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Autore: Colonnello    05/12/2011    1 recensioni
Diecimila anni dalla Fondazione di Roma (circa 3000 d.C.). L'Impero Romano domina su più della metà dell'Europa e dell'Asia e su tutto il Nuovo Continente... ma la sua egemonia sta per essere messa in discussione...
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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5 Sesto uscì dall'ennesima casa di ghiaccio trasformata in sepoltura, tenendosi una mano contro la bocca nello sforzo di impedirsi di dare di stomaco. Avevano perquisito tutte le abitazioni del villaggio, e in tutte avevano trovato la medesima situazione. Gli abitanti erano stati tutti uccisi e, a giudicare dallo stato di congelamento dei corpi, doveva essere accaduto da almeno un giorno, perchè anche senza calore umano e coi bracieri spenti le case di ghiaccio ci mettevano un po' a raffreddarsi all'interno.

Publio si trovava nello spiazzo principale del villaggio e quando Sesto lo raggiunse, si accorse che aveva trascinato fuori sulla neve un cadavere e lo osservava in silenzio, come assorto nei propri pensieri. In mano teneva il proprio palmare e lo stilo elettronico, dal quale sembrava non separarsi mai, neppure per prendere parte ad una spedizione militare.

-Sono stati i ronin, senza ombra di dubbio- disse Sesto- Ho trovato questi nella casa laggiù.

Così dicendo, mostrò al compagno dei bossoli da proiettile di sclopetum a raffica che portavano chiaramente impresso il sigillo del Tenno; proiettili fabbricati nel Nion, utilizzati unicamente dai samurai o dai ronin. A Roma era possibile trovarne di contrabbando, ma era molto difficile e molto costoso, anche perchè i romani non avrebbero mai ammesso che i nionici sapevano fabbricare armi migliori delle loro. Nè sarebbe mai avvenuto il contrario, del resto.

-Devono averli dimenticati- aggiunse Sesto- Gli altri li hanno fatti sparire, probabilmente per coprire le loro tracce.

Finalmente Publio si decise ad alzare lo sguardo dal cadavere e a guardare Sesto negli occhi. Fu allora che Sesto si rese conto di un particolare nell'aspetto dell'amico che, al chiuso e nella luce artificiale e relativamente fioca della fortezza di confine, non aveva mai notato. Publio era eterocromo, aveva cioè gli occhi di due colori diversi, uno azzurro, l'altro scuro, quasi nero. Il fatto che entrambi i colori fossero molto accentuati, rendeva il suo sguardo particolarmente intenso, e Sesto si sentì come passato da parte a parte.

-Guarda un po' questo tizio- disse con un cenno del capo- L'ho scovato in quella che credo fosse l'abitazione del capovillaggio.

Sesto si decise a dare un'occhiata al cadavere. La prima cosa che gli saltò agli occhi furono i suoi abiti: non erano quelli tradizionali delle popolazioni locali. Quell'uomo indossava inequivocabilmente abiti tipicamente utilizzati dai coloni romani delle province settentrionali dell'Impero, ossia un'abbondante serie di strati di tuniche e casacche di lana, brache robuste e altrettanto imbottite e stivali di gran lunga più larghi della misura del piede, fatti apposta per essere riempiti all'occorrenza di imbottiture supplementari. Ma la seconda e più importante cosa che notò Sesto fu che oltre agli abiti, quell'uomo aveva anche dei lineamenti sul volto che non potevano appartenere ad un indigeno.

-Ma... è un colono?!- chiese.

Publio annuì gravemente.

-Così pare- rispose.

Dopo la scoperta dei primi cadaveri, sembrava aver recuperato il pieno controllo di se stesso. La sua voce e le sue azioni non tradivano alcuna emozione e, nonostante fosse ancora un soldato alle prime armi, sembrava sapere come comportarsi in quella situazione.

-Allora il comandante Valerio Massimo aveva ragione!- esclamò Sesto sconvolto- I coloni si sono messi d'accordo con i ronin per farli entrare nell'Impero!

-Forse, ma non credo affatto che questo sia un colono alasiano!- rispose Sesto- In una delle tasche aveva questo. Anche lui si è dimenticato di coprire a dovere le sue tracce.

Sesto esaminò ciò che l'amico teneva in mano senza raccoglierlo a sua volta. Sembrava un frammento di plastica spezzata, sottile, di colore rossiccio; su di esso s'intravedeva parte di una lettera, ma il frammento era talmente piccolo che era impossibile anche solo stabilire quale.

-Che cos'è?

Publio fece un sorriso tirato. Quanto aveva scoperto non gli piaceva affatto.

-Un frammento di tessera annonaria... di cui titolari possono essere solo i cittadini romani residenti nell'Urbe- rispose- Quest'uomo, Balbo, veniva da Roma!

E questo può significare solamente una cosa, si disse, tenendo per se quella riflessione. Che se i ronin stanno veramente ricevendo aiuto da qualcuno all'interno dell'Impero, allora lo stanno ricevendo proprio da Roma! La sola idea era raggelante. Significava che qualcuno che deteneva già un certo grado di potere, stava tramando contro Roma e contro il popolo romano, perché senza dubbio il cadavere che lui aveva trovato nel villaggio apparteneva ad un semplice informatore, ad un esecutore materiale delle trame di qualcun'altro. Un esecutore che non aveva svuotato con attenzione le sue tasche e che i ronin avevano ucciso, probabilmente per eliminare lo scomodo testimone di un complotto. Per qualche motivo, però, non avevano provveduto a farlo sparire completamente o, com'era loro costume, non gli avevano tagliato la testa. Probabilmente non si aspettavano che dal confine partisse una spedizione di ricognizione diretta al villaggio.

Tornò a guardare il cadavere, stavolta inginocchiandosi per guardarlo meglio. Lo avevano ucciso con una raffica di colpi alle gambe... era morto lentamente, per dissanguamento e congelamento simultanei. Una morte orrenda. Quell'uomo li stava aiutando, anche se era difficile capire con precisione come, eppure persino i ronin, mercenari, forse a loro volta accusati di tradimento in patria, avevano di lui la più bassa considerazione possibile. Roma non premia i traditori... e neanche Nion, pensò Publio facendo una piccola smorfia.

-Su questo almeno siamo d'accordo- borbottò mentre si rialzava.

Tutto quello che aveva scoperto o che pensava di aver scoperto, lo aveva annotato nel suo palmare. Aveva anche preso una fotografia del volto dell'uomo in vista di una eventuale identificazione. Probabilmente era l'unico soldato della sua legione a portarsi costantemente dietro materiale per scrivere, ma quanto era appena accaduto dimostrava che la penna aveva lo stesso grado di utilità della spada anche in quelle circostanze.

-Che facciamo adesso?- chiese Sesto.

-Torniamo indietro alla svelta- rispose Publio- Bisogna al più presto avvertire il comandante Valerio Massimo di quanto accaduto in questo villaggio.

Più che la scoperta di una probabile congiura, a preoccupare di più Publio era al momento ciò che i ronin si preparavano indubbiamente a fare, ossia sferrare una nuova offensiva, stavolta con un appoggio interno. Difficile a quel punto dire in cosa era consistito il tradimento di quell'uomo, che cosa aveva fatto o detto, ma non aveva più molta importanza ormai. I ronin si preparavano ad attaccare, forse in altre regioni del confine era già avvenuto, e questo al momento era il pericolo più grave e imminente. Alla scoperta della congiura e al perseguimento dei congiurati si sarebbe potuto pensare dopo. E di certo, pensò ancora Publio, non se ne sarebbe potuto occupare Valerio Massimo, che a quanto si diceva evitava quanto più possibile di recarsi a Roma e, pur essendo un senatore, si teneva alla larga dalla Curia come se fosse la peste.

-Accendi il trasmettitore- disse a Sesto- Avvertiamo subito Corinno, la situazione è troppo grave per rimandare tutto al nostro rientro.

-Devo dirgli del cadavere del romano?- chiese Sesto.

-No, a quello ci penseremo dopo. Per il momento è essenziale che sappiano che i ronin stanno per attaccare!

Sesto accese l'apparecchio e tentò di mettersi in contatto con il praetorium della XXVIII Legione. Erano ancora abbastanza vicini da rientrare nel campo di trasmissione romano, ma nonostante ciò ebbe difficoltà a stabilire un contatto. Dal ricetrasmettitore arrivarono una serie di rumori gracchianti, inframmenzati qua e là da voci confuse e parole incomprensibili. Sesto riferì più volte di quanto lui e Publio avevano scoperto e chiese che le informazioni venissero trasmesse al legato della legione, ma dopo diversi tentativi il contatto s'interruppe definitivamente, senza che i due potessero sapere con certezza se il loro messaggio era arrivato a destinazione.

Sesto gettò nella neve il ricevitore con un gesto rabbioso e tirò un profondo sospiro, prima di chinarsi a raccoglierlo. Rimise a posto l'apparecchio e se lo caricò in spalla. Publio, dal canto suo, abbassò il binoculo con il quale aveva scrutato intorno a se.

-Nessun ronin in vista, ma in compenso si sta avvicinando una bella bufera- annunciò- È per questo che le trasmissioni sono disturbate.

-Faremo meglio a muoverci, allora! Non voglio rimanere bloccato qui fuori nella tormenta!

Invece, fu proprio quello che accadde. Si erano ormai lasciati alle spalle il villaggio, quando si levò il vento. Poi cominciò a nevicare, dapprima piano, quasi impercettibilmente, poi sempre più forte, fino a diventare tormenta. In breve tempo, i due romani si ritrovarono a non vedere più nulla che non si trovasse ad un palmo dal loro naso e dovettero fare attenzione a camminare vicini per non perdersi di vista. Publio teneva la carta e la bussola praticamente attaccati alla faccia e doveva di continuo pulire la visiera dell'elmo dalla nave che vi si accumulava sopra. Non percepiva il freddo, ma guardava con crescente preoccupazione il termostato che portava al polso. La temperatura esterna scendeva vertiginosamente e lo stabilizzatore della temperatura dell'armatura era quasi al limite della sopportazione.

-Quanta strada abbiamo fatto?- chiese Sesto, ansante.

Publio si fermò per controllare meglio la mappa. Anche camminare stava diventando sempre più faticoso in quelle condizioni. Non avevano percorso che poche miglia e il sole si avviava ormai inesorabilmente al tramonto. Durante la notte avrebbe fatto sicuramente più freddo e a quel punto gli stabilizzatori non sarebbero riusciti a reggere e li avrebbero lasciati lì fuori a congelare.

-Di questo passo, non riusciremo a rientrare prima che faccia notte!- disse Publio, gridando per farsi sentire dall'amico in mezzo al fischiare e al turbinare della bufera- Montiamo la tenda e mettiamoci al riparo. È l'unica!

Non c'era bisogno di cercare un posto adatto. In quella pianura innevata e in mezzo alla tormenta, un posto valeva l'altro, sarebbero stati comunque al sicuro. Gettarono a terra le sarcine e tirarono fuori i pali e i teli per montare la tenda. Fortunatamente il telaio era abbastanza robusto da reggere al forte vento e i diversi strati di telo isolante li avrebbero riparati dalle intemperie. Una volta pronto il riparo di fortuna, tutti e due vi si infilarono dentro e Sesto chiuse ermeticamente la stretta apertura. L'ambiente era piccolo e stretto e, una volta accesa una piccola stufa a batteria, non tardò a riempirsi di calore. I termostati delle armature si sbilanciarono di colpo e il ghiaccio formatosi sulle corazze iniziò a sciogliersi.

-Ora quello che ci vuole è qualcosa di caldo da mettere sotto i denti- fece Publio, ritrovando un pizzico di allegria.

Dal loro arrivo al villaggio, fra la scoperta dello sterminio, quella del traditore e la tormenta che li aveva bloccati nella terra di nessuno, c'era stato davvero ben poco da ridere. Ma nonostante fossero allo scoperto, nella pianura battuta dalla neve e dal vento e probabilmente brulicante di ronin, lì nel loro piccolo riparo potevano dirsi relativamente al sicuro e il loro umore ne giovò sensibilmente. Al calore che inondava la tenda si unì ben presto l'odore non troppo gradevole del rancio preocotto che Sesto provvedeva a cuocere sulla stufa dopo avergli aggiunto dell'acqua.

-Cibo disidratato cotto a base di elettricità!- commentò sardonico- Scommetto che neanche agli Inferi la vorrebbero questa roba!

-Di sicuro io non gli cedo la mia parte- rispose Publio, porgendogli la propria gavetta perchè la riempisse.

Mangiarono in silenzio, ciascuno perso nei propri pensieri. Publio non riusciva a smettere di pensare a quello che era accaduto al villaggio. Se i ronin avevano sterminato tutti gli abitanti, lo avevano fatto per essere sicuri di non incontrare ostacoli lungo la loro avanzata. Probabilmente avevano ragione di temere la presenza di simpatizzanti dei romani fra gli indigeni, di qualcuno che alla prima occasione si sarebbe precipitato al confine per dare l'allarme. Questo poteva voler dire soltanto che stavolta non si sarebbero fermati davanti a nulla pur di sconfinare in Alasia... soprattutto se stavano ricevendo aiuto dall'interno dell'Impero.

-Mancano quattro giorni alle Calende di Novembre- commentò in quel momento Sesto, strappando l'amico ai suoi pensieri- Fra sei giorni è il compleanno di mia moglie.

Publio rimase a bocca aperta o lo guardò stupito. Non aveva idea che Sesto fosse sposato, anche se non era affatto strano. A Roma non era insolito che un rampollo di buona famiglia prendesse moglie prima ancora di aver compiuto vent'anni. A stupire Publio era il fatto che Sesto non ne avesse mai parlato, nonostante le occasioni non fossero mancate; Giunio Attico non faceva che vantarsi delle grazie di sua moglie e uno degli argomenti più chiacchierati in guarnigione era il matrimonio fra il legato Corinno e la figlia del governatore dell'Alasia.

-Non sapevo che fossi sposato- disse- Come si chiama tua moglie?

-Cornelia... è la figlia di Cornelio Sinoico.

Publio annuì. Aveva sentito parlare di questo ramo della gens Cornelia, ovviamente. Per molti anni, i loro antenati avevano vissuto in Sera Minor, un piccolo regno alleato di Roma distaccatosi da Sera Maior, il Paese della Seta, come un tempo veniva chiamato il terzo impero più grande della Terra, dopo Roma e il Nion. Di recente, Cornelio Sinoico aveva deciso di ritrasferirsi a Roma e probabilmente aveva deciso di accasare la figlia con l'esponente di una illustre famiglia romana allo scopo di garantirsi agganci sicuri per una futura ascesa della sua famiglia nell'Urbe.

-Non l'avrei mai pensato. E com'è?

Sesto gli lanciò un'occhiata di traverso, credendo che Publio si riferisse a sua moglie.

-Essere sposati, intendo- si affrettò ad aggiungere quest'ultimo, intuendo l'equivoco.

-Oh...- Sesto scrollò le spalle e scosse la testa- Francamente non lo so. Sono partito appena un paio di mesi dopo averla sposata. Non ho avuto molto tempo per farmi un'idea.

Publio annuì. Personalmente non aveva una cattva visione del matrimonio, nonostante tutti i pregiudizi che i romani si tramandavano fin dalla Fondazione e che dipingevano il fatto di prender moglie come un male necessario. Era cresciuto in un ambiente familiare molto sereno. I suoi genitori ovviamente si erano sposati anche loro giovanissimi e, anche nel loro caso, si era trattato di un matrimonio combinato. Nonostante ciò, tuttavia, andavano abbastanza d'accordo e negli anni avevano finito per volersi bene.

Finito di mangiare, tentarono ancora una volta di mettersi in contatto con il comando della legione. Se la tormenta fosse durata tutta la notte e anche il giorno dopo, avrebbero avuto bisogno di aiuto, anche se c'era ben poco che il legato potesse fare per loro in quelle condizioni. In ogni caso, qualunque tentativo di contattare il Vallo di Alasia risultò del tutto vano. Stavolta le interferenze create dalla tormenta erano tali che l'unica cosa che uscì dal microfono del ricetrasmettitore fu un lungo e assordante rumore di scariche statiche.

Nonostante il pericolo di essere attaccati in una notte come quella fosse quasi nullo, decisero di dormire comunque a turno, e Publio si accollò il primo turno. Mentre Sesto si coricava vicino alla stufa elettrica, con l'armatura e tutto, lui rimase seduto a gambe incrociate nel suo angolo di tenda, lo sclopetum posato accanto a se a portata di mano e il palmare in grembo. Per passare il tempo, pensò di iniziare a scrivere una lettera da inviare a casa. Era molto tempo che non scriveva a suo cugino. Erano cresciuti insieme, anche se Gaio aveva diversi anni in più di lui. Suo padre era morto quasi vent'anni prima proprio lì in Alasia e il padre di Publio gli aveva fatto da tutore fino a quando non aveva compiuto venticinque anni. A trent'anni suonati, Gaio non sembrava ancora essersi deciso a mettere ordine nella sua vita e a seguire le illustri orme di suo padre. Aveva fatto il suo servizio militare, ma poi si era dedicato a scialaquare buona parte dell'eredità di suo padre in viaggi e sollazzi di vario genere. Conduceva una vita molto disordinata, con gran disappunto da parte della madre di Publio, sua zia. Suo padre, invece, non sembrava preoccuparsi più di tanto e si limitava unicamente a diassuaderlo dal compiere spese spropositate, affermando che prima o poi anche lui sarebbe andato a sbattere la testa contro un muro e allora si sarebbe deciso a crescere. Publio, dal suo canto, gli voleva un gran bene e lo considerava alla stregua di un fratello maggiore. Adesso, però, non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. L'ultima volta che aveva ricevuto sue notizie, queste erano arrivate tramite un breve biglietto proveniente dalla Sarmazia Superiore, ma era improbabile che fosse ancora lì. Sarebbe stato difficile dare un indirizzo alla lettera, pensò Publio, mentre scriveva una breve intestazione.

Impiegò buona parte del proprio turno di guardia a scrivere quella lettera, anche se più volte fu costretto a fermarsi e a bere lunghe sorsate di kave condensato di pessima qualità per impedirsi di chiudere gli occhi e di cadere in avanti con la faccia sulla stufa. La stanchezza accumulata durante quell'intensa giornata, unita al piacevole calore che aleggiava nella tenda, lo intorpidivano e minacciavano di farlo addormentare. Riuscì comunque a scrivere una prima bozza della lettera che avesse un senso compiuto e, quando infine guardò l'orologio, si accorse che era finalmente giunto il momento di svegliare Sesto e di mettersi a dormire. Mise da parte il palmare e si stiracchiò, ma propio mentre stava per sporgersi verso l'amico e scuoterlo si rese conto dell'improvviso silenzio che regnava dentro e fuori dalla tenda. Fino a prima di iniziare a scrivere, fuori infuriava la tormenta e si sentiva distintamente il vento battere contro la tenda.

S'infilò l'elmo e, raccolto lo scopletum, aprì la tenda e uscì fuori. Si ritrovò nel bel mezzo della pianura innevata, buia e fredda, ma nuovamente aperta e infinita. La tormenta era finita senza che lui se ne fosse reso conto e il vento si era calmato. Solo la neve che gli arrivava poco sotto le ginocchia testimoniava che quella notte vi era stata una forte nevicata. Publio guardò nuovamente l'orologio. La mezzanotte era passata da poco e, se si fossero messi immediatamente in marcia, sarebbero riusciti a rientrare in meno di due ore. Si affrettò a svegliare Sesto, il cui turno di riposo era comunque finito, e lo trascinò fuori.

-Roba da non credere!- esclamò questi, guardandosi intorno- Avremmo potuto continuare la marcia!

-Dubito che saremmo durati a lungo nella bufera- rispose Publio- Ma se te la senti, possiamo ripartire immediatamente.

-Tu non sei stanco?

-Da morire, ma potrò riposare di più e meglio una volta raggiunto il Vallo.

Sesto stava per rispondere, quando improvvisamente l'orizzonte fu illuminato da un improvviso bagliore, come una serie di lampi, ai quali si unì ben presto un rombo cupo e attutito dalla distanza.

-Che altro sta succedendo?!

-Sparano!- esclamò Publio- Queste sono artiglierie!

La spiegazione non poteva che essere una. I ronin avevano dato inizio alla loro offensiva contro il confine.

-Tirano sui nostri?- chiese Sesto.

-No, a occhio e croce stanno attaccando più a meridione- rispose Publio- Ma sono comunque vicini alla nostra legione. Sarà meglio che ci affrettiamo a rientrare, prima che l'attacco si diffonda!

Smontarono in fretta la tenda e si rimisero in marcia nella notte. Dopo la tormenta, la temperatura si era sensibilmente rialzata, ma faceva ancora molto freddo. Gli stabilizzatori soffrivano ancora dello sforzo che era stato loro imposto durante le prime fasi della bufera e così un po' di freddo filtrava all'interno delle armature. La marcia a passo sostenuto, tuttavia, contribuiva a riscaldare i due romani.

Percorsero diverse miglia e si aspettavano da un momento all'altro di veder profilarsi di fronte a loro i contorni sempre più alti del Vallo di Alasia, quando improvvisamente, il relativo silenzio della notte fu squarciato da raffiche di scopletum a ripetizione e loro due si ritrovarono praticamente circondati da una fitta rete di traccianti luminose. Si gettarono a terra nella neve, ma le raffiche di colpi si abbassarono con loro, sfiorando le loro teste, ma senza colpirli.

-Cercano di inchiodarci qui a terra!- gridò Publio, imbracciando il proprio scopletum.

Sparò una raffica nella direzione da cui provenivano la maggior parte delle traccianti, giusto per far capire al nemico che non intendeva lasciarsi sopraffare senza combattere. Le traccianti diminuirono sensibilmente; i loro aggressori dovevano aver capito che i due romani non avevano perso la voglia di combattere solo perché erano caduti in un'imboscata, e si erano a loro volta gettati a terra per essere meno visibili.

Sesto aveva a sua volta imbracciato la propria arma, e adesso i due romani sparavano con calma nelle direzioni da cui si sentivano attaccati, cercando di risparmiare le munizioni e allo stesso tempo tenendo gli occhi ben aperti in attesa che si creasse un varco attraverso il quale defilarsi e spiccare una corsa verso il confine. La superiorità numerica del nemico era evidente e se i ronin avessero deciso di assaltare la loro posizione, Publio e Sesto sarebbero stati certamente sopraffatti.

Publio strinse i denti mentre un proiettile gli passava rasente alla spalla, scalfendo la cromatura della corazza. Man mano che passava il tempo, la situazione diventava sempre più preoccupante. La sparatoria non accennava a smettere; i ronin non intendevano mollare la presa, nè d'altro canto lui e Sesto ci tenevano a finire nelle loro mani; sarebbe andata avanti finché una delle due parti non avesse esaurito le munizioni e non c'erano dubbi che sarebbero stati i due romani. Non possiamo restare qui, pensò Publio. Erano troppo lontani dal Vallo perché qualcuna delle vedette potesse accorgersi della loro presenza lì e mandare i soccorsi, ma non erano troppo lontani per raggiungerlo se si fossero messi a correre a perdifiato.

Era una follia, soprattutto considerando che i ronin li avrebbero certamente inseguiti e che probabilmente sarebbero caduti con una palla della schiena appena percorsi pochi metri, ma a quel punto non avevano molta scelta. Potevano morire lì nella neve opponendosi futilmente ad un nemico più forte di loro, oppure potevano rischiare il tutto per tutto e morire tentando di defilarsi dal nemico. E magari, se Marte era con loro, avrebbero invce salvato la pelle. Prima, però, dovevano aprirsi un varco in mezzo al nemico che sbarrava loro la strada.

-Balbo, lancio una pirobula contro quei bastardi!- disse, sporgendosi di poco verso l'amico- Appena scoppia, balziamo in piedi e corriamo dritto di fronte a noi senza fermarci!

-Quante possibilità abbiamo?- chiese Sesto.

-Più di quante ne abbiamo di sopravvivere se rimaniamo qui!

Sesto annuì e Publio si slacciò dalla cintura una pirobula a mano. Tirò via la spoletta e contò fino a tre prima di lanciarla in direzione dello sbarramento nemico. Si sentirono grida confuse e nell'oscurità s'intravide del movimento intorno al punto in cui la pirobula era caduta, prima che l'esplosione lacerasse l'aria e illuminasse la notte.

-Adesso!- gridò Publio scattando in piedi.

Si lanciarono di corsa contro il bagliore dell'esplosione che non si era ancora spento e lo superarono. I ronin erano rimasti storditi dall'esplosione, ma non tardarono a reagire e con violenza. Raffiche di colpi sempre più fitte inseguirono i due romani nella piana buia e innevata. Publio si voltò brevemente e scorse con la coda dell'occhio un gruppetto di figure che li inseguivano. Senza pensarci due volte, gettò via la sarcina contenente per lo più l'equipaggiamento per la notte e accelerò, cercando di raggiungere Sesto che lo aveva distanziato di un buon metro.

Ma prima che potesse raggiungerlo, sentì un corpo pesante arrivargli addosso e farlo cadere pesantemente nella neve. Si voltò e, con un tuffo al cuore, vide il ronin incombere su di lui. Sollevò appena lo scopletum per sparargli, ma quello glielo strappò di mano con un calcio. Afferrò qualcosa che gli pendeva dal fianco e Publio vide con terrore il bagliore della lama di un lungo pugnale. Il nionico lo impugnò con entrambe le mani e lo sollevò, la punta rivolta verso la gola del romano. Lanciò un urlo lacerante e si preparò a colpirlo, quando fu investito da un violento fascio di luce. Fece appena in tempo a sollevare lo sguardo stupito e Publio fece appena in tempo a scorgerne i lineamenti, la bocca sporgente, gli zigomi pronunciati e i famosi occhi obliqui. Poi quel volto strano ed esotico scomparve in un fiotto di sangue, mentre dalla stessa direzione da cui era arrivato il fascio di luce echeggiava uno sparo.

Altri spari lacerarono l'aria. Publio si scrollò di dosso il corpo del ronin che gli era caduto addosso e si voltò. Vide due autocinetum romani fermi a poca distanza, sopra e davanti ad essi erano schierati dei legionari intenti a sparare con calma in direzione dei ronin che, vistisi al mal partito, si stavano ritirando nella notte. Cessarono il fuoco solo dopo che questi furono completamente spariti. Publio si alzò lentamente, frastornato, e vide Sesto e un altro legionario andargli incontro.

-Tutto bene, Scipione?- chiese Sesto- C'è mancato poco!

Publio annuì, ma non disse nulla. Sentiva ancora il cuore battergli a mille, per lo spavento che si era preso nell'essersi trovato ad un passo dalla barca di Caronte, ma anche per la velocità con cui si erano svolti gli eventi dopo che lui aveva lanciato la pirobula. Si sfilò l'elmo dalla testa e respirò a pieni polmoni l'aria fredda della notte. Anche il legionario si tolse l'elmo e Publio lo riconobbe subito.

-Centurione Nasica!

-Sta bene, tribuno? Se l'è vista davvero brutta- disse il centurione, accennando con il capo al cadavero del ronin e al pugnale che giaceva poco lontano.

-Voi cosa ci fate qui fuori?

Nasica sorrise.

-Siamo usciti a cercare voi!- rispose- Saremmo venuti prima se non fosse stato per la bufera. Il legato era molto preoccupato dopo quella trasmissione confusa che gli avete inviato!

-Eravamo ancora al villaggio, abbiamo tentato di metterci in contatto con voi, ma la bufera in arrivo faceva interferenza- spiegò Publio- Così ci siamo messi in cammino, ma siamo stati costretti a fermarci in mezzo alla tormenta. Abbiamo ripreso il cammino non appena è cessata. Poi siamo stati attaccati.

Il centurione annuì comprensivamente, poi ordinò ai legionari di risalire sui mezzi e di prepararsi a ripartire.

-Sarà meglio rientrare- disse dando a entrambi una pacca sulla spalla- Voi due sarete stanchi e ansiosi di mettervi al caldo. E credo che per stanotte abbiate avuto abbastanza emozioni!

Publio e Sesto non poterono essere più d'accordo.

************

Okay, chiudiamola qui per il momento, altrimenti diventa davvero lungo!
Che dire... mi sembra di essermela cavata meglio che col precedente capitolo, ma d'altro canto stavolta non ero sotto pressione per l'esame. Inoltre, causa momentaneo guasto del modem, sono stata impossibilitata a cazzeggiare assiduamente su Internet e a pubblicare cavolate su facebook, come mio solito, quindi ho avuto meno distrazioni dalla scrittura. La prima parte, quella ambientata ancora nel villaggio fantasma è quella che mi sono divertita di più a scrivere, mentre non sono troppo sicura della fine. Mi sembra quasi di aver lasciato un discorso in tredici, ma penso comunque di proseguire nel prossimo che sarà un capitolo di collegamento.
Alla prossima!
  
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