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Sesto uscì dall'ennesima casa di ghiaccio trasformata in
sepoltura, tenendosi una mano contro la bocca nello sforzo di impedirsi
di dare di stomaco. Avevano perquisito tutte le abitazioni del
villaggio, e in tutte avevano trovato la medesima situazione. Gli
abitanti erano stati tutti uccisi e, a giudicare dallo stato di
congelamento dei corpi, doveva essere accaduto da almeno un giorno,
perchè anche senza calore umano e coi bracieri spenti le case di
ghiaccio ci mettevano un po' a raffreddarsi all'interno.
Publio si trovava nello spiazzo principale del villaggio e quando Sesto
lo raggiunse, si accorse che aveva trascinato fuori sulla neve un
cadavere e lo osservava in silenzio, come assorto nei propri pensieri.
In mano teneva il proprio palmare e lo stilo elettronico, dal quale
sembrava non separarsi mai, neppure per prendere parte ad una
spedizione militare.
-Sono stati i ronin, senza ombra di dubbio- disse Sesto- Ho trovato questi nella casa laggiù.
Così dicendo, mostrò al compagno dei bossoli da
proiettile di sclopetum a raffica che portavano chiaramente impresso il
sigillo del Tenno; proiettili fabbricati nel Nion, utilizzati
unicamente dai samurai o dai ronin. A Roma era possibile trovarne di
contrabbando, ma era molto difficile e molto costoso, anche perchè i romani non
avrebbero mai ammesso che i nionici sapevano fabbricare armi migliori
delle loro. Nè sarebbe mai avvenuto il contrario, del resto.
-Devono averli dimenticati- aggiunse Sesto- Gli altri li hanno fatti sparire, probabilmente per coprire le loro tracce.
Finalmente Publio si decise ad alzare lo sguardo dal cadavere e a
guardare Sesto negli occhi. Fu allora che Sesto si rese conto di un
particolare nell'aspetto dell'amico che, al chiuso e nella luce
artificiale e relativamente fioca della fortezza di confine, non aveva
mai notato. Publio era eterocromo, aveva cioè gli occhi di
due colori diversi, uno azzurro, l'altro scuro, quasi nero. Il fatto
che entrambi i colori fossero molto accentuati, rendeva il
suo sguardo particolarmente intenso, e Sesto si sentì come passato da
parte a parte.
-Guarda un po' questo tizio- disse con un cenno del capo- L'ho scovato
in quella che credo fosse l'abitazione del capovillaggio.
Sesto si decise a dare un'occhiata al cadavere. La prima cosa che gli
saltò agli occhi furono i suoi abiti: non erano quelli
tradizionali delle popolazioni locali. Quell'uomo indossava
inequivocabilmente abiti tipicamente utilizzati dai coloni romani delle
province settentrionali dell'Impero, ossia un'abbondante serie di
strati di tuniche e casacche di lana, brache robuste e altrettanto
imbottite e stivali di gran lunga più larghi della misura del
piede, fatti apposta per essere riempiti all'occorrenza di imbottiture
supplementari. Ma la seconda e più importante cosa che
notò Sesto fu che oltre agli abiti, quell'uomo aveva anche dei
lineamenti sul volto che non potevano appartenere ad un indigeno.
-Ma... è un colono?!- chiese.
Publio annuì gravemente.
-Così pare- rispose.
Dopo la scoperta dei primi cadaveri, sembrava aver recuperato il pieno
controllo di se stesso. La sua voce e le sue azioni non tradivano
alcuna emozione e, nonostante fosse ancora un soldato alle prime armi,
sembrava sapere come comportarsi in quella situazione.
-Allora il comandante Valerio Massimo aveva ragione!- esclamò
Sesto sconvolto- I coloni si sono messi d'accordo con i ronin per farli
entrare nell'Impero!
-Forse, ma non credo affatto che questo sia un colono alasiano!-
rispose Sesto- In una delle tasche aveva questo. Anche lui si è
dimenticato di coprire a dovere le sue tracce.
Sesto esaminò ciò che l'amico teneva in mano senza
raccoglierlo a sua volta. Sembrava un frammento di plastica spezzata,
sottile, di colore rossiccio; su di esso s'intravedeva parte di una
lettera, ma il frammento era talmente piccolo che era impossibile anche
solo stabilire quale.
-Che cos'è?
Publio fece un sorriso tirato. Quanto aveva scoperto non gli piaceva affatto.
-Un frammento di tessera annonaria... di cui titolari possono essere
solo i cittadini romani residenti nell'Urbe- rispose- Quest'uomo,
Balbo, veniva da Roma!
E questo può significare solamente una cosa, si disse, tenendo per se quella riflessione. Che
se i ronin stanno veramente ricevendo aiuto da qualcuno all'interno dell'Impero, allora lo stanno ricevendo proprio da Roma! La
sola idea era raggelante. Significava che qualcuno che deteneva
già un certo grado di potere, stava tramando contro Roma e
contro il popolo romano, perché senza dubbio il cadavere che lui
aveva trovato nel villaggio apparteneva ad un semplice informatore, ad
un
esecutore materiale delle trame di qualcun'altro. Un esecutore
che non aveva svuotato con attenzione le sue tasche e che i ronin
avevano ucciso, probabilmente per eliminare lo scomodo testimone di un
complotto. Per qualche motivo, però, non avevano provveduto a
farlo sparire completamente o, com'era loro costume, non
gli avevano tagliato la testa. Probabilmente non si aspettavano che dal
confine partisse una spedizione di ricognizione diretta al villaggio.
Tornò a guardare il cadavere, stavolta inginocchiandosi per
guardarlo meglio. Lo avevano ucciso con una raffica di colpi alle
gambe... era morto lentamente, per dissanguamento e congelamento
simultanei. Una morte orrenda. Quell'uomo li stava aiutando, anche se era difficile capire con precisione come, eppure
persino i ronin, mercenari, forse a loro volta accusati di tradimento
in patria, avevano di lui la più bassa considerazione possibile.
Roma non premia i traditori... e neanche Nion,
pensò Publio facendo una piccola smorfia.
-Su questo almeno siamo d'accordo- borbottò mentre si rialzava.
Tutto quello che aveva scoperto o che pensava di aver scoperto, lo
aveva annotato nel suo palmare. Aveva anche preso una fotografia del
volto dell'uomo in vista di una eventuale identificazione.
Probabilmente era l'unico soldato della sua legione a portarsi costantemente dietro
materiale per scrivere, ma quanto era appena accaduto dimostrava che la
penna aveva lo stesso grado di utilità della spada anche in quelle circostanze.
-Che facciamo adesso?- chiese Sesto.
-Torniamo indietro alla svelta- rispose Publio- Bisogna al più presto
avvertire il comandante Valerio Massimo di quanto accaduto in questo
villaggio.
Più che la scoperta di una probabile congiura, a preoccupare di
più Publio era al momento ciò che i ronin si preparavano
indubbiamente a fare, ossia sferrare una nuova offensiva, stavolta con
un appoggio interno. Difficile a quel punto dire in cosa era consistito
il tradimento di quell'uomo, che cosa aveva fatto o detto, ma non aveva
più molta importanza ormai. I ronin si preparavano ad attaccare,
forse in altre regioni del confine era già avvenuto, e questo al
momento era il pericolo più grave e imminente. Alla scoperta
della congiura e al perseguimento dei congiurati si sarebbe potuto
pensare dopo. E di certo, pensò ancora Publio, non se ne sarebbe
potuto occupare Valerio Massimo, che a quanto si diceva evitava quanto
più possibile di recarsi a Roma e, pur essendo un senatore, si
teneva alla larga dalla Curia come se fosse la peste.
-Accendi il trasmettitore- disse a Sesto- Avvertiamo subito Corinno, la
situazione è troppo grave per rimandare tutto al nostro rientro.
-Devo dirgli del cadavere del romano?- chiese Sesto.
-No, a quello ci penseremo dopo. Per il momento è essenziale che sappiano che i ronin stanno per attaccare!
Sesto accese l'apparecchio e tentò di mettersi in contatto con
il praetorium della XXVIII Legione. Erano ancora abbastanza
vicini da rientrare nel campo di trasmissione romano, ma nonostante
ciò ebbe difficoltà a stabilire un contatto. Dal
ricetrasmettitore arrivarono una serie di rumori gracchianti,
inframmenzati qua e là da voci confuse e parole incomprensibili.
Sesto riferì più volte di quanto lui e Publio avevano
scoperto e chiese che le informazioni venissero trasmesse al legato
della legione, ma dopo diversi tentativi il contatto s'interruppe
definitivamente, senza che i due potessero sapere con certezza se il
loro messaggio era arrivato a destinazione.
Sesto gettò nella neve il ricevitore con un gesto rabbioso e
tirò un profondo sospiro, prima di chinarsi a raccoglierlo.
Rimise a posto l'apparecchio e se lo caricò in spalla. Publio,
dal canto suo, abbassò il binoculo con il quale aveva scrutato
intorno a se.
-Nessun ronin in vista, ma in compenso si sta avvicinando una bella
bufera- annunciò- È per questo che le trasmissioni sono
disturbate.
-Faremo meglio a muoverci, allora! Non voglio rimanere bloccato qui fuori nella tormenta!
Invece, fu proprio quello che accadde. Si erano ormai lasciati alle
spalle il villaggio, quando si levò il vento. Poi
cominciò a nevicare, dapprima piano, quasi impercettibilmente,
poi sempre più forte, fino a diventare tormenta. In breve tempo,
i due romani si ritrovarono a non vedere più nulla che non si
trovasse ad un palmo dal loro naso e dovettero fare attenzione a
camminare vicini per non perdersi di vista. Publio teneva la carta e la
bussola praticamente attaccati alla faccia e doveva di continuo pulire
la visiera dell'elmo dalla nave che vi si accumulava sopra. Non
percepiva il freddo, ma guardava con crescente preoccupazione il
termostato che portava al polso. La temperatura esterna scendeva
vertiginosamente e lo stabilizzatore della temperatura dell'armatura era
quasi al limite della sopportazione.
-Quanta strada abbiamo fatto?- chiese Sesto, ansante.
Publio si fermò per controllare meglio la mappa. Anche camminare
stava diventando sempre più faticoso in quelle condizioni. Non
avevano percorso che poche miglia e il sole si avviava ormai
inesorabilmente al tramonto. Durante la notte avrebbe fatto sicuramente
più freddo e a quel punto gli stabilizzatori non sarebbero riusciti a reggere e li avrebbero lasciati
lì fuori a congelare.
-Di questo passo, non riusciremo a rientrare prima che faccia notte!-
disse Publio, gridando per farsi sentire dall'amico in mezzo al
fischiare e al turbinare della bufera- Montiamo la tenda e mettiamoci
al riparo. È l'unica!
Non c'era bisogno di cercare un posto adatto. In quella pianura
innevata e in mezzo alla tormenta, un posto valeva l'altro, sarebbero
stati comunque al sicuro. Gettarono a terra le sarcine e tirarono fuori
i pali e i teli per montare la tenda. Fortunatamente il telaio era
abbastanza robusto da reggere al forte vento e i diversi strati di
telo isolante li avrebbero riparati dalle intemperie. Una volta pronto
il riparo di fortuna, tutti e due vi si infilarono dentro e Sesto
chiuse ermeticamente la stretta apertura. L'ambiente era piccolo e
stretto e, una volta accesa una piccola stufa a batteria, non
tardò a riempirsi di calore. I termostati delle armature si
sbilanciarono di colpo e il ghiaccio formatosi sulle corazze iniziò a sciogliersi.
-Ora quello che ci vuole è qualcosa di caldo da mettere sotto i denti- fece Publio, ritrovando un pizzico di allegria.
Dal loro arrivo al villaggio, fra la scoperta dello sterminio, quella
del traditore e la tormenta che li aveva bloccati nella terra di
nessuno, c'era stato davvero ben poco da ridere. Ma nonostante fossero
allo scoperto, nella pianura battuta dalla neve e dal vento e
probabilmente brulicante di ronin, lì nel loro piccolo riparo
potevano dirsi relativamente al sicuro e il loro umore ne giovò sensibilmente. Al calore che inondava la tenda
si unì ben presto l'odore non troppo gradevole del rancio
preocotto che Sesto provvedeva a cuocere sulla stufa dopo avergli
aggiunto dell'acqua.
-Cibo disidratato cotto a base di elettricità!- commentò
sardonico- Scommetto che neanche agli Inferi la vorrebbero questa roba!
-Di sicuro io non gli cedo la mia parte- rispose Publio, porgendogli la propria gavetta perchè la riempisse.
Mangiarono in silenzio, ciascuno perso nei propri pensieri. Publio non
riusciva a smettere di pensare a quello che era accaduto al villaggio.
Se i ronin avevano sterminato tutti gli abitanti, lo avevano fatto per
essere sicuri di non incontrare ostacoli lungo la loro avanzata.
Probabilmente avevano ragione di temere la presenza di simpatizzanti
dei romani fra gli indigeni, di qualcuno che alla prima occasione si
sarebbe precipitato al confine per dare l'allarme. Questo poteva voler
dire soltanto che stavolta non si sarebbero fermati davanti a nulla
pur di sconfinare in Alasia... soprattutto se stavano ricevendo aiuto
dall'interno dell'Impero.
-Mancano quattro giorni alle Calende di Novembre- commentò in
quel momento Sesto, strappando l'amico ai suoi pensieri- Fra sei
giorni è il compleanno di mia moglie.
Publio rimase a bocca aperta o lo guardò stupito. Non aveva idea
che Sesto fosse sposato, anche se non era affatto strano. A Roma non
era insolito che un rampollo di buona famiglia prendesse moglie prima
ancora di aver compiuto vent'anni. A stupire Publio era il fatto che
Sesto non ne avesse mai parlato, nonostante le occasioni non fossero
mancate; Giunio Attico non faceva che vantarsi delle grazie di sua
moglie e uno degli argomenti più chiacchierati in guarnigione
era il matrimonio fra il legato Corinno e la figlia del governatore
dell'Alasia.
-Non sapevo che fossi sposato- disse- Come si chiama tua moglie?
-Cornelia... è la figlia di Cornelio Sinoico.
Publio annuì. Aveva sentito parlare di questo ramo della gens
Cornelia, ovviamente. Per molti anni, i loro antenati avevano vissuto
in Sera Minor, un piccolo regno alleato di Roma distaccatosi da Sera
Maior, il Paese della Seta, come un tempo veniva chiamato il terzo
impero più grande della Terra, dopo Roma e il Nion. Di recente,
Cornelio Sinoico aveva deciso di ritrasferirsi a Roma e probabilmente
aveva deciso di accasare la figlia con l'esponente di una illustre
famiglia romana allo scopo di garantirsi agganci sicuri per
una futura ascesa della sua famiglia nell'Urbe.
-Non l'avrei mai pensato. E com'è?
Sesto gli lanciò un'occhiata di traverso, credendo che Publio si riferisse a sua moglie.
-Essere sposati, intendo- si affrettò ad aggiungere quest'ultimo, intuendo l'equivoco.
-Oh...- Sesto scrollò le spalle e scosse la testa- Francamente
non lo so. Sono partito appena un paio di mesi dopo averla sposata. Non
ho avuto molto tempo per farmi un'idea.
Publio annuì. Personalmente non aveva una cattva visione del
matrimonio, nonostante tutti i pregiudizi che i romani si tramandavano
fin dalla Fondazione e che dipingevano il fatto di prender moglie come
un male necessario. Era cresciuto in un ambiente familiare molto
sereno. I suoi genitori ovviamente si erano sposati anche loro
giovanissimi e, anche nel loro caso, si era trattato di un matrimonio
combinato. Nonostante ciò, tuttavia, andavano abbastanza
d'accordo e negli anni avevano finito per volersi bene.
Finito di mangiare, tentarono ancora una volta di mettersi in contatto
con il comando della legione. Se la tormenta fosse durata tutta la
notte e anche il giorno dopo, avrebbero avuto bisogno di aiuto, anche
se c'era ben poco che il legato potesse fare per loro in quelle condizioni. In ogni caso,
qualunque tentativo di contattare il Vallo di Alasia risultò del
tutto vano. Stavolta le interferenze create dalla tormenta erano tali
che l'unica cosa che uscì dal microfono del ricetrasmettitore fu
un lungo e assordante rumore di scariche statiche.
Nonostante il pericolo di essere attaccati in una notte come quella
fosse quasi nullo, decisero di dormire comunque a turno, e Publio si
accollò il primo turno. Mentre Sesto si coricava vicino alla
stufa elettrica, con l'armatura e tutto, lui rimase seduto a gambe
incrociate nel suo angolo di
tenda, lo sclopetum posato accanto a se a portata di mano e il palmare
in grembo. Per passare il tempo, pensò di iniziare a scrivere
una lettera da inviare a casa. Era molto tempo che non scriveva a suo
cugino. Erano cresciuti insieme, anche se Gaio aveva diversi anni in
più di lui. Suo padre era morto quasi vent'anni prima proprio
lì in Alasia e il padre di Publio gli aveva fatto da tutore fino
a quando non aveva compiuto venticinque anni. A trent'anni suonati,
Gaio non sembrava ancora
essersi deciso a mettere ordine nella sua vita e a seguire le illustri
orme di suo padre. Aveva fatto il suo servizio militare, ma poi si era
dedicato a scialaquare buona parte dell'eredità di suo padre in
viaggi e sollazzi di vario genere. Conduceva una vita molto
disordinata, con gran disappunto da
parte della madre di Publio, sua zia. Suo padre, invece, non sembrava
preoccuparsi più di tanto e si limitava unicamente a
diassuaderlo dal compiere spese spropositate, affermando che prima o
poi anche lui sarebbe andato a sbattere la testa contro un muro e
allora si
sarebbe deciso a crescere. Publio, dal suo canto, gli voleva un
gran bene e lo considerava alla stregua di un fratello maggiore.
Adesso, però, non aveva la più pallida idea di dove si
trovasse. L'ultima volta che aveva ricevuto sue notizie, queste erano
arrivate tramite un breve biglietto proveniente dalla Sarmazia
Superiore, ma era improbabile che fosse ancora lì. Sarebbe stato
difficile dare un indirizzo alla lettera, pensò Publio, mentre
scriveva una breve intestazione.
Impiegò buona parte del proprio turno di guardia a scrivere
quella lettera, anche se più volte fu costretto a fermarsi e a
bere lunghe sorsate di kave condensato di pessima qualità per
impedirsi di chiudere gli occhi e di cadere in avanti con la faccia
sulla stufa. La stanchezza accumulata durante quell'intensa giornata,
unita al piacevole calore che aleggiava nella tenda, lo intorpidivano e
minacciavano di farlo addormentare. Riuscì comunque a scrivere
una prima bozza della lettera che avesse un senso compiuto e, quando
infine guardò l'orologio, si accorse che era finalmente giunto
il momento di svegliare Sesto e di mettersi a dormire. Mise da parte il palmare e si
stiracchiò, ma propio mentre stava per sporgersi verso l'amico e
scuoterlo si rese conto dell'improvviso silenzio che regnava dentro e
fuori dalla tenda. Fino a prima di iniziare a scrivere, fuori infuriava
la tormenta e si sentiva distintamente il vento battere contro la
tenda.
S'infilò l'elmo e, raccolto lo scopletum, aprì la tenda e
uscì fuori. Si ritrovò nel bel mezzo della pianura
innevata, buia e fredda, ma nuovamente aperta e infinita. La tormenta
era finita senza che lui se ne fosse reso conto e il vento si era
calmato. Solo la neve che gli arrivava poco sotto le ginocchia
testimoniava che quella notte vi era stata una forte nevicata. Publio
guardò nuovamente l'orologio. La mezzanotte era passata da poco
e, se si fossero messi immediatamente in marcia, sarebbero riusciti a
rientrare in meno di due ore. Si affrettò a svegliare Sesto, il
cui turno di riposo era comunque finito, e lo trascinò fuori.
-Roba da non credere!- esclamò questi, guardandosi intorno- Avremmo potuto continuare la marcia!
-Dubito che saremmo durati a lungo nella bufera- rispose Publio- Ma se te la senti, possiamo ripartire immediatamente.
-Tu non sei stanco?
-Da morire, ma potrò riposare di più e meglio una volta raggiunto il Vallo.
Sesto stava per rispondere, quando improvvisamente l'orizzonte fu illuminato da un improvviso bagliore, come una serie di
lampi, ai quali si unì ben presto un rombo cupo e attutito dalla
distanza.
-Che altro sta succedendo?!
-Sparano!- esclamò Publio- Queste sono artiglierie!
La spiegazione non poteva che essere una. I ronin avevano dato inizio alla loro offensiva contro il confine.
-Tirano sui nostri?- chiese Sesto.
-No, a occhio e croce stanno attaccando più a meridione- rispose
Publio- Ma sono comunque vicini alla nostra legione. Sarà meglio
che ci affrettiamo a rientrare, prima che l'attacco si diffonda!
Smontarono in fretta la tenda e si rimisero in marcia nella notte. Dopo
la tormenta, la temperatura si era sensibilmente rialzata, ma faceva
ancora molto freddo. Gli stabilizzatori soffrivano ancora dello sforzo che era stato loro imposto durante
le prime fasi della bufera e così un po' di freddo filtrava
all'interno delle armature. La marcia a passo sostenuto, tuttavia, contribuiva a
riscaldare i due romani.
Percorsero diverse miglia e si aspettavano da un momento all'altro di
veder profilarsi di fronte a loro i contorni sempre più alti del
Vallo di Alasia, quando improvvisamente, il relativo silenzio della
notte fu squarciato da raffiche di scopletum a ripetizione e loro due
si ritrovarono praticamente circondati da una fitta rete di traccianti
luminose. Si gettarono a terra nella neve, ma le raffiche di colpi si
abbassarono con loro, sfiorando le loro teste, ma senza colpirli.
-Cercano di inchiodarci qui a terra!- gridò Publio, imbracciando il proprio scopletum.
Sparò una raffica nella direzione da cui provenivano la maggior
parte delle traccianti, giusto per far capire al nemico che non
intendeva lasciarsi sopraffare senza combattere. Le traccianti
diminuirono sensibilmente; i loro aggressori dovevano aver capito che i
due romani non avevano perso la voglia di combattere solo perché
erano caduti in un'imboscata, e si erano a loro volta gettati a terra
per essere meno visibili.
Sesto aveva a sua volta imbracciato la propria arma, e adesso i due
romani sparavano con calma nelle direzioni da cui si sentivano
attaccati, cercando di risparmiare le munizioni e allo stesso tempo
tenendo gli occhi ben aperti in attesa che si creasse un varco
attraverso il quale defilarsi e spiccare una corsa verso il confine. La
superiorità numerica del nemico era evidente e se i ronin
avessero deciso di assaltare la loro posizione, Publio e Sesto
sarebbero stati certamente sopraffatti.
Publio strinse i denti mentre un proiettile gli passava rasente alla
spalla, scalfendo la cromatura della corazza. Man mano che passava il
tempo, la situazione diventava sempre più preoccupante. La
sparatoria non accennava a smettere; i ronin non intendevano mollare la
presa, nè d'altro canto lui e Sesto ci tenevano a finire nelle
loro mani; sarebbe andata avanti finché una delle due parti non
avesse esaurito le munizioni e non c'erano dubbi che sarebbero stati i
due romani. Non possiamo restare qui,
pensò Publio. Erano troppo lontani dal
Vallo perché qualcuna delle vedette potesse accorgersi della
loro presenza lì e mandare i soccorsi, ma non erano troppo
lontani per raggiungerlo se si fossero messi a correre a perdifiato.
Era una follia, soprattutto considerando che i ronin li avrebbero
certamente inseguiti e che probabilmente sarebbero caduti con una palla
della schiena appena percorsi pochi metri, ma a quel punto non avevano
molta scelta. Potevano morire lì nella neve opponendosi
futilmente ad un nemico più forte di loro, oppure
potevano rischiare il tutto per tutto e morire tentando di defilarsi
dal nemico. E magari, se Marte era con loro, avrebbero invce salvato la pelle. Prima,
però, dovevano aprirsi un varco in mezzo al nemico che sbarrava
loro la strada.
-Balbo, lancio una pirobula contro quei bastardi!- disse, sporgendosi
di poco verso l'amico- Appena scoppia, balziamo in piedi e corriamo
dritto di fronte a noi senza fermarci!
-Quante possibilità abbiamo?- chiese Sesto.
-Più di quante ne abbiamo di sopravvivere se rimaniamo qui!
Sesto annuì e Publio si slacciò dalla cintura una
pirobula a mano. Tirò via la spoletta e contò fino a tre
prima di lanciarla in direzione dello sbarramento nemico. Si sentirono
grida confuse e nell'oscurità s'intravide del movimento intorno
al punto in cui la pirobula era caduta, prima che l'esplosione
lacerasse l'aria e illuminasse la notte.
-Adesso!- gridò Publio scattando in piedi.
Si lanciarono di corsa contro il bagliore dell'esplosione che non si
era ancora spento e lo superarono. I ronin erano rimasti storditi
dall'esplosione, ma non tardarono a reagire e con violenza. Raffiche di
colpi sempre più fitte inseguirono i due romani nella piana buia
e innevata. Publio si voltò brevemente e scorse con la coda
dell'occhio un gruppetto di figure che li inseguivano. Senza pensarci
due volte, gettò via la sarcina contenente per lo più
l'equipaggiamento per la notte e accelerò, cercando di
raggiungere Sesto che lo aveva distanziato di un buon metro.
Ma prima che potesse raggiungerlo, sentì un corpo pesante
arrivargli addosso e farlo cadere pesantemente nella neve. Si
voltò e, con un tuffo al cuore, vide il ronin incombere su di
lui. Sollevò appena lo scopletum per sparargli, ma quello glielo
strappò di mano con un calcio. Afferrò qualcosa che gli
pendeva dal fianco e Publio vide con terrore il bagliore della lama di
un lungo pugnale. Il nionico lo impugnò con entrambe le mani e
lo sollevò, la punta rivolta verso la gola del romano.
Lanciò un urlo lacerante e si preparò a colpirlo, quando
fu investito da un violento fascio di luce. Fece appena in tempo a
sollevare lo sguardo stupito e Publio fece appena in tempo a scorgerne
i lineamenti, la bocca sporgente, gli zigomi pronunciati e i famosi
occhi obliqui. Poi quel volto strano ed esotico scomparve in un fiotto
di sangue, mentre dalla stessa direzione da cui era arrivato il fascio
di luce echeggiava uno sparo.
Altri spari lacerarono l'aria. Publio si scrollò di dosso il
corpo del ronin che gli era caduto addosso e si voltò. Vide due
autocinetum romani fermi a poca distanza, sopra e davanti ad essi erano
schierati dei legionari intenti a sparare con calma in direzione dei
ronin che, vistisi al mal partito, si stavano ritirando nella notte.
Cessarono il fuoco solo dopo che questi furono completamente spariti.
Publio si alzò lentamente, frastornato, e vide Sesto e un altro
legionario andargli incontro.
-Tutto bene, Scipione?- chiese Sesto- C'è mancato poco!
Publio annuì, ma non disse nulla. Sentiva ancora il cuore
battergli a mille, per lo spavento che si era preso nell'essersi
trovato ad un passo dalla barca di Caronte, ma anche per la
velocità con cui si erano svolti gli eventi dopo che lui aveva
lanciato la pirobula. Si sfilò l'elmo dalla testa e
respirò a pieni polmoni l'aria fredda della notte. Anche il
legionario si tolse l'elmo e Publio lo riconobbe subito.
-Centurione Nasica!
-Sta bene, tribuno? Se l'è vista davvero brutta- disse il
centurione, accennando con il capo al cadavero del ronin e al pugnale
che giaceva poco lontano.
-Voi cosa ci fate qui fuori?
Nasica sorrise.
-Siamo usciti a cercare voi!- rispose- Saremmo venuti prima se non
fosse stato per la bufera. Il legato era molto preoccupato dopo quella
trasmissione confusa che gli avete inviato!
-Eravamo ancora al villaggio, abbiamo tentato di metterci in contatto
con voi, ma la bufera in arrivo faceva interferenza- spiegò
Publio- Così ci siamo messi in cammino, ma siamo stati costretti
a fermarci in mezzo alla tormenta. Abbiamo ripreso il cammino non appena
è cessata. Poi siamo stati attaccati.
Il centurione annuì comprensivamente, poi ordinò ai legionari di risalire sui mezzi e di prepararsi a ripartire.
-Sarà meglio rientrare- disse dando a entrambi una pacca sulla
spalla- Voi due sarete stanchi e ansiosi di mettervi al caldo. E credo
che per stanotte abbiate avuto abbastanza emozioni!
Publio e Sesto non poterono essere più d'accordo.
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Okay, chiudiamola qui per il momento, altrimenti diventa davvero lungo!
Che dire... mi sembra di essermela cavata meglio che col precedente
capitolo, ma d'altro canto stavolta non ero sotto pressione per
l'esame. Inoltre, causa momentaneo guasto del modem, sono stata
impossibilitata a cazzeggiare assiduamente su Internet e a pubblicare
cavolate su facebook, come mio solito, quindi ho avuto meno distrazioni
dalla scrittura. La prima parte, quella ambientata ancora nel villaggio
fantasma è quella che mi sono divertita di più a
scrivere, mentre non sono troppo sicura della fine. Mi sembra quasi di
aver lasciato un discorso in tredici, ma penso comunque di proseguire
nel prossimo che sarà un capitolo di collegamento.
Alla prossima!
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