Capitolo
12: Silenzi
Non
avevo mai odiato così tanto la mia stanza e tutto quello che
essa
conteneva. Era diventata la mia prigione, mi ci ero rinchiusa
volontariamente da quando mio padre aveva perso il lume della ragione
e non ne uscivo mai, era da giorni che non mangiavo e che passavo il
tempo a fissare il regalo natalizio di Jake. Aspettavo le sue
telefonate come se fossero la medicina al mio male, ma non
bastavano... non bastavano mai. Cercavo rifugio tra le mie lenzuola
che avevano ancora l'aroma della sua pelle tra le pieghe che lo
avevano ospitato durante le notti passate insieme. Di tanto in tanto
le mie zie venivano a trovarmi, cercando di convincermi ad uscire
dalla mia stanza oppure a consolare mia madre, oppressa da qualcosa
che non riusciva a capire. Ero arrabbiata anche con lei. Non faceva
niente per aiutarmi, non parlava con mio padre e non prendeva una
posizione. Mio padre era sempre più indifferente e si
comportava
come se niente fosse, facendomi infuriare ancora di più,
ormai non
provava neanche a chiedermi scusa per lo schiaffo e sembrava non
sentirsi neanche più in colpa. Chissà come non mi
ero ancora messa
a spaccare i mobili...
Quel
giorno passava fiacco e lento come tutti gli altri, ormai i miei
genitori avevano rinunciato a cercare di farmi uscire da camera mia o
a farmi mangiare. Stesa sul letto, stringevo il cuscino, lasciando
che la rabbia e la depressione si sfocassero come sempre in un
pianto inutile. Stanca di quella routine mi alzai di malavoglia dal
letto e mi diressi di fronte alla mia libreria. Feci scorrere piano
il dito sulla copertina di tutti i libri e mi fermai ad
“Orgoglio e
pregiudizio”... sorrisi al ricordo, l'ultima volta che avevo
preso
quel libro ero con Jake ed era il giorno più bello della mia
vita.
Senza pensarci neanche lo presi dalla libreria e mi stesi sul letto,
cominciando a sfogliarlo. Dopo che ebbi letto circa una decina di
pagine, il cellulare vibrò. Praticamente, corsi a prenderlo,
purtroppo era solo un messaggio. Beh, meglio di niente... Lo aprii e
lessi sconcertata il testo: “Sto arrivando”. Non
ebbi neanche il
tempo di mandargli un messaggio per pregarlo di non farlo e di
tornare a casa che sentii qualcuno che bussava alla porta.
Sospirando, lasciai cadere il cellulare sul letto e corsi in
soggiorno, uscendo dopo giorni dalla mia stanza.
“Che
ci fai tu qui?” ringhiò mio padre, appena ebbe
aperto la porta.
“Andiamo,
Edward. È passata una settimana, la punizione è
durata abbastanza”
spiegò Jake, sperando che mio padre lo ascoltasse e cercando
di
entrare in casa.
Ma
mio padre gli si parò subito davanti. “Non mi
sembra che qualcuno
ti abbia invitato ad entrare”.
“Credo
che quella regola valga solo per i vampiri” rispose Jake,
cercando
di alleggerire la situazione. Era bello sapere che neanche lui si era
arreso al divieto di mio padre e vederlo lì a discutere con
lui
sapendo di non avere speranze mi faceva sentire ancora più
sicura
del suo amore. Era sempre bellissimo, anche se il suo viso portava i
segni della tristezza e della depressione che lo affliggevano ormai
da una settimana, cercava di nasconderlo con un sorriso ma la
tensione che leggevo nei suoi occhi non poteva essere nascosta.
“Vattene.
Adesso” sibilò minaccioso mio padre, facendo
aumentare ancora di
più la mia rabbia. Mia madre gli si avvicinò,
pensai che stesse per
prendere una posizione, che volesse aiutarci, invece...
“Jake,
vai...” mormorò, quasi dispiaciuta.
“Ma,
Bella...” protestò debolmente Jake. Io rimasi in
silenzio, avevo
compreso le parole di mia madre e non riuscivo a capacitarmi di
quello che stava facendo. Non era giusto, non poteva abbandonarmi
anche lei, era l'unica su cui avevo contato fino ad un attimo prima.
Stavo aspettando che reagisse e che mi aiutasse e invece, era questo
il risultato? Ora mio padre aveva ragione?
“Vai”
continuò lei, decisa. Jacob rimase un attimo sorpreso da
quelle
parole, poi si arrese e guardando mia madre con un'occhiata che la
incolpava di tutto quello che stava provando in quel momento.
“Da
te non me lo sarei aspettato” sibilò tra i denti e
prima di uscire
mi lanciò un'occhiata disperata che non potei fare altro che
ricambiare con altrettanta disperazione. Quando la porta si chiuse,
una rabbia ceca mi invase, mi diressi a grandi passi verso la mia
stanza e con un moto di rabbia, senza neanche pensarci, strappai la
collana di mia madre dal mio collo e la scagliai contro il muro.
Prima di chiudermi la porta alle spalle e cominciare a piangere senza
ritegno, non erano più lacrime silenziose quelle che
scendevano dai
miei occhi erano disperate e disperati erano i singhiozzi che non
riuscivo più a trattenere. L'unico motivo che mi costringeva
a
lasciare la mia stanza erano le lezioni di mio nonno che si erano
raddoppiate da quando aveva saputo che avrei dovuto incominciare la
scuola. Come se non sapesse che avrei potuto affrontare la scuola
senza neanche aprire un libro per tutto quello che mi aveva
insegnato. Il viaggio a piedi per raggiungere casa Cullen non era
affatto difficile da affrontare e quel giorno fu ancora più
facile
visto che mia madre aveva capito che doveva starmi lontana. Arrivati
a casa Cullen non mi fermai neanche a salutare, subito raggiunsi mio
nonno nella sua stanza e lui iniziò con la sua lezione.
Argomento
del giorno: la meiosi.
“La
meiosi è la divisione di una cellula madre diploide in
quattro
cellule figlie aploidi. Si dice cellula aploide quella cellula che ha
il corredo cromosomico dimezzato rispetto a quello della cellula
madre...”. Mio nonno parlava come un libro di scienze e di
solito
era anche affascinante per me perdermi tra atomi, cellule e organi
vari, soprattutto quando mio nonno si perdeva in speculazioni su
licantropi, vampiri o mezzi-vampiri. Ma quel giorno non ero proprio
dell'umore adatto e sapevo che anche se mio nonno si fosse accorto
della mia distrazione avrebbe continuato spedito senza farci troppo
caso. Ma l'unico pensiero fisso quel giorno era Jacob, avrei dato di
tutto pur di riuscire a vederlo anche solo un'ora. Non capivo come
mio padre riuscisse ad infliggermi una tortura simile, senza neanche
farsi venire i sensi di colpa o cercare di spiegarmi le sue assurde
ragioni. Ero arrabbiatissima con lui e odiavo tutto quello che stava
infliggendo a Jacob, ma ora la rabbia che provavo per lui era niente
rispetto al rancore che portavo a mia madre, ancora non riuscivo a
capacitarmi di quello che aveva fatto e non glielo avrei mai
perdonato, almeno che non avesse fatto qualcosa per rimediare...
“Cos’è
una triade?” sibilò, improvvisamente, mio padre
entrando nello
studio di mio nonno.
“Ehm,
cosa?” risposi, disorientata, prima di accorgermi chi fosse a
farmi
al domanda. “Sto studiando con Carlisle, non con
te!” continuai,
furiosa.
“Cerca
di prestare più attenzione e di pensare meno al
cane” mi
rimproverò.
“Non
osare chiamarlo “cane”!” strillai,
furiosa.
“Calma”
ci ammonì mio nonno. “Torniamo alla lezione.
Nessie se qualcosa
non ti è chiaro, dimmelo” aggiunse, ignorando mio
padre che usciva
a grandi passi dalla stanza.
“Come
va, Nessie?” sospirò mio nonno.
“Male”
risposi, senza neanche guardarlo. “Scusa se non ti sto
ascoltando”.
“Non
preoccuparti, piccola” mi rassicurò.
“Ripeteremo le lezioni
appena starai meglio”.
“Grazie”
mormorai, riconoscente.
“Vuoi
parlarne?” domandò premuroso.
“Cosa
c'è da dire?” esplosi. “Non vedo Jacob
da una settimana e mezzo
e papà non vuole perdonarmi”.
“Pensi
ti serva il suo perdono?”.
“No”
risposi, sarcastica. “Mi serve il suo permesso”.
“Forse
dovresti cercare di importi” sussurrò, guardando
verso la porta.
“Come?”
chiesi, curiosa.
“Se
non lo capisce con le buone...” lasciò la frase a
metà e mi
lanciò un sorriso eloquente. Tornati a casa mi richiusi
nella mia
camera e rifiutai di nuovo la cena, mentre pensavo a quello che mi
aveva detto mio nonno. Dopotutto aveva ragione, dovevo dimostrare a
mio padre che non mi sarei arresa e che avrei lottato per Jacob anche
se ciò significava mettermi contro di lui... Purtroppo i
giorni
passavano senza che mi venissi niente in mente e le chiamate di Jake
non mi bastavano più per andare avanti, così in
un momento di
disperazione e di rabbia lanciai contro il muro un portagioie. Si
aprì appena tocco la parete lasciando cadere ogni singolo
oggetto al
suo interno e uno in particolare attirò la mia attenzione.
Un
bracciale dei Quileute intrecciato, mi chinai a raccoglierlo e lo
riconobbi subito era il bracciale che Jake mi aveva regalato il mio
primo Natale. Purtroppo non mi andava più, però
visto che ero
decisa a portarlo a tutti i costi decisi di cercare un modo per
riuscire ad indossarlo di nuovo. Mentre mi adoperavo per il
bracciale, mi accorsi solo vagamente che mia madre era uscita,
lasciandomi sola in casa con mio padre. La cosa non mi preoccupava
più tanto, non mi avrebbe dato fastidio, ormai ci aveva
rinunciato.
Mi chinai sul resto degli oggetti che erano rimasti a terra e
raccolsi un bracciale di caucciù, lo portai sulla scrivania
e
attentamente gli sfilai i vari ciondoli che vi erano agganciati. Non
avevo mai indossato quel bracciale, quindi non ne avrei sentito la
mancanza, anche perché appena Alice lo avesse trovato,
sarebbe
finito nella spazzatura. Mi ci volle un bel po' per capire come fare
ad unire i due bracciali, alla fine con calma e pazienza cercai di
far scivolare il cordoncino nero tra gli intrecci del bracciale di
Jacob. Ci misi molto tempo, visto che quando riuscii ad infilarmelo
al polso, sentii mia madre rientrare. Ammirai per un attimo la mia
opera, mi era venuto proprio bene e non sarei stata più
costretta a
toglierlo. Ad attirare la mia attenzione furono le urla improvvisa
dei miei genitori dal soggiorno e mi avvicinai alla porta per
ascoltarli.
“Cosa
dovrei fare? Rimangiarmi tutto e chiedere scusa per qualcosa che
hanno fatto loro? Sapevano entrambi come avrei reagito ma
ciò non li
ha frenati da fare qualcosa di tanto stupido” urlò
mio padre.
“Stai
dicendo che il primo bacio di nostra figlia è una cosa
stupida?”
sibilò mia madre, difendendomi, quasi mi fece venire i sensi
di
colpa per quello che avevo pensato prima di lei...
“Sto
dicendo che non lo sarebbe stato se fosse avvenuto con maggiore
cognizione di causa”.
“Sono
stanca di discutere sempre di questo argomento” esplose mia
madre.
“Anch'io”
sibilò mio padre.
“Perfetto”
continuò mia madre.
“Anch'io”
mormorai tra me e me. Ero stanca di stare alle sue regole, stanca di
dover sopportare le sue paranoie, come aveva detto mio nonno era ora
che mi imponessi, non mi ritenevo più una bambina era ora
che lo
dimostrassi a tutti... Approfittando della discussione che continuava
tra i miei genitori, escogitai un piano, mio padre era troppo
impegnato a discutere con mia madre per pensare a me. Sarei scappata,
avrei aspettato che lui si distraesse e poi sarei andata via, avrei
preso la mia macchina sul retro e poi avrei attraversato una parte di
foresta, fino ad arrivare sulla strada principale e scappare a La
Push. Presi le chiavi e me le infilai in tasca, nell'altra misi il
cellulare, conscia che avrei risposto solo ad una persona se mi
avesse chiamata. Poi presi un giubbotto nel caso avessi avuto freddo,
anche se era improbabile a fine agosto. Non sapevo quanto sarebbe
durata la mia fuga, ne quanto tempo ci avrebbe messo mio padre a
scoprirmi, mentre mi perdevo nei miei pensieri fu lo squillo del mio
cellulare...
“Jake”
risposi, rianimandomi.
“Ciao,
tesoro” mi salutò. “Cosa fai di
bello?”.
“Niente”
mormorai, parlargli della mia fuga non era molto saggio da parte mia
e poi adoravo l'effetto sorpresa. “E tu?”.
“Niente”
sussurrò, scoraggiato. “Mi manchi”.
“Anche
tu, Jake” biascicai, quasi in lacrime.
“Ti
amo”.
“Anch'io”
risposi, prima di chiudere la chiamata. Quando rimisi a posto il
cellulare era quasi ora di cena, così ricominciai a leggere
un libro
per non insospettire mio padre.
“Renesmee,
la cena è pronta” mi chiamò mia madre,
come se non conoscesse già
la risposta a quell'affermazione.
“Non
ho fame” risposi, semplicemente.
“Dai,
amore... dovrai uscire dalla tua stanza prima o un poi...” si
lamentò.
“Ore
non ne ho voglia” sibilai. Mia madre per fortuna si arrese e
io
ripresi a leggere il mio libro, finché non sentii mio padre
uscire
con qualcuno, Jasper probabilmente. Non persi tempo. In un attimo,
saltai dalla finestra e raggiunsi la mia macchina, gettai il
giubbotto sul sedile del passeggero e poi misi in moto. Silenziosa e
veloce come solo una macchina nuova può essere
cominciò a
sfrecciare nella foresta. Non mi ci volle molto per arrivare sulla
strada asfaltata e da lì il conta chilometri
sfiorò i duecento
chilometri orari, così arrivai a La Push in men che non si
dica.
Parcheggiai di fronte la casa del mio lupo, lasciando la macchina in
bella mostra e corsi subito a bussare alla porta. Ci volle un po'
prima che avvertissi il cigolare della sedia di Billy che veniva ad
aprire.
“Nessie?”
chiese, assonnato appena ebbe aperto la porta. “Ma cosa ci
fai
qui?”.
“Billy,
non uccidermi” implorai. “Jake è in
casa?”.
“Si,
ma cosa succede?” domandò.
“Grazie”
farfugliai mentre correvo nella stanza del mio licantropo. Aprii la
porta e lo trovai addormentato sul suo letto, era così bello
da non
sembrare reale. Mi avvicinai piano a lui e cominciai scuotergli una
spalla.
“Jake?
Jake?” mormoravo. “Sono Nessie! Avanti,
svegliati!”.
“Chi?
Cosa?” sussurrò, ancora mezzo addormentato.
“Sono
io!” esclamai.
Jacob
aprì gli occhi e poi si mise a sedere sul letto, guardandosi
intorno
confuso. “Ma che ore sono?” sibilò.
“Jake!”
urlai, buttandogli le braccia al collo.
“Nessie?”
chiese, sorpreso. “Renesmee, cosa ci fai qui?”.
“Sono
scappata” spiegai, fiera.
Si
aprì subito in un grande sorriso e ricambiò
l'abbraccio. “Sei
grande!”.
“Jake,
mi sei mancato così tanto!” singhiozzai sulla sua
spalla, mentre
le prime lacrime cominciavano a farsi spazio sul mio viso.
“Va
tutto bene” mi consolò lui, accarezzandomi i
capelli.
“Cosa
facciamo?” mormorai, calmandomi. Lui continuò ad
accarezzarmi i
capelli e poi mi attirò a se, poggiando le sue labbra sulle
mie e
poi, rispose: “Andiamo in spiaggia”.
“Va
bene”. Andammo insieme sulla spiaggia e cominciammo a
passeggiare e
a ritrovare il buon'umore, passò circa mezz'ora prima che lo
squillo
del suo cellulare ci interrompesse.
“Pronto,
Bella? Senti, prima che tu possa dire qualsiasi cosa...»
rispose
Jake, già pronto a scusarsi.
“Jacob,
sta’ zitto. Edward sta venendo lì ed è
furioso. Non sono riuscita
a coprire la fuga di Renesmee e dille che di questo faremo i conti
più tardi...» controbbattè mia madre,
sorprendendoci entrambi.
“Dici
sul serio?».
“No,
per finta! Jacob, sto arrivando. Non vi muovete da dove
siete»
scherzò lei, furiosa.
“Okay,
ciao» mormorò Jacob.
“Ciao”
rispose lei, chiudendo la chiamata.
“Merda!”
mi sfuggì.
“Cosa
sono queste parole, eh?” mi prese in girò Jacob.
“Come
fai ad essere così calmo ?!” gli chiesi.
“Mi ucciderà!”.
“No”
esclamò lui, prendendomi per la vita. “Non glielo
permetterò, ora
sei con me e non riuscirà a separarci di nuovo”.
“Grazie,
Jake” sorrisi.
“Di
niente, piccola” mormorò, mentre si chinava su di
me e mi
stringeva forte tra le sue braccia. In quel momento, il rombo di due
macchine attirarono la nostra attenzione. Prima arrivò mio
padre che
si
catapultò da Billy e quando non trovò Jacob si
diresse verso di
noi a velocità disumana. Jacob mi si parò
d'avanti e cercò di
calmare il tremore che lo avvolgeva.
“Renesmee!”
urlò mio padre. “Come hai osato
disubbidirmi?!”.
“Papà,
calmati” mormorai, mentre mia madre si avvicinava a noi.
“Edward,
non ti permetterò di farle del male, non davanti a
me!” intervenne
Jacob, assicurandosi che fossi alle sue spalle.
“Jacob,
te l’ho detto. Non ripeto mai lo stesso errore due
volte” sibilò
mio padre.
“Non
mi sembra!” gli fece notare il mio lupo.
“Lei
è mia” ringhiò mio padre, con la voce
bassa e minacciosa.
“Lei
è mia!” ribatté Jacob, mentre le
braccia non la smettevano di
tremargli.
“Io
non sono proprio di nessuno!” intervenni, offesa, scostandomi
un
po' da Jacob.
“Renesmee,
vieni subito a casa!” ordinò mio padre, furioso.
“No!”
urlai.
“Lei
fa ciò che vuole!” ringhiò Jacob,
mentre mi avvicinavo ancora una
volta a lui.
“Lei
fa ciò che dico io!”.
“Ora
basta!” intervenne mia madre, prendendoci tutti di sorpresa.
“Renesmee può rimanere ma fino a mezzanotte. Non
un minuto di più”
decretò. “Edward, noi andiamo a casa”.
Nessuno si mosse, ma io
non
riuscii a
trattenere l'impulso di correre verso mia madre e
abbracciarla, dicendole: “Grazie, mamma”.
“Non
fare tardi” mormorò tra i miei capelli.
“Te
lo prometto”.
“Grazie,
Bells” la ringraziò il mio lupo riconoscente,
prima di prendermi
per mano e portarmi in casa.
“Cosa
sta succedendo?” chiese Billy, mentre entravamo.
“Niente!”
rispondemmo, ridendo io e Jake. Andammo nella sua stanza e ci
stendemmo sul letto, come durante la settimana in cui i miei non
c'erano.
“Non
ci credo che è finita” mormorai sul suo petto.
“Invece
è proprio così” esclamò lui
contento, stringendomi a se. “Ora
nessuno ci darà più fastidio”.
“Puoi
dirlo forte” risposi, prima di alzarmi e lasciare che mi
baciasse
ancora una volta, come aveva fatto la prima volta e come avrebbe
potuto fare ancora tante e tante altre volte, perché ora
nessuno
avrebbe potuto più impedircelo...
NDA: So
di avervi fatto aspettare tanto per questo capitolo purtroppo la scuola
mi ha tenuta occupata e mi ha costretta a rimandarne la pubblicazione
varie volte ^^ comunque spero vi piaccia e fatemi sapere
cosa ne pensate!!
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