Consuetudini
Un buon
tè sarebbe stato l’ideale al momento, ma aspettare
che fosse John a prepararlo continuava a sembrargli l’idea
migliore, quindi
rimase seduto sul letto avvolto nella sua vestaglia, gli occhi fissi
sulla
parete di fronte a lui. Anche alla luce fioca della lampada ancora
accesa sul
comodino, Sherlock riusciva ad identificare con chiarezza ognuno dei
fori sulla
parete, tutti opera della sua pistola L16A.
Il più recente (che era chiaramente quello in alto a destra,
a giudicare dalle sfumature che lasciava sulla parete) doveva risalire
a un
paio di settimane prima; poco dopo Lestrade gli aveva affidato un caso
di rapimento
decisamente noioso – lo aveva risolto in quasi meno di
ventiquattro ore.
Da allora, non aveva
avuto nulla su cui lavorare, ma non era
più ricorso a quel passatempo.
Dopo
le continue lamentele di John – fomentate dalla signora
Hudson – che andavano avanti da quando condividevano
l’appartamento di Baker
Street, aveva ceduto per quieto vivere a limitare quei
suoi divertimenti insani, come loro li definivano, ad una
parete della sua camera.
Adesso che lui e
John condividevano anche quella camera,
però, la situazione si complicava.
In
quel momento, ad esempio, gli sarebbe bastato allungare
il braccio di poco, circa cinquantanove centimetri, con un unico rapido
movimento, per raggiungere la pistola nel cassetto del comodino.
Avrebbe
evitato accuratamente il corpo seminudo di John, avvolto goffamente tra
le
lenzuola, ad una distanza innaturale dal suo; naturalmente tanta
cautela
sarebbe stata del tutto priva di senso, se lo avesse svegliato un
attimo dopo a
colpi di pistola.
Ma
il punto centrale era un altro: normalmente non si
sarebbe fatto alcuno scrupolo a svegliare qualcuno alle cinque del
mattino, o meglio,
normalmente non avrebbe avuto un’altra persona a dormire nel
suo letto a
quell’ora.
Senza contare che quella persona fino a due settimane prima
spendeva le sue serate in appuntamenti con donne conosciute appena, che
chiaramente si svolgevano sempre allo stesso modo – da quanto
poteva dire
osservandolo al suo ritorno, generalmente mentre era impegnato a
suonare il
violino – con leggere varianti facilmente deducibili dalla
fermezza delle mani
mentre posava la giacca sull’appendiabiti (più o
meno alcol), dagli occhi arrossati
(cinema) o dall’inconfondibile odore di fritto che spargeva
in tutta la casa
(scelta di un ristorante decisamente poco appropriata).
Noioso, noioso,
noioso.
Ma
evidentemente le donne dovevano essere una delle
irrinunciabili consuetudini di John,
come
il suo schiarirsi la gola, o il mettere sempre un cucchiaino e mezzo di
zucchero nella sua tazza di tè.
Eppure,
precisamente da quattordici giorni e tre ore, anche
loro erano diventati una consuetudine.
Era
una consuetudine che John entrasse nel suo letto, di
fretta, quasi temendo che per un secondo di esitazione Sherlock lo
avrebbe
lasciato lì per correre nel suo laboratorio; ed era
diventata una consuetudine
per Sherlock anche percorrere con le dita il suo profilo, evitare le
cicatrici
sulla sua pelle, osservare il piacere riflesso nei suoi occhi, per poi
sentirlo
allontanarsi leggermente quando pensava che lui si fosse addormentato,
come per
paura di sfiorarlo anche involontariamente nel sonno.
E
stranamente, quel genere di consuetudini non lo annoiava
affatto.
Mentre
Sherlock osservava John con il gomito appoggiato sul
cuscino, ancora indeciso se prendere o no la pistola stendendo una mano
oltre
la sua testa, sentì il suo respiro regolare trasformarsi
fino a diventare un
tossire leggero.
«
Sherlock? » chiamò John voltandosi, notando i suoi
occhi
spalancati e la mano tesa.
«
Oh, sei sveglio. Stavo giusto pensando che ci vorrebbe un
buon tè in questo momento » disse in risposta,
simulando un tono neutro e
mascherando il suo gesto fingendo di stiracchiarsi.
«
Un tè, certo. Ma che ore saranno? »
mugugnò John, ancora
in dormiveglia, avvolgendosi di più nelle coperte.
« Beh, un tè non
dispiacerebbe neanche a me comunque » riprese, sbadigliando.
Sherlock
alzò un sopracciglio, continuando a fissarlo. « Mi
aspettavo che fossi tu a prepararlo, veramente » aggiunse, in
tono perentorio.
John,
già sul punto di riaddormentarsi, riaprì una
palpebra
a quella
voce. « Oh, certo. Non si rinuncia a
certe consuetudini, eh? » domandò
alzando gli occhi.
«
Il latte è in frigo » puntualizzò
Sherlock, senza battere
ciglio.
Un
attimo dopo, vide John infilarsi nella sua vestaglia e
alzarsi, annoiato; mentre usciva dalla stanza, Sherlock
allungò finalmente la
mano verso il cassetto che conteneva la pistola, meditando che doveva
aver
dimenticato di dire a John che accanto al latte c’era un
recipiente contenente
dita umane per un suo esperimento.
«
SHERLOCK! »
L’urlo
che arrivò poco dopo dalla cucina, mentre prendeva la
mira verso la parete, confermò i suoi dubbi; non rispose, ma
premette
finalmente il grilletto.
C’erano
alcune consuetudini a cui non avrebbe mai
rinunciato.
Wren’s
Corner
Ma salve!
Questa
è la mia prima incursione nel fandom di Sherlock,
quindi sono ancora un po’ traumatizzata (sarà
anche perché mi sono ritrovata a
scrivere con naturalezza dal punto di vista di un sociopatico
iperattivo?). Ovviamente
qualsiasi tipo di recensione o consiglio è benaccetto!
Un ringraziamento speciale alla mia pazientissima e
amabilissima beta Joey
*-*
E grazie a tutti per aver letto!
Wren
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