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Autore: Martina1705    17/12/2011    5 recensioni
"Dove vai?"
Kibum con un po' di fatica chiuse la zip forzandola e gli lanciò la valigia deformata.
"Io non vado da nessuna parte."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Eat me up 3 Eat me up - Parte 3

Terzo e ultimo atto della tragedia. Mi si spezza il cuore a dire addio a questa fan fiction, mi ci ero tanto affezionata ç_ç Buona lettura

Epilogo

“Pronto?”

“Jonghyun? Oh, ti prego, dimmi che è il numero giusto… Sono Yoo.”

Jonghyun si raggelò, quel nome era intrecciato troppo saldamente a una parte della sua vita che aveva ormai isolato ed eliminato.

Un appartamento in centro, qualche settimana di vacanza, e tornando alla sua routine, al suo lavoro, la questione Kibum era stata archiviata.

Era bastato così poco a riaprire tutte le ferite, a farle ricominciare a sanguinare con più forza di prima.

“Dobbiamo vederci… È veramente importante.

 

La sala d’aspetto dell’ospedale era bianca e fredda, Jonghyun aveva una rivista chiusa poggiata sulle ginocchia. Il suo piede martellava  un ritmo snervante e incessante, i suoi occhi vagavano freneticamente in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo. Un’urgenza, una ferita da arma da fuoco e tutti i dottori, tutte le infermiere sembravano essere spariti. C’era qualcun altro nella sala d’aspetto con lui, un paziente che portava l’asta di una flebo con sé e una donna col pancione semi addormentata.

Yoo non era voluto venire. Non ce l’aveva fatta.

 

Jonghyun aveva accettato di incontrarlo, ma non aveva idea di cosa quell’uomo potesse ancora volere da lui.

Magari Kibum aveva cambiato idea, magari c’era ancora una speranza.

Ma quando lo vide seduto al tavolino del bar che gli aveva indicato, ogni aspettativa crollò. Aveva le spalle pesanti e le mani attorno a un caffè, lo sguardo spento e rivolto al terreno, lo stava aspettando.

Si pentì quasi di essere là. Se avesse saputo quello che Yoo stava per dirgli, sarebbe scappato, senza pensarci due volte.

Scostò la sedia e si mise di fronte a lui senza dire una parola. Il silenzio rimase sospeso tra i due per qualche minuto, Yoo fu il primo a spezzarlo, senza mai però alzare gli occhi.

“È colpa mia… È solo colpa mia.”

Yoo poggiò i gomiti sul tavolo e si strofinò gli occhi già rossi con una mano. Urtò leggermente la sua tazza di caffè, che liberava sempre meno fumo, raffreddandosi sempre di più esposta all’aria primaverile, senza che nessuno ne avesse bevuto un sorso.

 “Te lo ricordi Kibum, non è vero? Te lo ricordi che sembrava fragile come una foglia? Che sembrava non reggersi in piedi?”
Yoo ingoiò i suoi singhiozzi e parlò tutto d’un fiato.

“Da quando te ne sei andato non ha più mangiato. Nulla. Ed è successo tutto sotto i miei occhi, non me ne sono nemmeno accorto…”

Jonghyun gli poggiò una mano sulla spalla, cercando il suo sguardo.

“E’ svenuto, ma non riuscivo a tirarlo su, a svegliarlo, come le altre volte… Lo hanno portato via. Mi sembrava giusto che lo sapessi.”

Yoo alzò gli occhi e il suo sguardo quasi intimidì l’altro per tutti i sentimenti che in quel momento gli passavano attraverso.

“Non ce la farà.”

 

 

“Mi scusi…”

Jonghyun si avvicinò al bancone, finalmente un’infermiera aveva deciso di riprendere il suo posto.

“Sono qui per Kim Kibum.”

“È un parente?”

“Si.”

Si rese immediatamente conto della bugia e si morse la lingua, cercando lo stesso di rimanere tranquillo.

“Sono il fratello. Kim Jonghyun”

“Bene, si bene.”

L’infermiera sembrava troppo presa da qualcos’altro per occuparsi di lui, abbandonò la procedura standard di chiedere un documento, e dopo una veloce ricerca gli diede il numero della camera e meccanicamente gli ripeté di non creare confusione, di parlare a bassa voce, di non trattenersi troppo a lungo.

Quel corridoio sembrava infinito. Jonghyun non aveva mai visto un ospedale così vuoto e silenzioso. La camera era lì, la placca dorata affissa sulla porta in mogano.

Presto dovrò scegliere una bara dello stesso legno.

Si sarebbe dato un pugno in faccia, ma non era riuscito a fermare quel pensiero, ed era inutile provare a negare che fosse tragicamente vero.

Spinse la porta con delicatezza, ma ciò che vide gli fece rimpiangere di essere nato. Ogni momento felice passato con quel piccolo ragazzo, ogni istante della loro vita assieme cercò di affollargli la mente, tutti in una volta gli oscurarono la vista, e a stento riuscì a trattenere un singhiozzo.

Sembrava che quel letto se lo stesse divorando, era piccolo, fragile, ed estremamente solo. La sua magrezza era sfiancante, innaturale, non rimaneva altro che qualche centimetro di pelle attaccato alle ossa.

Si avvicinò al letto, cercando di fare meno rumore possibile, ma Key se ne accorse, si voltò.

Lo sguardo che vide, la disperata richiesta d’aiuto che lesse chiara in quegli occhi, lo pietrificò.

Il macchinario a cui Kibum era collegato ebbe un leggero sbalzo, quasi subito tornò al battito regolare.

“Se tu sei qua, vuol dire che non ce la farò.”

Non era una domanda, Key voltò di nuovo il viso socchiudendo gli occhi; aveva accettato di stare per morire. Lo sapeva.

Lo aveva capito dal momento in cui era svenuto, e anche quando aveva ripreso i sensi, non era riuscito a muovere un muscolo. Aveva affrettato un po’ i tempi, ma la sua ora sarebbe arrivata comunque, pensò.

Jonghyun gli prese una mano, cercando di sorridergli.

“Noi andiamo a casa. Non dire stupidaggini. Hai ancora tante di quelle cose da fare. I… I ragazzi sono a casa, sono tutti preoccupati per te. Non dar loro pensieri per un mancamento da niente.”

“Yoo non è qua.”

Jonghyun lo ignorò, aveva deciso di ignorare quelle parole deboli, di ignorare il fatto che il suo amico avesse lo stesso peso delle lenzuola in cui era avvolto. Lo avrebbe portato via da quel posto, bastava che Kibum acconsentisse, e lui avrebbe acconsentito, perché aveva solo intenzione di farlo stare meglio. Lo avrebbe guarito, si illudeva.

“Verrò.”

Kibum si sollevò appena dal letto, non riuscendo a reggersi bene sulle braccia troppo deboli.

“Tornerò a casa, chiunque stia pagando questa clinica… Non c’è bisogno. Non c’è nulla che possano fare per me. Verrò, ma non voglio che nessuno a parte te mi veda. Se Yoo non è qui ora, vuol dire che non mi vedrà mai più.”

“Non parlare come se fosse finita, ti prego.”

“Ciò non toglie che sia stato il mio amante, il mio psicologo, il mio migliore amico, il mio supporto, e che non lo dimenticherò mai. Non mi sdebiterò mai abbastanza. Ringrazialo per essere stato sempre così sincero, e di’ ai miei ragazzi che mi mancheranno.”

Jonghyun gli accarezzò il viso e si sorrisero, si trovò per un attimo catapultato nel loro passato, si sentì pieno d’amore, si sentì di nuovo giovane come non si sentiva da tanto.

“Due fogli da firmare e siamo fuori. Siamo fuori.”

Jonghyun uscì dalla stanza, voleva uscire fuori da quel posto, voleva riportare il suo Kibum a casa e voleva farlo il più in fretta possibile.

 

Key si sollevò sui gomiti, dopo un paio di tentativi, riuscì a mettersi seduto. Gli girava terribilmente la testa.

Si voltò, si ritrovò seduto al limite del letto, con le gambe dondolanti verso il pavimento. Socchiuse gli occhi, con un gesto deciso si strappò le flebo che lo alimentavano forzatamente da giorni. Socchiuse gli occhi, il colore violaceo che si era sparso attorno ad essi divenne ancora più  visibile.

Posso farcela. Piedi sul pavimento, e da lì è facile, una gamba davanti all’altra. Posso arrivare fino alla porta.

Toccò il pavimento gelato con la punta delle dita, ancora appigliato alle lenzuola, scese completamente.

Lasciò le lenzuola.

Per un secondo si sentì bene, e si sentì strano, perché era un po’ che non vedeva il mondo dall’altezza delle sue gambe.

Mosse il primo passo.

Al secondo mancò la presa, non riuscì ad afferrare di nuovo le lenzuola, non riuscì a farsi obbedire dai suoi muscoli.

Riaprì debolmente gli occhi, ad essere sul pavimento stavolta era la sua guancia scavata.

Non capì cosa stava succedendo, si limitò a socchiudere gli occhi e a sussurrare il nome di Jonghyun, senza che dalla sua bocca uscisse alcun suono.

 

Jonghyun era seduto davanti un tavolo dove erano sparsi tutti i documenti che servivano per il funerale. Se ne era incaricato lui in persona, e Yoo non si era fatto sentire, né per protestare, né per offrire una mano, né per dirgli che era d'accordo che se ne occupasse lui.

Kibum aveva registrato un video testamento appena pochi giorni prima, quando forse aveva capito che non era rimasto più nulla da fare per lui. Quando forse avrebbe voluto poter tornare indietro. Yoo fu chiamato dal legale che Key aveva assunto e gli disse che tutto, i suoi risparmi, la sua casa, era andato direttamente nelle sue tasche. Lo liquidò con delle condoglianze, l'atto di proprietà e il libretto bancario. Nemmeno un paio di giorni dopo, Jonghyun ricevette le due lettere che adesso stavano sul tavolo coperte dagli altri fogli. Cercò di mettere in una pila ordinata i documenti e strappò le due buste. La prima era del legale di Yoo. Aveva rinunciato a tutto e sia la casa sia il conto in banca gli erano stati intestati, nessun pagamento, nessuna spiegazione. Con tono freddo e distaccato gli fu annunciato di essere diventato più ricco di prima grazie alla morte dell'amico e dell'apparente magnanimità dell’erede. La seconda lettera invece, veniva direttamente da Yoo, ma Jonghyun, confuso com'era da tutto il resto, la lesse distrattamente e non riuscì a capirla fino in fondo. Probabilmente, se in quel momento avesse avuto un po' più di ragione, quella lettera non sarebbe stata tanto confusa ai suoi occhi. Yoo gli diceva che non voleva tutte quelle cose, non ne aveva bisogno e c'erano attaccati troppi ricordi dolorosi che aveva bisogno di cancellare. E poi non se le meritava. Se avesse saputo tutto quello che aveva da dire, Key avrebbe voluto così, ne era sicuro. Dopo aver dato una seconda lettura alle lettere, più veloce e distratta della prima, Jonghyun le mise da parte. Si stupì di quanto meccanici, veloci e paradossalmente freddi si possa essere in una situazione del genere. Organizzò la veglia funebre a casa, spese una piccola parte dei soldi appena ricevuti per una bara, montagne di fiori e due vestiti neri. Fu mandata una comunicazione, nella più totale discrezione, a tutti i clienti di Key, Jonghyun trovò i nomi e i numeri nell'agenda tra gli effetti personali di Key, gli erano stati mandati direttamente da Yoo; anche quelli erano parte del testamento.

Fece portare la bara nella casa di Kibum, e si sedette accanto ad essa. Passarono le nove, le dieci, le undici. Jonghyun si accorse, sconcertato ma non sorpreso, che sarebbe stato l'unico a dire addio a quel "povero ragazzo che si è lasciato morire di fame".

Nemmeno Yoo era venuto. Nemmeno Yoo era venuto ad abbracciare per l'ultima volta il ragazzo che sosteneva di avere amato. Non ci si può fidare di nessuno, questa è l'unica verità. Ma la porta socchiusa si aprì. Entrarono due, tre, quattro coppie. Pochi, ma comunque alcuni dei ragazzi di Key erano arrivati, tutti con le loro rispettive mogli. Tutti passavano da Jonghyun, a stringergli la mano, qualcuno ad abbracciarlo, quasi tutte le mogli sembravano di plastica con una lacrima d'ordinanza agli angoli degli occhi e lo sguardo triste. Jonghyun non pensava fossero false, pensava che le donne avessero semplicemente un grado di sensibilità in più, e un ragazzo che muore fa loro sempre male, che sia il fratello, un cugino, un amico, o un perfetto sconosciuto. Sembrava che tutti i clienti si fossero messi d'accordo: Key era per un amico d'infanzia, talvolta del liceo. Ma Jonghyun lesse negli occhi di un paio di donne la consapevolezza della verità. Gli riscaldò il cuore sapere che Kibum non se ne sarebbe andato solo, qualcuno aveva avuto abbastanza coraggio.

Quel qualcuno non comprendeva Yoo, però.

E mentre Jonghyun cercava di capire perché, che ragione aveva quell'improvviso distacco, lo vide entrare dalla porta principale, a testa bassa; reggeva per il braccio una donna all'ottavo o nono mese di gravidanza. Avrebbe voluto morire. Avrebbe voluto non vederlo mai, avrebbe preferito pensare che non aveva abbastanza coraggio per dirgli addio. Gli si avvicinò cercando il suo sguardo. Sentì l'impulso di schiaffeggiarlo. Di cominciare a delirare, urlare, accusarlo, sputtanarlo davanti a tutti e davanti a sua moglie. Perché un bugiardo di questo tipo non merita altro. Stava per farlo, ma vedere la donna lo bloccò completamente. Glielo avrebbe rinfacciato di nascosto, quando sarebbero stati soli. Sperava che i sensi di colpa se lo stessero divorando, però.

"Yoo. Pensavo di non vederti oggi."

"Non sarei mai potuto mancare."

Solo quando finì la frase, trovò abbastanza forza per alzare lo sguardo e incontrare quello di Jonghyun. I suoi occhi supplicavano pietà, ma Jonghyun non gliela concesse.

La donna strinse il braccio di Yoo per dargli un po' di conforto, poi la tese verso Jonghyun.

"Sono Soumi, la moglie di Yoo. Tu devi essere Jonhgyun."

Jonghyun le strinse la mano, ne rimase incantato. Non aveva lo stesso viso di porcellana delle altre, non aveva le stesse lacrime agli angoli degli occhi, non aveva la stessa espressione triste. Era triste, ma era triste a suo modo, in modo forte. Jonghyun pensò che non avrebbe mai rivisto una donna tanto bella e fiera.

"Mi accompagneresti a prendere qualcosa da bere?"

Jonghyun le porse il braccio e lei vi si appoggiò, camminavano come all'inizio lei e Yoo erano entrati. La portò a un tavolo dove c'era una vasca di ponch e gliene versò un bicchiere.

"Non preoccuparti, è analcolico." disse, indicando con il mento il pancione evidente anche sotto il vestito nero. Lei lo prese e ne bevve un sorso, poi gli carezzò il braccio.

"In questi casi si chiede se va tutto bene, non è vero? Mi sembra ridicolo. E' ovvio che non va tutto bene. Ma non preoccuparti, passerà. Era un tuo amico?"

"Una... Una specie, sì."

"Mh..."

Soumi annuì e continuò a carezzargli piacevolmente il braccio, spostando poi la mano sulla spalla. Jonghyun restò colpito dalla confidenza che quella donna aveva preso nei suoi confronti nel giro di un paio di minuti. Ma non riusciva a lamentarsene, lo trovava tutto tranne che una mancanza di rispetto.

"Era un collega di Yoo, prima che cambiasse lavoro, intendo. Sa questo nuovo lavoro non è il massimo, lo mandano fuori in città in continuazione, per un motivo o per un altro. Però mi ha promesso che quando il bambino nascerà farà finire questa storia. Io gli credo."

Jonghyun sorrise, non sapeva come o per quale motivo, quella donna, solo parlando, lo aveva fatto sorridere.

"Manca poco?"

"Meno di un mese. È un maschio, e si chiamerà Kibum. Yoo non ha voluto sentire ragioni. Doveva volergli davvero bene."

Jonhgyun vide Yoo piegato sulla bara, cercava invano di nascondere il fatto che stava piangendo, stava piangendo come un bambino e non riusciva a fermarsi.

"Vado a parlare con Yoo, posso lasciarti qui?"

"Certamente, vai. Parlare con un amico può soltanto fargli bene."

Jonghyun le sorrise ancora una volta, e si allontanò verso Yoo. Quando lo raggiunse, gli diede un leggero colpo sulla schiena e l'altro lo seguì senza fare domande, asciugandosi le guance col dorso delle mani. Entrarono nella stanza in fondo al corridoio, la camera da letto. Era buia, e lo sarebbe stata a lungo. Forse per sempre.

"Le hai raccontato tutto, vero?"

"Io spero solo per te e i tuoi sensi di colpa che Kibum non l'abbia mai scoperto, che non ne abbia mai sofferto. Detto questo, io sono l'ultima persona al mondo che può giudicarti."

Yoo ricominciò a piangere.

"Perchè l'hai fatto? Perchè gli hai mentito per tutto questo tempo?"

"Lo amavo. Non avrei mai sopportato di deluderlo."

"Smettila."

Jonghyun prese dalla tasca il libretto degli assegni del conto di Kibum. Lo firmò, consegnò metà del conto a Yoo.

"Voglio che la cameretta di Kibum sia bella, voglia che sia luminosa, e voglio che abbia tutti i giocattoli che vuole. Voglio che sia felice. Kibum avrebbe voluto così."

Senza dire altro, uscì dalla stanza, lasciando Yoo solo nel buio.

 

Passata la mezzanotte, anche l'ultimo ospite lasciò la casa, lasciando Jonghyun finalmente solo con i suoi pensieri. Ma tutto quello a cui riusciva a pensare era Yoo. Yoo che aveva una moglie, e avrebbe avuto un figlio, Yoo che aveva due vite, Yoo che aveva sempre mentito a Kibum. Yoo, che era un bugiardo e un traditore. E se stesso, il più stupido bugiardo e testardo traditore che conoscesse. Avrebbe voluto tornare indietro e rendere migliore la vita di Kibum, ma pensò che comunque non avrebbe potuto fare nulla, perché non puoi fidarti di nessuno. Non puoi fidarti di te stesso, e non puoi fidarti degli altri, perché anche la persona che dice, e magari pensa, di amarti più di ogni altra cosa, finirà per tradirti, spezzarti il cuore, e lo farà nel peggior modo possibile.

Riscaldò distrattamente una porzione di ramen, ma quando lo mise a tavola, si rese conto di essere solo. Non poteva mangiare prima che Kibum fosse tornato, lo conosceva, si sarebbe offeso. Ne preparò un’altra porzione e la mise davanti al posto accanto al suo. E aspettò.

E aspettò.

E aspettò.


È finita *piange* BEH CHE DIRE, spero di non avervi depresso troppo, di non ricevere troppe lettere minatorie per aver ucciso la JongKey, e che leggere questa storia vi sia piaciuto e vi abbia appassionato almeno quanto ha appassionato me scriverla.

Alla prossima ragazzi~ 

  
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