13. Here.
13.
Here.
Karen’s
PoV
Lasciatemi
qui.
Lasciatemi
qui, sola, come sono anche troppo spesso.
Lasciatemi
qui, stanca, non so nemmeno io di cosa. Forse di tutta questa vita
vuota, o forse di questo mondo malato e malsano, o forse del mio essere
così costantemente seconda.
Lasciatemi
qui, triste, per qualcosa che nemmeno io riesco a capire. La voglia di
piangere senza motivo a farmi compagnia.
Lasciatemi
qui, fredda, a morire di nostalgia per qualcosa di dolce che non ho mai
nemmeno conosciuto, ma che vorrei sentire anche un po’ mio.
È
una sera come un’altra. Solo una sera di musica e silenzio
come un’altra. Una sera d’insonnia come
un’altra. Con il mio solito vecchio malessere a farmi
compagnia e tante canzoni, alcune giuste, alcune meno, alcune del tutto
sbagliate. Una sera con tante storie da scrivere passata invece a
leggere.
Una sera come
tante altre. Una sera in cui voglio essere lasciata sola.
Lasciatemi
qui, stasera.
Una sera in
cui io lancio l’ennesimo sguardo al computer, e decido di
chiudere la pagina di musica senza osare riaprire internet. Non voglio
vedere la mail intasata di notifiche inutili, non voglio vedere la
mancanza dell’unico messaggio di cui avrei bisogno in questo
momento.
E
così rimango immobile davanti alla scrivania, a fissare il
monitor nero. Come se potesse accadere un miracolo, come il mio
desiderio potesse emergere dallo schermo. Ma non accade nulla, e io
chiudo il computer, giro lo sguardo per fissarlo al pavimento.
I miracoli non
accadono, mi dico, quasi si trattasse di una lezione che non sono
riuscita a imparare da bambina. No, i miracoli non accadono. Di certo
non a me.
Volto le
spalle alla scrivania e siedo sul letto, anche se il movimento ricorda
più un lasciarsi cadere. Sento una stanchezza profonda
salirmi da dentro, un senso di sfinimento che sembra volermi succhiare
via la forza anche per respirare.
Odio avere il
ciclo, è una di quelle poche cose che mi toglie qualunque
energia, qualunque voglia di fare, di sognare. Mi lascio sfuggire un
sospiro esausto, e anche esasperato, e mi stendo sul materasso. La
morbidezza delle coperte soffici, sotto di me, mi rassicura un
po’. Allungo stancamente la mano, alla cieca, e trovo
immediatamente le casse del mio MP3. Accendo il lettore con un solo
gesto, e la musica, già impostata sull’opzione
shuffle, parte da sola.
E, a dirla
tutta, parte bene: mi offre la canzone giusta, una canzone adatta per
consolare l’angoscia che mi sale a spirale nel petto. A volte
mi sembra quasi che abbia sviluppato una coscienza propria, questo
affarino musicale, mi sembra quasi che mi conosca. È da anni
che ce l’ho, anni passati a cambiare una canzone dietro
l’altra ogni qual volta il mio umore capriccioso mi rendesse
insofferente una particolare canzone. E in tutti questi anni, mi sembra
quasi che un semplice pezzo di tecnologia abbia imparato a captare le
onde inviate dalle mie emozioni per tararsi esattamente sulle melodie
di cui ho bisogno. Ora mi offre note armoniose, note che scivolano
immediatamente sul mio dolore, trasformandolo in malinconia, note che
scendono immediatamente a riempire il vuoto che sento pulsare
fastidiosamente nel mio petto, quel vuoto da cui ho ingenuamente
cercato di proteggermi appallottolandomi come una gattina infreddolita.
Sì,
ho freddo.
Ho freddo
fuori, perché ho il vizio assai discutibile di andare in
giro in maglietta. Anche d’inverno, sì, non ci
posso fare niente: felpe, maglioni, golfini… mi sento
soffocare ogni volta che mi ci avviluppo.
E ho freddo
anche dentro, perché la solitudine in questo momento si fa
sentire, dolorosa quanto il mal di pancia mensile. Ed è un
soffrire talmente sottile, talmente inafferrabile, che nemmeno la
musica riesce a lenirlo del tutto.
Lancio una
veloce occhiata malinconica al computer spento, poi incasso il capo
nelle spalle per accoccolarmi ancora di più su me stessa, in
me stessa. Chiudo gli occhi, per impedire alla luce tenue della
giornata di sole di riflettersi sulle lacrime che hanno ormai
annacquato il mio sguardo, eludendo le mie resistenze.
Perché
quando si arriva a lui, io divento improvvisamente fragile. Mi sembra
d’indebolirmi tutt’a un tratto, come se la forza a
cui mi aggrappo con le unghie e con i denti per sostenere il peso della
vita di tutti i giorni scomparisse all’improvviso.
Mi chiudo
improvvisamente su me stessa, stringo le mani sulla stoffa della mia
maglietta, nascondo il viso tra le braccia. Tremo, e un gemito mi
scivola dalle labbra senza che io possa fare niente per soffocarlo, per
negarlo anche a me stessa. Sento le labbra stirarsi in una smorfia
mentre i ricordi mi esplodono nella mente, annegando ogni altro
pensiero presente nella mia testa.
Tanti,
troppi ricordi.
Il calore
delle sue mani che mi accarezzano i fianchi, la morbidezza dei suoi
capelli che mi solleticano appena il collo, l’arroganza dei
suoi denti che mi mordono le labbra, l’intensità
del suo sguardo che a momenti mi squarcia il cuore, la dolcezza dei
suoi sorrisi che nasconde sulla mia pelle, l’impudenza delle
sue parole che mi fanno arrossire fino a tendere al color pomodoro
maturo.
Annego il viso
nel cuscino, incasso le spalle, stringo un braccio al petto e uno al
ventre, rannicchio le ginocchia. Lo faccio un po’ per
scaldarmi, e un po’ per illudermi che questi semplici gesti
possano arginare la tempesta che sento incombere su di me, una tempesta
che però mi viene da dentro.
Serro le
palpebre, cercando di escludere la luce, per non dover vedere il mondo,
per poter sentire la melodia delle mie illusioni.
Mi mordo le
labbra, cercando di soppiantare il dolore fisico al dolore che sento in
gola, per non lasciarmi andare alla dolcezza delle mie fantasie.
Illusioni.
Fantasie. Desideri. Non vivo d’altro, quando sono lontana da
lui. Costruisco mille castelli fatti di pensieri tanto meravigliosi
quanto irrealizzabili, vivo delle notti tranquille e dense di sogni che
la Luna mi regala una volta ogni tanto.
Ormai
è buio, ma la mia mente si è inceppata quando
fuori c’era ancora luce, quando sono praticamente inciampata
in chat, e ci ho trovato Ryan.
Abbiamo
chiacchierato un po’, scherzando, raccontando le
novità, stuzzicandoci. Staccarsi dal computer è
stata la parte difficile, anche se a dirla tutta è stata la
precarietà della mia connessione internet a impormi di
chiudere. Mi sono divertita molto però a chiacchierare un
po’ con lui, è stato bello.
È
dopo, che è venuto il dolore.
È
bastato sentire in bocca l’amarezza della distanza, per
riprendere a stare male. È bastato immaginare il modo in cui
mi avrebbe sorriso mentre mi prendeva in giro senza astio, per sentire
un battito di dolore propagarsi nel petto. È bastato
desiderare di essere tra le sue braccia, per ricominciare a soffrire
anche più di prima.
Il fatto di
averlo così lontano da tempo mi ha colpita come mai prima
d’ora. C’è come una patina a dividerci,
e mi è sembrato quasi ritrovarmici invischiata, tanto da non
riuscire nemmeno a respirare. Gli ho mandato una mail per dirgli che
dovevo scappare visto che la mia connessione non ne voleva sapere di
reggere un contatto via chat, e poi ho chiuso tutto.
Sto male,
nemmeno il cielo sa quanto sto male, quanto mi torturi non dirgli che
mi manca come l’aria, che se potessi volerei da lui anche
ora, che mi piacerebbe ricevere una sua visita per portarlo in tutti
quei posti che vorrei mostrargli, che soffro in silenzio mentre i
ricordi mi scorrono impietosi nella mente, nitidi come luce e taglienti
come lame.
Sento di avere
bisogno di lui, un bisogno assurdo, quasi sia lui l’elemento
che mi manca per trovare il mio posto in questa bella vita a cui mi
sento completamente estranea. Perché alla fine è
stato lui a farmi sorridere quando io volevo piangere, a chiamarmi
bella quando io giudicavo il mio riflesso a malapena passabile, a
considerarmi speciale quando io sentenziavo di essere strana e
sbagliata, lui a farmi forza quando la mia improvvisa
fragilità minacciava di mandarmi in pezzi, ad accarezzarmi
quando io mi sarei presa a schiaffi, ad accettare anche la parte
più incasinata di me quando io invece mi sarei
immediatamente buttata via se solo ne avessi avuto
l’occasione, a darmi la spinta giusta quando io tentennavo
troppo. Perché mi vuole bene, perché mi vuole
ancora nonostante le difficoltà che non ci abbandonano,
nonostante la distanza che ci tortura, nonostante la sfortuna che si
mette continuamente tra noi.
Io
senza di lui non riesco a stare.
Non credo che
riuscirò mai a rassegnarmi al ricordo, non credo che
smetterò mai di volerlo, non credo che potrò mai
dimenticarlo. Dovrei costringermi a staccarmi da lui, dovrei davvero.
Ma non posso, non ce la faccio. E nemmeno voglio. Non ancora. A costo
di stare male come un cane ancora per un po’.
Il lettore MP3
mi culla con note dolci, parole malinconiche. E io cerco di
abbandonarmi senza rimpianti a un sonno senza riposo, ma ricco di una
complicità speciale tra musica e sentimenti.
In mente, solo
un desiderio, solo una canzone: “wish
you were here”.
Angoletto!
Eccoci
qui, di nuovo in ritardo, per l'ennesimo capitolo di Shards
& Shades. E di nuovo da un treno. Direi che ormai
posso cominciare a pianificare gli aggiornamenti a seconda di quando
sto sui treni, visto che sembrano essere gli unici momenti in cui
riesco a mettermi qui al computer a scrivere queste due righe e a
postare i capitoli in santa pace!
La
vita è troppo caotica di recente. Sta capitando anche a voi?
Tante cosette tutte assieme, un guaio più grosso degli
altri, un po' di tensione a casa e a scuola, parecchia stanchezza?
Oppure è questa Luna che fa reagire strano qualcosa di
storto dentro di me?
Boh.
Comunque, torniamo al capitolo che mi sa ch'è meglio
^^'''''''
Ecco
qui Ryan, che ritorna a Karen con violenza, con la violenza emotiva che
in un certo senso lo contraddistingue. E Karen torna a far la lagna.
No, disprezzo per le mie stesse parole a parte dai.... a me questo
capitolo piace. L'unica cosa che "odio" di esso è che...
beh, è che è sempre attuale. Ancora oggi, mentre
io scrivo, la "vera" Karen ancora soffre perché il "vero"
Ryan è lontano.
Un'altra cosa. Questo
è in un certo senso un capitolo introduttivo al prossimo,
che troveremo in "Of
Dream and Desire."...
sì, torniamo ai sogni a luci rosse, ma per la prima (e forse
unica ^^''') volta, sarà Karen a sognare e non Ryan. Il
nuovo capitolo è ancora in fase di scrittura,
perciò non so quando sarà pronto, ma
vedrò di darmi una mossa!
Le ultime
raccomandazioni:
1. per chi si fosse
perso lo scorso capitolo, visto che è stato pubblicato in
una nuova storia, lo trovate qui: "From
a Friend's Eye."
2. per chi avesse
bisogno di me (curiosità, commenti, scambiare due parole,
prendere pasticcini XD) mi trovate qui: DreamWanderer
~EFP
Stay tuned people!
Al prossimo treno
;*
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