DECIMO
CAPITOLO
Liberty…
Il silenzio vuoto che
caratterizzava quell’ufficio non mi spaventava affatto: i
miei pensieri urlanti riempivano e, addirittura, coprivano quel tacere
assordante che si era creato tra noi.
L’atmosfera
cupa e densa e la freddezza che avevo sentiti nel tono di voce di
Pherson avevano ghiacciato tutto ciò che si trovava attorno
a noi.
Io, ancora con le
manette, ero sempre seduta su quella poltrona in pelle…
mentre il suo sguardo continuava a paralizzarmi su quel trespolo che
era diventato per me quella poltrona davanti a me. Avevo progettato di
togliermi le manette con l’ultima forcellina che mi era
rimasta in tasca e di scappare non appena lui si fosse girato da
qualche parte. Intanto, l’osservavo con la coda degli occhi,
attendendo con pazienza.
Mi accorsi
che non c’era più la sua espressione spavalda,
come se avesse capito tutto quanto della sottoscritta, credo
perché quella discussione avvenuta tra noi gli aveva fatto
capire che a me non me ne fregava niente dei suoi baci.
O almeno, io gli avevo
fatto credere che fosse così.
Sei
un’idiota! E cosa ci hai guadagnato comportandoti
così?
Ci ho guadagnato
tantissimo… Pherson sarebbe un bel problema e questo
è il momento meno opportuno per le distrazioni …
Un
bellissimo problema…
Piantala!
Piantala!
No, no e poi no.
Nonostante i suoi baci.. cazzo, i suoi baci fossero quelli
più splendidi
che avessi mai
ricevuto nella mia intera esistenza, non ero disposta a cedere.
Innanzitutto, avevo la
mia legge morale e la volevo rispettare e poi, ero già
convinta che lui, pur essendo un poliziotto, non ne possedeva alcuna-
di legge morale, s’intende!- e la questione si sarebbe potuta
estinguere in meno di qualche secondo.
Però.. era
passionale ed istintivo.. dannatamente sexy.
Eccola
che parte..
E
smettila.. che tanto ti è piaciuto alla grande…
Purtroppo dovevo
convivere con la mia coscienza e la realtà dei fatti che non
volevo vedere, che discutevano tra loro, rendendomi sempre
più confusa ed agitata. Mi sentivo come una farfalla
relegata a stare dentro una teca di vetro, come se non possedessi
anch’io un’anima e non fossi una persona come tutte
le altre; desideravano farmi diventare quello che volevano.. e per cosa
poi? Per “salvarmi il culo”, come si ostinava a
dire quell’ispettore da quattro soldi di Pherson? No, no..
non era solo questo e scommetto che dietro c’era molto di
più, ad esempio, la probabile carriera della mia famiglia
stroncata in meno di qualche ora? O magari, avrei rovinato la magnifica
reputazione dei capi dei distretti, il commissario Wilde?
Non avevo idea di
quanto tempo fosse passato, eppure mi ero quasi dimenticata che ero
rinchiusa in una stanza con un Pherson muto e guardingo che sedeva
dietro la scrivania ed ogni tanto mi lanciava qualche occhiata dalle
sue cartelle, carte o chissà che altro.
Ad un certo punto,
sentii una presenza stranissima, come se qualcuno mi stesse continuando
a fissare. Mi girai verso quell’energumeno con la faccia da
figo, pronta a squadrarlo male, ma notai che non era lui a fissarmi:
aveva decisamente qualche problema nella lettura di una carta
particolare.. magari non riesce a capire l’alfabeto.. o forse
gliel’hanno insegnato nella scuola per addomesticare le
scimmie? Mi chiesi, mentre sogghignavo in silenzio a quel pensiero.
Dalla finestra oscurata non mi parve di sentire nessun richiamo
sospetto.. ero sicuramente io quella che si stava facendo le paranoie.
-Cosa stai
macchinando, Wilde?- mi chiese, con mio immenso rammarico,
quell’idiota, guardandomi con una faccia stupro ed un sorriso
carico di sensualità capace di far sciogliere anche un
cubetto di ghiaccio.. anzi, che dico, una pista di pattinaggio sul
ghiaccio! Però non dovevo cedere: avevo promesso che non
avrei mai più aperto bocca e per nessuna ragione avrei
mancato di rispetto alla parola data.
Gli sorrisi e voltai
la faccia dall’altra parte, ottenendo da parte sua una grossa
risata di gusto.
-Oh oh oh…
la signorina Wilde vuole mantenere la promessa.. ma che carina. Ti
ammiro.. non ci sono più tante ragazze che mantengono fede
alle loro stesse promesse; però ti do’ un
consiglio: in questo caso, è solo tempo sprecato. Il tuo
silenzio non ti porterà da nessuna parte … Ah!
Giusto per darti un’anticipazione e magari un altro
suggerimento: non hai bisogno di un avvocato per questa situazione..
dato che è una questione personale tra te e tuo padre. Onde
per cui, rimarrai con me tutto il giorno fino a quando non mi darai una
risposta. Chiaro il concetto?- mi disse, continuando ancora a sfogliare
le carte, come fossero le pagine di un giornale e con lo stesso
interesse di un ragazzo davanti ad un film romantico.. in pratica,
interesse al di sotto dello zero. Che atteggiamento merdoso da
bambinetto viziato!
Mi girai di scatto
verso di lui, prontissima a rispondergli per le rime dopo quello che
aveva avuto il coraggio di dire, ma notai uno strano pallino rosso
sulla sua spalla… eppure, non mi era parso di averlo notato
prima.. quando notai che il pallino si stava spostando, capii che non
era una macchia. Pherson non stava prestando attenzione a niente se non
ancora a quelle carte, proprio quando era nel mirino di non so chi
proveniente dalla finestra retrostante.
Presi velocemente la
forcellina ed aprii le manette, mentre mi accorsi che il puntino non si
era spostato ancora: era già pronto per sparare; Pherson
intanto non si accorgeva neanche di quello che gli stava capitando
attorno. Me le sfilai e le gettai a terra, correndo velocemente verso
la scrivania; la scavalcai in un balzo e buttai quell’idiota
per terra, con la poltrona annessa, proprio un attimo prima che un
mitra cominciasse a sparare all’impazzata, frantumando i
vetri della finestra. Nella caduta, ero riuscita a spingerlo/ spingerci
al riparo, sotto la finestra… i proiettili non ci sfioravano
solo per puro colpo di culo.
Mi ritrovai sopra di
lui, pronta a coprirlo se necessario. Il problema fu che nel mio
tentativo di salvataggio, non mi accorsi che… praticamente
gli avevo spalmato la mia terza abbondante dritta sul viso.
E che cazzo..!!
pensai, mentre mi sollevavo quel poco che serviva a dargli un
po’ di respiro. Quello che vi ritrovai lì sotto
non fu Pherson, ma la sua copia più paonazza che avessi mai
avuto l’onore di vedere.
-Mi dispiace, ma
questo non era previsto nel salvataggio… e non farti
prendere dai pensieri sconci che la tua mente è solita
elucubrare. Non è proprio il momento!- gli sussurrai, mentre
cominciai a tastargli il fianco destro per riuscire a prendere una
delle due pistole: mi ero accorta che ne aveva due sempre con
sé.
-Cosa diavolo avresti
intenz…- l’avevo zittito un’altra volta
rimettendogliele in faccia: purtroppo, chiunque fosse il mandante, non
aveva nessunissima voglia di smettere di sparare, nonostante non
fossimo più nel suo mirino… mica provavo
divertimento nel comportarmi in quel modo!!
Riuscii a sfilare la
pistola dall’altro lato e dissi, ancora:
-Pherson, al mio tre,
preparati a posizionarti sull’altro lato della
finestra… chiaro?-
Non avevo idea da dove
questo sicario stesse sparando ma scommetto che l’avrei
trovato non appena avessi avuto occasione di dare un’occhiata
da quella finestra. Avevo avuto una mezza impressione che gli spari
stessero arrivando dall’alto.. almeno da un primo piano di un
palazzo qualsiasi.
E per la miseria, ma
non ce li avevano i vetri anti-proiettili in quella cavolo di stazione
di polizia?
-Uno…-
cominciai a contare, mentre cercavo di spostarmi in avanti, passando
sopra Pherson, che intanto,aveva ripreso un colorito migliore ed era
tornato in sé, con in mano l’altra pistola
-…due…- feci una capriola oltre Pherson e mi misi
sul fianco sinistro della finestra, mentre gli spari continuavano a
minacciarci di morte.
-… tre!-
dissi, mentre ci catapultavamo dai lati della finestra, con lo sguardo
vigile.
Mi accorsi
immediatamente che non era soltanto uno il sicario, ma erano due. Due
fottutissimi bastardi che si stavano divertendo a comandare a bacchetta
i loro mitra, come se fossimo noi i terroristi e non loro i serial
killer!
Sparai rivolta al tipo
a destra, cercando di mirare al mitra, con una precisione maniacale.
-WILDE, SPOSTATII!- mi
urlò Pherson, ricordandomi di ritornare alla mia posizione.
Mi rimisi a posto, pronta a sparare, mentre lui si occupava di
quell’altro.
Ad un certo punto,
sentii uno sparo e vidi i proiettili di quell’aggeggio
infernale passarmi accanto, non sfiorando il mio braccio giusto per un
pelo.. Diamine, ma con che cosa li facevano quei cavolo di muri,
cartongesso?
-Non puoi metterti in
pericolo così! E in teoria, non dovresti averla neanche in
mano un’arma!- si ricordò
quell’energumeno fatto a capo del distretto, mentre usciva
allo scoperto e sparava all’impazzata.
-Scusa se stavo
cercando di utilizzare le poche cartucce che ho in riserva per fare
qualcosa di utile, piuttosto che sprecarle senza neanche prendere una
mira decente!- gli risposi, incazzata, mentre aspettavo il momento
più adatto ad uscire.
Gli spari erano
cessati, ma non eravamo affatto convinti che sarebbe terminata
così la questione. Per strada non si muoveva una mosca e mi
stupivo del perché quelli del distretto non si fossero mossi
ancora per arrivare in sua salvezza.. in salvezza di Pherson,
chiaramente.
Ero talmente tanto
stupita che non avevo ancora aperto bocca dall’ultima frase,
cercando di dare un senso logico a quel quartiere.
Ma la giustizia e
l’ordine della città dove erano stati messi in
quel luogo, evidentemente, dimenticato da Dio??
Sempre più
domande e sempre meno risposte.
Stavo per andare nel
pallone, me lo sentivo. Dannata
sfiga del cavolo!!
Un sudore freddo
imperlò la mia nuca, facendomi tremare dal gelo della paura
che stava cominciando a calare su di me. Dannata paura dei..!!!
Sentivo il mio cuore
pulsare più forte, mentre guardavo Pherson, intento ad
ascoltare il silenzio assoluto al di fuori della finestra. Sentendo il
mio sguardo addosso, i suoi occhi cercarono i miei e
sussurrò:
-Liberty…
non farti prendere dal panico. Tra poco, spara con tutte le forze che
possiedi e cerca di mirare al bastardo che si trova a destra, dal mio
lato.. io farò lo stesso con quello davanti a te.. veloce ed
efficace!E torna immediatamente al posto!-
Annuii, aspettando un
suo segnale.
-ORA!-
Uscimmo allo scoperto
ed io mirai a quello schifoso, preso alla sprovvista dalla
sottoscritta, e sparai sulla sua spalla, centrandolo in pieno, con mia
immensa soddisfazione. Mi rintanai di nuovo, mentre Pherson cercava in
ogni modo di riuscire a colpire quell’altro davanti a me. Ero
pronta a dargli una mano, quando…
-ATTENTAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!-
Uno strattone da parte
dell’ispettore mi buttò a terra, mentre lui si
prendeva una pallottola sul braccio sinistro al posto mio! Pherson non
era riuscito a colpirlo, quindi era naturale che avesse preso di mira
me, visto che ero proprio davanti ai suoi occhi.
Buttai giù
Pherson, cercando di metterlo al riparo e sparando
all’impazzata: riuscii a far quadrare anche quel coglione che
aveva osato prendermi di mira, vendicando alla grande il braccio
sfiorato dal proiettile di Pherson, colpendolo ad una mano.
Intanto, sentii il
rumore di altre armi da fuoco, segno che quegli scansafatiche degli
altri agenti del distretto si erano mossi (finalmente!).
Pherson si era seduto
per terra, contro il muro, tenendosi fermo il braccio; la porta si
spalancò di botto, mentre entravano gli agenti con i loro
giubbotti antri-proiettili, pronti a salvarci.
Mi misi accanto a lui,
sfilandogli la giacca e strappando la camicia sul braccio sinistro.
Effettivamente, l’aveva preso bene, ma il proiettile non era
andato in profondità..
Meno male..
pensò la mia mente, inconsciamente.
-Portate
immediatamente un kit di pronto soccorso ben fornito di pinze e garze!-
urlai a qualche poliziotto che non era intento a svolgere qualche
mansione, ottenendo qualche insulto, fino a che non sentii una voce
maschile, imponente ed altera, urlare come una furia:
-AVETE SENTITO, BRANCO
D’INCAPACI? C’E’ BISOGNO DI UN KIT DI
PRONTO SOCCORSO, IMMEDIATAMENTE! NON CAPITE NEANCHE QUANDO VI SI
DA’ UN ORDINE?-
Vidi
all’istante quel gruppetto di nullafacenti riprendersi
immediatamente e correre alla ricerca di ciò che gli era
stato ordinato dalla voce incazzata nera. Mio padre entrò
nell’ufficio con la pistola alla mano, ancora con
l’espressione incazzata che aveva fatto saltare come molle
quegli sfaccendati. Si avvicinò a noi, senza temere qualche
attacco da qualche altro killer messo da qualche altra parte della
palazzina.
Stavo ancora
esaminando la ferita di Pherson, cercando di levare il sangue che si
era rappreso attorno alla ferita, quando parlò:
-Ti.. ti sembra
grave?- la sua domanda sembrava posta innocentemente, per cui risposi
professionalmente, come se fosse un estraneo.
-La pallottola non
è andata in profondità, quindi niente di grave,
ma sta perdendo sangue come un dannato… Neanche in questo
sei bravo, dannato Pherson!- esclamai, arrabbiata. Strano come fino a
quel momento non avesse ancora aperto bocca, neanche per sputare
qualche ironica battuta sulle mie capacità.
-Chissà
perché mi sono fatto ferire! Certamente non è
stato per spirito di volontariato! Magari per salvare qualche testa
calda che si stava mettendo in pericolo!- mi rispose acidamente,
ottenendo dalla sottoscritta una leggerissima pressione sulla ferita.
-AAAAAH! BASTARDA!-
lui.
-COMMISSARIO PHERSON!-
mio padre.
-Non ne avevo bisogno,
sciocco… Se non te ne fossi accorto, sono riuscita a pararti
il culo e a sparare quei due killer, senza il tuo aiuto.. Comunque, ho
premuto perché volevo verificare se fosse possibile estrarre
la pallottola senza applicare l’anestesia- risposi,
tranquilla.
-Tanto
ormai… sono ferito… dolore più o
dolore meno!!- disse, con tono flebile.
Arrivò la
cassetta del pronto soccorso, sotto lo sguardo attonito di mio padre,
ancora scioccato da quello che avevo detto poco prima.
-Rilassa il braccio,
Rob.. Pherson..- dissi, infilandomi i guanti -.. purtroppo NON sono
ancora laureata, ma questo sarà un gioco da ragazzi.. ti
fidi?- gli chiesi, cercando di infondergli tranquillità.
Il suo sguardo
incrociò il mio e, per un breve istante, vi vidi un lampo
particolare, come se volesse esprimere qualcos’altro che
andava ben aldilà di quel che mi disse successivamente.
-Se non mi fidassi,
non starei qui a farmi toccare da te.- rispose, deciso e con un
sorrisetto malizioso.
Sorrisi, facendo finta
di non aver colto l’allusione.
-Molto bene..-
Presi una garza e,
senza che se ne potesse accorgere, gliela infilai in bocca a
tradimento. Il suo sguardo che, intanto, si era trasformato di nuovo in
irritato, seguì l’operazione per tutto il tempo.
-Stringila tra i
denti… così avrai qualcosa da fare mentre io ti
estraggo questo. Papà, tienigli fermo il braccio..- dissi,
sicura.
Mio padre
eseguì l’ordine mentre io mi adoperavo per
estrarre il proiettile dal suo braccio, sotto i suoi continui mugolii
di dolore.
L’estrassi
con un po’ di fatica, timorosa di poter sbagliare qualcosa..
d’altronde non avevo mai provato ad estrarre un proiettile
dal corpo di qualcuno; certo, pinzette conficcate, stuzzicadenti e
coltellini li avevo estratti senza problemi, ma non avevo mai avuto
l’onore di prelevare un proiettile.
All’università
o alla “medical school”, luoghi dove ci permettono
di cominciare ad esercitarci sulle modalità di operazioni,
noi studenti della facoltà non avevamo mai avuto queste
opportunità.. bé, dovevo considerarmi
privilegiata nel pensare che soltanto essendo coinvolta negli affari
della polizia avrei potuto sperimentare queste cose.
Pulii ancora una volta
la ferita con quel poco che avevo a disposizione e provai a continuare
a tamponarla con del cotone e avvolsi il braccio nella garza,
aspettando l’arrivo di qualcuno veramente capace di
richiudere per intero (con dei punti, possibilmente) quel fosso che
ormai era diventata l’orma del passaggio del proiettile sul
suo braccio.
In lontananza si
sentì una sirena, segno che si stava avvicinando
l’autoambulanza.. In tutto quell’arco di tempo,
Pherson non aveva smesso di guardarmi durante l’opera. Forse
era veramente consapevole di cosa riusciva a scatenare dentro di me,
tanto da mettermi in soggezione, rendendomi ipersensibile a qualsiasi
cosa.. meno male che nessuno mi stava parlando, altrimenti ero sicura
che sarei scoppiata da un momento all’altro!
Mio padre, impegnato
nelle varie direttive del caso, si era spostato un attimo. Io, presi il
proiettile e lo misi dentro una sacchetta trasparente, pronta a
consegnarla a qualcuno della scientifica.
Il ferito
sputacchiò la garza ormai inutilmente inumidita e disse:
-Sei davvero molto
carina quando sei concentrata..-
I casi erano due: o
qualche scheggia del proiettile era riuscita magicamente a risalire
verso il cervello, danneggiandolo gravemente, o aveva preso
inavvertitamente qualche colpo senza che io me ne fossi accorta..
strano, eppure ero sempre stata attenta!
-Pherson ...stai
delirando!- gli risposi, mentre cercavo di ripulire un pochino gli
arnesi che avevo in mano.
-Veramente, questo lo
pensavo già da un po’ di tempo, ma adesso il
commento mi è sembrato proprio lampante! Non
l’avrei mai detto che una pazza furiosa come te sarebbe
riuscita a curarmi con una diligenza quasi.. maniacale?
..Sì.. sei proprio pazzamente carina..- mi rispose, con quel
suo sguardo magnetico e ombroso…
… E la voce
da psicopatico!
Ma dai!
L’hanno appena ferito, che cosa pretendi? Che parli in
maniera sana?
Non so che espressione
si dipinse sul mio volto, ma cercai il più possibile di
dissimulare qualsiasi reazione che potesse dargli corda.
-Rispondimi:
c’era anche una terza persona, oltre quei due killer, vero?-
La mia domanda
sicuramente gli risultò inaspettata, visto il biancore
improvviso che gli ricoprì il viso. Non ricordo
effettivamente in quel momento se fosse calato veramente il silenzio
attorno a noi, ma certamente ricordo un momento di gelo puro.
Solo la sua risata
amara ridestò la mia mente dai pensieri contorti che stava
elucubrando.
-Che tipino
interessante che sei. Come ti sei accorta che erano tre e non due?- mi
chiese, asciutto.
-Facile. Innanzitutto,
se fosse stato uno di quei due a spararti, tu non avresti avuto
soltanto la ferita di un solo proiettile, ma di un bel paio e, in
secondo luogo, non saresti stato così tanto fortunato da
poterne parlare con me. In aggiunta, mi è parso di vedere
che il diametro del proiettile che ti ha colpito è troppo
grande per poter essere la munizione di un mitra… ti bastano
come spiegazioni?-
Non ebbi modo di
aggiungere altro, visto che ci raggiunsero dei paramedici.. sicuramente
qualcuno gli aveva detto che c’era un ferito grave e
c’era bisogno di qualcuno che fosse in grado di svolgere la
situazione.
Mi spostai di lato,
dal lato più buio della stanza, nonostante fossero soltanto
le due del pomeriggio, per evitare che qualcuno dei dottori mi
vedesse.. avevo paura che qualcuno di quelli mi riconoscesse.
Grazie a Dio, nessuno
di quelli che c’erano erano nella mia cerchia di conoscenti.
Pherson rispondeva per
monosillabi a quesiti dei medici, mentre mi vedeva indietreggiare
sempre di più verso il fondo della stanza, continuando a
mantenere il suo sguardo incollato al mio, fino a quando, io, avendo
ormai raggiunto la porta silenziosamente, non mi voltai. Lui
sussurrò, senza farsi vedere.
-Raggiungimi
all’ospedale… Harley Davidson nel parcheggio..-
Gli sorrisi e
silenziosamente uscii.
Presi un sospiro di
sollievo: nonostante non conoscessi quei medici, sapevo perfettamente
che non dovevo essere in quel luogo.. perciò defilarsi era
la cosa migliore da compiere in quel momento. La cosa che mi
stupì fu il non accorgersi della mia fuga di tutti quegli
assistenti.
Agenti, la
Scientifica, infermieri, medici… circolavano persone a
destra e a manca, ma nessuno aveva avuto l’intenzione di
fermarmi…
Praticamente sono
libera.. mi dissi, ricominciando a far lavorare il mio cervello
febbrilmente per riuscire a trovare una via d’uscita. Potevo,
potevo fare qualsiasi cosa una volta uscita da lì…
Il suo sguardo. Le sue
parole.
Vidi le chiavi di una
Harley messe nel quadro all’uscita della stazione. Stringevo
ancora in mano il proiettile che non avevo ancora consegnato.
-Cosa penseresti di
fare, Lib?-
La voce di mio padre
era inconfondibile alle mie orecchie, ma soprattutto era inconfondibile
per i brividi che mi faceva venire quando sapeva di avermi cassata nel
pieno di un pasticcio. Mi voltai lentamente, stavolta intenta a non
lasciargli spazio.
-Mi hai fatta braccare
da Pherson nonostante io non avessi fatto niente.. questo mi darebbe un
buon motivo per uscire di qui a testa alta, dato che la sottoscritta
non ha fatto assolutamente niente di illegale…
sfortunatamente per te, sto prendendo le chiavi della moto di Pherson e
lo seguo fino all’ospedale… questa situazione si
sta complicando e..- feci un sospiro di rassegnazione-.. ormai ci sono
di mezzo anch’io.. tanto vale concluderla e finirla con
questa farsa!- conclusi.
Purtroppo, bisogna
ammettere certe volte che quando la situazione si ingigantisce troppo,
evitarla e far finta che non esista non è la soluzione..
Affrontarla è la cosa migliore. Mi ero stancata di fuggire,
nonostante fosse divertente.. ma, come dice un detto, non ci si
può mica rinchiudere su una torre per sempre, no?
Ed anch’io
adesso avevo voglia di mettermi in gioco.. Bene, avrei accettato
qualsiasi proposta da parte di Pherson e di mio padre, ma riavrei
ottenuto la mia carriera di studi da chirurgo. A qualunque costo.
In un attimo,
intravidi il sorriso di mio padre increspargli il viso, mentre io ero
già furibonda al solo pensiero di quello che sarei andata a
fare.
In un attimo, mi
ricordai della pallottola in mano e la lanciai nelle sue mani.
-Questo è
il proiettile. Fallo analizzare.- gli dissi, mentre prendevo le chiavi
ed uscivo di gran carriera dalla stazione.
Mi voltai
un’ultima volta.
-Dì alla
mamma di cucinare per due in più: stasera, credo proprio che
quell’energumeno ed io verremo a farvi visita.-
Il suo sorriso si fece
smagliante.
-A dopo..- mi
salutò.
…
Piccolina mia…
L'angolo
dell'autrice...
Chiedo IMMENSO PERDONO per non aver pubblicato per così
tanto tempo.. T___T .. Sono davvero triste per non essere riuscita a
pubblicare prima!!! Spero di riuscire a pubblicare il prossimo il prima
possibile!!!
Grazie mille a chi ha commentato... e chi ha aggiunto questa storia tra
le seguite/preferite!!!
Un bacio...
Kyryu****
|