Eat me up 3
Eat me up - Parte 3
Terzo
e ultimo atto della tragedia. Mi si spezza il cuore a dire addio a
questa fan fiction, mi ci ero tanto affezionata ç_ç Buona lettura
Epilogo
“Pronto?”
“Jonghyun? Oh, ti prego,
dimmi che è il numero giusto… Sono Yoo.”
Jonghyun si raggelò, quel
nome era intrecciato troppo saldamente a una parte della sua vita che aveva ormai
isolato ed eliminato.
Un appartamento in centro,
qualche settimana di vacanza, e tornando alla sua routine, al suo lavoro, la
questione Kibum era stata archiviata.
Era bastato così poco a
riaprire tutte le ferite, a farle ricominciare a sanguinare con più forza di
prima.
“Dobbiamo vederci… È
veramente importante.
La sala d’aspetto
dell’ospedale era bianca e fredda, Jonghyun aveva una rivista chiusa poggiata
sulle ginocchia. Il suo piede martellava
un ritmo snervante e incessante, i suoi occhi vagavano freneticamente in
cerca di qualcuno che potesse aiutarlo. Un’urgenza, una ferita da arma da fuoco
e tutti i dottori, tutte le infermiere sembravano essere spariti. C’era qualcun
altro nella sala d’aspetto con lui, un paziente che portava l’asta di una flebo
con sé e una donna col pancione semi addormentata.
Yoo non era voluto venire.
Non ce l’aveva fatta.
Jonghyun aveva accettato di incontrarlo, ma non aveva idea di cosa
quell’uomo potesse ancora volere da lui.
Magari Kibum aveva cambiato idea, magari c’era ancora una speranza.
Ma quando lo vide seduto al tavolino del bar che gli aveva indicato,
ogni aspettativa crollò. Aveva le spalle pesanti e le mani attorno a un caffè,
lo sguardo spento e rivolto al terreno, lo stava aspettando.
Si pentì quasi di essere là. Se avesse saputo quello che Yoo stava per
dirgli, sarebbe scappato, senza pensarci due volte.
Scostò la sedia e si mise di fronte a lui senza dire una parola. Il
silenzio rimase sospeso tra i due per qualche minuto, Yoo fu il primo a
spezzarlo, senza mai però alzare gli occhi.
“È colpa mia… È solo colpa mia.”
Yoo poggiò i gomiti sul tavolo e si strofinò gli occhi già rossi con
una mano. Urtò leggermente la sua tazza di caffè, che liberava sempre meno
fumo, raffreddandosi sempre di più esposta all’aria primaverile, senza che
nessuno ne avesse bevuto un sorso.
“Te lo ricordi Kibum, non è
vero? Te lo ricordi che sembrava fragile come una foglia? Che sembrava non
reggersi in piedi?”
Yoo ingoiò i suoi singhiozzi e parlò tutto d’un fiato.
“Da quando te ne sei andato non ha più mangiato. Nulla. Ed è successo
tutto sotto i miei occhi, non me ne sono nemmeno accorto…”
Jonghyun gli poggiò una mano sulla spalla, cercando il suo sguardo.
“E’ svenuto, ma non riuscivo a tirarlo su, a svegliarlo, come le altre
volte… Lo hanno portato via. Mi sembrava giusto che lo sapessi.”
Yoo alzò gli occhi e il suo sguardo quasi intimidì l’altro per tutti i
sentimenti che in quel momento gli passavano attraverso.
“Non ce la farà.”
“Mi scusi…”
Jonghyun si avvicinò al
bancone, finalmente un’infermiera aveva deciso di riprendere il suo posto.
“Sono qui per Kim Kibum.”
“È un parente?”
“Si.”
Si rese immediatamente
conto della bugia e si morse la lingua, cercando lo stesso di rimanere
tranquillo.
“Sono il fratello. Kim
Jonghyun”
“Bene, si bene.”
L’infermiera sembrava
troppo presa da qualcos’altro per occuparsi di lui, abbandonò la procedura
standard di chiedere un documento, e dopo una veloce ricerca gli diede il
numero della camera e meccanicamente gli ripeté di non creare confusione, di
parlare a bassa voce, di non trattenersi troppo a lungo.
Quel corridoio sembrava
infinito. Jonghyun non aveva mai visto un ospedale così vuoto e silenzioso. La
camera era lì, la placca dorata affissa sulla porta in mogano.
Presto dovrò scegliere una bara dello stesso legno.
Si sarebbe dato un pugno
in faccia, ma non era riuscito a fermare quel pensiero, ed era inutile provare
a negare che fosse tragicamente vero.
Spinse la porta con
delicatezza, ma ciò che vide gli fece rimpiangere di essere nato. Ogni momento
felice passato con quel piccolo ragazzo, ogni istante della loro vita assieme
cercò di affollargli la mente, tutti in una volta gli oscurarono la vista, e a
stento riuscì a trattenere un singhiozzo.
Sembrava che quel letto se
lo stesse divorando, era piccolo, fragile, ed estremamente solo. La sua
magrezza era sfiancante, innaturale, non rimaneva altro che qualche centimetro
di pelle attaccato alle ossa.
Si avvicinò al letto,
cercando di fare meno rumore possibile, ma Key se ne accorse, si voltò.
Lo sguardo che vide, la
disperata richiesta d’aiuto che lesse chiara in quegli occhi, lo pietrificò.
Il macchinario a cui Kibum
era collegato ebbe un leggero sbalzo, quasi subito tornò al battito regolare.
“Se tu sei qua, vuol dire
che non ce la farò.”
Non era una domanda, Key
voltò di nuovo il viso socchiudendo gli occhi; aveva accettato di stare per
morire. Lo sapeva.
Lo aveva capito dal
momento in cui era svenuto, e anche quando aveva ripreso i sensi, non era
riuscito a muovere un muscolo. Aveva affrettato un po’ i tempi, ma la sua ora
sarebbe arrivata comunque, pensò.
Jonghyun gli prese una
mano, cercando di sorridergli.
“Noi andiamo a casa. Non dire
stupidaggini. Hai ancora tante di quelle cose da fare. I… I ragazzi sono a
casa, sono tutti preoccupati per te. Non dar loro pensieri per un mancamento da
niente.”
“Yoo non è qua.”
Jonghyun lo ignorò, aveva
deciso di ignorare quelle parole deboli, di ignorare il fatto che il suo amico
avesse lo stesso peso delle lenzuola in cui era avvolto. Lo avrebbe portato via
da quel posto, bastava che Kibum acconsentisse, e lui avrebbe acconsentito,
perché aveva solo intenzione di farlo stare meglio. Lo avrebbe guarito, si
illudeva.
“Verrò.”
Kibum si sollevò appena
dal letto, non riuscendo a reggersi bene sulle braccia troppo deboli.
“Tornerò a casa, chiunque
stia pagando questa clinica… Non c’è bisogno. Non c’è nulla che possano fare
per me. Verrò, ma non voglio che nessuno a parte te mi veda. Se Yoo non è qui ora, vuol dire che non mi vedrà mai
più.”
“Non parlare come se fosse
finita, ti prego.”
“Ciò non toglie che sia
stato il mio amante, il mio psicologo, il mio migliore amico, il mio supporto,
e che non lo dimenticherò mai. Non mi sdebiterò mai abbastanza. Ringrazialo per
essere stato sempre così sincero, e di’ ai miei ragazzi che mi mancheranno.”
Jonghyun gli accarezzò il
viso e si sorrisero, si trovò per un attimo catapultato nel loro passato, si
sentì pieno d’amore, si sentì di nuovo giovane come non si sentiva da tanto.
“Due fogli da firmare e
siamo fuori. Siamo fuori.”
Jonghyun uscì dalla
stanza, voleva uscire fuori da quel posto, voleva riportare il suo Kibum a casa
e voleva farlo il più in fretta possibile.
Key si sollevò sui gomiti,
dopo un paio di tentativi, riuscì a mettersi seduto. Gli girava terribilmente
la testa.
Si voltò, si ritrovò
seduto al limite del letto, con le gambe dondolanti verso il pavimento.
Socchiuse gli occhi, con un gesto deciso si strappò le flebo che lo
alimentavano forzatamente da giorni. Socchiuse gli occhi, il colore violaceo
che si era sparso attorno ad essi divenne ancora più visibile.
Posso farcela. Piedi sul pavimento, e da lì è facile, una gamba davanti
all’altra. Posso arrivare fino alla porta.
Toccò il pavimento gelato
con la punta delle dita, ancora appigliato alle lenzuola, scese completamente.
Lasciò le lenzuola.
Per un secondo si sentì
bene, e si sentì strano, perché era un po’ che non vedeva il mondo dall’altezza
delle sue gambe.
Mosse il primo passo.
Al secondo mancò la presa,
non riuscì ad afferrare di nuovo le lenzuola, non riuscì a farsi obbedire dai
suoi muscoli.
Riaprì debolmente gli
occhi, ad essere sul pavimento stavolta era la sua guancia scavata.
Non capì cosa stava
succedendo, si limitò a socchiudere gli occhi e a sussurrare il nome di
Jonghyun, senza che dalla sua bocca uscisse alcun suono.
Jonghyun era seduto
davanti un tavolo dove erano sparsi tutti i documenti che servivano per il
funerale. Se ne era incaricato lui in persona, e Yoo non si era fatto sentire, né
per protestare, né per offrire una mano, né per dirgli che era d'accordo che se
ne occupasse lui.
Kibum aveva registrato un
video testamento appena pochi giorni prima, quando forse aveva capito che non
era rimasto più nulla da fare per lui. Quando forse avrebbe voluto poter
tornare indietro. Yoo fu chiamato dal legale che Key aveva assunto e gli disse
che tutto, i suoi risparmi, la sua casa, era andato direttamente nelle sue
tasche. Lo liquidò con delle condoglianze, l'atto di proprietà e il libretto
bancario. Nemmeno un paio di giorni dopo, Jonghyun ricevette le due lettere che
adesso stavano sul tavolo coperte dagli altri fogli. Cercò di mettere in una
pila ordinata i documenti e strappò le due buste. La prima era del legale di
Yoo. Aveva rinunciato a tutto e sia la casa sia il conto in banca gli erano
stati intestati, nessun pagamento, nessuna spiegazione. Con tono freddo e
distaccato gli fu annunciato di essere diventato più ricco di prima grazie alla
morte dell'amico e dell'apparente magnanimità dell’erede. La seconda lettera
invece, veniva direttamente da Yoo, ma Jonghyun, confuso com'era da tutto il
resto, la lesse distrattamente e non riuscì a capirla fino in fondo.
Probabilmente, se in quel momento avesse avuto un po' più di ragione, quella lettera
non sarebbe stata tanto confusa ai suoi occhi. Yoo gli diceva che non voleva
tutte quelle cose, non ne aveva bisogno e c'erano attaccati troppi ricordi
dolorosi che aveva bisogno di cancellare. E poi non se le meritava. Se avesse
saputo tutto quello che aveva da dire, Key avrebbe voluto così, ne era sicuro.
Dopo aver dato una seconda lettura alle lettere, più veloce e distratta della
prima, Jonghyun le mise da parte. Si stupì di quanto meccanici, veloci e
paradossalmente freddi si possa essere in una situazione del genere. Organizzò
la veglia funebre a casa, spese una piccola parte dei soldi appena ricevuti per
una bara, montagne di fiori e due vestiti neri. Fu mandata una comunicazione,
nella più totale discrezione, a tutti i clienti di Key, Jonghyun trovò i nomi e
i numeri nell'agenda tra gli effetti personali di Key, gli erano stati mandati
direttamente da Yoo; anche quelli erano parte del testamento.
Fece portare la bara nella
casa di Kibum, e si sedette accanto ad essa. Passarono le nove, le dieci, le
undici. Jonghyun si accorse, sconcertato ma non sorpreso, che sarebbe stato
l'unico a dire addio a quel "povero ragazzo che si è lasciato morire di
fame".
Nemmeno Yoo era venuto.
Nemmeno Yoo era venuto ad abbracciare per l'ultima volta il ragazzo che
sosteneva di avere amato. Non ci si può fidare di nessuno, questa è l'unica
verità. Ma la porta socchiusa si aprì. Entrarono due, tre, quattro coppie.
Pochi, ma comunque alcuni dei ragazzi di Key erano arrivati, tutti con le loro
rispettive mogli. Tutti passavano da Jonghyun, a stringergli la mano, qualcuno
ad abbracciarlo, quasi tutte le mogli sembravano di plastica con una lacrima
d'ordinanza agli angoli degli occhi e lo sguardo triste. Jonghyun non pensava
fossero false, pensava che le donne avessero semplicemente un grado di
sensibilità in più, e un ragazzo che muore fa loro sempre male, che sia il
fratello, un cugino, un amico, o un perfetto sconosciuto. Sembrava che tutti i
clienti si fossero messi d'accordo: Key era per un amico d'infanzia, talvolta
del liceo. Ma Jonghyun lesse negli occhi di un paio di donne la consapevolezza
della verità. Gli riscaldò il cuore sapere che Kibum non se ne sarebbe andato
solo, qualcuno aveva avuto abbastanza coraggio.
Quel qualcuno non
comprendeva Yoo, però.
E mentre Jonghyun cercava
di capire perché, che ragione aveva quell'improvviso distacco, lo vide entrare
dalla porta principale, a testa bassa; reggeva per il braccio una donna
all'ottavo o nono mese di gravidanza. Avrebbe voluto morire. Avrebbe voluto non
vederlo mai, avrebbe preferito pensare che non aveva abbastanza coraggio per
dirgli addio. Gli si avvicinò cercando il suo sguardo. Sentì l'impulso di
schiaffeggiarlo. Di cominciare a delirare, urlare, accusarlo, sputtanarlo
davanti a tutti e davanti a sua moglie. Perché un bugiardo di questo tipo non
merita altro. Stava per farlo, ma vedere la donna lo bloccò completamente.
Glielo avrebbe rinfacciato di nascosto, quando sarebbero stati soli. Sperava
che i sensi di colpa se lo stessero divorando, però.
"Yoo. Pensavo di non
vederti oggi."
"Non sarei mai potuto
mancare."
Solo quando finì la frase,
trovò abbastanza forza per alzare lo sguardo e incontrare quello di Jonghyun. I
suoi occhi supplicavano pietà, ma Jonghyun non gliela concesse.
La donna strinse il
braccio di Yoo per dargli un po' di conforto, poi la tese verso Jonghyun.
"Sono Soumi, la
moglie di Yoo. Tu devi essere Jonhgyun."
Jonghyun le strinse la
mano, ne rimase incantato. Non aveva lo stesso viso di porcellana delle altre,
non aveva le stesse lacrime agli angoli degli occhi, non aveva la stessa espressione
triste. Era triste, ma era triste a suo modo, in modo forte. Jonghyun pensò che
non avrebbe mai rivisto una donna tanto bella e fiera.
"Mi accompagneresti a
prendere qualcosa da bere?"
Jonghyun le porse il
braccio e lei vi si appoggiò, camminavano come all'inizio lei e Yoo erano
entrati. La portò a un tavolo dove c'era una vasca di ponch e gliene versò un
bicchiere.
"Non preoccuparti, è
analcolico." disse, indicando con il mento il pancione evidente anche
sotto il vestito nero. Lei lo prese e ne bevve un sorso, poi gli carezzò il
braccio.
"In questi casi si
chiede se va tutto bene, non è vero? Mi sembra ridicolo. E' ovvio che non va
tutto bene. Ma non preoccuparti, passerà. Era un tuo amico?"
"Una... Una specie,
sì."
"Mh..."
Soumi annuì e continuò a
carezzargli piacevolmente il braccio, spostando poi la mano sulla spalla.
Jonghyun restò colpito dalla confidenza che quella donna aveva preso nei suoi
confronti nel giro di un paio di minuti. Ma non riusciva a lamentarsene, lo
trovava tutto tranne che una mancanza di rispetto.
"Era un collega di
Yoo, prima che cambiasse lavoro, intendo. Sa questo nuovo lavoro non è il
massimo, lo mandano fuori in città in continuazione, per un motivo o per un
altro. Però mi ha promesso che quando il bambino nascerà farà finire questa
storia. Io gli credo."
Jonghyun sorrise, non
sapeva come o per quale motivo, quella donna, solo parlando, lo aveva fatto
sorridere.
"Manca poco?"
"Meno di un mese. È
un maschio, e si chiamerà Kibum. Yoo non ha voluto sentire ragioni. Doveva
volergli davvero bene."
Jonhgyun vide Yoo piegato
sulla bara, cercava invano di nascondere il fatto che stava piangendo, stava
piangendo come un bambino e non riusciva a fermarsi.
"Vado a parlare con
Yoo, posso lasciarti qui?"
"Certamente, vai.
Parlare con un amico può soltanto fargli bene."
Jonghyun le sorrise ancora
una volta, e si allontanò verso Yoo. Quando lo raggiunse, gli diede un leggero
colpo sulla schiena e l'altro lo seguì senza fare domande, asciugandosi le
guance col dorso delle mani. Entrarono nella stanza in fondo al corridoio, la
camera da letto. Era buia, e lo sarebbe stata a lungo. Forse per sempre.
"Le hai raccontato
tutto, vero?"
"Io spero solo per te
e i tuoi sensi di colpa che Kibum non l'abbia mai scoperto, che non ne abbia
mai sofferto. Detto questo, io sono l'ultima persona al mondo che può
giudicarti."
Yoo ricominciò a piangere.
"Perchè l'hai fatto?
Perchè gli hai mentito per tutto questo tempo?"
"Lo amavo. Non avrei
mai sopportato di deluderlo."
"Smettila."
Jonghyun prese dalla tasca
il libretto degli assegni del conto di Kibum. Lo firmò, consegnò metà del conto
a Yoo.
"Voglio che la
cameretta di Kibum sia bella, voglia che sia luminosa, e voglio che abbia tutti
i giocattoli che vuole. Voglio che sia felice. Kibum avrebbe voluto così."
Senza dire altro, uscì
dalla stanza, lasciando Yoo solo nel buio.
Passata la mezzanotte,
anche l'ultimo ospite lasciò la casa, lasciando Jonghyun finalmente solo con i
suoi pensieri. Ma tutto quello a cui riusciva a pensare era Yoo. Yoo che aveva
una moglie, e avrebbe avuto un figlio, Yoo che aveva due vite, Yoo che aveva
sempre mentito a Kibum. Yoo, che era un bugiardo e un traditore. E se stesso,
il più stupido bugiardo e testardo traditore che conoscesse. Avrebbe voluto
tornare indietro e rendere migliore la vita di Kibum, ma pensò che comunque non
avrebbe potuto fare nulla, perché non puoi fidarti di nessuno. Non puoi fidarti
di te stesso, e non puoi fidarti degli altri, perché anche la persona che dice,
e magari pensa, di amarti più di ogni altra cosa, finirà per tradirti,
spezzarti il cuore, e lo farà nel peggior modo possibile.
Riscaldò distrattamente una
porzione di ramen, ma quando lo mise a tavola, si rese conto di essere solo.
Non poteva mangiare prima che Kibum fosse tornato, lo conosceva, si sarebbe
offeso. Ne preparò un’altra porzione e la mise davanti al posto accanto al suo.
E aspettò.
E aspettò.
E aspettò.
È
finita *piange* BEH CHE DIRE, spero di non avervi depresso troppo, di
non ricevere troppe lettere minatorie per aver ucciso la JongKey, e che
leggere questa storia vi sia piaciuto e vi abbia appassionato almeno
quanto ha appassionato me scriverla.
Alla prossima ragazzi~ ♥
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