccia. So
che
non potrò impedirlo”. La consapevolezza
però non bastava a farle
abbandonare per prima lo scoglio, arrendersi alla morte inevitabile del
suo
matrimonio e lasciarsi andare sulla corrente di quella tempesta
iniziata il
giorno in cui Lindsay era stata sepolta. E quindi, per una volta di
più, era
stata ragionevole ed amorevole e disponibile e sorridente e comprensiva
e amica
di Gerard e fiduciosa di Frank e tenera e dolce e…
Quanti milioni
di bugie aveva accatastato nella propria vita? Fino a scomparire sotto
la
superficie liscia di uno specchio riflettente, lei era
un’Alice intrappolata
oltre lo specchio.
Frank
non aveva chiesto altro. Un appiglio striminzito a cui aggrapparsi,
come era
stato il suo sorriso strozzato al telefono, quell’ingoiare
una volta di più e
mormorare con un fiato così sottile da essere inudibile un
“certo, capisco, resta
pure lì quanto sarà necessario”. Lui
aveva afferrato quella frase e l’aveva
sollevata fino a farne un caposaldo su cui fondare la propria
convinzione ed
era rimasto lì proprio
per tutto il
tempo necessario. A lui, per riprendersi dalle proprie ferite, a
Gerard, per
riprendersi ciò che non aveva mai smesso di appartenergli.
Non
che le cose tra loro si fossero sistemate con un magico colpo di
bacchetta.
C’era una distanza invisibile che mantenevano anche dopo
giorni da quella
“notte delle confessioni”. Frank non sentiva il
desiderio di colmarla e su cosa
pensasse Gerard al riguardo preferiva non farsi domande.
All’inizio, poi, era
stato solo un diverso modo di scannarsi: ritrovarsi a dividere gli
spazi quando
si è due estranei come
loro erano
ritornati ad essere è dannatamente difficile. Frank sembrava
sempre si trovasse
nel posto sbagliato al momento meno adatto, Gerard pareva incapace di
riadattarsi alla presenza di un essere vivente in una casa che era
stata
abitata solo da lui e dai fantasmi. Si mordevano se facevano tanto da
restare
nello stesso identico posto per più di mezz’ora,
avevano un bisogno fisico di
separarsi e rintanarsi in zone diverse della casa appena la presenza
dell’altro
diventava una dolorosissima consapevolezza. C’era stato un
inseguirsi di
cattiverie ed insulti, litigi violenti e malignità urlate da
una parte
all’altra dell’appartamento in un inseguimento
feroce che era finito più di una
volta a pugni e calci e minacce di “andare via/ buttare
fuori”. Non se n’era
mai fatto nulla, man mano che il tempo passava l’odio si
smorzava
nell’abitudine. Il ricordo prendeva il sopravvento sul
bisogno di vendetta. La
familiarità di una volta tornava a ripetersi in gesti che
erano rimasti troppo
uguali a se stessi per essere cancellati del tutto.
L’unica
ombra scura nella vita di Frank divenne in fretta l’assenza
di Jamia. Non
riusciva a parlare con lei come avrebbe voluto…non riusciva
a parlarle e basta,
le mentiva sapendo di starlo facendo e la comprensione di quanto grande fosse quella menzogna
cresceva con il numero di
sorrisi spenti che riusciva a strappare a Gerard. Meglio di niente, si
diceva
quando ci riusciva, alla prossima volta sarà un sorriso
vero, di quelli che
ricordo ancora come fosse ieri…
I
sorrisi non tornavano, ma Gerard sì. Lentamente forse, ma
era di nuovo con lui
e Frank se ne rendeva conto quando, seduto nello studio
dell’altro fingendo di
leggere un fumetto ed ascoltare musica, poteva permettersi di spiarlo
dipingere
senza che Gerard sentisse l’esigenza di cacciarlo via dalla
stanza.
Quella
mattina, comunque, non era affatto un giorno come gli altri. Che fosse
stato il
bisogno di fare qualcosa per tenere
sotto controllo la tensione o che fosse davvero una decisione
ponderata, Gerard
lo raggiunse in cucina con una faccia strana, che non prometteva
necessariamente del buono, e quella richiesta già sulle
labbra.
-Mi
dai una mano a sbaraccare la stanza da letto?
Frank
sollevò un sopracciglio, la tazza vuota e la brocca del
caffè ancora a mezz’aria
sopra il ripiano accanto ai fornelli.
-…eh?-
chiese.
Gerard
sbuffò stizzito. Questa cosa non l’avevano ancora
superata del tutto, bastava
che Frank facesse tanto da contraddirlo – o semplicemente,
non assecondarlo
subito - e lui perdeva la pazienza e sbuffava, come se doversi ripetere
gli
costasse una fatica eccessiva ed il più giovane dovesse
apprezzare già il fatto
avesse parlato una volta.
-Eccheccazzo, Iero!- sbottò
adesso,
sedendosi al tavolo su cui l’altro stava posando
caffè e tazza.
Frank
s’indispettì, mollò tutto e si
tirò dritto, approfittando spudoratamente del
temporaneo vantaggio di poterlo squadrare dall’alto in basso.
-Senti
un po’, Way!- rintuzzò rabbiosamente.-
com’è che non te lo sei ancora levato
‘sto vizio di usare un tono del cazzo con me?!
-Non
è colpa mia se sei lento, Frankie.-
lo prese per il culo il cantante, servendosi tranquillamente del
caffè e della
tazza dell’altro.- Ti ho chiesto una mano per liberare la
camera da letto della
roba che c’è ammont…
-Guarda
che il concetto lo avevo afferrato!- ribatté acidamente il
più piccolo,
interrompendolo e spostando di malagrazia una sedia per sistemarsi di
fronte a
lui.- Ovviamente ti sembra il caso di farlo proprio stamattina!- gli
sputò
contro subito dopo.
-Un
giorno vale l’altro.- biascicò con indifferenza
Gerard, chiudendosi nelle
spalle e sbrindellando una biscotto tra le dita.
-Abbiamo
l’udienza tra tre ore.- gli ricordò Frank secco.
Gerard
scaraventò i resti del dolce nel piatto da cui lo aveva
prelevato e lo guardò
malamente.
-Quindi
restiamo tre ore seduti a fissare il muro?!- sbottò-
Comunque figurati! volevo
solo rendere quella dannata stanza funzionale così da
poterti lasciare quella
degli ospiti e farti dormire in un letto vero, ma resta pure sul divano
se
preferisci, Iero!- lo aggredì un istante prima di sollevarsi
ed uscire.
Lo
raggiunse quasi un’ora più tardi, di sopra e dopo
aver sbollito la rabbia che
provava. No, non aveva voglia di prendersi a pugni con Gerard poco
prima di
entrare in un’aula di Tribunale. L’altro stava
seduto per terra in camera da
letto, fissando con odio palese la distesa informe di oggetti che
appestavano
il lato opposto della stanza. Frank incrociò le braccia al
petto e guardò nella
stessa direzione.
-Beh,
se non cominciamo, non finiremo.- commentò propositivo.
***
Bob
era di nuovo il più nervoso di tutti e tre. A parte Brian,
s’intende; ma Brian
si sarebbe accontentato delle loro teste per smettere di essere nervoso
e,
quindi, continuando a mandarli a ‘fanculo a mezza voce
– a ritmo di una volta
ogni tre minuti – riusciva a mantenere i nervi abbastanza
saldi. Fuori di lì
c’era la stampa che li aspettava e Brian doveva
mantenere i nervi saldi. Gerard sedeva composto davanti al banco loro
riservato, osservava tutto spostando lo sguardo con sincera
curiosità attorno a
sé. In fondo non aveva sbagliato a pensare che ammazzandosi
di fatica quel
mattino, spostando scatoloni e mobili per quasi due ore
ininterrottamente,
sarebbe riuscito ad affrontare bene quella cosa. Ora ricambiava le
occhiate
divertite di quel tipo, nel banco di fianco al loro, senza
necessariamente
sentire l’esigenza di raccogliere la provocazione, aspettarlo
fuori di lì e
prenderlo a botte fino a lasciarlo in un lago di sangue sul selciato.
Oddio…il
desiderio di farlo c’era, ed era anche tornato più
volte ad ondate concentriche
che avevano coinciso con i momenti in cui il
ragazzino gli aveva sorriso apertamente e con aria
così innocente da fargli
sentire un groppo allo stomaco.
Era
pazzo. Era un fottuto pazzo. Ed era anche un dannato stalker.
Sapeva
che Frank se n’era accorto da un po’, lui ci aveva
messo più tempo ma alla fine
l’aveva notata quella figurina bionda appostata vicino a casa
sua, oppure fuori
dei negozi in cui lui ed il chitarrista entravano, perfino fuori dagli
Studi
l’ultima volta che ci erano stati. Non sapeva come avesse
avuto il suo
indirizzo, aveva provato l’impulso di chiederglielo
– afferrarlo per il risvolto della
felpa, attaccarlo al muro fino a
lasciarcelo appiccicato da sé e
poi…magari…anche fargli la domanda, sì.
Non
sapeva come fosse riuscito a tenere a freno quello stesso impulso, ma
ci era
riuscito.
Ogni dannata
volta che quel moccioso gli sorrideva, Gerard vedeva lo striscione del
concerto
come se lo avesse avuto davanti a sé. Ogni volta. Ogni
fottutissima volta…
Frank
se n’era accorto. Non gli aveva detto nulla per fargli capire
che sapeva cosa
gli passava per la testa, si era limitato a guardarlo preoccupato e poi
a
sforzare un sorriso che era decisamente mal riuscito e Gerard aveva
subito
intuito che lui sentiva esattamente le
stesse cose. Questo gli era stato utile, questo e la fatica.
Al
termine dell’udienza, Mikey era venuto a prenderli con la
propria macchina,
aspettandoli davanti ad una delle uscite laterali con Alicia e Jamia
mentre
Brian attirava l’attenzione su di sé e Stacy e
s’infilava nell’auto della casa
discografica dopo le domande di rito.
-Tutto
ok?- aveva chiesto ansiosamente suo fratello vedendolo pallido peggio
del
solito.
Gerard
aveva annuito soltanto, perché non sapeva se ce la faceva a
parlare. Bob aveva
raccontato cosa era successo e aveva riferito il verdetto del Giudice
– i
lavori sociali se li sarebbero fatti ma, dati gli impegni di lavoro,
potevano
essere rimandati per un po’ – Jamia aveva buttato
le braccia al collo di Frank
e gli si era appesa addosso con l’urgenza di una qualunque
moglie che non veda
suo marito da due settimane. Gerard si ritrovò a ringraziare
l’abbraccio caldo
di Alicia perché lo fece sentire decisamente meno solo e
meno debole di quanto
non avesse provato fino a quel momento. Si nascose nei capelli di lei e
le
rimase addosso, approfittando spudoratamente dei suoi diritti di amico
fraterno.
-Ehi,
è tutto a posto, Gee.- lo consolò lei
carezzandogli le spalle e cullandolo come
un bambino.
-Sì,
lo so.- mormorò lui in tono così basso che fu
Alicia soltanto a sentirlo. Mikey
continuava a studiarlo con la preoccupazione che si sarebbe sgretolato
da un
momento all’altro sotto i loro sguardi.
-…a
me, non mi abbraccia nessuno?- s’imbronciò Bob in
un timido tentativo di
smorzare la tensione che si avvertiva nell’aria.
Mikey
colse al volo e si infilò nella risata stentata degli altri
con una battuta in
tono smozzato.
-Non
provarci, Bobby bello, non m’ingannerai con la cazzata del
calore umano.
-Andiamo
a casa, vi preparo la cena!- propose Alicia staccandosi
dall’abbraccio di
Gerard con una delicatezza tipicamente femminile e solo per abbracciare
anche
l’omone biondo al proprio fianco.
Bob
ricambiò impacciato e poi la lasciò andare subito
per permetterle di
raggiungere l’auto parcheggiata lì di fianco.
-Vieni
con noi, Gee?- s’informò Frank con naturalezza.
Jamia,
già in direzione dell’Hammer nero che aveva
ripreso al deposito giudiziario, si
voltò disinvoltamente.
-Non
essere sempre invadente, Frank! Lascia stare Gerard e Mikey un
po’ da soli, ché
Mikes stava morendo stamattina!- lo rimproverò con un
sorriso affettuoso per il
cantante.
-Vado
con mio fratello.- annuì anche Gerard.- Potete portarvi Bob
se volete,- scherzò
poi con un sorriso incerto.- da noi occupa solo spazio!
Bob
gli diede un buffetto risentito sulla nuca e Gerard rise ed
entrò in auto,
lasciando poi spazio al batterista per sederglisi di fianco sul sedile
posteriore.
-Ci
vediamo a casa!- annunciò Alicia in un ultimo richiamo
generalizzato, un
secondo prima di sparire anche lei nella berlina metallizzata.
***
Jamia
insistette per riaccompagnarli dopo cena. “Non intendo andare
un’altra volta a
riprendere la macchina in quel posto
orrendo!” sbraitò quando Frank
provò a dirle che potevano fare il contrario
e riaccompagnarla loro per poi andarsene con l’Hammer. Il
chitarrista cedette
davanti alla minaccia di essere sbranato da una moglie inferocita che
aveva
passato quattro ore della propria esistenza litigando con i custodi di
un
deposito giudiziario per auto; lasciarono Bob sul divano di Mikey, dove
si era
addormentato serafico come un bambino e troppo pieno di cibo e birra
per
sollevarsi di lì, e si infilarono nel fuoristrada nero
parcheggiato sotto casa.
-Almeno
mi chiami quando arrivi? Per essere sicuro che sia tutto a posto!-
pregò Frank,
piuttosto preoccupato all’idea che Jamia se ne andasse in
giro da sola in piena
notte.
Lei,
impegnata nella guida, si limitò a grugnire il proprio
fastidio ed a
rimbeccarlo con un risentito “come credi che faccia quando tu
non ci sei?!” che
fece ridere Gerard, seduto sul sedile posteriore dell’auto.
Lei li lasciò
davanti il cancello del cantante, Gerard scese, salutò
rapidamente e si allontanò
per dare agli altri due la propria privacy con la scusa di dover aprire
il cancello.
Frank ci mise un po’ a decidersi a staccarsi dalle labbra
della moglie, lei
continuava a spingerlo via ma lui si ostinava ogni volta che Jamia gli
faceva
notare che era tardi e Gee lo stava aspettando davanti al portoncino.
C’era
qualcosa negli occhi di Jamia che faceva credere al ragazzo di stare
facendo la
più grande cazzata della propria vita.
-Ti
amo.- le disse piano, e dentro di sé aveva pensato
tutt’altro, aveva pensato un
“vuoi che venga con te?” che non aveva detto
affatto perché si era trasformato
un secondo prima di uscirgli dalla bocca. Lui, del resto, non voleva andare con lei.- Grazie.- si
sentì in dovere di
aggiungere.
Jamia
si limitò ad annuire e poi sporgersi ad aprirgli la portiera
per fargli capire
che adesso doveva scendere. E farlo davvero. Ed anche in fretta.
Perché magari
lui non se ne poteva accorgere, ma lei lo sapeva che se fosse rimasto
ancora
avrebbe urlato e pianto.
-Se
avete bisogno di qualcosa chiamami.- si costrinse a dire mentre lui
usciva
dall’auto.
-Oh…siamo
grandi abbastanza!- scherzò Frank senza allegria.
Chiuse
lo sportello, fece un passo indietro e spinse le mani in tasca,
rimanendo lì a
guardarla che faceva inversione e si immetteva nuovamente sulla strada.
L’Hammer sparì in fretta svoltando qualche angolo
più in là e Frank camminò
lento e triste verso il cancello di casa di Gerard.
-Se
volevi, potevi restare con lei.- suggerì
quest’ultimo nel vederlo venire avanti
a testa china. Frank scrollò le spalle e Gerard insistette.-
Sto bene. Non ho
bisogno che tu stia con me.- mentì.
-Beh,
ne ho bisogno io.- ritorse Frank spiccio, sapendo bene che sarebbe
stato
inutile tentare di smentire l’altro. Lo spinse leggermente in
avanti per dirgli
di muoversi ad entrare e Gerard eseguì meccanicamente, anche
se continuava a
fingersi contrariato.- Ho bisogno di restare con te per assicurarmi che
tu non
abbia bisogno di me.- ridacchiò Frank alle sue spalle,
salendo le scale al buio
con la sola guida dei passi sicuri di Gerard.
-Idiota.-
commentò il più grande infastidito. Poi
cambiò tono – Lo hai visto?
-…chi?-
domandò Frank in modo così sorpreso che Gerard
gli scoccò un’occhiata dall’alto
in basso a fargli intendere che sapevano entrambi perfettamente di chi stava parlando.-
T…te…ne sei
accorto?- borbottò stentato il chitarrista.
-Da
un po’.- ammise Gerard.- Ma hai fatto bene a non dirmelo.-
convenne breve.- Lo
avrei ammazzato se me lo fossi ritrovato davanti…prima.- concluse con qualche
difficoltà a spiegare il concetto.
Non
era facile dire che il motivo per cui ora poteva accettare di essere
stalkerato
da un pazzo che si era permesso di infangare la memoria di Lindsay era
solo e
soltanto la presenza di Frank. Non era facile dirlo proprio a Frank.
Gerard
sapeva di stare ammettendo già troppo con
quell’unica frase, ma sapeva anche
che qualcosa doveva concederla all’altro dopo che lui aveva
fatto già la parte
più “grossa” in quella riconciliazione
forzata.
Frank
ebbe la decenza di limitarsi ad annuire, comunque, e mantenne un
silenzio
rispettoso ed una distanza, anche fisica, accettabile. Gerard
arrivò sul
pianerottolo cercando le chiavi in tasca ed il chitarrista si
fermò poco più
indietro.
-Gee.-
si sentì chiamare il più grande.
“Uhm…”- Pensi…che sia
pericoloso?
-No,
è solo fuori di testa.- sminuì Gerard.
-Non
mi piace.- ammise Frank.
Gerard
rise.
-Figurati
a me!- esclamò con sincerità.-Non siamo i primi
né gli ultimi a cui succede.-
si strinse poi nelle spalle. Spinse la porta e lasciò libera
la soglia
all’altro.- Frank,- fu la sua volta di chiamarlo mentre lui
gli passava davanti
ed entrava nell’appartamento buio.- grazie.- disse solo
davanti al suo sguardo
interrogativo.
-Mi
ringrazi troppo spesso.- borbottò Frank sfilandosi il
cappotto nell’ingresso.
Gerard accese la luce ridacchiando.- Sembra che tu debba farti
perdonare!-
infierì.
-Non
sperarci!- lo puntò Gerard con il dito e Frank si
allontanò ridendo anche lui.
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