8.
Anelli, circolarità e deja-vù
Allibito,
Jareth la vide gettare via il prezioso anellino.
Era
una sconsiderata! L'anello che ne designava l'identità e
appartenenza, doppiamente importante perché donatole dalla
madre;l'anello della saggezza, l'anello che conciliava gli opposti,
come il nastro di Moebius spiraliforme che lui portava al collo. Era
il più potente tra i talismani. E lei l'aveva gettato al
vento, come pagamento a quel vecchio scemo! Schioccò le dita e
comparve nella piazzetta in cui, fino a poco prima, era stata la
ragazza, insieme al nano.
“Tu...”
sibilò al copricapo “Dammi quell'anello!”
“Ma...ma...”
balbettò quello terrorizzato cercando di scuotere il saggio
“Vecchio citrullo, svegliati!”
“Lascialo
dormire..ti propongo solo uno scambio... lo sai che del tuo re ti
puoi fidare!” gli disse sorridente “Io ti do una gemma di
pari valore ma in cambio mi permetterai di riavere quell'anello d'oro
con un topazio ocra incastonato*.”
“Ehh.....”
Il cappello esitò, incerto sul da farsi “Tanto il
vecchio, qui, dormiva, non sa nemmeno se l'han pagato. Ma mi assicuri
che vale come l'altro?” domandò scettico “Sai,
sono io che mando avanti la baracca qui...se non fosse per me questo
vecchio pazzo sarebbe già morto di fame”
Jareth
materializzò dal nulla una perla grigia “E' molto
rara...viene direttamente dall'Isola...” Il cappello spalancò
gli occhi estasiato ma subito tornò a ricomporsi “E
perché mai Sua Maestà dovrebbe pagare un prezzo doppio
per un anellino? Cos'ha di tanto particolare,eh?” domandò
insolente e curioso
“Senti
piumino...” ringhiò a quel punto il mago “Ti ho
proposto un affare e ancora avanzi pretese?”
“No
no no, certo che no, Vostra Maestà...”disse accennando
un inchino “Prego, si serva pure...” disse allungando la
cassetta
L'anello
incriminato saltò subito sul palmo del Re che, al suo posto,
versò la perla.
“Ti
ringrazio...” disse Jareth scomparendo
“Qui
sono tutti, uno dopo l'altro, più idioti di quello che
sembra...e già...” commentò sarcastico il
cappello, lieto dell'affare.
Nuovamente
nelle sue stanze, Jareth ripose con molta cura l'anello all'interno
di una sfera ovattata che nascose all'interno di uno scrigno: un
giorno avrebbe trovato il modo di renderglielo. Campionessa o
perdente era suo di diritto. Non c'entrava nulla con quello strano
languore che aveva preso ad attanagliargli la bocca dello stomaco.
Sospirò. Quella cretina! Sì, certo, si era liberata del
giogo e del vincolo che pesavano su quell'anello. Ma quante altre
cose aveva ceduto? La sua essenza ora era totalmente libera. Non
aveva più amuleti che la trattenessero o che la difendessero.
Prima il bracciale, ora l'anello: sarebbe stata al sicuro finché
fosse stata all'interno delle mura ma, appena le avesse oltrepassate,
sarebbe stata preda di tutte le creature selvagge che popolavano
l'Underground. Lo fissò. Era un bell'anello. E lei lo
indossava correttamente, una delle poche cose che faceva giuste: al
dito medio della mano destra, la mano del sole, come si confaceva
alle persone prudenti, intelligenti, affidabili e pazienti, più
portate all'istinto che alla logica. Sorrise: quella, la logica, non
sapeva nemmeno dove stesse di casa. Per quanto fosse un semplice
ricordo, a lei piaceva indossarlo: probabilmente l'avrebbe scelto
uguale se avesse dovuto scegliersi un anello. In oro, da persona
altruista e solare. Con una pietra rossastra, tipico delle persone
dal temperamento grintoso ma volitivo, pronte a combattere per il
gusto della sfida ma mai pronte ad affrontare di petto le situazioni
spinose per risolverle, che tendono a non lasciarsi sopraffare dai
sentimenti e che temono di perdere il controllo. Si, Sarah era tutto
questo. Ed era un bel problema.
Sarah
si era ricordata di una teoria, un procedimento logico, per risolvere
il labirinto. Si stava sforzando di ricordare quale fosse ma la sua
capacità mnemonica era sempre stata tutta dedicata solo alle
storie e alle fantasie: lei e la logica non andavano molto d'accordo.
E, a quanto pareva, nemmeno la propria lingua madre era un terreno
sicuro. Si ricordava, solo vagamente, che doveva riguardare l'uso
della mano. Forse era la destra** ma non ne era sicura. In ogni caso,
giunti al punto in cui erano, saltando un pezzo, anche se sene fosse
ricordata, avrebbe rischiato di tornare al punto di partenza senza
l'aiuto di nessun nano imbroglione. E forse, rimuginò ancora,
una regola valida nel mondo umano, lì poteva non trovare
alcuna applicazione. Si accigliò, accantonando il pensiero.
E
un altro, quello di star camminando ormai da almeno una mezza dozzina
di ore, tornò prepotente a farsi sentire tramite i crampi alle
gambe e il brontolio allo stomaco. Non aveva nemmeno cenato prima di
desiderare che il fratello fosse rapito. Si diede della stupida:
ormai il danno era fatto! Aveva all'incirca altre cinque ore a
disposizione. Si disse che non importava: quando leggeva, recitava o
era semplicemente immersa in qualcosa di coinvolgente il tempo
passava senza che sentisse l'esigenza di andare in bagno o di
mangiare. Le succedeva anche quando andava a scuola, spesso arrivava
al pomeriggio senza mangiare e fitte improvvise la avvertivano che
non aveva ancora messo nulla sotto i denti. Ma le gambe: non era
abituata a camminare così tante ore continuativamente. Anche
se doveva certamente essere meglio quello rispetto allo stare in
piedi tutto il giorno come le commesse o i soldati. Non poteva certo
lamentarsi: lei aveva anche avuto modo di riposare, nella cella buia
e umida. Prima di doversi mettere a correre per salvarsi la pelle.
Maledisse
mentalmente il dannato mago.
“Perché
hai detto che eravamo amici?” Hoggle, che trottava dietro di
lei per tenerne il passo, interruppe i suoi pensieri
“Perché
lo sei...” rispose cordiale, puntellando lo sguardo su
un'increspatura nel terreno: aveva qualcosa di strano e non capiva
cosa “...Non sarai il migliore, ma sei il solo che ho qui...”
Quella
risposta, che non era un complimento, gonfiò il nano di
orgoglio e le concesse tempo prezioso per capire cosa non andava
nell'acciottolato, senza fermarsi a osservarlo e perdendo tempo.
Poi
ebbe un'illuminazione. Si voltò e osservò il pavimento
ormai alle sue spalle. E sì: lì c'era lui, la
sua effige. Si era domandata come mai non ci fossero statue del re ed
eccole servita la risposta: la sua immagine era impressa ovunque nel
labirinto. Per terra, sui muri, tra le piante: bisognava saper
guardare bene, come il passaggio da un livello all'altro che le aveva
mostrato Monsieur le Ver. Nascosto in un un gioco di luci ed ombre
ecco che quel volto arrogante e sprezzante faceva capolino quando
meno se lo aspettava. Sembrava quasi seguirla, spiarla. Da lui e da
quel regno ci si poteva, decisamente, aspettare di tutto.
D'un
tratto un ruggito lamentoso li fece sobbalzare e la distolse da quei
pensieri.
“Addio!”
disse Hoggle battendo immediatamente in ritirata
“Aspetta!”
gridò Sarah mentre il nano già tagliava la corda.
D'accordo aver paura, ma sarebbe arrivato ad abbandonarla? “Sei
mio amico o no?” disse aggrappandosi al suo braccio,
trattenendolo.
“No,
Hoggle non è amico di nessuno!” rispose lui
divincolandosi dalla sua stretta “Pensa solo a se stesso, come
tutti!” in un rantolo esasperato riuscì a liberarsi,
quindi concluse “Hoggle è amico solo di Hoggle!”
Detto ciò, girò sui tacchi e scomparve alla vista della
ragazza, svoltando al primo angolo.
“Vigliacco!”
gli gridò dietro Sarah, sperando di farlo sentire in colpa.
Una
volta sola, si guardò attorno, sconsolata. Era rimasta
profondamente ferita da quel comportamento e, anche se non c'era
nessuno a cui dovesse mostrarsi forte, mantenne il sangue freddo,
cacciando le lacrime. L'ennesimo tradimento del nano le aveva forzato
il ricordo di altri abbandoni già vissuti: le sembrava che la
sua vita fosse un circolo infinito che, a intervalli regolari, le
riproponeva moduli di esperienze dolorose che non riusciva a
risolvere positivamente. Tutto ciò si andava ad ammonticchiare
creando un'armatura di diffidenza e disillusione che, al contempo, la
rendeva più fragile e insicura. Si odiava quando si lasciava
prendere così dallo sconforto, addossando la colpa agli altri.
Le sembrava di affogare in un mare nero di cattiveria pura.
“D'altronde...”
si disse ricordando quello di cui aveva appena preso consapevolezza.
E' così che va. “Sono stata davvero stupida...Sono io
che avevo decretato la mia disponibilità all'amicizia nei suoi
confronti...solo io mi fidavo di lui, in qualche modo. Lui non ha mai
detto il contrario, anzi...Ha ammesso di non essere mai stato amico
di nessuno, prima. Vuol dire che nessuno si era mai fidato di lui e
viceversa?” Quel pensiero la depresse più del tradimento
appena subito e, per evitare di abbattersi del tutto, lo cacciò
dalla mente. Il ruggito riecheggiò ancora nei giardini e lei
si decise a scoprire cosa -o chi- fosse a procurarlo
“Io
non ho paura!” disse, cercando di darsi coraggio “Le cose
non sono come sembrano, qui!” ricordò a voce alta,
ancora una volta, le parole di Monsieur le Ver. Se mai avesse avuto
l'occasione di incontrarlo di nuovo, doveva pensare a un modo per
sdebitarsi e mostrargli tutta la sua gratitudine: i suoi erano stati
i consigli più preziosi. Anzi. Erano stati gli unici consigli
che aveva ricevuto.
Girò
l'angolo di una siepe e si trovò in uno spazio vuoto a ridosso
di una cinta muraria. Dalla costruzione si diramava l'estrusione di
un albero simile a un melo. Appeso ai suoi rami a testa in giù,
penzolava un bestione peloso e cornuto che ruggiva disperato. Se non
fosse stato per la colorazione fulva del mantello e per le corna
rivolte verso il ventre, Sarah l'avrebbe identificato immediatamente
con un Night-Troll. Persa nella sua identificazione non si era
domandata come fosse finito in quella strana posizione: forse era
incappato in una trappola destinata a lei?
Rabbrividì
al pensiero vedendo un drappello di Goblin corazzati scagliarsi
contro la creatura, armati di strani bastoni. Si domandò come
mai, ammesso che fosse una creatura del regno e non un altro intruso,
i Goblin lo attaccassero. Forse, pensò, effettivamente non era
come poteva sembrare. Accantonò la curiosità quando la
sua attenzione si fu focalizzata sui bastoni: sulla cima di ciascuno
stava appollaiato, tenendosi saldamente ancorato con lunghi artigli
ricurvi, una specie di camaleonte rosa gigante, privo di coda ma
dotato, in compenso, di denti degni dei più famelici dei
piranha. Tenevano gli occhi serrati, quasi fossero accecati dalla
luce del sole. I Goblin li usavano per torturare la creatura, facendo
in modo che quei cosi disgustosi andassero a mordere, seguendo un
istinto atavico, e parti più sensibili e morbide della
creatura: collo, ventre, inguine, occhi...
“Se
trovassi qualcosa da lanciare...” borbottò Sarah in
pena, distogliendo lo sguardo per l'angoscia e per la necessità
di trovare una soluzione.
Si
avvide di una pietra ai suoi piedi. La prese senza pensarci e senza
esitazione la lanciò verso il Goblin più vicino
colpendolo sull'elmo, che prese a girare su se stesso, oscurando la
visuale al malcapitato.
Esaltata
da una prima vittoria, si chinò in cerca di qualcos'altro e
vide che la stessa pietra di prima era tornata a posizionarsi ai suoi
piedi ed ebbe come un deja-vù***. La lanciò nuovamente
e, ancora una volta, il tiro andò a segno. I Goblin, confusi,
cominciarono ad andare a sbattere tra di loro, abbassando le armi nel
tentativo di liberarsi degli impedimenti. Ma le estremità
dentate continuarono, secondo la loro natura, a mordicchiare tutto
quello che capitava a tiro, ferendo altri Goblin che ripetevano lo
stesso errore in una reazione a catena infinita. Mordendosi
accidentalmente a vicenda e temendo di essere finiti sotto l'attacco
di chissà quale esercito nemico, finirono per allontanarsi tra
loro e dal luogo della tortura.
Sarah
approfittò del momento di tregua e corse dalla creatura che
sbraitava a pieni polmoni nel disperato tentativo di liberarsi.
“Ora
smettila!” intimò la ragazza, catturandone l'attenzione
“E' questo il modo di trattare chi cerca di aiutarti? Non vuoi
che ti tiri giù?” chiese mettendosi sottosopra per
riuscire a guardarlo bene.
“Ludo
Giù!” piagnucolò allora quello.
“Sembri
tanto un caro bestione...”Aveva tutta l'aria di essere un
cucciolo un po' troppo cresciuto e molto affabile. Forse troppo se,
come sospettava, non aveva nemmeno cercato di difendersi dall'agguato
dei Goblin. Forse, creature gentili come quella erano i bersagli
prediletti di quelle schifose creature. “Spero proprio che tu
sia come sembri...” mugugnò tra sé: se aveva
l'impressione che fosse buono, forse non lo era, anche se
inizialmente aveva anche pensato che fosse aggressivo... tutto quel
pensare al complicato gioco cosa potesse essere realmente ciascuna
cosa cominciava a confonderla. Le sembrava quasi di dover guardare il
riflesso di uno specchio che si riproduceva all'infinito su due
superfici contrapposte.
Lo
liberò rapidamente dal cordame ma si rese conto, troppo tardi,
presa com'era dalla foga, di non poter far nulla per attutirgli
l'atterraggio. “Mi dispiace!” si scusò
prontamente. Ora avrebbe saputo se quella creatura era così
magnanima da perdonarla o così terribile da mangiarsela in un
boccone. In ogni caso, farla cadere così malamente al suolo
non sarebbe mai stata vista come prova di buona volontà.
Si
chinò per aiutare quella cosa, Ludo, alta più di tre
metri, a rimettersi almeno seduto. Era spaventata e preoccupata, per
sé e per lui. Ma non le aveva fatto ancora nulla, forse ancora
stordito.
“Amico?”
chiese, invece, il Troll, spiazzandola. Sarah sorrise, passando
rapidamente alle presentazioni. Infine, provò a chiedere anche
a Ludo se, per caso, sapesse come raggiungere il castello al centro
del labirinto. Quello ci pensò un po' e sembrava quasi avere
la soluzione. Ma alla fine la risposta fu un “No”
sconsolato.
“Neanche
tu lo sai, eh? C'è qualcuno che sa come attraversarlo?”
sbottò esasperata e arrabbiata, più con se stessa e con
quel re infingardo, il quale aveva la colpa di averla cacciata in
quella situazione senza darle un minimo di vantaggio, che con il
povero Troll bonaccione.
Poco
lontano da lì, Hoggle, si aggirava ancora tra le siepi dei
dintorni nel tentativo di ritornare alle sue mansioni. Era a dir poco
furibondo. “Superare il labirinto...” continuava a
ripetere infastidito, facendo il verso alla povera ragazza. “Una
cosa è sicura!” sentenziò “Lei non supererà
mai il labirinto. Testa Dura!”
Jareth,
dall'altra parte della sfera, si accigliò: aveva rischiato
davvero grosso a mandare quello stupido nano in aiuto di Sarah. Aveva
dimenticato un particolare fondamentale: quello non era solo la prima
creatura incontrata dalla ragazza. Era anche il giardiniere reale e,
quindi, conosceva ogni strada, ogni pertugio di quel posto. E sapeva,
anche, che il labirinto non era pienamente risolvibile. Certo, si
poteva arrivare al castello ma...di per sé aveva una sola
apertura: nessuna uscita, come i dimenticatoi. Se Sarah fosse
riuscita, inavvertitamente, da sola, a trovare l'unico accesso per il
castello o a scappare dal labirinto, in modo da aggirare il dedalo e
raggiungere la fortezza dall'esterno, esso non rappresentava comunque
la soluzione, ma solo un altro meccanismo contorto dal quale era
impossibile uscire. La sconfitta per i visitatori era scontata.
Questo avrebbe dovuto tranquillizzarlo. Ma quel labirinto era stato
creato apposta per Sarah, quindi, forse, poteva avere delle falle che
solo lei poteva individuare. Il mago valutò perplesso quella
possibilità: era stato sciocco a non prendere in
considerazione prima un'eventualità del genere. Ma poco
importava. Avrebbe escogitato qualcos'altro per tenerla lontana dal
suo traguardo fino all'ora stabilita. A quel punto non ci sarebbe
stato più nulla da fare. Ghignò soddisfatto e tornò
a valutare il nano. Si rincuorò pensando che aveva fatto bene
a non buttarlo nella palude. O che non fosse disgraziatamente perito
nella fuga dagli spazzini. “Sì...” borbottò
compiaciuto “...si è rivelato un servo fedele...”
nonostante il bracciale. “E' ora che il bambino mangi!”
Disse schioccando le dita a indirizzo dei Goblin perché si
spicciassero nelle loro mansioni.
In
realtà aveva diversi dubbi sul giardiniere: se non fosse stato
per la sua codardia davanti a quel benedetto Night-Troll forse, a
quell'ora, poteva averle già rivelato l'inutilità di
tanto accanimento e forse anche la soluzione? “Poi vedrò
il da farsi”
Una
volta che il marmocchio ebbe mangiato a sazietà si prese del
tempo per osservarlo. Ormai mancavano solo poco più di quattro
ore e lui doveva cominciare a pensare a un nome da dargli “E'
un tipetto vivace... Lo chiamerò Jareth” decise. Sì.
Il suo nome, il nome di colui che sarebbe stato il suo erede “Ha
anche i miei occhi” osservò. Biondo e con gli occhi
azzurri. Poteva davvero spacciarlo per figlio suo.
Sarah,
nel frattempo, aveva notato come, all'improvviso, sotto l'albero dove
era stato appeso Ludo, fossero comparse due porte, ciascuna con
l'effige di un orchetto cornuto: uno paffuto e barbuto, con un anello
che collegava tra loro le due orecchie; l'altro, apparentemente più
magro, con folti capelli ricciuti e grosso naso adunco recava un
anello in bocca. Sarah scoprì presto che i due anelli, che
fungevano da battacchi, impedivano al primo di sentire correttamente
e al secondo di parlare. La ragazza scelse di liberare quello che le
pareva potesse essere il più facile e, per lui, meno dannoso.
Capito come passare oltre, riuscì a riposizionare il ferro con
l'astuzia, bussò e passò oltre.
Al
di qua non sembrava che, oltre quelle porte, potesse nascondersi un
giardino tanto meraviglioso e selvaggio allo stesso tempo. Sarah si
incamminò incantata e Ludo, recalcitrante, la seguì con
circospezione. Come entrambi ebbero varcato la soglia, la porta si
chiuse plumbea alle loro spalle.
“Ludo,
paura!” protestò il bestione mentre la ragazza si
addentrava sempre più in profondità nella folta
vegetazione
“Su,
dammi la mano...” disse nel tentativo di calmarlo e infondergli
coraggio. Era proprio paradossale che un Troll grande e grosso come
lui avesse paura. Ma visti i precedenti, non se ne stupiva nemmeno
più di tanto. “Vedi, Ludo?” disse dopo un po'
lasciando la presa e allargando le braccia come a voler accogliere a
sé tutto il paesaggio “Non c'è nulla di cui aver
paura...” Non ricevendo risposta, si voltò. Ludo era
sparito nel nulla. Eppure era lì, fino a un istante prima. In
un attimo, anche Sarah cadde in preda al panico.
*
Questa è tutta una mia interpretazione, perché non si
vede mai bene il colore della pietra (anche quello del metallo è
dubbio, ma negli anni '80 l'oro era di moda e l'argento era out.
Dunque, ho scelto il topazio per vari motivi, non avendo trovato
indicazioni in Sir Shakespeare. Giusto: perché Shakespeare?
Perché nel libro si dice che è il regalo della madre
che a sua volta aveva recitato in Racconto d'Inverno, la parte di
Ermione. Ermione: regina (!) che il marito crede fedifraga e fa
condannare. Dopo una serie di vicende, in cui viene anche tramutata
in statua, tutto finisce bene coi due che si rappacificano.
Ma
torniamo al mio Topazio: si trovano topazi incolori, giallo oro,
rosa, rosso mattone, azzurro e blu. In particolare il Topazio
imperiale, veniva considerata una gemma capace di vincere la follia e
gli incubi notturni e nel medioevo si usava per scacciare malocchio e
allontanare i fantasmi della notte. Si diceva, inoltre, che avvisasse
il suo possessori di pericoli incombenti diventando torbida. (Nelle
inquadrature che si hanno della mano inanellata di Sarah -al parco,
quando tira fuori il libro; in camera, quando cerca di accendere la
luce- sembra quasi un occhio di pernice tanto è scuro). E'
sempre stato considerato la pietra legata a Giove, simbolo
dell’abbondanza, della prosperità,
dell’autorealizzazione e della saggezza. È la pietra dei
sovrani (!). Da sempre è considerato la pietra del sole (!),
portatore di luce, energia e prosperità (e, in indù,
vuole dire fuoco). La leggenda dice che il topazio ha il potere di
sciogliere gli incantesimi e di potenziare la vista. Gli antichi
Greci pensavano che aveva il potere di aumentare la forza e rendere
invisibile chi lo portava in caso di pericolo.
**Il
procedimento consiste nell'appoggiare la mano destra (o la sinistra)
alla parete destra del labirinto (o rispettivamente alla parete
sinistra) all'entrata del labirinto, e scegliere l'unico percorso che
permetta di non staccare mai la mano dalla parete scelta, fino a
raggiungere una delle eventuali altre uscite, o il punto di partenza.
Nel caso particolare di una sola uscita, l'algoritmo conduce a un
vicolo cieco, dal quale si ritorna al punto di partenza semplicemente
continuando a seguire la parete prescelta.
***
A nessuno, vedendolo anni dopo, ha notato un collegamento con la
“pietra torna indietro” di Fantaghirò? :D
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Eccomi
qua, inaspettatamente il sabato anziché il lunedì come
minaccito. -.- non ce la facevo davvero più a resistere un
paio di giorni e a lavorare e basta. Però, penso che la
qualità del capitolo, scritto di getto e rivisto ben poco, non
sia delle migliori. Soprattutto, non so nemmeno io se avrei dovuto
dilungarmi di più nella scena dei batacchi... ma va beh.
La
cosa di cui volevo parlarvi è la natura del labirinto. Come
avrete notato, Jareth sostiene che non dovrebbero esserci vie
d'uscita. L'idea mi è venuta un po' da un saggio sul film (che
ritiene che il labirinto sia stato creato appositamente per Sarah) e
dal fatto che in quel mondo nulla è come ci si aspetta che
sia. Se, come accade, il concorrente raggiunge la meta, non è
detto che questo sia il passo decisivo per tornare a casa. Nei
labirinti, l'arrivo al centro è solo una delle tappe. Per
vincere davvero, bisogna riuscire ad uscirne...e non dall'entrata.
Quindi
ho ipotizzato che Jareth avesse modificato (non creato) appositamente
il labirinto per Sarah, cercando di colpirla nei suoi punti deboli.
Un qualunque altro abitante dell'Underground non si sarebbe fatto
fregare dai passaggi mimetizzati nel muro, dalle mani amiche etc. In
secondo luogo, lei raggiunge comunque il castello, ma uscendo dal
labirinto, che costituisce, quindi, solo parte della sua avventura.
Obiettivo è il castello, come detto nei primi capitoli. Ma una
volta arrivata? Come sarebbe tornata a casa? Dalla strada
dell'andata? E una volta giunta sulla collina? Non c'è alcun
passaggio, in realtà. E' come se si trattasse di una porta che
si può aprire solo dall'esterno. O dall'interno a patto di
conoscerne la combinazione. Ritengo quindi che per vincere,
arrivare al centro fosse solo una delle condizioni. Rimaneva poi,
ancora, da infrangere le comuni barriere mentali (e lei riesce
lanciandosi da un piano all'altro) e da convincersi -realmente- del
proprio potere all'interno di quel mondo. Fino alla scena finale,
Sarah è andata a tentoni: si lancia in un tentativo disperato,
ha capito la lezione ma ancora non la padroneggia consapevolmente.
Solo alla fine “non hai alcun potere su di me” si rende
conto che, forse, avrebbe potuto concludere l'avventura molto tempo
prima e con molti meno sforzi e che una semplice battuta in un
racconto contiene molte più verità di quello che aveva
immaginato.
Non
so se sono riuscita a farmi comprendere. In ogni caso, portate
pazienza per la mia vena di follia e demenza.
Infine
un ringraziamento a Giovanna e alle infinite chiacchierate notturne
che mi portano un sacco di spunti e soluzioni.
Ciao!!
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