Author's
note; immensamente
spiacente
per il ritardo. Connessione andata a farsi fottere per tre giorni,
dojinshi da portare avanti, disegni da fare, scuola, oltretutto in
casa siamo in tre con un pc e di tempo per stare a scrivere non ne ho
tantissimo, è difficilissimo portare avanti una storia del genere, ma... ECCOMI QUI! *-*
Spero
che vi piaccia. Non ho molto da dire a riguardo, è diciamo
un
“riscaldamento” del processo. Nel prossimo ci
saranno più
svolte, promesso!
E
finalmente sono riuscita a dare una palla da basket a Lavi! Aveva
proprio bisogno di svagarsi, quel povero figliolo. E, per quanto
riguarda la parte iniziale, ci tenevo molto a scriverla, spero che vi
piaccia.
Un
grazie infinite a Aryadaughter, preffy e
schwarzlight per aver
inserito la storia tra le seguite! E naturalmente grazie a tutti
coloro che leggono e mi lasciano un proprio parere!
P.s.:
amo la canzone di De André che ho scelto per questo capitolo!
Ottavo
incontro
Seconda
udienza, ore 09:45
Botta
e risposta
E
se furon due guardie a fermarmi la vita,
è
proprio qui sulla terra la mela proibita,
e
non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato,
ci
costringe a sognare in un giardino incantato.
[
Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino
incantato) –
Fabrizio De André ]
«
Lo sappiamo che quei tipi sono forti.
Ma
noi non siamo venuti fin qua per perdere. »
[
Lavi – D.Gray-man ]
Trovarsi
di fronte tutta quella gente che lo osservava lo aveva un po' scosso,
nel profondo. Si sentiva un bambino appena nato, Lavi. Lui da solo,
disorientato, senza capire bene cosa ci fosse intorno a lui, mentre
tutti lo guardavano aspettandosi un cenno. Lavi non sapeva dire se
quella situazione irreale, assurda per un normale diciottenne, lo
divertisse o lo spaventasse. Forse quell'ammasso di sconosciuti
-eccezion fatta per Allen, Kanda, Tyki, Anita, Mahoja e Lvellie- si
aspettavano un qualche gesto violento, un urlo, una risata degna dei
film horror. Ma il guercio, in tutta onestà, non aveva
voglia di
dire alcunché. A lui piaceva tanto starsene da una parte e
osservare, come faceva suo nonno. Guardando e basta si potevano
vedere un'infinità di sfumature del mondo. Godersi il lento
scorrere
del tempo guardando come le cose cambiavano, estraniarsi da quelle
medesime cose e, perché no, beffarsi dei cambiamenti che
subivano.
Perché qualunque cambiamento avesse visto, Lavi lo aveva
trovato
risibile.
Tutti
nella vita pensano di essere protagonisti, di essere soggetti a una
cosa astratta chiamata “destino” che scrive la
storia per loro,
tutti che pensano di dover seguire una propria strada. Ma che
scemenza. Come se una cosa grande come il destino potesse occuparsi
di miliardi di persone, di un'infinità di animali e via
discorrendo.
Si nasce, si cresce e alla fine si muore, punto. Lavi aveva
cominciato a pensarla così, e non c'era mai stato nulla che
gli
avesse potuto far cambiare opinione. L'idea di essere immutabile,
mentre il resto del mondo cambiava, lo affascinava.
Ma
in fondo cambiare è umano, e lui lo era. Dopo aver
incontrato
Linalee, qualcosa in lui aveva cominciato a muoversi. Non si
vergognava ad ammettere che ne fosse innamorato, avrebbe voluto
gridarlo a tutti, ma aveva una specie di paura. Paura di vedere
quanto quel sentimento lo avrebbe cambiato. Se fosse cambiato,
Linalee avrebbe smesso di amarlo? Oppure avrebbe smesso lui?
«
Linalee, mi ameresti ancora? Se tu fossi qui, staresti ancora al mio
fianco? Anche dopo tre anni, mi avresti detto “ti
amo” con quel
rossore sul viso? »
Erano
pensieri frequenti, in carcere. Immaginare una Linalee diversa per
lui era doloroso ma inevitabile. Perché anche lei era umana,
e
sarebbe cambiata, a lungo andare. Come sarebbe diventata Linalee dopo
quel ventun dicembre? Magari si sarebbe abituata a quelle carezze
audaci che gli faceva e non sarebbe più arrossita, forse
sarebbe
riuscita a dire a tutti che lui era il suo ragazzo e di nessun'altra.
E lui sarebbe riuscito a convivere con un cambiamento del genere?
«
Linalee, mi ameresti ancora? Ora come ora, mi diresti “ti
amo”,
come facesti quel giorno? Anche se io cambiassi, rimarresti con me?
»
Non
era il caso di piangere, non in tribunale, non per cose del genere.
Tanto Linalee non avrebbe potuto rispondere, scemo lui che faceva
ancora questi pensieri. Idiota lui, che si era innamorato di lei e a
distanza di tre anni non era riuscito a scrollarsi di dosso il suo
ricordo.
Tornò
a guardare le facce sconosciute che, di tanto in tanto, ricambiavano
il suo sguardo, quasi con paura. Howard Link, al contrario, era
sempre impassibile. Anche lui era una di quelle persone immutabili.
Lavi ne fu felice.
Anche
Yu non era cambiato. Teneva testa a tutti, chiunque fosse stato, a
costo di ritrovarsi contro dieci persone grosse il doppio di lui che
lo picchiavano a sangue. O forse un po' era cambiato e lui non se
n'era accorto. Era difficile osservare senza lasciarsi trasportare
dai sentimenti, arrivati a questo punto. Ma aveva sempre un che di
divertente vedere Yu Kanda, l'essere umano più introverso,
scorbutico, asociale che avesse mai incontrato, fronteggiare uno
sconosciuto che difendeva un uomo che lo aveva disgustato quanto lui,
al liceo.
«
Kanda, perché non sei andato alla polizia quella notte del
ventun
dicembre? »
«
È sordo per caso? Ho già detto che Lavi mi aveva
detto di scappare,
temendo fossi in pericolo. »
«
Ma non avevi niente da temere, tu non avevi fatto nulla, giusto? E
nemmeno il tuo “amico” aveva fatto qualcosa di
male, stando a
quanto dici. Allora perché non chiamare la polizia?
»
«
Lei chiamerebbe la polizia quando la sua donna sta morendo e il suo
migliore amico è in pericolo? »
«
Certo. »
«
Stronzate. »
«
È pregato di usare un linguaggio adeguato, signor Kanda.
»
Il
ragazzo sbuffò di fronte al rimprovero del giudice.
« Sì, mi
scusi. Comunque in quei momenti nessuno ci pensa. » tuttavia
Anita
non poté fare a meno di ridacchiare. Era sempre il solito,
Yu Kanda.
«
Allora fammi capire, Kanda. Un professore metterebbe in gioco la
propria professione per uccidere due ragazzi problematici? »
«
Lvellie non è il tipo da sporcarsi le mani direttamente.
»
«
Allora lui non era presente, quella notte? »
«
Aveva mandato qualcuno. »
«
E come fai a dire con assoluta certezza che è stato lui a
mandarlo e
non un altro? Te l'ha assicurato il tuo “amico”?
Non sarà che il
tuo “amico” odiava così tanto il
professore da volerlo mettere
nei guai fino a questo punto? »
Lavi
si vide davanti agli occhi una scena che aveva visto solo nei film,
fino a quel momento. E ancora una volta avrebbe voluto applaudire,
dannate manette. Tyki si era alzato con sicurezza, senza mostrarsi
arrabbiato più di tanto, anzi. « Obiezione. Queste
sono
insinuazioni prive di fondamento. »
«
Accolta. »
«
Non importa, tanto non ho altre domande. Vorrei chiamare a
testimoniare Lavi Bookman Junior. »
E
nuovamente tutti guardarono lui. E lui che guardava Tyki, e nessuno
che sapeva dargli una risposta. Era del tutto diverso rispetto al
parlare con una sola persona, stavolta si trattava di confessare
tutto davanti a un sacco di gente che non conosceva, con Lvellie che
guardava, sentiva, e magari se la rideva sotto i baffi alla faccia
sua.
Tuttavia
Tyki gli intimò con lo sguardo di farsi avanti. E nel
momento in cui
Link tolse le manette, Lavi capì di non poter tornare
indietro. Lui
era bravo a parlare, aveva fatto scappare tredici avvocati, al
confronto quello non era niente. Gli conveniva pensarla
così.
Continuò a pensarlo durante quei pochi passi dalla sua
postazione a
quella che Yu aveva appena lasciato, mentre le sue scarpe gli
rimbombavano nella testa, mentre tutti continuavano a guardarlo,
neanche fossero stati allo zoo. Come poter spiegare a parole il
magone che sentiva? Come poter fingere tranquillità mentre
si
sedeva?
Si
guardarono velocemente, per un secondo soltanto, Lavi e quell'uomo. E
fu Lavi, quasi inconsciamente, a parlare, a giocare.
« Io mi
ricordo di lei. »
«
Come? » ci fu una risatina di circostanza.
«
Lei è stato il primo avvocato a venire da me. Accidenti, se
avessi
saputo che avrebbe finito per difendere quell'uomo, l'avrei tenuto.
»
mentiva, e si vedeva. Si beffava di lui, e si vedeva. Aveva un che di
gustoso il viso impacciato dell'altro, il quale tentò poi di
cambiare argomentazione all'istante.
«
Lavi, ci risulta che tu abbia avuto rapporti sessuali con Linalee
Lee. »
Cominciamo
bene, si era detto. «
Sì. »
«
E perché nessuno ne era al corrente? »
«
Perché dovrei rendere noto a tutti che faccio sesso con
qualcuna? »
«
Dunque il fatto che il fratello della suddetta fosse morbosamente
geloso non rientrava nelle motivazioni? »
«
Parla come se non avesse mai avuto sedici anni. » rispose il
ragazzo, inarcando un sopracciglio. Tyki sorrise. Se la stava cavando
bene.
«
Ma di solito le sedicenni frequentano liberamente chi vogliono, no?
»
«
Lei non ha figli, eh? »
«
D'accordo. Allora spiegamelo tu il mondo degli adolescenti. Eri
geloso di Linalee Lee? »
«
Non particolarmente. Voglio dire, era una bella ragazza ma non era il
tipo da provocare. »
«
E Linalee di te? »
«
Non le ho mai dato motivo di essere gelosa. »
«
Ma le hai dato motivo di chiedersi chi
fosse
la persona con cui andava a letto, non è così? »
«
Prego? »
Il
modo con cui l'avvocato sconosciuto gli passava davanti, con quei
passi frettolosi e snervanti, gli stava facendo girare la testa.
Tutto in quella stanza lo stava irritando, i rumori, i toni di voce,
gli sguardi, quegli sguardi beffardi che pensavano di conoscerlo a
fondo. « Dove sono i tuoi genitori? »
«
Sono morti. In un incidente stradale. »
«
E chi si è preso cura di te? »
«
Scusi, questo cosa c'entra? »
«
Non aver paura, sono semplici domande. »
Lavi
fu un po' titubante, questa volta, non capendo dove il discorso
volesse parare. O meglio, lo stava immaginando, ma con Linalee non
aveva comunque nulla a che fare.
«
Sono cresciuto con mio nonno fino al mio ingresso alle superiori.
»
«
E perché non è qui a difendere suo nipote?
»
«
Potrebbe essere morto anche lui. Voglio dire, era molto vecchio.
»
Tyki
era già abbastanza irritato di suo, ma quando vide
quell'uomo
-scoprire che era stato il primo della lunga serie di avvocati creava
una situazione paradossale- voltarsi verso tutti i curiosi giunti a
vedere ridacchiando, gli venne voglia di prenderlo a calci.
«
Non ha un che di assurdo che un nipote non sappia che fine ha fatto
il nonno? »
«
Obiezione. » calmati, Tyki, questo si diceva. Anche se era
dannatamente difficile resistere dalla voglia di picchiarlo a sangue.
Qualcuno
che rise con lui c'era stato, primo fra tutti Lvellie. E fu quella
faccia a fargli venire voglia di rispondere. D'accordo, era sotto
processo, ma coglione no. Mai.
«
Sì, è assurdo. Assurdo quanto un uomo come
Lvellie che fa il
professore. »
Si
creò il silenzio, per qualche minuto. Tra gli sguardi dei
presenti
Lavi aveva notato una piccola nota di paura nei suoi confronti. Non
doveva aver fatto una bella faccia.
E
Tyki poteva confermare. Lavi non era un assassino, ma sapeva assumere
dei piccoli atteggiamenti che inquietavano le persone normali. Gli
era stato detto che Lavi non era umano, ora finalmente sembrava
capire il perché. In lui sembravano esserci una moltitudine
di
persone diverse, pronte a parlare nei momenti più disparati.
Tyki
non seppe dire quale
Lavi
stesse parlando.
Era
davvero strano. Lui, il suo avvocato, che non conosceva a fondo il
suo cliente, ed era rimasto addirittura affascinato da quella
dualità
che Lavi sapeva esporre. Un po' come la sua. Vedere l'io nero di
qualcuno esibirsi a quel modo lo lasciava quasi senza parole.
«
Potresti spiegarti meglio, Lavi Bookman Junior? »
«
Lvellie non ha alcun bisogno di fare il professore, e lei lo sa
benissimo. Quanto l'ha pagata per difenderlo? Ah, però
immagino che
le abbia dato un anticipo, perché quell'anello non ce
l'aveva quando
l'ho incontrata, e costa decisamente troppo per un normale avvocato.
Bè, la carriera è sua, non ci metto becco.
»
Ci
fu ancora qualche secondo di silenzio, interrotto solo da una
risatina sarcastica del guercio. « Ha temprato il carattere,
complimenti. Al nostro incontro lei scappò via dopo dodici
minuti,
in seguito a una conversazione simile. Però all'epoca lei
non mi
chiese del mio vecchio. »
«
Perché allora non era importante saperlo. » aveva
la fronte
lievemente imperlata di sudore. Era proprio bravo a parlare, Lavi
Bookman Jr.
«
Tu e tuo nonno vi siete trasferiti svariate volte... »
«
Nove traslochi. » lo interruppe il ragazzo.
«
Sì, nove. Per via del suo lavoro, dico bene? Ma nessuno
sapeva che
lavoro facesse, tranne te. »
«
Le sue insinuazioni mi fanno ridere. A mio parere nessun lavoro
è
disonorevole, tranne quello di Lvellie. E non mi riferisco al
“professore”. »
Tyki
avrebbe voluto riempirlo di baci sulla fronte, fargli una statua e
decantarne le lodi ininterrottamente, per il lavoro che stava
facendo. Pensava sarebbe stata disastrosa come seduta, e invece si
stava ritrovando la controparte in mezzo ai casini, le persone dietro
di lui che parlottavano su quanto Lavi stava dicendo, la
credibilità
di Lvellie che si andava sgretolando. Lavi forse, come avvocato, gli
sarebbe stato addirittura superiore.
Tuttavia
quell'altro, che Tyki aveva definito simpaticamente
“Uno”,
giacché era stato il primo a tentare di difendere Lavi, lo
ignorò,
cercò di ignorarlo.
«
Non siamo qui per discutere della vita privata del signor Lvellie, ma
della tua. Una vita che non esiste. Non hai genitori, dici che sono
morti in un incidente ma chi può confermarlo? Forse tu eri
troppo
piccolo per ricordare le circostanze della morte. »
«
Lei non può ingannare la mia memoria. » gli disse
con fare quasi
intimidatorio.
«
Sta di fatto che ti trasferisci qua e là, tu e tuo nonno
siete
sfuggenti, sembrate fantasmi, nessuno vi conosce a fondo.
All'improvviso arrivi alla scuola di Linalee, te la porti a letto e
poi la ragazza muore. Incredibile che il signor Komui non abbia mai
dubitato di te. O forse l'ha fatto, per questo l'hai ucciso. Nessuno
si fida di una persona dal passato inesistente come il tuo. »
Tyki
si alzò nuovamente dalla sua postazione. «
Obiezione. »
«
Respinta. »
«
State martellando un ragazzo a cui sono stati portati via i genitori
senza concludere niente. Siamo qui per parlare della morte di
Linalee, il passato del mio assistito non ha nulla a che vedere con
questo. »
«
… d'accordo. »
Road,
la sorellina di Tyki, seduta dietro di lui, strinse convulsamente il
braccio di Allen, accennando un sorriso. Non le capitava spesso di
assistere ai processi di suo fratello, ma ogni volta che lo vedeva
così agguerrito si divertiva un mondo. Allen, al contrario,
si
sentiva un po' a disagio, essendo per lui la prima udienza a cui
assisteva in vita sua. Ma non poté che ammirare il fratello
della
ragazza.
«
Forte mio fratello, vero? » gli bisbigliò Road,
sorridente.
«
Sì... ora capisco perché siete fratelli.
»
«
Uh? »
«
Bè, tu sei anche più agguerrita di lui.
» accennò una risatina,
cercando di non farsi sentire.
«
Trovi? »
«
È uno dei tuoi lati buoni. » le disse,
sinceramente, con quel
sorriso gentile che Road aveva imparato ad amare. Lei sorrise,
felicissima. Lo avrebbe abbracciato, magari anche baciato -nonostante
fosse quasi sicura che Allen l'avrebbe cortesemente respinta, anzi,
non sapeva dire nemmeno questo- ma decise di tornare a dedicarsi al
fratello.
«
Lavi, quando parli della professione del signor Lvellie non ti
riferisci al professore. Allora di cosa parli? »
Il
ragazzo guardò per un attimo l'uomo al centro della
conversazione,
prima di rispondere. La tentazione di umiliarlo e dire finalmente la
verità era troppo forte, per cui non riuscì a
resistere.
«
Lvellie faceva dei “favori” a gente poco
raccomandabile. Era il
quattro novembre, Lvellie era arrivato da poco. Io vivevo nel
collegio della scuola e di solito prendevo una scorciatoia per
tornare prima, passando per il giardino. Lui era lì,
appartato con
qualcuno, un uomo che non ho visto in faccia, ma sono riuscito a
sentire. Si scambiavano soldi, parlavano di conti cifrati, di
“operazioni risolte”, di “concorrenza
eliminata”. »
E
per la prima volta gli sguardi furono riservati solo per Malcolm C.
Lvellie. Tutti, nessuno escluso, avevano stupore, anche orrore negli
occhi. Lui sudava freddo, che uomo patetico, pensò Lavi.
Viscido
come era sempre stato, e lui che godeva nel vederlo in quelle
condizioni.
«
E tu riesci a ricordare un episodio così vecchio? »
«
Dovrebbe essere al corrente della mia memoria. »
«
… non ho altre domande. »
Quando
Tyki si avvicinò al proprio cliente si sentì
eccitato, frenetico.
Lui e Lavi si erano rivelati inaspettatamente una bella squadra,
quasi sincronizzati. E il guercio era stato eccezionale, aveva
reagito come gli era stato detto, non si era lasciato intimorire
né
prendere dalla rabbia. Solitamente le prime udienze erano disastrose,
ma forse con Lavi si stava verificando una piacevole eccezione.
Fatto
stava che, purtroppo, una nota dolente c'era. Tyki non si era
riuscito a scrollare di dosso il sospetto che Linalee e la sua
famiglia fossero addirittura alleate di Lvellie, all'epoca. Non era
ancora riuscito a scoprire quale fosse il tassello mancante della
orte di Miranda Lotto. Ma soprattutto, Lavi era completamente
all'oscuro dei sospetti di Tyki, e renderglieli noti un po' lo
intimoriva. Ricordandosi della sua reazione a quel meschino giochetto
di Lvellie e Linalee in una pseudo relazione, venire a sapere cose
simili a cosa l'avrebbero portato?
Bè,
ormai era lì. Era solo la prima udienza. In qualche modo,
magari con
delle prove, sarebbe riuscito a risolvere quel
“ragionevole”
dubbio.
«
Lavi, è vero che tu eri il presidente del consiglio
studentesco,
all'epoca? »
«
No, ero tra i candidati. »
«
Ti piaceva stare nel comitato? »
«
Non mi dispiaceva, però... non era quella la mia ambizione.
Volevo
entrare nel club di basket, ma mi hanno respinto tre volte. »
«
Ti piace il basket? »
«
Ci gioco praticamente da quando so tenere una palla in mano.
È
bellissimo. »
«
E come mai sei stato respinto? »
«
Ritenevano che un guercio come me non fosse adatto alle competizioni
sportive. Dicevano che se mi avessero colpito in faccia sarebbero
state grane, e la scuola non poteva permetterselo. Sinceramente non
penso che una benda possa essere così rilevante, gli
incidenti
capitano sempre, no? Faccio una vita regolare anche se porto una
benda. Ma, per citare le parole di Lvellie, mi dissero che
“un
disabile non può giocare. Questo è
quanto”. »
«
Disabile? » Tyki ridacchiò.
«
Strabico, orbo, videoleso... anche handicappato, inabile... scelga
quella che preferisce, me le hanno dette praticamente tutte. »
«
Lvellie dunque ti definiva un handicappato? »
Lavi
non disse nulla, limitandosi a lanciare un'occhiata alquanto
eloquente. Tuttavia non gli diede modo di intendere che quelle parole
lo avessero ferito. Anzi, volle aggiungere un ulteriore schiaffo
morale. « Ha anche detto che è normale che uno
nella mia situazione
sia... “meno dotato” rispetto agli altri.
»
«
In che senso? »
«
La mia memoria, sa... »
«
La memoria eidetica? Eppure tutti vorrebbero ricordare tutto con una
tale precisione. »
«
La memoria eidetica è frequente nei bambini, oppure nelle
persone
affette da ritardo mentale. »
«
Allora fammi capire. Lvellie ha detto che è normale per te
ricordare
così bene tutto perché sei un ritardato?
»
«
Esatto. »
«
Però svolgevi i tuoi compiti nel comitato con zelo, non ha
considerato il tuo operato? »
«
Pare di no. »
«
E lo stesso valse per Linalee? »
«
Linalee aveva dei buoni voti, ogni tanto le davo una mano, ma anche
da sola se la sarebbe cavata benissimo. Tuttavia, Lvellie la
terrorizzava. La sgridava, la costringeva a fare ripetizioni a
scuola. »
«
Ripetizioni dopo scuola? Dove nessuno poteva assistere, nemmeno tu?
»
«
Non era assolutamente permesso. »
«
Quindi è possibile che Lvellie, lontano dagli occhi di
tutti, abbia
fatto qualche pressione su Linalee? Perché magari sapeva
della tua
scoperta casuale? »
«
Non ho mai rivelato a nessuno di quanto avevo scoperto su di lui, non
volevo impicciarmi. Se Linalee l'ha scoperto da sola, non posso
saperlo. »
«
Obiezione, stiamo dando per scontato che il mio assistito sia un
criminale senza alcuna prova. »
Lavi
avrebbe voluto rispondere che lui era la prova, la sua memoria era
una prova, la morte di Linalee era una prova. Ma in fondo i suoi
occhi e le sue orecchie valevano ben poco. In fondo lui aveva
inizialmente confessato di averla uccisa. Non gli erano sfuggiti gli
sguardi dubbiosi della gente. Come si poteva sperare di essere
creduto all'improvviso?
A
detta del rosso, non stava andando così bene, ma d'altra
parte Allen
lo aveva avvertito. Tuttavia gli venne da chiedersi se avesse fatto
davvero bene a testimoniare così apertamente.
Tyki,
al contrario, era di un opinione diametralmente opposta. Lui era
convinto al cento per cento della sua innocenza e l'avrebbe
dimostrato. Gli serviva solo un po' di tempo.
«
Vostro onore, se mi date una settimana vi dimostrerò coi
fatti della
vera attività di Malcolm C. Lvellie. »
«
Una settimana? »
«
È il tempo minimo che posso concedere. »
«
Allora dispongo che la prossima udienza si tenga il ventiquattro
giugno alle ore dieci. La seduta è tolta. »
Sia
Lavi, che Tyki, persino Kanda, tirarono un sospiro di sollievo, non
tanto per l'esito della prima udienza, che aveva segnato l'esordio di
Lavi come semplice sospettato e non più come un brutale
assassino,
quanto per scaricarsi lo stress di dosso. Lavi fu subito raggiunto da
Link, il quale però non gli mise subito le manette. Lo
accompagnò
fuori dal tribunale, facendosi raggiungere, nel giro di pochi minuti,
da Tyki e tutti gli altri. C'erano anche Anita e Mahoja.
«
Una settimana? » gli chiese prontamente il ragazzo, quasi
spaventato.
L'altro
sospirò di rimando. « In una settimana si possono
scoprire tante
cose. »
«
Yu, sei stato grande, sai? Proprio un vero uomo! »
«
Pensa per te. »
«
Vi ringrazio per essere venuti, davvero. Mi chiedo se qualcuno mi
abbia creduto, là dentro. Mi guardavano come se fossi un
mostro. »
«
Di certo hai lasciato il segno. E accidenti, non sapevo mica che
quello fosse stato il primo avvocato. »
«
È un mondo piccolo, che vuole che le dica. » fece
spallucce, Lavi.
« Comunque sa, Tyki, io non ero l'unico a essere trattato
come un
ritardato. Anche Linalee. »
«
Cioè? »
«
Lvellie aveva cominciato ad assegnarle dei test
“speciali”,
diversi da quelli degli studenti, domande diverse, ecco. Più
facili
per lei, a detta sua. »
Tyki
cercò con tutte le sue forze di non ridere. Non
pensò al fatto che
un dettaglio così importante -importante solo per lui-
saltasse
fuori in quel momento, era felice e basta. Si sarebbe dannato come un
povero idiota, da quel momento in avanti, per tutta la settimana, ma
chi se ne fregava. Se c'era una sola possibilità, doveva
coglierla
al volo, come aveva sempre fatto.
«
Bè, ne parliamo con più calma più
avanti. Ora andiamo. »
Link
precedette Lavi nel passo, con l'aria seria e composta come sempre,
senza ammanettarlo. Allen e Road ridacchiavano, anticipando tutti
verso l'uscita, mentre Anita e Mahoja avevano deciso di tornare a
casa. Kanda era rimasto con la comitiva, non prima di aver garantito
alla madre adottiva di tornare a un orario decente per pranzare. Lavi
non capiva un fico secco di quanto stava succedendo. Si vide quasi
trascinato fuori di tutti quanti, verso un ampio spazio verde, poco
distante dal tribunale. Non ricordava che ci fosse un parco, doveva
essere recente.
«
Scusate, cosa... »
Link
rispose prontamente come uno studente modello durante
un'interrogazione. « Hai un'ora. »
Guardò
Tyki, perché non aveva mica capito. L'avvocato gli sorrise,
lasciando che Allen frugasse nel proprio zaino e ne tirasse fuori un
pallone. Tyki lo lanciò a Lavi di rimando e, notando che
l'aveva
preso al volo, fischiettò.
«
Allora non ti sei arrugginito. »
«
Mi spiegate che succede? »
«
Io e te facciamo squadra, il piccolo farà squadra con Kanda.
»
«
Io voglio fare squadra con Allen! » urlò Road,
abbracciando Allen
da dietro.
«
Una bella partita a basket. »
Lavi
guardò Tyki per una quantità indefinita di
secondi, senza riuscire
a dire alcunché. Non riusciva a capire come potesse essere
possibile
che lui, un carcerato, potesse uscire all'aria aperta per giocare.
«
Bè, ora non sei più un assassino, ma un semplice
sospettato. E
finché c'è Link non dovrebbero esserci problemi.
Hanno concesso
solo un'ora, ma tanto vale approfittarne, no? Così ti abitui
all'aria aperta. »
Il
ragazzo si rigirò il pallone più volte. E sentiva
le mani
formicolare. Quanto tempo era che non si dedicava allo sport che
più
amava al mondo? Poter toccare un pallone, gli sembrò un
privilegio.
E il canestro era a pochi passi da lui, e i piedi fremevano. Si
sentiva un idiota. Ma non smise mai di essere riconoscente nei
confronti di Tyki.
«
Guardi che sono forte, eh. »
«
Ottimo, io non so proprio giocare. »
«
Ah ah ah! Peggio per lei, perché a basket non si
può imbrogliare
come a carte. Dai, cominciamo. Provi a rubarmi la palla. »
Pur
non sapendo le regole -Lavi le aveva spiegate allo sfinimento ma era
già tanto per Tyki aver capito che non si può
tenere la palla per
più di tre secondi, né palleggiare con due mani,
né tenerla con
due mani, né aspettare più di cinque secondi
prima di fare
canestro, c'era anche qualcosa a che fare con gli otto secondi ma non
si ricordava granché- avevano giocato. Lui, Lavi, Allen e
persino
Kanda, mentre Road guardava, seduta per terra, tutta presa a fare il
tifo per il suo albino. E Lavi era bravo. Oh, se lo era. Era davvero
un peccato non permettergli di giocare perché, accidenti,
uno che ti
fa canestro otto volte su dieci doveva
giocare.
Ma soprattutto, Lavi era felice. Rideva di gusto come non aveva mai
fatto. Correva, saltava, giocava, si rotolava a terra neanche fosse
un bambino, senza smettere di ridere neanche un secondo. Fu l'ora
più
bella che avesse mai passato, nel corso di quei tre anni.
E
poi Lavi si lasciò andare all'immaginazione, anzi, a essere
onesti,
ai ricordi. Per un momento vide Linalee, accanto a Road, sorridente,
che lo guardava fare canestro da solo, in una delle tante giornate
che passavano insieme. Lo guardava ammirata, “sei
bravissimo”,
gli diceva sempre. E lui se ne stava là a gongolare per i
complimenti ricevuti e a guardarla, Dio, era bellissima.
Sarebbe
stato davvero perfetto, se ci fosse stata anche lei. Ma forse,
chissà, lo stava davvero guardando, da qualche parte. Non
faceva
male a nessuno, pensandolo.
Farsi
rimettere le manette non gli costò poi molto, vista la
giornata
andata oltre le sue aspettative. Lavi ringraziò nuovamente
tutti,
facendosi promettere di giocare ancora una volta, il più
presto
possibile. Sembrava davvero un bambino, in quel frangente.
Tyki
si sentì un po' stanco. Si stiracchiò, con un
sorriso, rivolgendosi
poi a Kanda.
«
Devo chiederti di accompagnarmi alla tua vecchia scuola. »
«
Perché? »
«
C'è un posto dove tengono i vecchi test? »
Allen
si mise in mezzo, quasi felice di essere utile. «
Sì, li tengono in
aula professori, li controllano per vedere quali argomenti sono stati
fatti e poter fare così i nuovi test. »
«
Tengono anche quelli di tre anni fa? »
«
Non si buttano mai i test, però quelli sono davvero vecchi,
non so
se li tengano lì... »
«
Che intenzioni ha, Tyki? »
«
Voglio dare un'occhiata ai test speciali di Linalee. Potrebbero
essere la risposta alla morte di Miranda. »
Né,
Allen, né Kanda avevano compreso. Road nemmeno poteva
immaginare
tutto quello che passava per la testa particolare del fratello, ma
tutti e tre avevano fiducia in lui. Se quei fogli ormai vecchi e
consumati potevano servire per aiutare Lavi, allora lo avrebbero
appoggiato.
Anche
loro volevano tornare a giocare con lui il prima possibile. Persino
Kanda.
Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore,
più
non arrossii nel rubare l'amore,
dal
momento che inverno mi convinse che Dio
non
sarebbe arrossito rubandomi il mio.
[ Un
blasfemo (dietro ogni
blasfemo c'è un giardino incantato) – Fabrizio De
André ]
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