de profundis
De Profundis
Ciao Peter.
Mi manchi.
Sai, comincio seriamente a pensare di non potercela fare ad andare
avanti senza di te. Ma è proprio per questa mia fatale
dipendenza che non posso tornare. Tuttavia, al di là
dell'amara
dimensione razionale, vorrei che tu fossi qui.
Spero
che, per tutta la vita, il ricordo di quello che siamo stati non
ti abbandoni mai. Se ciò accadesse, sappi che mi perderai
per sempre.
Mi dispiace che sia finita in questo modo. Non avrei mai dovuto fare
quello che ho fatto.
Eppure non è del tutto colpa mia, Peter. Renditene conto.
Avresti dovuto respingermi con più convinzione invece che
assecondare i miei capricci e poi accusarmi di averti costretto a
compiere quello che, in fondo, eri tu stesso a desiderare.
Non negarlo.
Pur sperando con tutto il cuore che Elizabeth stia bene, non ti
chiederò di lei. Con quale faccia potrei farlo? Con quali
parole? Niente potrà mai assolvermi dal dolore di averla
ferita.
Ma ora parliamo di Noi, Peter. O almeno di quello che eravamo.
Ti ricordi di quella foto scattata assieme? Quella dove siamo vestiti
uguali? Mi piacerebbe che in qualche modo me ne facessi avere una
copia, oppure l'originale, nel caso non te ne importasse più
nulla o ti facesse troppo male.
A quei tempi tutto era perfetto, vero? Ma io -Noi- abbiamo sentito il
bisogno di abbandonarci a quell'istinto,a quella famelica voglia.
Eppure non era solo lussuria. Lo sappiamo entrambi.
Io ti amavo -ti amo- davvero.
Tu forse non te ne rendevi conto -non te ne rendi conto- o non volevi
ammetterlo -non vuoi ammetterlo-, ma mi hai amato anche tu.
E adesso? Non so quello che provi. Ho chiesto espressamente a Mozzie di
non parlarmi delle conseguenze che la mia assenza sta avendo su di te.
Forse ho paura di trovarmi davanti ad una realtà troppo
amara da
sopportare.
Spero, in una piccola ma non insignificante parte di me, che tu soffra.
Voglio mancarti così tanto da toglierti il fiato.
Ma ho come la sensazione che tu non voglia più fare spazio
per me nel tuo cuore.
Non ti condanno per questo.
Non lo farei mai.
Voglio solo farti sapere che, qualcunque sforzo tu faccia, non ti
libererai mai del mio ricordo.
E, se vuoi, odiami pure. Lo preferirei a questa agoniante indifferenza.
Sai, di notte a volte mi rigiro nel letto cercando il tuo abbraccio.
Non trovandolo mi si lacera l'anima e annego in una straziante
disperazione.
La verità è che mi manca ogni cosa da te, anche
quell'espressione colpevole che ti si disegnava sul volto dopo essere
stati assieme.
Ma quello che mi sta uccidendo davvero è l'aver perso la
nostra quotidianità.
Sogno spesso di entrare in ufficio e trovarti a sorseggiare il
caffè, intento ad esaminare qualche caso. Poi alzi lo
sguardo e
mi vedi. Le tue labbra si arricciano in un sorriso trattenuto e i tuoi
occhi si perdono nei miei per qualche secondo.
Ricordo con nostalgia anche il modo in cui mi sfioravi,
cercando,
quasi inconsapevolmente, il calore della mia pelle. Ma il tuo corpo si
allontanava da me velocemente, per paura che qualcuno vedesse o,
peggio, capisse.
Amavo quando ti arrabbiavi per il mio ennesimo pasticcio, consapeole
del fatto che quella fragile ira sarebbe presto mutata in morbosa
preoccupazione.
Mi avevi detto che sarei stato tuo per quattro anni, e così
è stato.
Sebbene fosse un ordine, mi è sempre suonato come un
giuramente solenne.
Il giorno in cui mi fu tolta la cavigliera le mie ali, che fino a quel
momento erano state ripiegate sotto il tuo autorevole sguardo, si
aprirono, e mi resi conto che chi davvero mi teneva in catene non eri
tu, ma il mio stesso ego, la mia arroganza e la convinzione di poter
fare qualsiasi cosa, ignorando le conseguenze delle mie azioni.
Così mi sono
alzato in volo, senza accorgermi che le mie ali erano di cera e che
più mi avvicinavo al sole, più quelle si
scioglievano.
E poi sono caduto, e tu non c'eri.
Ed ora eccomi qui, Peter. In una stanza di un lussuoso albergo,a
sorseggiare un costosissimo vino, avvolto in un accappatoio di seta
pregiata.
Eppure, sembra assurdo, non so che farmene di questo. Preferirei mille
volte starmene seduto con te sul tuo scomodo divano a sorseggiare birra
e guardare la partita.
L'avresti mai detto?
Non trovo via d'uscita da questa agonia.
Il
vuoto che hai lasciato in me è devastante, in tutti i sensi.
A volte ho così fame del tuo corpo che esco in strada e
inizio a correre in direzione dell'aeroporto.
Poi mi fermo.
Posso sentire ancora la tua mano, ferma e gentile, che mi allenta la
cravatta, stando attenta a non lasciare insfiorata nessuna porzione del
mio collo. Ricordo i tuoi occhi che si smarrivano in me, come se non
esistesse altro.
I tuoi baci, inizialmente dolci e deboli, con
l'aumentare dell'eccitazione, in un climax vorticoso, si facevano
sempre
più violenti e spudorati, fino a quando ti imploravo di
farti
mio.
Nessuno è mai arrivato a farmi implorare.
Scommetto che stai arrossendo.
Ora è inutile che arricci le labbra e sospiri, indispettito
dal fatto che ho ragione.
D'altronde ti conosco meglio di chiunque altro.
E' tardi ora e, se fossi qui, mi daresti una pacca sulla spalla e mi
diresti di riposare.
Ma tu non ci sei, e io non riesco più a dormire.
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